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Pubbl. Gio, 2 Mag 2019

La legge 104 del 1992 alla luce dei più recenti interventi normativi e arresti giurisprudenziali

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Giulia Spada


La tutela psico fisica del disabile: dall´integrazione all´inclusione sociale. Uno sguardo al tema dei diritti, assistenza ed integrazione delle persone disabili.


Sommario: 1. Premesse generali; 2. Permessi da lavoro e il concetto di famiglia nella L. 104/1992; 3. La disciplina del congedo nel D. lgs. 151/2001; 4. Conclusioni.

1. Premesse generali.

La Legge-quadro per l'assistenza e l'integrazione sociale e i diritti delle persone portatori di handicap, meglio nota come L. 104/1992, rappresenta un importante mezzo di tutela della salute psico-fisica del disabile.

Il legislatore, con la promulgazione della succitata Legge, al fine di garantire il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e autonomia della persona handicappata, ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società, predisponendo interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale del disabile (art. 1 L. 104/1992).

Gli strumenti adottati al fine di garantire la piena integrazione del disabile sono molteplici; emergono tra tutti il riconoscimento del diritto ai permessi retribuiti e il congedo straordinario, nel tempo maggiormente soggetti a interventi normativi e giurisprudenziali che mirano a realizzare sempre più le finalità della Legge – quadro, superando addirittura il concetto di integrazione del disabile per lasciar spazio al concetto di inclusione dello stesso.

2. Permessi da lavoro e il concetto di famiglia nella L. 104/1992.

Sono riconosciuti disabili in situazione di gravità (art. 3, co. 3, L. 104/1992) coloro i quali abbiano una “minorazione, singola o plurima, che abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, […]”.

Ai lavoratori dipendenti ai quali è riconosciuto, ad esito di appositi accertamenti medici, il possesso del requisito di gravità, e ai lavoratori dipendenti che prestano assistenza ai familiari con disabilità grave è riconosciuto il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, anche frazionabili, a condizione che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno[1].

Tuttavia, pur in presenza del ricovero a tempo pieno del disabile in situazione di gravità, qualora risulti documentato dai sanitari il bisogno di assistenza del disabile da parte di un genitore o di un familiare, nel caso in cui quest’ultimo versi in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine o debba recarsi fuori dalla struttura per visite ovvero terapie certificate, è ugualmente riconosciuto il diritto ad usufruire dei benefici succitati[2].

Nella stesura originaria della Legge, l'art. 33 riconosceva il diritto a fruire dei tre giorni di permesso mensile, anche in maniera continuativa, alla lavoratrice madre o in alternativa al lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità che avesse compiuto i tre anni di età, nonché al lavoratore dipendente che assistesse una persona con handicap in situazione di gravità, parente o affine entro il terzo grado, purché convivente.

Solamente con la L. 8 marzo 2000, n. 53, che tra l’altro modifica e integra l'art. 33 della L. 104/1992, si è sancita l’applicabilità delle agevolazioni in esame ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente, salva la continuità e l'esclusività dell'assistenza.

Per continuità dell'assistenza -e tale opinione trova conferma nel commento agli art.19 e 20 della L. 53/2000- si può pacificamente intendere la quotidianità dell'apporto fornito dal lavoratore, mentre sotto il profilo della esclusività l’obiettivo è quello di prevenire forme di abuso del diritto evitando una duplicazione dei benefici e richiedendo la necessaria assenza di altra persona in grado di assistere il disabile[3].

Con la L. 4 novembre 2010, n. 183 il legislatore ha mutato orientamento rispetto all'ampliamento dei beneficiari sino ad allora ammessi e ha abolito il requisito della continuità e della esclusività dell'assistenza.

Da un lato ha provveduto a riconoscere a entrambi i genitori, siano essi biologici, adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità con età inferiore ai tre anni il diritto di fruire, alternativamente, del permesso retribuito, limitando, però, sotto altra prospettiva, la platea dei beneficiari coinvolti.

La legge - quadro, invero, enuncia in maniera gerarchica un ordine di priorità dei soggetti che possono richiedere tale beneficio, attribuendo tale diritto prioritariamente al coniuge, parente o affine entro il secondo grado; e a parenti e affini entro il terzo grado qualora il genitore o il coniuge del disabile in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, siano affetti anch'essi da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

L'ultimo intervento riguardante la L. 104/1992 si ha con il D. Lgs. 18 luglio 2011, n. 119 il quale ha aggiunto un periodo al comma 3 dell’art. 33 relativamente al cumulo dei permessi mensili retribuiti in capo al dipendente che presti assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, allorquando ricorrano determinate situazioni ivi elencate[4].

Benché il legislatore abbia recepito i costanti interventi giurisprudenziali, espungendo, per esempio, il requisito della convivenza con il disabile tra i requisiti richiesti per accedere al beneficio, è opportuno rilevare come nel tempo siano stati i giudici, dimostrando una costante attenzione e sensibilità nei confronti delle esigenze di cura del disabile, ad ampliare la platea dei beneficiari coinvolti dalla L. 104/1992 e a interpretare in maniera estensiva la normativa in esame.

Un condivisibile e significativo intervento è stato quello con cui la Suprema Corte di Cassazione[5] si è espressa, dopo altre pronunce discordanti, ribadendo come la presenza in famiglia di persona che sia tenuta o che possa provvedere all'assistenza non esclude di per sé il diritto ai tre giorni di permesso retribuiti, evidenziando la circostanza che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all'assistenza quotidiana ed ordinaria provveda altra persona, che il lavoratore sostituisce nei giorni liberi.

Aggiunge, inoltre, con estrema elasticità interpretativa ma pienamente confacente alla ratio della norma, che sia ipotizzabile una continuità non giornaliera meritevole di tutela, giacché appare chiaro che debba trattarsi di una continuità assistenziale e non di una continuità di presenza, non altrimenti giustificabile a fronte di tre giorni di permesso mensili cui si ha legittimamente diritto.

Ma è con riguardo ai beneficiari che la giurisprudenza segna un importante passo avanti, affermando il notevole principio secondo cui anche il convivente del disabile in stato di gravità ha diritto di usufruire, allo stesso modo del coniuge e dei parenti sino al secondo grado, dei permessi di cui all’art. 33, co. 3, L. 104/1992.

La vicenda trae spunto dal ricorso proposto da una dipendente della ASL 6 di Livorno per vedersi riconosciuto il diritto ad usufruire dei permessi suddetti in favore del suo compagno, convivente more uxorio e affetto dal morbo di Parkinson.

Al contempo, la dipendente resisteva alla pretesa della ASL di recuperare nei suoi confronti – in tempo e in denaro – le ore di permesso di cui aveva usufruito per l’assistenza già prestata al proprio convivente nel periodo 2003-2010, su autorizzazione della stessa ASL, poi revocata dalla Azienda, per l’assenza di legami di parentela, affinità o coniugio con l’assistito.

La vertenza arrivava al giudizio della Consulta a seguito di remissione da parte del Tribunale ordinario di Livorno il quale sollevava, con ordinanza del 15 settembre 2014, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), come modificato dall’art. 24, comma 1, lettera a), della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), per violazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione [6].

Ebbene, nel silenzio normativo, la Corte ha affermato come il concetto di famiglia espresso nella L. 104/1992, cit., sia più ampio rispetto a quello tutelato dall'articolo 29 della Costituzione, e che debba riferirsi a quella nozione più ampia di "formazione sociale" di cui all'art. 2 della Costituzione ricomprendente, pertanto, la famiglia di fatto e includendo così il convivente more uxorio.

Tale riconoscimento è in piena sintonia con la ratio legis della disciplina, interamente ispirata a garantire la tutela psico - fisica del portatore di handicap e permette al disabile membro di famiglia di fatto di poter godere degli stessi diritti di quello inserito nella famiglia tradizionale fondata sul matrimonio, unificando la situazione di assistenza da parte del coniuge o del familiare di secondo grado e quella fornita dal convivente.

3. La disciplina del congedo nel D. Lgs. 151/2001.

L’art. 42, comma 5, D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 stabilisce che “il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi” [7].

La disposizione di legge sopraccitata ha posto un fondamentale problema interpretativo, ossia l’assenza di un armonico quadro normativo e di requisiti univoci per la fruizione dei benefici a tutela del disabile.

Infatti, se da un lato l’art. 33, L. 104/1992, cit., non richiede la convivenza del familiare, dall’altro tale disposizione eleva tale requisito a elemento essenziale per poter godere del diritto riconosciuto dal nostro ordinamento.

Non solo, un’interpretazione letterale del testo in esame impone di ritenere che il legislatore abbia voluto riconoscere il diritto a godere del congedo straordinario al figlio già convivente, come d’altronde il Consiglio di Stato ha sottolineato in un parere emesso nel 2014[8].

Da un breve esame della norma emerge che essa individui in maniera gerarchica, così come accade per i beneficiari ammessi a godere dei permessi retribuiti, l’ordine dei soggetti aventi diritto; così dal coniuge del disabile in situazione di gravità, si retrocede al padre o alla madre, arrivando al figlio e ai fratelli e sorelle. Per coniuge, figlio, fratelli o sorelle è richiesto il requisito della convivenza.

Partendo da questi assunti, un agente penitenziario adiva il TAR Lombardia al fine di impugnare il diniego del Ministero della Giustizia avverso l’istanza presentata per godere del beneficio del congedo straordinario retribuito per l’assistenza del padre malato.

Esaminati gli atti, il Giudice adito con ordinanza del 12 febbraio 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2018, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione terza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 32 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui richiede, ai fini dell’ottenimento del congedo, la preesistente convivenza dei figli con il soggetto da assistere»[9]

La Consulta, ancora una volta, individuato lo spirito della legge, ha proceduto a innovare e ad allargare la platea dei beneficiari.

Invero, in linea con i suoi precedenti interventi, alcuni dei quali seguiti dal legislatore, (si vedano le sentenze nn. 158/2007; 19/2009; 203/2013), il giudice delle leggi ha riaffermato sia che il concetto di famiglia sia da concepire come orientato al principio di solidarietà e non unicamente in termini di nucleo familiare statico, sia l’esigenza di salvaguardare «la cura del disabile nell’ambito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene» per «tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione» (sentenza n. 232 del 2018, punto 5. del Considerato in diritto).

Le considerazioni sono del tutto condivisibili. Difatti, una stesura della legge avulsa dal complesso normativo esistente, anche costituzionale, non permette di realizzare quelle finalità di cui all’art. 1, L. 104/1992, cit., e priva il disabile della tutela nell’ambito della sua comunità di vita.

Impedire al figlio non convivente del disabile di usufruire del congedo significherebbe dunque costringerlo ad assistere in maniera residuale e sussidiaria il genitore gravemente disabile.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni stabilite dalla legge, il figlio che, al momento della presentazione della richiesta del congedo, ancora non conviva con il genitore in situazione di disabilità grave, ma che tale convivenza successivamente instauri, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge (sentenza n. 232 del 2018, p. q. m.).

A seguito dell’ampliamento della tutela del disabile, l’INPS ha ricevuto con la recente circolare n. 49, del 5 aprile 2019, il suindicato orientamento e, al fine di evitare comportamenti volti all’elusione della normativa, ha dettato quali effetti avrà la sentenza della Corte sulla concessione del congedo straordinario ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del D.lgs. n. 151/2001, ai figli del disabile in situazione di gravità non conviventi al momento della presentazione della domanda.

L’Ente ha fissato l’ordine di priorità per il godimento del beneficio[10] e ha sottolineato come la pronuncia estenda i suoi effetti esclusivamente ai rapporti non ancora esauriti a decorrere dal giorno della sua pubblicazione, invitando le Strutture territoriali a riesaminare le richieste già pervenute.

4. Conclusioni

E’ bene rilevare come la giurisprudenza abbia dimostrato sempre maggiore attenzione e sensibilità nei confronti delle esigenze di cura dei disabili.

Con la sentenza n. 232/2018 l’intervento della Corte si è unicamente concentrato sul caso in cui gli altri parenti elencati dalla norma non fossero oggettivamente in grado di prestare assistenza.

Sarebbe pertanto opportuno, anche alla luce di condotte penalmente rilevanti quali l’abbandono di incapace (art. 591 c.p.) e la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), un intervento da parte del legislatore capace di dare maggiore rilievo al principio di solidarietà familiare, armonizzando il sistema e permettendo efficacemente al familiare soggettivamente in grado di esprimere quei valori fondanti della nostra società di poter assistere il disabile in stato di gravità.

Ciò realizzerebbe quell’inclusione del disabile che gli permetterebbe di rapportarsi equamente all’interno di una compagine sociale più ampia e attenta al suo benessere psico – fisico.

Note bibliografiche

1. Art. 33, co. 3, L. 104/1992.

2. INPS, messaggio del 28 maggio 2010, n. 14480; circolare del 3 dicembre 2010, n. 155; circolare del 23 maggio 2007, n. 90.

3. F. Malzani, Commento agli art. 19 e 20 della l. 8 marzo 2000, n. 53, in «Nuove leggi civ. com.» 2000, 1368.

4. D. Lgs. 119/2011, art. 6 Modifiche all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di assistenza a soggetti portatori di handicap grave.

All'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti».

5. Cass. Civ., Sez. Lav., 22/12/2014, n. 27232. «La presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all'assistenza del parente non escluda di per sé il diritto ai tre permessi mensili retribuiti, non potendo in tal modo frustrarsi lo scopo perseguito dalla legge ed essendo presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all'assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz'altro ragionevole che quest'ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permessi del lavoratore (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto ai tre giorni di permesso mensile ex art. 33 l. n. 104 pur in presenza di una colf)».

6. Corte Cost., 23 settembre 2016, n. 213

7. A. Casotti, M. R. Gheido, Commento - Decreto legislativo 18 luglio 2011 n. 119, in «Il Sole 24 Ore, Guida Normativa – Numero On Line» del 22 agosto 2011, n. 152.

In base alla norma originaria il congedo, di durata massima di due anni nell'arco della vita lavorativa, poteva essere chiesto dalla lavoratrice madre o, in alternativa, dal lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, da uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 104/1992. Con sentenza 158/07, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di detto comma nella parte in cui non prevede, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati dalla norma, anche per il coniuge convivente, mentre con la sentenza 19/09 la stessa Corte ne ha dichiarato l'illegittimità nella parte in cui non include, nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo, il figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave. Recependo il contenuto di dette sentenze, l'articolo 4 del Dlgs 119/2011 identifica, quale primo destinatario del congedo, il coniuge convivente e solo in caso di mancanza, decesso o gravi patologie invalidanti dello stesso possono presentare la domanda di congedo il padre o la madre anche adottivi, uno dei figli conviventi o, in ultima ratio, uno dei fratelli o sorelle a condizione che convivano con il disabile. 

8. Cons. Stato, parere reso il 1° agosto 2014, n. 2584.

9. Corte Cost., 7 dicembre 2018, n. 232.

10. INPS, circolare 5 aprile 2019, n. 49. «2. Effetti sul congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001, ai lavoratori dipendenti del settore privato.

Le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 42 del decreto legislativo n. 151/2001 devono essere coordinate con la sentenza della Corte Costituzionale n. 232/2018, illustrata nel paragrafo precedente.

Alla luce del quadro normativo vigente, pertanto, è possibile usufruire del congedo in esame secondo il seguente ordine di priorità:

  1. il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente” della persona disabile in situazione di gravità;
  2. il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del “coniuge convivente”/della “parte dell’unione civile convivente”;
  3. uno dei “figli conviventi” della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente” ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
  4. uno dei “fratelli o sorelle conviventi” della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi i genitori” e i “figli conviventi” del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
  5. un “parente o affine entro il terzo grado convivente” della persona disabile in situazione di gravità nel caso in cui il “coniuge convivente”/la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi i genitori”, i “figli conviventi” e i “fratelli o sorelle conviventi” siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti;
  6. uno dei figli non ancora conviventi con la persona disabile in situazione di gravità, ma che tale convivenza instauri successivamente, nel caso in cui il “coniuge convivente” /la “parte dell’unione civile convivente”, “entrambi i genitori”, i “figli conviventi” e i “fratelli o sorelle conviventi” , i “parenti o affini entro il terzo grado conviventi” siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti».