Pubbl. Sab, 25 Mag 2019
Federalismo sanitario: processi di modifica al regime fiscale in materia sanitaria
Modifica paginaCon la riforma costituzionale del Tit. V, (L.cost. 3/2001), si registra nella materia sanitaria un forte ampliamento dell’autonomia regionale, richiamandosi all´art.32 Cost.. Si procede all’articolazione del lavoro, attraverso una analisi strutturale degli interventi di riforma e sulle modifiche apportate al sistema fiscale in materia sanitaria.
Sommario: 1. Il sistema innovativo del decreto legislativo n. 56/2000; 2. La riforma n. 3 del 2001 di modifica all’ordinamento costituzionale; 3. Il ruolo dei LEA nel mutato assetto costituzionale; 4. La nuova formulazione dell’art. 119 della Costituzione; 5. La legge n. 42 del 2009; 6. Il modello compartecipativo-la conferenza Stato-Regioni; 7. I decreti di riforma al sistema della finanza pubblica (2011/68; 2011/98; 2011/111; 2011n. 106); 8. Il sistema multilivel-governance
1. Il sistema innovativo del decreto legislativo n. 56/2000
In via preliminare, occorre evidenziare che la riforma costituzionale era stata anticipata nei contenuti dal decreto legislativo n. 56/2000 che aveva indicato il primo modello di federalismo sanitario.[1]
Il decreto in esame si proponeva, infatti, di raggiungere i seguenti obiettivi: superare il tradizionale sistema di trasferimento finanziario della spesa sanitaria, per sostituirlo con l’assicurazione di risorse proprie per le regioni attraverso l’istituzioni di tributi regionali; impedire i deficit di bilancio delle Regioni, predefinendo l’aliquota di compartecipazione al’IVA; unificare i molteplici canali di trasferimento di risorse dallo Stato alle Regioni stabilendo un nuovo criterio per il riparto interregionale.
In sostanza, le finalità di riforma di cui il DLgs 56/2000 erano proprio quelle di attribuire alle Regioni risorse finanziarie proprie, e non legate da decisioni discrezionali sul totale dei trasferimenti erariali ma sull’andamento delle basi imponibili sulle imposte compartecipate e sui propri tributi.
Le difficoltà registrate nell’attuazione del decreto n. 56/2000, pur determinando il fallimento dello stesso, avevano comunque segnato una linea di intervento ben precisa, preconizzando la successiva riforma costituzionale.
In effetti, il fallimento del decreto n. 56/2000 era stato determinato proprio dall’obiettivo di fondo dell’iniziativa, cioè la sostituzione di una regola di intervento strutturale sulla spesa sanitaria in luogo della logica del negoziato politico delle gestioni finanziarie. [2]
2. La riforma n. 3 del 2001 di modifica all’ordinamento costituzionale
In tale contesto, si colloca la riforma della Costituzione del 2001 n. 3, dal cui esame è possibile individuare, in riferimento alla materia della sanità, un triplice livello di competenze: in primo luogo, l’assistenza sociale e la beneficenza sono completamente devolute alla competenza (esclusiva residuale) regionale (art.117, co. 4, Cost); secondariamente, come già rilevato, la tutela della salute è ricompresa nella competenza concorrente (art. 117, co. 3, Cost), il cui esercizio impone il rispetto da parte delle regioni dei principi della legislazione statale; infine, il terzo livello di competenza attiene alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, co 2, lett. m, Cost), vale a dire una clausola di carattere generale applicabile su tutto il territorio nazionale, che la legge cost. n. 3/2001 ha inserito tra gli interventi di competenza esclusiva statale.
Nel caso di specie, la nuova formulazione dell’art. 117, comma 2, nello stabilire quelle che sono le materie di competenza esclusiva del legislatore statale, assume un duplice significato: da una parte, l’individuazione dei livelli essenziali pone il discrimine tra la competenza statale e le competenze delle regioni, le quali quindi possono certo arricchire i livelli individuali dallo Stato, ma non possono rivendicare un’autonomia piena nella definizione degli stessi; dall’altra, si stabilisce in modo chiaro che sulla determinazione dei livelli essenziali deve comunque esprimersi il Parlamento. [3]
In secondo luogo, la previsione costituzionale chiarisce che con i livelli essenziali l’obiettivo non è tanto quello di definire i livelli minimi di assistenza o, addirittura, di individuare i soli servizi che devono essere forniti, ma piuttosto è quello di assicurare una comune cittadinanza di diritti su tutto il territorio, a prescindere dal luogo di residenza.
3. Il ruolo dei LEA nel mutato assetto costituzionale
Da tali considerazioni emerge palese che nel nuovo assetto istituzionale tendenzialmente federale, devono essere tutelati e assicurati bisogni ritenuti particolarmente meritevoli di tutela a prescindere dall’appartenenza territoriale amministrativa, proprio al fine di garantire quell’esigenza di uguaglianza tra i cittadini all’interno del contesto ordinamentale. [4]
Inoltre, in materia della gestione della macchina organizzativa sanitaria sembra affermarsi che le regioni, al di fuori degli interventi statali, possano muoversi in autonomia, pur sotto il vigile controllo della Corte Costituzionale e l’inderogabilità dei principi costituzionali non modificati dalla riforma del 2001, come quelli stabiliti dagli art. 95 e 97 Cost.
In realtà, nel nuovo contesto costituzionale (caratterizzato dall’inserimento nell’ambito della legislazione concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. della materia “ tutela della salute”, certamente più ampia rispetto alla precedente materia “assistenza ospedaliera e “ricerca scientifica”) emerge palese la potestà d’intervento della legislazione regionale in grado di disciplinare l’organizzazione degli enti pubblici in materia sanitaria, nel rispetto dei principi fondamentali determinati dal legislatore statale.
In sostanza, la riforma del titolo V della Costituzione affida alle Regioni il ruolo di organizzare l’erogazione dei servizi sanitari, ma lascia allo Stato sia il compito di garantire il finanziamento dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), che quello di verificare la capacità gestionale di garantire la salute della popolazione.
Si evidenzia che la terminologia tecnica “livelli essenziali di assistenza” (LEA), viene citata per la prima volta nel decreto legislativo 502/507 del 1993, per essere successivamente oggetto di una ridefinizione nella riforma Bindi, e trovare infine una cornice legislativa nella riforma costituzionale 2001 n. 3.
Con i LEA, si intendeva, nello spirito originale del legislatore, dare luogo ad un riferimento nazionale omogeneo per l’offerta dei servizi sanitari, in termini sia quantitativi che qualitativi, ma soprattutto in relazione a predeterminate risorse economiche.
L’importanza della previsione costituzionale dei livelli essenziali è quello di affidare agli stessi una valenza vincolante.
In effetti, i livelli essenziali non costituiscono un orientamento programmatico, ma pongono vincoli precisi che circoscrivono l’ambito d’azione dei soggetti istituzionali deputati alla fornitura dei servizi, a fronte dei quali i livelli essenziali si trasformano in diritti immediatamente azionati.
Nel caso di specie, nel momento in cui si è precisato che i livelli essenziali delineano il campo d’intervento delle istituzioni pubbliche, essi assumono il contenuto d’obbligo giuridico anche a prescindere dall’assetto organizzativo predisposto dalle amministrazioni.
4. La nuova formulazione dell’art. 119 della Costituzione
La nuova formulazione dell’art. 119 alla luce del mutato assetto costituzionale stabiliva: omissis…………….I Comuni, le Province, le Citta’ Metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea. I Comuni, le Province, le Citta’ metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Con tale disposizione costituzionale veniva sancita la piena autonomia finanziaria degli enti territoriali, anche se il modello designato lasciava ampio spazio alla discrezionalità del legislatore statale nella fissazione dei tributi da attribuire agli stessi e nel coordinamento con l’intera finanza pubblica.[5]
Il nuovo art. 119 cost. pur lasciando inalterato il ruolo di indirizzo e coordinamento dello Stato, delineava però una chiara e rigida determinazione delle competenze, sia centrali che locali.
Uno dei punti principali della c.d. riforma federalista del titolo V della Costituzione, è che la stessa sanciva per la prima volta la piena autonomia finanziaria degli enti territoriali.
La nuova versione dell’art. 119 cost. riaffermava e rafforzava l’autonomia finanziaria degli enti territoriali, e la loro potesta’di stabilire e gestire in modo autonomo le risorse finanziarie di cui necessitavano per le funzioni loro affidate.
Mentre la precedente formulazione del testo costituzionale, pur sancendo l’autonomia finanziaria degli enti, lasciava ampio spazio discrezionale del legislatore statale nella fissazione dei tributi locali ed il loro coordinamento con la finanza pubblica.(Bibl.5), con la nuova formulazione dell’art. 119 si stabiliva invece il principio del parallelismo tra le funzioni esercitate dall’ente territoriale e le risorse finanziarie per esercitare i compiti istituzionali ad esso assegnati.
In realtà, emergeva un dato incontrovertibile: la norma costituzionale(art. 119 cost) rimaneva una mera affermazione di principio, se non fosse stata completata la disposizione in merito all’assegnazione delle risorse finanziarie per gli enti di competenza.
Fino all’emanazione della legge 42 del 2009 l’art. 119 Cost. è rimasto completamente inattuato.[6]
5. La legge n. 42 del 2009
La legge 42 del 2009 nel recepire strumenti e meccanismi istituzionali sperimentati nel decennio di politiche sanitarie, forniva un impianto strutturale dal seguente tenore: le istituzioni territoriali autodeterminano il proprio indirizzo politico, ma garantiscono il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; le risorse necessarie per la copertura finanziaria dei fabbisogni standard sono le entrate proprie del singolo territorio, la compartecipazione a entrate erariali e, laddove queste due voci non fossero sufficienti, una quota del fondo perequativo; laddove la funzione di indirizzo e quella gestionale di un territorio non fossero in grado di corrispondere ai fabbisogni, oppure di farlo solo con costi maggiori e relativo sfondamento del patto di convergenza, il sistema prevede misure sanzionatorie fino all’esercizio del potere sostitutivo.[7]
Il principio che caratterizzava il contenuto della legge n. 42/2009 era quello del superamento, per ogni livello di governo, del criterio del finanziamento della spesa storica.
Per i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale, esso sarà sostituito da un criterio di finanziamento della spesa efficienti, basato sulla copertura completa del fabbisogno standard.
Per le altre spese, il criterio della spesa storica verrà sostituito da un ravvicinamento delle capacità fiscali.
In tale contesto, si appalesava l’ambiguità del concetto di livelli essenziali che il servizio doveva garantire, dal momento che lo stesso lasciava margini di disparità di trattamento territoriale a causa degli squilibri nella distribuzione della ricchezza fra le diverse arre geografiche del paese.
In sostanza, la nuova normativa affidava il finanziamento della sanità alla finanza regionale complessiva senza vincoli di destinazione a eccezione di una quota utilizzata per programmi o finalità particolari gestite centralmente(art. 119 cost).
Nel caso di specie, il legislatore ordinario, dopo molti anni di incertezze e di studio, iniziava l’iter dell’attuazione della previsione costituzionale, varando nel 2009 la prima legge organica di attuazione dell’art. 119(legge 5 maggio 2009 n.42) e la legge di riforma della contabilità pubblica(legge 31 dicembre 2009 n. 196)
Trattasi di due legge delega che contengono i principi ed i criteri direttivi che, a partire dal 2010, di cui appresso si dirà, indirizzavano l’attività del legislatore delegato ad emanare provvedimenti attuativi.
In tal senso vedesi decreto legislativo sul federalismo demaniale(n. 85/2010), decreto legislativo su Roma Capitale(n. 156/2010), decreto legislativo sui fabbisogni standard di comuni e province(n. 216/2010), decreto legislativo sul federalismo municipale (n. 23/2011), decreto legislativo su l’autonomia di entrata per le regioni a statuto ordinario, nonché la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario(n.68/2011), schema di decreto legislativo in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e dei bilanci delle regioni, province e degli enti locali 09-06-2011.
Va però ribadito che dopo il varo della legge La Loggia (5 giugno 2003 n. 131), e prima dell’emanazione del decreto 42/2009 non è stato emanato alcun intervento organico finalizzato a ridisegnare la struttura e l’organizzazione delle autonomie territoriali.
Bisogna altresì rappresentare che l’art. 120 Cost., in materia di sostituzione, peraltro rafforzato successivamente dalla legge La Loggia 131 del 2003 e ancora prima dall’art. 9 del dlgs 56/2000, delineavano comunque un sistema di finanziamento a carattere federale: per le regioni che non garantiscono i livelli essenziali si può diminuire la quota di finanziamento che spetta loro dal fondo di perequazione o, in mancanza, di parte delle somme dovute in compartecipazione di tributi erariali .[8]
Nel caso in esame, la mancata fornitura di servizi non esentava comunque le istituzioni pubbliche dal rimborsare le spese sostenute presso soggetti diversi da quelli riconosciuti, ma in ultima istanza era possibile prevedere anche l’acquisto straordinario di servizio presso altri soggetti legittimati da parte dell’Istituzione obbligante, con diritto di rivalsa nei confronti del soggetto inadempiente.
Il periodo oggetto di rilevazione vedeva la nascita di servizi sanitari fondati su un sistema negoziale tra i diversi centri di governo, dove le regioni (e, attraverso loro, gli enti locali) non solo potevano sempre integrare i livelli essenziali definiti in sede statale anche con riferimento alle condizioni reali dei diversi territori, ma esse erano libere anche di commisurare le risorse e gli strumenti necessari in relazione alle situazioni di bisogno reale che si registravano nel territorio.
Inoltre, nei servizi assistenziali esisteva un fondo specifico alimentato principalmente da trasferimenti statali di bilancio e le cui determinazioni erano contestuali alla definizione dei servizi essenziali. In tale contesto, nei servizi sanitari la funzione statale era solo quella di riequilibrare le attribuzioni delle risorse che in prima battuta erano delle regioni, in modo da assicurare quell’equilibrio delle risorse che in un sistema fondato sull’imputazione territoriale diretta delle entrate fiscali sarebbe stata in pericolo .[9]
Nel decentramento avviato con la riforma del Titolo V vi era la convinzione da parte del legislatore che l’attribuzione del potere decisionale e delle responsabilità finanziarie conseguenti avrebbe potuto responsabilizzare maggiormente gli amministratori pubblici verso comportamenti di spesa virtuosi.
6. Il modello compartecipativo-la conferenza Stato-Regioni
Nel periodo successivo al mutato assetto costituzionale, la XIII e XIV legislatura vedono la nascita di un sistema di governo il cui baricentro si trova nel modello negoziale Stato-Regioni, caratterizzato da un rincorrersi di accordi tra le parti, in genere ratificati con legge finanziaria. Un esempio è rappresentato dell’accordo Stato-Regioni dell’Agosto 2001 che, integrato dalla legge 405/2001, prevedeva il tetto di spesa sanitaria per il triennio 2002-2004 e strumenti che le Regioni potevano attivare per la copertura del deficit.
Questo modello compartecipativo ha ricevuto un nuovo e rilevante impulso nella XV legislatura con il patto per la salute, stipulato con l’intesa Stato-Regioni del 5-10-2006.
Si sviluppa così una forma procedurale inedita nell’adozione degli atti di governo relativi alla sanità che, seppure con qualche semplificazione, si può così riassumere: esame delle problematiche nei tavoli tecnici; tavolo Ministro-assessori, conferenza Stato-Regioni; proposte di legge del Governo e approvazione del Parlamento.
La Conferenza Stato-Regioni definita come “la sede per un rapporto permanente con gli organi centrali dello Stato e per una partecipazione delle Regioni all’elaborazione delle linee di politica generale di tutto lo Stato-ordinamento”veniva istituita in via amministrativa nel 1983(DPCM 12 ottobre 1983). Con il DLGs 16 dicembre 1989 n. 418 le funzioni venivano ampliate per la determinazione dei criteri generali per la ripartizione delle risorse tra le Regioni, sulla determinazione degli indici da utilizzare per gli atti di programmazione intersettoriale, sui criteri generali relativi agli atti di programmazione e di indirizzo in materia di competenza generale.[10]
Con il decreto legislativo 1997 n. 281, la Conferenza Stato-Regioni assumeva la funzione obbligatoria per tutti gli schemi di disegni di legge, regolamento e schemi di decreti legislativi in materia di competenza regionale adottati dal Governo.
Va da sé che la Conferenza Stato-Regione ha avuto un ruolo centrale e decisivo in materia di politica sanitaria, nel periodo oggetto di analisi, ruolo più volte sancito e rafforzato anche dai continui interventi della Corte Costituzione[11]
Vedesi sentenza n. 204 del 2003 omissis……il sistema complessivo dei rapporti tra lo Stato e le Regioni deve essere improntato al principio della leale collaborazione………..Il Governo ogniqualvolta intenda provvedere, nonostante il mancato raggiungimento dell’intesa con le Regioni, ha l’obbligo di motivare adeguatamente le ragioni di interesse nazionale lo che hanno determinato a decidere unilateralmente.
Vedesi anche sentenza Corte Cost. n. 116 del 2004.[12]
La XV legislatura vede anche il continuo ricorso alle gestioni commissariali delle Regioni in una ricerca di un equilibrio tra efficacia amministrativa e garanzia dell’autonomia.
Un dato rimane incontrovertibile: se negli anni 90 si è assistito ad una forte frenata della spesa sanitaria, in virtù degli interventi di riforma che hanno aziendalizzato il Servizio sanitario, nell’ultimo decennio si è avuto, invece, un forte incremento della spesa sanitaria ad un ritmo superiore rispetto all’economia, dovuto all’aumento dei consumi e alla crescita tendenziale dei prezzi relativi delle prestazioni sanitarie. Peraltro a questa tendenza si è associato la difficoltà dei governi nazionali di inasprire il carico fiscale e, quindi, di assorbire nuove risorse da destinare al sovvenzionamento della spesa pubblica.[13]
7. I decreti di riforma al sistema della finanza pubblica (2011/68;2011/98;2011/111; 2011n. 106)
Negli ultimi anni il settore della sanità è stato interessato da importanti fenomeni che si incrociano e si integrano tra loro: la crisi della finanza pubblica e l’evoluzione verso modelli di federalismo fiscale, secondo quanto definito dal recente dlgs 6.5.2011 n. 68, sia le ancora più recenti manovre correttive di finanza pubblica e, precisamente il dl 6.7.2011 n. 98, così come convertito dalla legge 15.07.2011 n.111 e, seppur incidentalmente, il c.d. decreto legge sullo sviluppo(DL 13.05.2011 N.7° convertito nella legge 13.07.2011 n. 106).
Dall’esame dei testi legislativi appena riportati, appare evidente che è proprio il settore sanitario a rappresentare la più rilevante occasione di conflitto, fermo restando che il bilancio delle singole regioni(anche di quelle più virtuose) rimane in buona parte destinato a finanziare le aspettative delle prestazioni sanitarie.
La recente riforma in materia di federalismo sanitario dlgs 68/2011 metteva a nudo il problema della copertura finanziaria del servizio sanitario stesso.[14]
Il decreto in esame si poneva la funzione di avviare una definitiva rimodulazione delle fonti di finanziamento delle spese delle regioni (art.15) ed unitamente di non sforare il fabbisogno sanitario nazionale standard, il quale per l’anno 2012…..corrisponde al livello stabilito dalla vigente normativa, del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale ordinariamente concorre lo Stato(art.3).
In tal senso gli art. 13 e 15 del cit. decreto prevedevano a decorrere dal 2013, una graduale convergenza verso costi standard ed la definitiva rimodulazione delle fonti di finanziamento delle spese delle regioni nel settore sanitario.
Peraltro l’art. 13 del citato decreto si presentava piuttosto lineare nel coniugare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica con gli inderogabili doveri di solidarietà sociale, attraverso la tutela dei LEA (livelli essenziali di assistenza) che dovevano essere garantiti su tutto il territorio nazionale secondo criteri e valori di uniformità.
L’art. 13 recita: omissis……..nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, nonché della specifica cornice finanziaria dei settori interessati relativa al finanziamento dei rispettivi fabbisogni standard nazionali, la legge statale stabilisce le modalità di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale…….”[15]
Il secondo comma dell’art. 13 dispone altresì: omissis….i livelli delle prestazioni sono stabiliti prendendo a riferimento macroaree di intervento, secondo le materie di cui all’articolo 14 co. 1, ciascuna delle quali omogenea al proprio interno per tipologia di servizi offerti, indipendentemente dal livello di governo erogatore. Per ciascuna delle macroaree sono definiti i costi e i fabbisogni standard, nonché le metodologie di monitoraggio e di valutazione dell’efficienza e dell’appropriatezza dei sevizi offerti…..”
Dall’esame delle predette norme emergono quattro aspetti principali:
-da un lato garantire l’equilibrio tra la tutela dello stato sociale e i vincoli della finanza pubblica;
-rimane comunque una legge dello Stato a stabilire le modalità di determinazione dei LEA;
-si rimanda all’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pur d’intesa con la conferenza unificata, ad effettuare la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni nel settore della sanità.
-il quinto comma rimanda a legge dello stato determinare in via definitiva i livelli essenziali delle prestazioni.
Peraltro il citato dl 98/2011, convertito nella l. n. 111/2011 imponeva dei criteri rigidi nei confronti delle singole regioni nel razionalizzare la spesa sanitaria, con l’adozione di piani di rientro.
Nel caso di specie, le misure del legislatore nazionale in direzione del contenimento della spesa sanitaria stabilivano molteplici misure: dalla reintroduzione del ticket sanitario, quale la partecipazione dell’assistito al costo delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale fino alla relativa riforma dell’Agenzia Italiana del Farmaco.
Al di là delle singole disposizioni le modalità di conseguimento di tali obiettivi erano individuati nel primo comma dell’art. 17. omissis…..dovranno essere determinate con un’intesa da stipularsi tra lo Stato e le Regioni…”.
L’art. 17 del dl 98/2011 stabiliva altresì che “ai sensi del primo comma della norma in esame”, infatti, se non si riusciva a stipulare fra Stato e le Regioni un’intesa capace di indicare le modalità con le quali realizzare il programma di contenimento del contributo economico a carico dello Stato per il finanziamento del servizio sanitario nazionale, “si sarebbe provveduto in altro modo in vista del raggiungimento degli obiettivi declinati dalla norma medesima.”[16]
Da tali considerazioni, a 12 anni di distanza dalla riforma costituzionale del titolo V della Costituzione il modello relazionale delle competenze normative-legislative tra Stato e Regioni nel campo sanitario appare non solo stabilizzato, ma con un sistema multilivello tra i vari soggetti istituzionali.[17]
8. Il sistema multilivel governance
Non a caso buona parte della dottrina preferisce parlare di un “multilivel governance,” proprio in riferimento alla relativizzazione dei poteri e delle attribuzioni tra i vari soggetti istituzionali.[18]
Allo stato attuale se da un lato la fase decisionale delle politiche sanitarie rimane ancora confinato in seno alla Conferenza Permanente tra Stato e Regioni, dove vi è il confronto tra gli enti regionali e l’Amministrazione nazionale; dall’altro è anche vero che sia il dlgs n. 68/2011 che il dl 98 2011 in materia di tutela della finanza pubblica delineano il prefigurarsi di modelli decisionali e unilaterali in alternativa a quello pattizio o consensuale.[19]
Nel caso in specie, proprio le norme dei citati decreti, al fine di garantire la tutela dei conti pubblici e di squilibrio dei bilanci regionali hanno previsto il principio dell’emanazione di norme unilaterali attraverso la fonte della legge formale.
Vedesi per tutte l’art. 13 del dlgs n. 68/2011 in materia di livelli essenziali delle prestazioni, che affida alla “legge” e non “all’accordo pattizio” la determinazione dei suddetti livelli essenziali[20]
Se quest’ultimo assunto ha sicuramente un valore ed un significato indiziario, rimane incontrovertibile che a dodici anni dall’entrata in vigore della riforma costituzionale 2001 n. 3, il modello relazionale dell’allocazione delle competenze normative/legislative fra Stato e le Regioni nel campo della sanità è ben lontano dall’essere stabilizzato.
In sostanza, allo stato attuale il grosso delle decisioni che davvero contano nel campo del governo pubblico della sanità rimane confinato in seno alla conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome(dlgs 28.8.1997 n. 281), sede naturale ed istituzionale, dove le attese e le istanze delle regioni si misurano e si confrontano con quelle del governo e l’amministrazione nazionale.[21]
Note e riferimenti bibliografici
[1] L.FERRARO F.MAURANO Politiche e Amministrazione in Sanità: l’evoluzione delle istituzioni sanitarie in Italia,Roma 2002 p. 56 ss. Si veda anche C.DE VINCENTI C. FINOCCHI La sanità in Italia. Organizzazione, Governo, regolazione mercato. Torino 2006 p. 32 ss In merito all’effetto della governante regionale sulla concreta tutela del diritto alla salute delle persone e sul complesso delle attività svolte dalle Regioni in materia di federalismo fiscale e dei suoi elementi caratterizzanti vedesi anche R. FINOCCHI GHERSI E C. DE VINCENTI.
[2] A.PATRONI GRIFFI Il Governo delle Regioni tra Politica ed Amministrazione Torino 2007 p. 45 ss
[3] Per una biografia sulla riforma del Titolo V della Costituzione si veda T.MARTINES Lineamenti di diritto regionale, Milano 2002; P.CAVALIERI Diritto regionale, Padova 2003
[4] .A. PATRONI GRIFFI ult.op.cit p. 45 ss
[5] T.MARTINES Lineamenti di diritto regionale Milano 2002 p. 35 ss
[6] R.FERRARA Rapporti Stato-Regioni in materia di sanità. Napoli 2006 p. 34 ss
[7] R.FERRARA ult.op.cit p.35 ss Vedesi L.CHIEFFI Il diritto alla salute alle soglie del terzo millennio. Profili di ordine etico, giuridico ed economico, Torino 2003 p. 35 ss. Si veda anche L.CHIEFFI I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali, Padova 1999, L.CHIEFFI Bioetica e diritti dell’uomo Torino 2000.
[8] R.FERRARA ult.op.cit p.35 ss. Si veda anche L.CHIEFFI I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali, Padova 1999, L.CHIEFFI Bioteica e diritti dell’uomo Torino 2000.
[9] R.FERRARA ult.op.cit p.35 ss Si veda anche C.DE VINCENTI C. FINOCCHI La sanità in Italia. Organmizzazione, Governo, regolazione mercato. Torino 2006 p. 32 ss In merito all’effetto della governante regionale sulla concreta tutela del diritto alla salute delle persone e sul complesso delle attività svolte dalle Regioni in materia di federalismo fiscale e dei suoi elementi caratterizzanti vedesi anche R. FINOCCHI GHERSI E C. DE VINCENTI.
[10] R.FERRARA ult.op.cit p.35 ss Si veda anche C.TUBERTINI Stato regioni e tutela della salute, Roma 2005 p. 52 ss
[11] C.TUBERTINI Stato regioni e tutela della salute, Roma 2005 p. 52 ss. Per una corretta articolazione legislativa in materia di sanità si veda anche C.TUBERTINI Pubblica Amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni.
[12] C.TUBERTINI ult op cit p.52 ss. Per una esposizione analitica delle sentenze della Corte Costituzionale si veda Raccolta delle sentenze della Corte Costituzionale – Iuris data Giuffrè Editore
[13] C.TUBERTINI ult op cit p.52 ss
[14] C.TUBERTINI ult op cit p.52 ss In merito al riconoscimento della competenza regionale ad incidere nel rapporto tra politica ed amministrazione, i limiti derivanti dall’ordinamento costituzionale, i principi e modelli nei settori della sanità e dell’ambiente vedesi Regioni ed enti locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione a cura di L. CHIEFFI G. CLEMENTE DI DAN LUCA Torino 2004 e A.PATRONI GRIFFI Governo delle Regioni tra politica e Amministrazioni p.32 ss
[15] C.TUBERTINI ult op cit p.52 ss In merito ai rapporti tra politica e amministrazione e alle funzioni del sistema regionale vedesi F. MAURANO Il piano sanitario regionale: atto strategico della regionalizzazione della politica sanitaria, Napoli 2005
[16] C.TUBERTINI ult op cit p.52 ss
[17] R.FERRARA Rapporti Stato- Regioni in materia di sanità, Roma 2008 p.43 ss
[18] R.FERRARA ult.op.cit p. 48 ss
[19]R.FERRARA ult.op.cit p. 48 ss
[20] R.FERRARA ult.op.cit p. 48 ss
[21] R.FERRARA ult.op.cit p. 48 ss L.CHIEFFI Il diritto alla salute alle soglie del terzo millennio. Profili di ordine etico, giuridico ed economico, cit p.45 ss . Si veda anche L.CHIEFFI I diritti sociali tra regionalismo e prospettive federali, cit..