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Pubbl. Ven, 31 Mag 2019

Apologia di fascismo: le condotte vietate e il relativo regime sanzionatorio

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Ettore Bruno


Dalla Carta costituzionale alla ”legge Mancino” del 1993, una breve analisi delle condotte penalmente rilevanti e della disciplina relativa all´illecita propaganda fascista.


Sommario: 1. Dalla Carta costituzionale alla “legge Scelba”; 2. Le nuove fattispecie di reato introdotte dalla legge n. 205 del 25 giugno 1993 (c.d. ”legge Mancino”); 3. Cenni in merito all’ intervento della Consulta e all'orientamento non univoco della Suprema Corte in tema di apologia di fascismo.

  1. Dalla Carta costituzionale alla “legge Scelba”.

La vasta eco suscitata nei giorni scorsi dalla decisione degli organizzatori del Salone del libro di Torino di escludere dalla manifestazione fieristica una casa editrice vicina o collegata ad un movimento dichiaratamente neofascista - esclusione peraltro reclamata ed auspicata da più parti – preceduta da un esposto-denuncia presentato dal Sindaco della città sabauda e dal Governatore della Regione Piemonte nei confronti dello stesso editore per il reato di “apologia del fascismo”, ha fornito lo spunto per ampi dibattiti e discussioni, anche e specialmente sui media e sui social networks, in merito a quelle che si dichiarano – o vengono additate - come organizzazioni neofasciste e all’attività politica e di divulgazione da esse svolta.

La rilevanza penale delle condotte riconducibili all’apologia (esaltazione e/o propaganda) del fascismo (o del partito fascista) trova fondamento e ispirazione, in via di principio, nella XII Disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Va da subito osservato come la norma in parola si limiti a dettare un principio di portata generale, estremamente netto, che mira a vietare la “riorganizzazione”, in termini concreti e fattuali, del partito fascista.

Occorrerà aspettare quasi un lustro perché la norma contenuta nelle disposizioni finali della Costituzione trovi attuazione in una legge dello Stato (Legge 20 giugno 1952, n. 645, c.d. “legge Scelba”), la quale andrà a sanzionare (con pene peraltro molto severe: reclusione da tre a dieci anni nella sua formulazione originaria, da cinque a dodici anni a seguito di alcune modifiche introdotte nel 1975)  “chiunque  promuove od organizza sotto qualsiasi forma la ricostituzione del partito fascista” (art. 2); analogo regime sanzionatorio è previsto per chi dirige un’associazione, un movimento o un gruppo che abbia tali scopi riorganizzativi, mentre per chi vi partecipa  la pena è della reclusione fino a due anni (da due a cinque anni a seguito delle predette modifiche - art. 2, secondo comma).

Rientrano nell’ambito di applicazione di tale fattispecie, fra l’altro, tutte quelle ipotesi in cui “un’associazione o un movimento persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista” o in cui un soggetto “rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista” (art. 1, rubricato “Riorganizzazione del disciolto partito fascista”).

La norma, inoltre,  punisce con la reclusione fino a due anni chiunque, fuori dai casi predetti, “pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista”,  con aumento di pena “se il fatto è commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione o di propaganda” (articolo 4).

La legge in commento prevede, infine, la pena della reclusione fino a tre anni e una multa (mentre nella formulazione originaria della legge si risolveva in una contravvenzione punita con l’arresto fino a tre mesi e con un’ammenda)  “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste” (art. 5).

Le disposizioni di cui alla normativa in esame, come si vede, vanno al di là del dato fattuale e fisico consistente nella riorganizzazione del partito fascista, o di una qualche formazione in qualche modo organizzata che richiami o si rifaccia ai principi, al credo o ai “valori” (antidemocratici) di quel partito. Essa retrocede, infatti, il momento punitivo alla mera apologia di quel sistema o dei principi e metodi propri del regime fascista: in forza della “legge Scelba”, quindi, costituisce condotta penalmente rilevante non solo l’attività e le azioni volte alla riorganizzazione (da intendere come strutturazione sul territorio, con proprie basi e sedi e con organizzazione e strutture interne), del partito fascista, ma anche la semplice propaganda o esaltazione  del fascismo.

In altre parole, ex legge Scelba, risulta vietata non soltanto qualsivoglia azione o fatto concreto volti alla ricostituzione del partito fascista, ma anche, sic et simpliciter,  la mera apologia (intesa come esaltazione, propaganda o espressioni riconducibili a manifestazioni esteriori proprie di esso), accompagnata o no da pretese o aspirazioni di carattere concretamente riorganizzativo.

Va osservato che la legge in parola verrà modificata nel 1975; le modifiche apportate, tuttavia,  possono  ritenersi di poco conto, almeno riguardo alla sostanza e allo spirito della legge stessa. Alcun cambiamento normativo di rilievo, infatti, si può riscontrare, limitandosi, la riforma del 1975 (salvo, appunto, qualche mutamento di carattere meramente formale-terminologico), ad inasprire, seppur sensibilmente, come già accennato, il regime sanzionatorio previsto nella formulazione originaria della norma.

2. Le nuove fattispecie di reato introdotte dalla legge n. 205 del 25 giugno 1993 (c.d. “legge Mancino”).

La “legge Mancino” punisce la propaganda di idee “fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” e chiunque “incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (reclusione fino a tre anni) oppure “incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” (reclusione fino a quattro anni). Essa vieta, inoltre, ogni movimento, associazione o organizzazione avente tra i propri scopi manifestazioni di discriminazione o di violenza per i motivi di cui sopra e sottopone a pesanti sanzioni penali i promotori, gli organizzatori e chiunque partecipi a tali forme associative.

Come si può notare, la novità apportata dalla legge in commento è quella di fa rientrare nell’ambito del penalmente rilevante - allargandone i confini rispetto a quelli tratteggiati dalle  previsioni contenute nella “legge Scelba” - ogni fatto di matrice xenofoba e razzista, anche non riconducibile specificamente al fascismo o al nazismo.

Per ciò che riguarda l’apologia di fascismo in senso stretto, va osservato che "la legge Mancino" non apporta modifiche rilevanti e degne di nota alla normativa precedente (“Chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri od usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi riconducibili [al disciolto partito fascista o al nazismo] è punito con la reclusione fino a tre anni”).

3. Cenni in merito all’intervento della Consulta e all'orientamento non univoco della Suprema Corte in tema di apologia di fascismo.

La Corte costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale della “legge Scelba” (nella parte in cui prevede i reati di apologia) in riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero di cui all’articolo 21 della Costituzione, con Sentenza n. 74 del 1958 ebbe modo di affermare che le condotte di apologia del fascismo sottoposte a sanzioni penali dalla legge in parola non si realizzano attraverso il semplice elogio del fascismo e che la norma punisce non già una qualunque manifestazione del pensiero, ma forme di esaltazione del fascismo tali da poter condurre ad un reale pericolo di riorganizzazione del partito fascista. La Corte, quindi, non ravvisò alcuna violazione dei principi di cui all’articolo 21 della Costituzione.

Un breve cenno, infine, a due recentissime pronunce della Corte di Cassazione, che denotano l’orientamento piuttosto ondivago della giurisprudenza di legittimità in tema di apologia di fascismo: nella prima, i Giudici di legittimità hanno escluso la rilevanza penale di condotte quali la “chiamata del presente” ed il “saluto romano” (condotte, nel caso di specie, poste in essere durante un corteo pubblico in occasione di una manifestazione commemorativa), sul rilievo che il saluto romano, se fatto con intento commemorativo e non violento non è punibile, dal momento che la legge punisce soltanto quelle manifestazioni che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, quindi solo “gesti idonei a provocare adesioni e consensi”, escludendo, pertanto, dal novero di questi ultimi i gesti meramente commemorativi[i].

Con la seconda pronuncia, peraltro recentissima (è stata depositata, infatti, solo qualche giorno fa, il 16 maggio u. s.) la Suprema Corte ritiene che il gesto del saluto romano accompagnato dalla parola “presente” è reato anche se non è accompagnato da alcuna violenza; e ciò in considerazione del fatto che esso è in uso presso organizzazioni di matrice fascista ed evoca, in ogni caso, il partito fascista, che appare comunque pregiudizievole dell’ordinamento democratico e dei valori ad esso sottesi[ii].

Note e riferimenti bibliografici

[i] Cass. pen, Sez. I, Sentenza  n.  8108  del 14 dicembre 2017

[ii] Cass. pen., Sez. I, Sentenza n.  315 del 27 marzo 2019