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Pubbl. Sab, 15 Giu 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Il Piemonte tra età napoleonica e Restaurazione

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Giovanni Giannotti
Dottorando di ricercaUniversità degli Studi di Messina


Il presente lavoro ricostruisce le vicende del Piemonte nel periodo compreso tra la dominazione napoleonica e il ritorno dei Savoia. Dal colpo di Stato del 18 brumaio dell´anno VIII alla seconda Campagna d´Italia, dall´annessione del Piemonte all´Impero napoleonico al ritorno dei Savoia e alla Restaurazione delle istituzioni settecentesche.


Sommario: 1. Il colpo di stato di Napoleone – 2. La seconda Campagna d’Italia. La conquista dei territori sabaudi.  – 3. Il Piemonte durante l’età napoleonica. – 4. Crollo dell’Impero francese. Primo e secondo Congresso di Parigi. L’annessione della Repubblica di Genova – 5. Il ritorno di Vittorio Emanuele I. – 6. La Restaurazione nel Regno di Sardegna.

1. Il colpo di stato di Napoleone

Alla fine del 1798 la seconda coalizione antifrancese, cui aderivano Austria, Russia e Gran Bretagna, avviò una vigorosa offensiva[1]. L’Italia rappresentava uno dei fronti principali del conflitto; nella Penisola nel marzo del 1799 gli attacchi sferrati dagli eserciti austriaco e russo portarono al crollo delle repubbliche satelliti imposte negli anni precedenti dai transalpini[2].

In Francia il Direttorio nell’aprile del 1799   ̶   in crisi per la disastrosa situazione militare   ̶   subì   una dura sconfitta elettorale[3]; di conseguenza mutò la composizione del Direttorio, con l’ingresso di Emmanuel-Joseph Sieyés, le cui iniziative erano appoggiate dalla borghesia termidoriana[4]. Il sostegno politico della classe borghese tuttavia non era sufficiente, dal momento che per modificare le strutture istituzionali era necessario un atto di forza[5]. Sieyés pertanto sostenne la necessità di un colpo di Stato militare, ritenuto essenziale per costruire un nuovo assetto istituzionale; del resto già in passato il Direttorio aveva fatto ricorso all’aiuto dei militari; inoltre sia la borghesia affaristica sia i proprietari terrieri desideravano un sistema solido, guidato da un «generale vittorioso ed energico[6]»; l’uomo sul quale si decise di puntare fu Napoleone Bonaparte, rientrato in Francia dall’Egitto nell’ottobre 1799, dopo aver eluso il blocco navale inglese[7]. Appena arrivato il Direttorio gli attribuì il comando delle forze armate di Parigi[8]. Il colpo di Stato avvenne tra il 9 e il 10 novembre 1799, Bonaparte sciolse con la minaccia delle armi il Parlamento e si innalzò ad «autorità politica indipendente»[9], imponendo la nomina di un «consolato provvisorio di tre membri[10]», composto da Napoleone stesso, da Sieyés e da Roger Ducos[11].

2. La seconda Campagna d’Italia. La conquista dei territori sabaudi 

Il primo impegno militare di Napoleone – dopo aver assunto la carica di «Primo Console[12]» - fu diretto contro la seconda coalizione. La situazione era favorevole a Bonaparte, dal momento che l’occupazione di Malta da parte dei britannici aveva generato tensioni tra Inghilterra e Russia[13]; lo zar Paolo I – desideroso di espandersi nel Mediterraneo e irritato per il comportamento tenuto dagli inglesi   ̶   pertanto decise di richiamare in patria il generale Alexandr Suvorov e di abbandonare l’alleanza antifrancese[14]. Napoleone decise di approfittare della situazione e di riprendere l’offensiva; nel maggio del 1800 superò il Gran San Bernardo e penetrò in Italia, sconfiggendo gli Austriaci a Marengo[15] il 14 giugno; sconfitti anche sul fronte tedesco dal generale Jean Victor Marie Moreau nella battaglia di Hohelinden, gli Asburgo abbandonarono l’alleanza con l’Inghilterra e chiesero la pace.

 In seguito alla vittoriosa Campagna d’Italia e alla battaglia di Marengo i francesi erano rientrati a Torino, in attesa di una decisione definitiva sui territori sabaudi il generale Pierre-Antoine Dupont ebbe ordine di istituire un Governo provvisorio piemontese, formato da una Commissione Governativa e da una Consulta, da lui stesso presieduta; nel mese di agosto Dupont – a seguito di contrasti con il Governo di Parigi – fu sostituito con Jean Baptiste Jourdan, che il 4 ottobre sciolse la Commissione governativa e la sostituì con una nuova commissione di sette membri, di cui tre effettivi e quattro sostituti.[16]

3. Il Piemonte durante l’età napoleonica

Il trattato di pace stipulato con l’Austria a Lunéville il 9 febbraio 1801 riconfermò le condizioni di Campoformio, tuttavia «l’accordo non fece il minimo cenno alle sorti del Piemonte[17]»; la situazione di incertezza perdurò per alcune settimane, infine – morto il 24 marzo 1801 lo zar Paolo I, protettore di Carlo Emanuele IV[18] e degli interessi di Casa Savoia – ai primi di aprile Talleyarand comunicò al ministro straordinario francese Jourdan «l’intenzione del Primo console di trasformare il Piemonte in Divisione militare francese[19]» in vista di una futura réunion; con decreto del 19 aprile i territori sabaudi furono affidati ad un amministratore generale, Jourdan stesso, affiancato da una ristretta cerchia di consiglieri; contemporaneamente il Piemonte fu riorganizzato in 27º Divisione militare e il territorio suddiviso in dipartimenti, che corrispondevano ad altrettante prefetture, «a loro volta suddivise in sottoprefetture o arrondissements[20]».

La réunion fu preparata scrupolosamente dai transalpini: fu estesa al Piemonte la legislazione francese, la coscrizione obbligatoria e introdotto l’uso del franco come moneta di conio; nell’agosto 1802 «furono soppressi gli ordini religiosi ancora esistenti e dichiarati nazionali tutti i beni di loro appartenenza»[21]; infine con senato-consulto dell’11 settembre 1802 fu deliberata l’annessione alla Francia[22].

Va osservato che erano state emanate in Francia nel febbraio 1800 – pochi mesi prima della riconquista dei territori subalpini da parte di Napoleone – le norme sull’organizzazione amministrativa del nuovo Stato consolare[23]; le innovazioni napoleoniche furono estese ai territori sabaudi nel 1801, circa un anno prima dell’annessione, pertanto fu introdotta la ripartizione in dipartimenti e circondari, create prefetture e sottoprefetture e disciplinate le amministrazioni locali.

Il Piemonte rimase per circa quindici anni sotto la dominazione francese, arco di tempo durante il quale furono esportate nei territori continentali dell’ex Regno di Sardegna – l’isola era rimasta sotto il dominio di Savoia – gli ordinamenti amministrativi, finanziari e i codici legislativi francesi; come ha scritto Narciso Nada: «l’applicazione dei Codici napoleonici e la ristrutturazione, secondo gli schemi applicati in Francia, dell’apparato amministrativo e di quello giudiziario avevano impresso una efficienza, una rapidità, una semplificazione ed una chiarezza all’attività degli organismi esecutivi e all’amministrazione della giustizia che in Piemonte non si erano mai viste[24]»; la dominazione francese rappresentò per l’esperienza giuridica italiana una svolta decisiva dal momento che «l’Italia […] sperimentò in questi anni un’unità economica e giuridica che non conosceva da oltre un millennio. Il modello francese fu determinante nella configurazione delle istituzioni di diritto pubblico e privato come nella giurisprudenza di alcuni stati della Penisola nell’età successiva[25]».

4. Crollo dell’Impero francese. Primo e secondo Congresso di Parigi. L’annessione della Repubblica di Genova.

La disastrosa campagna di Russia del 1812 e la sconfitta nella battaglia di Lipsia – combattuta tra il 16 e il 19 ottobre 1813 - provocarono il crollo dell’Impero napoleonico; con il congresso di Parigi furono stabilite le clausole di pace con la Francia[26] e fu salvaguardata l’integrità del territorio transalpino[27]; al congresso partecipò come rappresentante del Regno di Sardegna il cav. Ignazio Thaon di Revel; questi tuttavia giunse nella capitale francese quando tutti i giochi si erano conclusi[28], pertanto si limitò a prendere atto delle decisioni prese dai paesi vincitori, in base alle quali la Francia conservava una parte della Savoia[29]. Restavano aperti ancora molti problemi sulla sistemazione geo-politica dell’Europa[30], dunque le grandi potenze – chiuso il congresso di Parigi – stabilirono di convocare una nuova conferenza a Vienna, apertasi il 1° novembre 1814 nella capitale asburgica, per definire l’assetto politico del continente[31]. Per il Regno di Sardegna era essenziale inviare al congresso un persona di alto profilo, esperto di politica internazionale e al contempo stimato da Metternich e dai rappresentanti delle altre potenze europee[32], la dunque scelta cadde sul Marchese di San Marzano. L’atto finale del congresso fu firmato dai rappresentanti delle potenze partecipanti l’8 giugno 1815. Lo Stato sabaudo – grazie all’articolo 86[33] dell’atto finale – otteneva tutti i territori dell’antica Repubblica di Genova[34], decisione in realtà già raggiunta nel dicembre precedente[35] e annunciata con Regie Patenti del 30 dicembre 1814, con le quali era istituita una Regia Delegazione che sotto la presidenza del Commissario Plenipotenziario Ignazio Thaon di Revel[36] «avrebbe dovuto svolgere una funzione consultiva nell’incominciamento dell’amministrazione del governo di Genova[37]», dall’alto lato però il Regno di Sardegna doveva cedere alcuni territori di campagna alla rediviva Repubblica di Ginevra, entrata a far parte della Confederazione elvetica[38], infine con il protocollo firmato a Parigi il 3 novembre 1815 ed inserito in seguito nel trattato di pace del 20 novembre – che concluse il secondo Congresso di Parigi – furono restituiti al Regno di Sardegna i territori della Savoia rimasti in mano francese sulla base di quanto statuito nel 1814.

5. Il ritorno di Vittorio Emanuele I

Vittorio Emanuele I era stato costretto dall’occupazione francese a trascorrere il lungo periodo dell’avventura napoleonica – tra il 1800 e il 1814 – in Sardegna[39]; durante tale arco di tempo il «Piemonte aveva sperimentato le riforme esportate anche altrove in Europa da Bonaparte[40]»; abbandonati i possedimenti sardi Vittorio Emanuele sbarcò nel porto di Genova il 9 maggio, ove fu accolto dai rappresentanti della restaurata e precaria Repubblica di Genova; il 14 maggio – prima di partire per Torino – emanò un proclama indirizzato a sudditi con il quale dichiarò aboliti: la coscrizione, le imposte di successione in linea retta e il “diritto di patente”, ovvero l’imposta diretta sulle attività dei professionisti e degli uomini d’affari[41].

6. La Restaurazione nel Regno di Sardegna

Partito dalla città ligure il 17 maggio, Vittorio Emanuele raggiunse Torino il 20 maggio[42] e il giorno successivo – il 21 –   deciso a cancellare le novità introdotte durante l’occupazione francese[43] richiamò in vita con regio editto[44] «l’osservanza delle Regie Costituzioni e delle altre provvidenze emanate sino all’epoca del 23 giugno 1800 dai nostri reali predecessori[45]». Lo Stato sabaudo «riprese così il carattere di Stato patrimoniale nel quale il re aveva non solo il potere di creare le leggi, ma anche quello di mutare, dopo la sua promulgazione, il contenuto e l’applicazione di esse a suo insindacabile discrezione[46]»; il sovrano poteva intervenire in ogni settore della vita pubblica mediante documenti ufficiali denominati «Regi biglietti» e creare un grave stato di incertezza nel diritto[47]; era un tentativo anacronistico di riportare indietro le lancette della storia, scriverà significativamente Pellegrino Rossi «quell’editto ha fatto rivivere i morti[48]»; di fatto fu imposto il ritorno alla legislazione prenapoleonica e riesumato – con pochissime eccezioni – un sistema normativo di stampo settecentesco imperniato nei suoi elementi fondamentali su «costituzioni[49]» venute alla luce tra il 1717 e il 1770[50]; era un modello[51] che al momento della sua promulgazione era certamente avanzato, tuttavia le accelerazioni costituzionali prodotte dalla rivoluzione francese[52] e le innovazioni portate dai codici napoleonici avevano reso ormai sorpassato tale legislazione, «basti pensare che in quell’ordinamento le fonti del diritto erano ancora molteplici e accavallate tra loro: ordinanze ed editti regi, statuti comunali, decisioni dei tribunali supremi e diritto comune[53]», ciò malgrado questo modello fu recuperato integralmente, infatti tra il 1814 e il 1815 furono richiamati in vita provvedimenti regi risalenti alla prima metà del XVIII secolo[54].

Già nel 1717 era stato istituito il Consiglio di Stato, inoltre era stata presa la decisione di ripartire i compiti della Segreteria di Stato tra diversi uffici, operazione - come ha osservato Carlo Ghisalberti – che «rappresentò il primo inizio in Italia, di distinzione dei dicasteri ministeriali[55]», infine era stata regolamentata l’attività delle Segreterie di Stato e di Guerra e disciplinato l’ordinamento delle Aziende di Finanza, Artiglieria, Guerra, Fabbriche, Fortificazioni, Real Casa, creato un Consiglio delle Finanze[56]; sostanzialmente era una divisione per competenze che – come già detto – anticipava in certi aspetti le più moderne ripartizioni ministeriali e i cui obiettivi erano l’accentramento del potere nelle mani del principe e una più razionale ed efficace gestione finanziaria[57].

Nel restaurato stato sabaudo il governo del re era imperniato – sulla base della tradizione dell’antico regime – sui Ministeri degli Interni, degli Esteri, della Guerra e della Sardegna, cui furono aggiunti nel 1816 quelli delle finanze e di polizia[58]; gli Interni avevano mantenuto estese funzioni in ampi settori, esercitati tramite una serie di organi dotati di elevata autonomia[59]; infine ai ministeri furono affiancate aziende economiche, incaricate della gestione della contabilità e del bilancio, che facevano capo alla tesoreria generale, organismo «di primo piano di tutta la contabilità dello Stato[60]».

Come ha osservato la storiografia, dopo la riorganizzazione geopolitica del Vecchio Continente realizzata tra il 1814 l’Europa risultò composta quasi esclusivamente – dal punto di vista istituzionale – da Stati monarchici, mentre il sistema repubblicano rimase confinato alla Confederazione Elvetica, a quattro città tedesche e alla Città libera di Cracovia.  

I regimi monarchici tuttavia non erano identici dal punto di vista istituzionale, infatti potevano essere divisi in tre gruppi: monarchie costituzionali, monarchie ispirate al modello del dispotismo illuminato, monarchie di tipo paternalistico, definite anche «dispotico-arbitrarie[61]». Le monarchie costituzionali si reggevano su costituzioni modellate sulla Carta ottriata di Luigi XVII del 4 giugno 1814[62]; al dispotismo illuminato si ispiravano «l’Austria, la Prussia, la maggior parte degli Stati della Confederazione germanica, il Granducato di Toscana e il Ducato di Parma e di Piacenza[63]»; il modello del dispotismo arbitrario fu mantenuto in Russia e ripristinato in Spagna e negli altri Stati italiani.

Per quanto riguarda il Regno di Sardegna, secondo Narciso Nada nello Stato sabaudo fu instaurata nei primi anni della Restaurazione una «prassi di governo tipicamente dispotico arbitraria[64]», gli interventi paternalistici del sovrano si manifestavano mediante l’emanazione di «Biglietti Regi» o «Regi Viglietti», atti ufficiali tramite i quali il Re esercitava un potere illimitato in tutti i settori essenziali dello Stato[65], esempi significativi erano: la dispensa per alcuni individui dal pagamento dei propri debiti ai creditori nei tempi pattuiti; la concessione di pensioni o di aumenti di stipendio – a titolo solamente personale - a favore di alcuni soggetti; la riapertura di procedimenti giudiziari per i quali si era giunti all’ultimo grado di giudizio e alla sentenza definitiva. Erano elargizioni concesse per lo più agli esponenti della nobiltà, il cui unico merito era quello di non essere scesi a compromessi con i francesi e non aver prestato servizio nell’epoca napoleonica[66].

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Note

[1] a. m. banti, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, p. 99, Laterza, Roma – Bari, 2012.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] G. Negrelli, L’età moderna, p. 538, Palumbo Editore, Firenze, 1992
[5] Ibidem.
[6] Ivi, p. 539.
[7] A. m. Banti, L’età contemporanea. Dalle rivoluzioni settecentesche all’imperialismo, p. 100.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11]Ibidem.
[12] Il «Primo Console» era dotato di vasti poteri: «Quasi contemporaneamente il colpo di stato del 18 brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799) modificava di nuovo dalle fondamenta l’ordinamento costituzionale della Francia, istituendo un triumvirato nel quale a Bonaparte spettavano le funzioni di primo console. […] Al primo console   ̶   che era abilitato a decidere anche da solo, senza il necessario consenso degli altri due consoli – venivano conferiti poteri enormi: gli spettavano tutte le funzioni di comando e di governo (bilancio, nomina e revoca dei ministri, dei funzionari, degli ambasciatori, dei militari), il comando dell’esercito, il potere regolamentare.  Inoltre, gli spettava l’iniziativa legislativa. Le leggi, predisposte dal governo, dovevano venir sottoposte al voto del Tribunato e quindi al voto del Corpo legislativo, con tempi rigidamente prestabiliti e senza altra alternativa se non di respingere o di approvare» cfr. A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa. Dal Medioevo all’età contemporanea, pp.449-450 Il Mulino, Bologna, 2007.
[13] G. Negrelli, L’età moderna, p. 549.
[14] Ibidem.
[15] Per la ricostruzione della battaglia di Marengo cfr. A. Frediani, Le grandi battaglie di Napoleone, pp. 50-60, Newton&Compton, Roma, 2002.
[16] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, pp. 15-16, Utet, Torino, 1993.
[17] Ivi, p. 17.
[18] Ivi, p. 20.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] Ivi, p. 21.
[22] Ivi, pp. 21-22.
[23] Ivi, p. 27. «La legge sull’organizzazione amministrativa – scrive Armando Saitta – fu presentata al governo in un progetto di 24 articoli, divisi in due titoli, il I, Divisione del territorio, in un unico articolo divideva la Francia in dipartimenti e circondari comunali; il II, Amministrazione creava gli organi dell’amministrazione dipartimentale, affidandola al prefetto, al consiglio di prefettura, presieduto con voto preponderante dal prefetto, e al consiglio generale di dipartimento , che si riunisce per un massimo di 15 giorni all’anno, ripartisce i contributi diretti tra i circondari comunali e dà la sua opinione sui bisogni del dipartimento. Il numero dei membri del consiglio di prefettura e di quello generale varia col variare della popolazione del dipartimento. In ogni circondario vi sono un sottoprefetto e un consiglio di circondario; in ogni città o borgo un sindaco, degli aggiunti e un consiglio municipale»: cfr. A. Saitta, Costituenti e costituzioni della Francia rivoluzionaria e liberale (1789-1875), p. 509 Milano, Giuffrè, 1975.
[24] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 98.
[25] A.Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa. Dal Medioevo all’età contemporanea, p. 451.
[26] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 108.
[27] G. Negrelli, L’età moderna, p. 565.
[28] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 108.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] G. Negrelli, L’età contemporanea, p. 67.
[32] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 108.
[33] Atto finale del Congresso di Vienna, art. 86: «Gli Stati che componevano la cessata repubblica di Genova sono riuniti a perpetuità agli Stati di S.M. il re di Sardegna».
[34] Per quanto riguarda l’assetto politico internazionale che aveva portato alla restaurazione della Repubblica di Genova cfr. G. Assereto, Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Liguria, pp. 169 -183, Einaudi, Torino, 1994 curr. A, Gibelli – P. Rugafiori.
[35] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento p. 110.
[36] L. Sinisi, Giustizia e Giurisprudenza nell’Italia preunitaria. Il Senato di Genova, p. 24, Giuffrè, Milano, 2002.
[37] Ibidem. Cfr: Regie Patenti del 30 dicembre 1814 in Raccolta di R. Editti, Proclami, Manifesti ed altri provvedimenti de’ Magistrati ed Uffizi, Torino, Stamperia Davico e Picco, 1814-1848, vol. III, pp. 1-2.
[38]P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 111.
[39] P. Colombo, Storia costituzionale della monarchia italiana, p. 5, Laterza, Roma – Bari, 2001.
[40] Ibidem.
[41] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 103.
[42] Ibidem.
[43] P. Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre. Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto Albertino, p. 29, Il Mulino, Bologna, 2003.
[44] Ibidem.
[45] Raccolta degli atti de governo di S. M. Il Re di Sardegna dall’anno 1814 a tutto il 1832. Volume primo, dal 25 aprile a tutto il dicembre 1814, Torino, 1842, Tipografia Pignetti e Carena, p. 93.
[46] M. R. Di Simone, Istituzioni e fonti normative in Italia dall’antico Regime all’unità, p. 149.
[47] Ibidem.
[48] Rivista italiana, Giornale Mensile, Lettera di Pellegrino Rossi a Cesare Alfieri, Anno II, Volume I, Torino, p.179 Tipografia Paravia e Compagnia, 1850.
[49]P. Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre. Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto Albertino, p. 30.  Il termine «costituzione» non deve trarre in inganno dal momento che «non si ha nulla a che fare con le costituzioni che cominceranno a prodursi con le rivoluzioni americana e francese, progenitrici delle odierne costituzioni democratiche. Si tratta piuttosto di leggi ed editti emanati di propria autorità dal principe regnante e così chiamate a partire dal Medioevo per richiamarsi alle norme statuite dagli imperatori romani (constitutiones)» Id., Storia costituzionale della monarchia italiana, p. 6n; cfr: M.R. Di Simone, Istituzioni e fonti normative in Italia dall’Antico Regime all’Unità, pp. 9 ss., Giappichelli, Torino, 1999; C. Ghisalberti, Dall’antico Regime al 1848, pp. 17 – 18, Roma – Bari, Laterza, 2001. G.S. Pene Vidari, Aspetti di storia giuridica piemontese. Appunti dalle lezioni di Storia del diritto Italiano II, pp. 82-88, Giappichelli, Torino,1997; Id., Lezioni di Storia del diritto italiano ed europeo (anno accademico 2007-2008), p.274 Giappichelli, Torino, 2008 Nei secoli XVII-XVIII alcuni sovrani avevano provveduto alla redazione di organiche raccolte della normativa già esistente: sono le «consolidazioni». In Francia Luigi XIV aveva promulgato le ordonnances; nello Stato sabaudo Vittorio Amedeo II di Savoia emanò le “Leggi e Costituzioni di Sua Maestà il Re di Sardegna” nel 1723 cui seguirono le edizioni del 1729 e del 1770, si veda G.S. Pene Vidari, Aspetti di Storia giuridica del sec. XIX. Appunti dalle lezioni di Storia del diritto italiano II, p. 6; M. Bellomo, L’Europa del Diritto Comune, pp. 11-14, Il Cigno, Roma, 1998.
[50] P. Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre. Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto Albertino, p. 30
[51] P. Colombo, Storia costituzionale della monarchia italiana, p. 5.
[52] Ibidem.
[53] Ibidem.
[54] Ivi, p. 6.
[55] C. Ghisalberti, Dall’antico Regime al 1848, p. 18.
[56] P. Colombo, Storia costituzionale della monarchia italiana, p. 6.
[57] Ibidem.
[58] M. R. Di Simone, Istituzioni e fonti normative In Italia dall’antico Regime all’unità, p. 149.
[59] Ibidem.
[60] Ibidem.
[61] P. Notario – N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, p. 115.
[62] Ibidem.
[63] Ivi, p. 116.
[64] Ibidem.
[65] Ivi, p. 117.
[66] Ibidem.