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Pubbl. Lun, 3 Giu 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Il concorso nel reato di autoriciclaggio

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Federica Cacciola


Con la Sentenza 17235 del 2018, la Corte di Cassazione ha affrontato la controversa questione relativa alla corretta collocazione criminosa della condotta del concorrente nel reato di riciclaggio commesso con l’intraneus autore del reato presupposto. Ripercorrendo gli sviluppi interpretativi relativi alla peculiare posizione del concorrente nel reato proprio, è in tale contesto esegetico che si colloca la problematica oggetto della pronuncia.


Sommario: 1. Premessa; 2. L’introduzione del reato di autoriciclaggio; 3. La vicenda;  4. Conclusioni; 5.Considerazioni finali.

1. Premessa

Per la comprensione dell’argomento trattato è opportuno fare riferimento all’istituto generale del concorso di persone nel reato, con particolare attenzione al concorso di persone nel reato proprio.

L’istituto del concorso di persone nel reato si riferisce alle ipotesi in cui la commissione di un reato sia addebitabile a più soggetti, esso è disciplinato dall’art. 110 c.p. che testualmente recita: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita” . I requisiti strutturali del concorso sono: pluralità di soggetti agenti (per aversi concorso sono sufficienti anche solo 2 persone), realizzazione di un fatto illecito, partecipazione di ciascun concorrente alla determinazione dell’evento, elemento soggettivo (non si limita alla coscienza e volontà del fatto criminoso, ma comprende anche la consapevolezza che il reato viene commesso con altre persone). 
Affinché possa essere inquadrata la fattispecie del concorso, occorre la partecipazione di tutti i correi alla realizzazione del fatto illecito e il contributo causale di ciascuno deve estrinsecarsi in una condotta materiale esteriore. 

Per quanto attiene al requisito della realizzazione dell’illecito va detto che in rispetto al principio di materialità ed offensività che ispirano il nostro Codice Penale, l'art. 115 stabilisce che qualora due o più persone si accordino allo scopo di commettere un reato, e questo non sia commesso, nessuna di esse è punibile per il solo fatto della sussistenza dell'accordo. La sussistenza di quest’ultima circostanza può al massimo comportare l'applicazione di misure di sicurezza. 
Il concorso può essere:
- materiale (il correo interviene personalmente nella serie di atti che danno vita all’elemento materiale del reato) o morale (il correo dà un impulso psicologico alla realizzazione di un reato che materialmente viene commesso da altre persone);
- eventuale (quando il reato può indifferentemente essere commesso da un singolo soggetto o da una pluralità di persone) o necessario (quanto la realizzazione del reato richiede necessariamente una pluralità di persone es. la rissa, la corruzione ecc.). 
L’Ordinamento è chiaro sul punto: per tutti i concorrenti verrà applicata la pena prevista per il reato commesso e ciò a prescindere dal singolo apporto contributivo di ciascuno nella determinazione dell’illecito. Agli articoli 112 e 114 il codice penale si ammette la possibilità per il Giudice di procedere a una graduazione delle pene a seconda del singolo apporto contributivo dei concorrenti della determinazione del reato mediante l’applicazione di circostanze attenuanti e aggravanti. 
Si riconosce ormai pacificamente che un soggetto privo della qualità personale (extraneus) possa concorrere alla commissione di un reato realizzabile soltanto da un soggetto qualificato (intraneus): è questa l’ipotesi del concorso nel reato proprio.[1]Anche tale tipo di concorso rientra nella disciplina di cui all’art. 110 c.p. Nonostante non rivesta la qualifica richiesta, l’estraneo contribuisce col suo comportamento di partecipe alla lesione del bene protetto.[2] Secondo i principi generali dell’imputazione dolosa, la sua responsabilità presuppone però la consapevolezza di concorre ad un reato proprio: il che implica la conoscenza della qualifica dell’intraneus. Attraverso l’introduzione dell’art. 117 c.p. il legislatore ha espressamente ammesso la possibilità di configurare il concorso del soggetto privo della qualifica richiesta dalla norma  (definito extraneus) nella commissione del reato proprio.

Ai sensi di tale articolo, se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti tra il colpevole e l’offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato. Nondimeno, se questo è più grave, il giudice può, rispetto a coloro per i quali non sussistono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti, diminuire la pena.

Per capire il significato della norma, occorre dapprima distinguere tra i reati propri esclusivi ed i reati propri non esclusivi. I primi sono quelli che possono essere realizzati esclusivamente dal soggetto in possesso della qualifica prevista dalla norma, in mancanza il fatto risulta pienamente lecito. Nei secondi, invece, la realizzazione da parte di un soggetto diverso da quello indicato comporta il mutamento del titolo del reato: il fatto, ugualmente illecito, sarà però punito a titolo differente.

Orbene, chiarita tale distinzione è bene da subito precisare che l’ipotesi contemplata dalla norma si riferisce esclusivamente ai reati propri non esclusivi, ossia a quei reati per la cui sussistenza è necessario che l’agente sia in possesso della particolare qualifica richiesta dalla norma, ma, che seppur realizzati in assenza di tale qualifica sono penalmente rilevanti, integrando gli estremi di un reato comune. La norma, infatti, prevede un mutamento del titolo del reato per effetto del quale anche il concorrente estraneo risponde del reato proprio e, di conseguenza, non è applicabile ai reati propri esclusivi i quali, per loro stessa natura, non possono convertirsi in altre ipotesi di reato, e qualora siano stati commessi da soggetti diversi da quelli indicati non assumono alcuna rilevanza penale.

Il concorso nel reato proprio esclusivo rientra pertanto nell’ambito di applicazione dell’art. 110 c.p.: in particolare per la sussistenza della responsabilità del concorrente estraneo, stante la natura del fatto e in ossequio ai principi generali in materia di imputazione dolosa, è sempre necessario che questo sia consapevole della qualifica rivestita dal concorrente intraneo. In mancanza di tale consapevolezza, difettando il dolo della fattispecie, lo stesso dovrà andare esente da pena.

Nei reati propri non esclusivi, invece, la mancanza di tale consapevolezza non influisce sul disvalore penale della fattispecie: per i principi generali in materia di imputazione dell’illecito, infatti, l’extraneus dovrebbe rispondere del reato comune del quale si è  correttamente rappresentato ogni elemento costitutivo. Proprio in tale ipotesi soccorre l’art. 117 c.p., al fine di evitare che coloro i quali abbiano concorso alla realizzazione del medesimo reato ne rispondano a titoli differenti. La norma comporta, infatti, un mutamento del titolo del reato commesso dall’extraneus che, di conseguenza, in deroga ai principi generali in materia di dolo, risponderà, così come l’intraneus, del reato proprio, salva in ogni caso la possibilità per il giudice di diminuire la pena qualora il reato comune sia meno grave di quello proprio. Nel caso in cui, peraltro, l’extraneus fosse invece consapevole della qualifica rivestita dal concorrente intraneo sussisterebbe una normale ipotesi di concorso di persone nel reato proprio, come tale disciplinata dall’art. 110 c.p., senza quindi alcuna possibilità di diminuzione di pena per il concorrente estraneo.

In altre parole, il concorso nel reato proprio esclusivo è disciplinato dall’art. 110 c.p., mentre quello nel reato proprio non esclusivo rientra, a seconda che sussista o meno la coscienza della qualifica da parte dell’estraneo, nell’ambito di applicazione dell’art. 110 o  dell’art. 117 c.p. In particolare qualora sussista tale consapevolezza, il concorrente estraneo risponderà del reato proprio ai sensi dell’art. 110 c.p., e cioè in virtù della norma generale in tema di concorso di persone nel reato, stante la coscienza e volontà di ogni elemento costitutivo della fattispecie; in caso contrario, invece, si rientrerebbe nell’ambito di previsione dell’art. 117 c.p. Mancando tale consapevolezza, infatti, per i principi generali in tema di dolo, l’estraneo dovrebbe rispondere a titolo monosoggettivo del reato comune, con conseguente esclusione del concorso nonostante nella pratica gli agenti abbiano comunque fornito un contributo materiale per la realizzazione del medesimo fatto. Per tale ragione il legislatore ha introdotto l’art. 117 c.p.; ha cioè previsto una norma ad hoc per evitare che il medesimo fatto venga attribuito a titolo differente ai singoli concorrenti, prevedendo che anche l’estraneo che non conosca la qualifica del concorrente intraneo debba rispondere del reato proprio. Tale mancata conoscenza non è tuttavia del tutto irrilevante, in quanto la norma in parola consente comunque al giudice di diminuire la pena per il concorrente estraneo qualora il reato comune sia meno grave.

La norma in esame prevede così un’ipotesi analoga a quella contemplata nell’art. 116 c.p., con la differenza che in tal caso il mutamento del titolo del reato dipende dalla particolare posizione soggettiva rivestita da taluno dei concorrenti.

In entrambi i casi le norme pongono in essere una deroga ai principi generali in materia di dolo: anche l’art. 117 c.p., infatti, consentendo di ritenere responsabile per il reato proprio anche il concorrente ignaro della qualifica soggettiva dell’intraneus, pone una deroga ai suddetti principi, in base ai quali la responsabilità dell’extraneus per il reato proprio dovrebbe invece presupporre la conoscenza dell’altrui qualifica soggettiva.

Risulta ,quindi,  del tutto evidente che l’affermazione della responsabilità per un reato più grave in capo ad un soggetto del tutto ignaro della qualifica soggettiva rivestita dal concorrente, e che determina il mutamento del titolo del reato nel quale il primo voleva concorrere, nasconde un’ipotesi di responsabilità oggettiva: non è infatti conforme ai principi dell’imputazione dolosa che un partecipe debba rispondere di concorso in un reato proprio, pur ignorando la qualifica posseduta dal soggetto o dai soggetti ai quali muta il titolo del reato.

Si discute, inoltre, se l’art. 117 c.p. presupponga una determinata distribuzione dei ruoli tra estraneo ed intraneo: in particolare ci si chiede se, per la sua applicazione e quindi per il mutamento del titolo del reato, sia necessaria la realizzazione dell’azione tipica da parte dell’intraneo.

Secondo parte della dottrina[3], nel silenzio della norma, non rimane che farsi guidare dall’interpretazione delle singole fattispecie di parte speciale di volta in volta considerate.

Così, per esempio, nel caso del reato di peculato legittimato ad eseguire l’azione criminosa è solo il soggetto qualificato, non solo in quanto titolare del particolare vincolo che lo avvince al bene protetto, ma anche in quanto soggetto che ‘’possiede per ragioni d’ufficio’’ il denaro pubblico. Per tali motivi, qualora il pubblico ufficiale si limiti ad agevolare il furto di un terzo sprovvisto di qualifica, il mutamento del titolo sarà escluso e si configurerà un semplice concorso in furto.

Secondo l’orientamento prevalente[4], invece, l’accoglimento della teoria delle fattispecie plurisoggettive eventuali porterebbe a rendere indifferente, ai fini della configurabilità del concorso nel reato proprio, il ruolo rivestito dall’intraneus nell’ambito dell’esecuzione del fatto. Di conseguenza, si configurerebbe comunque un concorso in peculato anche nel caso in cui il soggetto possessore della qualifica pubblicistica fornisse un contributo atipico alla condotta appropriativa fornita dall’estraneo.

Sulla questione è intervenuta la giurisprudenza[5], secondo la quale occorre distinguere tra reati propri esclusivi e non esclusivi: nel caso di concorso di soggetti non qualificati nella commissione di un reato proprio non esclusivo, infatti, non è indispensabile che sia proprio l’intraneo a porre in essere l’azione tipica, la quale può pertanto essere realizzata da altro concorrente, purché quello qualificato dia comunque il suo contributo efficiente alla realizzazione del fatto; nei reati propri esclusivi, invece, occorre che sia il soggetto in possesso della relativa qualifica a realizzare l’azione tipica, essendo questa l’indispensabile condizione per la sussistenza del reato proprio. Soltanto in tale ipotesi si esige dunque la personale realizzazione della fattispecie tipica ad opera dell’intraneo, e tale condizione va ricavata dalla descrizione della condotta materiale o dalla natura del bene o interesse giuridicamente protetto o da altri elementi significativi.

2. L’introduzione del reato di autoriciclaggio

L’art. 3, comma 3 della l. 15 dicembre 2014, n. 186 ha introdotto nel nostro ordinamento il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p.

La nuova fattispecie, la cui introduzione rappresenta una netta rottura rispetto alla previgente scelta del legislatore di non punire l’autore o il concorrente nel delitto presupposto - collocata (in modo discutibile) tra i delitti contro il patrimonio - si inserisce nell’ampio processo di criminalizzazione del riciclaggio.  La norma, infatti, mediante l’utilizzo della formula «avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo […]», si pone come obiettivo quello di sanzionare le condotte di riciclaggio (e di impiego) realizzate dal medesimo soggetto che figura come autore, o concorrente, nel delitto presupposto.

Il “nuovo” delitto di autoriciclaggio figura come l’esito di un dibattito volto al superamento del c.d. “privilegio dell’autoriciclaggio”, ricavabile dalla clausola di riserva “fuori dei casi di concorso nel reato” (artt.648 bis e 648 ter c.p.) ancora oggi presente nel testo della fattispecie, che di fatto opera come una vera e propria forma di impunità, escludendo dal novero dei possibili soggetti attivi dei delitti di riciclaggio e  impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita l’autore o il concorrente nel delitto presupposto. La scelta di tale beneficio trovava la sua giustificazione da una parte, nella volontà di evitare un eccesso sanzionatorio, derivante dall’applicazione della pena prevista per il delitto presupposto e di quella prevista per il riciclaggio nei confronti del medesimo soggetto, dall’altra, da una lettura sostanziale del principio del ne bis in idem. In quest’ottica, la successiva condotta avente ad oggetto i proventi del delitto presupposto appariva come un post factum non punibile – non risultando meritevole di autonoma sanzione, in quanto normale prosecuzione dell’attività delinquenziale – e pertanto il suo disvalore veniva assorbito da quello sottostante al reato presupposto. In aggiunta si sosteneva che a favore di tale beneficio militasse anche un ulteriore principio: nemo tenetur se detegere, palesandosi così il rischio che l’incriminazione dell’autoriciclaggio generasse un cortocircuito tra le modalità (penalmente rilevanti) di utilizzo dei proventi di un illecito e il diritto del reo a non autoincriminarsi.

Il nuovo articolo 648 ter 1 c.p., dunque, applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a «chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro i bene o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».

Come è agevole rilevare, il legislatore, nella fattispecie in questione, ha in qualche misura combinato tra loro le condotte già sanzionate agli artt. 648 bis e 648 ter c.p., richiamando tanto la formulazione utilizzata nel reimpiego (ove si sanziona la sola condotta di impiego), quanto le condotte di sostituzione e trasferimento proprie del riciclaggio. Ma è altresì importante rimarcare che il presupposto dell’autoriciclaggio risiede in una condotta che ostacola concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa, diversamente da quanto accade nel riciclaggio nella cui norma non compare l’avverbio “concretamente”. Ai fini del reato in questione, questo porta ad escludere la rilevanza di quelle operazioni le cui modalità esecutive sono facilmente superabili con la normale diligenza degli organi accertatori.

Peraltro l’elemento caratterizzante non risiede soltanto nel suddetto affiancamento normativo all’interno della medesima fattispecie, ma è rinvenibile soprattutto nella configurazione soggettiva del delitto di autoriciclaggio, che permette di inquadrarlo nella categoria del reato proprio.

Tale peculiare connotazione ha da subito posto dottrina e giurisprudenza dinnanzi a questioni interpretative di particolare rilievo, prima tra tutte quella concernente il tema del concorso di persone nel reato, che finisce per investire anche i rapporti tra il riciclaggio e l’autoriciclaggio.

La Cassazione ha affrontato il tema nella sentenza del 17 gennaio 2018 (dep. 18 aprile 2018) n. 17235.

3. La vicenda

E’ utile riportare il sunto della vicenda che è stato oggetto del giudizio di legittimà. Essa riguarda condotte dell’imputata, poste in essere prima  dell’entrata in vigore del delitto di autoriciclaggio, consistenti nel reimmettere nel circuito legale i proventi ricavati da un’appropriazione indebita, realizzata dal proprio cliente, per importi signficativi. E’stata riscontrata l’esistenza di plurime operazioni commerciali, finanziarie e societarie attuate dall’impuata attraverso cui le ingenti somme in oggetto erano state fatte rientrare in Italia dall’estero con l’obiettivo, come si legge nella sentenza, di «far disperdere le tracce della loro provenienza» e consentire al cliente di reimpossessarsi dei beni risultanti dalle operazioni compiute. Per cui si era in presenza di un caso indubbio di riciclaggio. La Cassazione si trova però a fare i conti con l’inserimento nel nostro sistema del delitto di autoriciclaggio – fattispecie criminosa, ricordiamo, punita meno severamente – e con la richiesta della ricorrente di riqualificare il fatto come concorso in autoriciclaggio ex 648 ter1. c.p. “Da qui la necessità di misurarsi con quello che a ragione è stato definito il «nodo gordiano del concorso di persone»[6] in relazione alla nuova figura di reato.”[7]

Ciò che interessa è analizzare le teorie che sono state proposte in merito a tale problematica.

Una prima soluzione è rappresentata dalla teoria della compartecipazione nel reato proprio e, nella specie, si affronta la questione della distribuzione dei ruoli tra intraneo ed estraneo[8].

Se si sostiene che, anche in presenza di più soggetti, il fatto tipico deve essere realizzato dal soggetto qualificato, si avrà concorso in autoriciclaggio quando è l’autore, o il concorrente nel delitto presupposto, a realizzare l’impiego, altrimenti si avrà concorso nel riciclaggio posto in essere dal terzo (con non punibilità dell’autoriciclatore in virtù della permanenza della clausola di riserva di cui all’art. 648 bis c.p.)[9].

Se invece si sotiene l’irrilevanza della ripartizione dei ruoli tra intraneo ed estraneo, si avrebbe, in entrambe le ipotesi prospettate, concorso in autoriciclaggio e dal punto di vista sanzionatorio una punizione più lieve anche nei confronti del terzo.[10]

Continuando l’analisi delle teorie proposte, “un’altra soluzione si fonda sull’istituto del concorso apparente di norme e sul ricorso, ai fini della risoluzione dell’interferenza di cui si tratta, al principio di assorbimento.”[11]

E’il caso del terzo che ha ricevuto i proventi dall’autore o concorrente nel delitto presupposto. In tale caso “la condotta posta in essere integrerebbe monosoggettivamente il delitto di riciclaggio, ma plurisoggettivamente, combinandosi con quella del soggetto qualificato (l’autoriciclatore), darebbe vita a un concorso in autoriciclaggio. L’esito è quello di ritenere applicabile nei confronti dell’estraneo l’art. 648 bis c.p., in quanto il relativo reato sarebbe punito più gravemente e tale dunque da assorbire per il terzo il meno grave delitto di autoriciclaggio”[12].

Tale conclusione vale solo per i casi in cui la condotta tipica sia realizzata dal terzo, non potendosi altrimenti che configurare un concorso in autoriciclaggio.[13]

L’ultima soluzione oggetto di analisi dell’articolo è quella seguita, nel caso de quo, dalla Suprema Corte. Per comprendere la scelta interpretativa presa dai giudici di legittimità è necessario individuare la ratio dell’art. 648 ter 1. Questa risiede nell’obiettivo, dettato da esigenze politico-criminali di punire l’autoriciclatore, e per rispettarlo è apparso necessario superare il dogma dell’unicità del titolo di reato per arrivare ad ammettere una differenziazione dei titoli di responsabilità.[14] E’ proprio sul fondamento giustificativo della nuova fattispecie che la Corte fonda la propria decisione.

Afferma la Suprema Corte in sentenza: “ deve concludersi che l’art. 648 ter 1 c.p. prevede e punisce come reato unicamente le condotte poste in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto, in precedenza non previste e punite come reato […]. Le condotte concorsuali poste in essere da terzi extranei per agevolare la condotta di autoriciclaggio posta in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto non colposo presupposto, titolare del bene di provenienza delittuosa riciclato, conservano rilevanza penale quale fatto di compartecipazione previsto e punito dall’art. 648 bis c.p. più gravemente di quanto avverrebbe in applicazione delle norme sul concorso di persone nel reato ex artt. 110/117 e 648 ter 1 c.p.”

    4. Conclusioni

La spiegazione offerta dalla decisione dei giudici di legittimità presta il fianco a numerose osservazioni critiche. Prima di tutto  “la sottolineatura del fondamento giustificativo della nuova incriminazione di self laundering, su cui i giudici di legittimità insistono molto, può certo essere un indice di ausilio per l’interprete; ciò però nella misura in cui esso trovi poi riflesso nell’assetto normativo prefigurato dal legislatore, che, a contesto invariato, ha immesso una norma caratterizzata da una pena più bassa rispetto al riciclaggio, senza operare alcuna ulteriore specificazione. Proprio per questo il panorama dottrinale si è da subito rivelato frastagliato al punto che sembra difficile potersi parlare di una lettura prevalente e peraltro in grado di conferire razionalità al sistema”[15].

E’ stata mossa anche un’altra osservazione che riguarda il parallelo posto in essere dagli Ermellini con i delitti di evasione ed infanticidio. “Infatti, nelle ipotesi in questione è il legislatore che in modo chiaro ed inequivoco ha tipizzato autonomamente una condotta di partecipazione. Al contrario “[…] non vi è alcuna previsione specifica – né in funzione incriminatrice né di disciplina – circa il concorso del terzo nel delitto di autoriciclaggio, a differenza di quanto avviene in altri casi, talvolta richiamati dalla dottrina (così, l’art. 578, co. 2, c.p. o l’art. 386 c.p.)”.[16]

Affermazione corroborata dal fatto che “alcune delle elaborazioni che pervengono a differenziare titolo e sanzione tra i protagonisti della vicenda plurisoggettiva, prendono le mosse da un dato normativo che non trova riscontro nella lettera dell’art. 648 ter 1. c.p., né sembra desumibile dalla complessiva configurazione della disciplina in materia”[17].

Rimarrebbe la possibilità di ritenere che “il fatto plurisoggettivo eventuale dia vita a una responsabilità dei concorrenti in relazione a un diverso titolo di reato. si deve comunque fare i conti con il fatto che, da un lato, come del resto riconosciuto anche da alcuni dei sostenitori di una tale soluzione, permangono diversità di vedute circa la percorribilità, in base all’assetto vigente, di un siffatto esito[18]; dall’altro, anche tra coloro che ammettono il superamento dell’unicità del titolo di reato, a venire  in rilievo sono ipotesi in cui ricorre un coefficiente di imputazione soggettiva diversamente caratterizzato tra i concorrenti[19], aspetto che comunque non viene in considerazione nel caso in esame”[20].

   5. Considerazioni finali

In conclusione, l’introduzione come fattispecie autonoma del delitto di autoriciclaggio lascia ancora aperte numerose perplessità che magari, come sostiene autorevole dottrina[21], si sarebbero potute evitare se solo il legislatore fosse intervenuto modificando la fattispecie di riciclaggio e, eventualmente tipizzata quella di autoriciclaggio, si fosse limitato a differenziare la pena prevista nei confronti dell’autore o concorrente nel predicate crime. Sarebbe forse stata preferibile la strada del diverso trattamento sanzionatorio, anziché l’introduzione di una nuova (e poco chiara) figura di reato.

Invero, altra dottrina[22], ritiene che una semplice eliminazione dell’incipit della norma sul riciclaggio si sarebbe rilevata – da sola – del tutto inopportuna, determinando una eccessiva e incontrollata espansione dell’area del penalmente rilevante. Sarebbero state necessarie ulteriori modifiche del tessuto normativo, volte ad una più precisa selezione delle condotte incriminate, attuata mediante una chiara messa a fuoco della idoneità e della progressione offensiva delle condotte rispetto ad una oggettività giuridica, anch’essa da identificarsi compiutamente.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Fiandaca- Musco, “Diritto Penale, parte generale”, VII ed., 2014, p.545.

[2] Gullo, “Il reato proprio. Dai problemi tradizionali alle nuove dinamiche d’impresa”, Milano, 2005.

[3]A.  Seminara, “Tecniche normative e concorso di persone nel reato”, Milano, 1987, p. 263

[4] Pelissero, “Il concorso”, cit., 250; Padovani, “Le ipotesi speciali di concorso nel reato”, Milano, 1973, p. 87 ss

[5] Cass., Sez. VI, 19 aprile 2000, Fardella, in Mass. Uff., n. 220749; Cass., Sez. VI, 7 marzo 2012, Ferrazzoli, in Mass. Uff., n. 254337

[6] E. Basile, L’autoriciclaggio nel sistema penalistico di contrasto al money laundering e il nodo gordiano del concorso di persone, in Cass. pen., 2017, 1277 ss.

[7] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[8] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[9] D. Brunelli, Autoriciclaggio: profili del concorso di persone, in Punire l’autoriciclaggio, p. 19 ss.

[10] V. L. Troyer – S. Cavallini, “Apocalittici o integrati?”, cit., 104 s.

[11] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[12] F. D’Alessandro, “Il delitto di autoriciclaggio”, cit., p. 43

[13] F. D’Alessandro, “Il delitto di autoriciclaggio”, cit., p. 43

[14] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[15] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[16] A.M. Dell’Osso, Riciclaggio, cit., 217 da A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[17] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[18] M. Pelissero, Concorso di persone nel reato, in Grosso.

[19] A.M. Dell’Osso, Riciclaggio, 224. Allo stesso ambito sembra potersi riportare l’esempio proposto da G.A. De Francesco, Riciclaggio, cit., nota 26, in merito alla soluzione che discenderebbe, in assenza della previsione di cui all’art. 117 c.p., in caso di concorso di persone in un reato proprio allorché l’estraneo non conosca la qualifica dell’intraneo (l’esempio è ritagliato sui rapporti tra appropriazione indebita e peculato).

[20] A. Gullo, “Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Diritto Penale Contemporaneo, 11 giugno 2018.

[21] F. Mucciarelli, La struttura dei delitti di riciclaggio. Appunti per l’esegesi della fattispecie, in Punire l'autoriciclaggio. Come, quando e perché, E. Mezzetti, D. Piva (a cura di), Giappichelli, 2016, p. 3.

[22] F. Mucciarelli, “Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio”, www.dirittopenalecontemporaneo.it, p. 5. ; M.Capocci, “Finalmente introdotto il reato di autoriciclaggio”, www.fiba.it.