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Pubbl. Gio, 6 Giu 2019

Applicazione della sospensione condizionale della pena tra potere di ufficio del giudice e richiesta dell´imputato

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Annamaria Di Clemente


Nota di commento alla recente informazione provvisoria delle Sezioni Unite a seguito della ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione, Sez. 3, 9 agosto 2018, n. 38398


Sommario: 1. Premessa; 2. La sospensione condizionale della pena: natura giuridica e funzione; 3. Cassazione Penale, Sez. 3, ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, 9 agosto 2018, n. 38398; 4. Intervento delle Sezioni Unite: informazione provvisoria n. 27 del 25 ottobre 2018.

1. Premessa

Prima di esaminare il quesito rimesso recentemente alle Sezioni Unite nonché la relativa soluzione offerta da queste ultime, se pur allo stato come informazione provvisoria, gioverà, dopo un breve richiamo dei dati normativi, inquadrare la natura giuridica e la funzione dell’istituto della sospensione condizionale della pena anche alla luce dei contributi offerti dalla dottrina. 

2. La sospensione condizionale della pena: natura giuridica e funzione

L’istituto della sospensione condizionale della pena è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge 26 giugno 1904 n. 267 sul modello belga del sursis limitandosi alla sospensione dell’esecuzione della condanna pronunciata, così discostandosi dal sistema anglosassone della probation, che implica la sospensione della pronuncia della condanna, nonchè dallo stesso sursiscon la messa alla prova, che, come il precedente, prevede l’imposizione al soggetto di regole di condotta e, in particolare, l’affidamento al medesimo alla sorveglianza ed assistenza di determinate istituzioni.[1]

L’attuale disciplina è prevista dagli artt. 163-168 - alla cui lettura si rinvia - collocati nel titolo VI del libro primo del codice penale, contenente la normativa delle cause di estinzione del reato.

Il testo vigente è il risultato di vari interventi legislativi susseguitisi nel tempo: in primo luogo, la l. 191/1962, e, a seguire, l’art. 104 l. 24 novembre 1981, n. 689 che ha modificato la previgente disposizione, delineata dall’art. 1 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con modificazioni in l. 7 giugno 1974, n. 220, l’art. 60 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468) che ha escluso l’applicabilità dell’istituto della sospensione condizionale della pena ai reati giudicati dal giudice di pace nonché l’art. 1 l. 11 giugno 2004, n. 145 (Modifiche al codice penale e alle relative disposizioni di coordinamento e transitorie in materia di sospensione condizionale della pena e di termini per la riabilitazione del condannato) che ha modificato i primi tre commi inserendovi l’ultima parte ed aggiunto il quarto comma  dell’art. 163. 

Tale collocazione, vale a dire l’essere la sospensione condizionale della pena tra le cause di estinzione del reato, come visto, non ha trovato, tuttavia, il parere unanime della dottrina che, a tutt’oggi, si presenta in parte critica.

Non si è mancato di osservare, infatti, come l’istituto in esame dovrebbe più propriamente chiamarsi “sospensione condizionale della pena” per essere l’effetto suo proprio, quello di sospendere l’esecuzione delle pene, principali ed accessorie, inflitte con la sentenza di condanna, laddove “l’effetto estintivo è solo condizionato ed eventuale, producendosi nel caso, e solo nel caso, in cui il condannato superi la prova alla quale viene sottoposto nel periodo fissato dalla legge (cinque anni, se si tratta di condanna per delitto, e due anni, se si tratta di condanna per contravvenzione)”. [2]

Si è osservato, invero, che l’istituto della sospensione condizionale della pena si presenta come una struttura con operatività duplice, essendo caratterizzato da effetti sospensivi ed estintivi, questi ultimi solo potenziali ancorchè ritenuti probabili al momento della concessione del beneficio da parte del giudice [3], ovvero come una fattispecie estintiva complessa atteso che necessita, per la sua operatività di una pronunzia di condanna ad una pena condizionalmente sospesa ed il successivo favorevole decorso del termine fissato dalla legge senza la commissione di ulteriori delitti. [4]   

Per altro aspetto, è stato evidenziato che, a differenza delle cause estintive del reato contenute nello stesso capo del codice, la sospensione richiede la pronuncia di una condanna, venendo in tal modo ad assomigliare ad una causa estintiva della pena. In altri termini, si è osservato, come l’effetto estintivo non rappresenti, comunque, quello maggiormente caratterizzante l’istituto. [5]

In modo ancora critico ed alle medesime conclusioni, nel senso di essere l’istituto in esame causa di estinzione della pena piuttosto che del reato, gli autori che muovono dal rilevo secondo cui la sospensione condizionale della pena non fa venir meno gli effetti penali della condanna. [6]

Con riferimento più propriamente alla funzione dell’istituto, anche la dottrina più risalente ne ha evidenziato il carattere di prevenzione del crimine il cui “scopo specifico è non solo di sottrarre all’ambiente deleterio del carcere persone che, pur essendosi rese colpevoli di un reato, presentano probabilità di ravvedimento, ma anche di costituire un’efficace remora a violare ulteriormente la legge”.[7]

La dottrina, tuttavia, lamenta come nel corso del tempo, la sospensione condizionale della pena abbia “subito un processo di snaturamento che la ha trasformata in una misura clemenziale applicata automaticamente dal giudice, con la conseguenza di provocare un fenomeno di inammissibile fuga dalla sanzione”.[8]

Su tali espresse preoccupazioni è stato osservato che alla sospensione condizionale della pena “può essere restitutita funzione generalpreventiva e specialpreventiva solo trasformandola da misura clemenziale in pena sostitutiva, cioè in strumento di strategia differenziata, rafforzandone, da un lato, l’aspetto di penalità attraverso l’imposizione di oneri satisfattori e di precise prescrizioni e, dall’altro, l’aspetto assistenziale e risocializzativo rispetto ai soggetti bisognosi di assistenza sociale”.[9]

3. Cassazione Penale, Sez. 3, ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, 9 agosto 2018, n. 38398

Svolte le superiori osservazioni introduttive all’istituto in esame, nel quadro normativo di riferimento anche alla luce del contributo offerto dalla dottrina, appare opportuno, atteso il tema della presente nota, esaminare più da vicino il quesito sottoposto alle Sezioni Unite, così formulato: “se il giudice dell'appello deve rendere conto del concreto esercizio, positivo o negativo, del dovere attribuitogli dall'art. 597, comma 5, cod. proc. pen., di applicare d'ufficio il beneficio della sospensione condizionale della pena in assenza di specifica richiesta”.

La rimessione alle Sezioni Unite ha come antecedente logico-giuridico la soluzione del denunciato contrasto di orientamenti della Suprema Corte sul tema.

Invero, il contrasto nella giurisprudenza di legittimità verte proprio sull'esistenza dell'obbligo del giudice dell'appello di motivare comunque la mancata applicazione d'ufficio del beneficio della sospensione condizionale della pena, obbligo la cui violazione, nel caso di specie all’esame della Suprema Corte, il ricorrente ha censurato in maniera specifica.

Prima di esaminare i contrastanti orientamenti secondo il rispettivo modo argomentativo, è appena il caso di evidenziare che i due indirizzi, come si legge nella parte motiva dell’ordinanza in esame, convergono “sulla necessità della astratta sussistenza delle condizioni di applicazione della sospensione condizionale della pena e, dunque, in buona sostanza sulla sussistenza del concreto interesse dell'imputato a lamentarsi dell'omessa motivazione".

Ebbene, secondo un primo orientamento, il giudice d'appello non è tenuto a concedere d'ufficio la sospensione condizionale della pena, né a fornire puntuale motivazione, in tutti i casi in cui l'interessato si limiti, nell'atto di impugnazione e in sede di discussione, ad un generico e assertivo richiamo dei benefici di legge, senza indicare alcun elemento di fatto astrattamente idoneo a fondare l'accoglimento della richiesta.[10]

Secondo un diverso indirizzo il giudice d'appello, al contrario, deve, sia pure sinteticamente, motivare il concreto esercizio, positivo o negativo, del potere-dovere attribuitogli dall'art. 597, comma 5, cod. proc. pen., qualora ricorrano le condizioni previste dalla legge per l'applicazione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, fortiori nei casi in cui una delle parti, incluso il pubblico ministero nell'interesse dell'imputato, ne abbia fatto espressa richiesta, su dati di fatto astrattamente idonei all'accoglimento della richiesta stessa. In tal caso, secondo l’orientamento in esame, ricorrono la legittimazione e l'interesse dell'imputato a dolersi, in sede di legittimità, del mancato esercizio di tale potere-dovere da parte del giudice d'appello, purché siano indicati dal ricorrente gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente e fondatamente esercitarlo.[11]

4. Intervento delle Sezioni Unite: informazione provvisoria n. 27 del 25 ottobre 2018

In risposta al superiore quesito, in data 25 ottobre 2018 con informazione provvisoria n. 27, le Sezioni Unite hanno offerto la seguente soluzione: “Fermo il dovere di motivazione da parte del giudice, l’imputato non può dolersi della mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, qualora non l’abbia richiesta nel giudizio di appello”.

In attesa di leggere la relativa motivazione, è di innegabile interesse il contenuto dell’informazione in esame da cui si evince, fermo il dovere di motivazione da parte del giudice, l’importanza, evidentemente quale espressione del più ampio diritto di difesa costituzionalmente garantito, della puntuale attività assertiva e delle conseguenziali richieste dei benefici di legge avanzate dall’imputato, come, per quello che interessa la presente indagine, l’applicazione dell’istituto della sospensione condizionale della pena.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Mantovani, Manuale di diritto penale, Parte generale, Padova, 2018, p. 810.

[2]  Marinucci - Dolcini- Gatta, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, 2018, p. 754.

[3] Veneziani, La punibilità. Le conseguenze giuridiche del reato, in Trattato di Diritto Penale, Parte Generale, Milano, 2012, p. 343.

[4] Dean, voce Sospensione condizionale della pena, in Nss. Dig. it., Torino, 1970, p. 921.

[5] Riverditi, Manuale di Diritto Penale, Parte Generale e Speciale, Padova, 2018, p. 286.

[6] Per una rassegna sul punto, ved., Diotallevi, Della estinzione del reato e della pena, in Commentario al codice penale, a cura di Lattanzi, - Lupo, Milano, 2004, p. 190.

[7] Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte Generale, Milano, 2000, p. 781.

[8] Fiandaca –Musco, Sulle origini e l’evoluzione della sospensione condizionale, in Palazzo-Bartoli, 2009, p. 801.

[9] Mantovani, op. cit., p. 830.

[10] Per tutte, Cassazione 13 gennaio 2015, n. 16746.    

[11] Per tutte, Cassazione 12 ottobre 2017,  n. 47828.