Pubbl. Lun, 15 Apr 2019
Legittima difesa riformata: brevi riflessioni in ordine ad eventuali profili di illegittimità costituzionale
Modifica paginaIl 28 marzo 2019 la proposta di riforma degli articoli 52 e 55 del Codice penale, con l´approvazione definitiva al Senato, è diventata legge: i lineamenti fondamentali degli istituti interessati dalla riforma e brevi riflessioni in tema di conformità del nuovo assetto normativo alla Carta costituzionale.
Sommario: 1. Generalità: le scriminanti e l’eccesso colposo; 2. Cenni sugli elementi essenziali della legittima difesa 3. La riforma dell’assetto normativo riguardante la legittima difesa, l’eccesso colposo e altre fattispecie penali di parte speciale, approvata dal Senato il 28 marzo 2019 4. Qualche dubbio in ordine alla legittimità costituzionale della nuova normativa 5. Conclusioni.
1. Generalità: le scriminanti e l’eccesso colposo.
La legittima difesa - prevista e disciplinata dall’articolo 52 del Codice penale - rientra nella categoria delle cause di giustificazione, denominate anche cause oggettive di esclusione del reato, o altrimenti scriminanti, che sono quelle circostanze ricorrendo le quali un fatto di norma penalmente rilevante viene dall’ordinamento considerato lecito; invero, le cause di giustificazione incidono sul fatto, rendendolo lecito, pur se, in condizioni di normalità, il medesimo fatto rientrerebbe nel campo dell’illiceità penale, essendo, appunto, considerato criminoso dal sistema penale.
Strettamente connesso al tema delle scriminanti - e quindi all’istituto della legittima difesa - è la figura dell’eccesso colposo, di cui all’articolo 55 del Codice penale, in forza del quale qualora, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli che disciplinano le singole scriminanti, si eccedano colposamente i limiti che individuano l’ambito di applicazione delle scriminanti stesse (limiti che, nel caso della legittima difesa, sono da individuare nei limiti imposti dalla necessità di difendere un proprio o altrui diritto da un’aggressione ingiusta), “si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. Si configura l’eccesso colposo, in altre parole, “quando la giusta proporzione tra offesa e difesa venga meno per colpa, intesa come errore inescusabile, per precipitazione, imprudenza o imperizia nel calcolare il pericolo e i mezzi di salvezza”[i].
Orbene, nell’ottica del collegamento tra gli istituti in esame - scriminanti da una parte ed eccesso colposo dall’altra - occorre tenere nella giusta considerazione la circostanza che qualora sul fatto, di regola considerato illecito, ma che venga ritenuto non penalmente rilevante per effetto di una causa di giustificazione, intervenga un’ipotesi di eccesso colposo, quel fatto non sarà più penalmente irrilevante, ma l’autore di esso risponderà a titolo di colpa, sempre che il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.
Ad ogni modo bisogna rilevare come, secondo la giurisprudenza di legittimità, la norma di cui all’articolo 55 del Codice penale non possa configurarsi qualora gli elementi di una causa di giustificazione neppure sussistano; in altre parole, l’eccesso colposo non può trovare applicazione, nel senso che è non configurabile, in assenza di una causa di giustificazione.
La Suprema Corte ha, infatti, escluso la legittima difesa nel caso, per esempio, del ladro che, avvedutosi della situazione di pericolo, desista dall’aggressione e si dia alla fuga[ii]: in tale fattispecie concreta non si potrebbe neppure supporre un’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa, dal momento che manca del tutto il presupposto necessario di esso, consistente, appunto, nella configurabilità della scriminante in parola. In un contesto siffatto, quindi, il soggetto che sparasse al ladro in fuga, uccidendolo o procurandogli delle lesioni, andrebbe perseguito, rispettivamente, per il reato di omicidio o lesioni personali.
2. Cenni sugli elementi essenziali della legittima difesa.
La scriminante della legittima difesa è disciplinata dall’articolo 52 del Codice penale[iii], il cui testo, nella formulazione sino ad ora vigente, stabilisce, come principio generale, che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Il secondo comma della norma stabilisce, poi, che “nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma,[iv] sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o l’altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza o vi è pericolo d’aggressione.
L’ultimo capoverso dell’articolo 52, infine, sempre nella sua formulazione sinora vigente, estende l’ambito di applicazione di tale disposizione all’ipotesi in cui “il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
La ratio dell’istituto va ricercata nel principio - senz’altro, in astratto, di civiltà giuridica – sotteso ad un giudizio di bilanciamento di interessi opposti o in conflitto: l’ordinamento ritiene prevalente, e quindi meritevole di tutela, l’interesse di chi si difende da un’aggressione ingiusta rispetto all’interesse riconducibile all’aggressore, ritenuto, al contrario, non meritevole di tutela, e quindi sacrificabile, anche se esso, nell’ipotesi più estrema, consiste nel bene supremo della vita stessa.
In tale ottica, merita una considerazione a parte quello che, secondo certa dottrina, è il fondamento stesso della legittima difesa, ovvero “l’eccezionale riconoscimento, da parte dello Stato, di un potere di auto ed etero tutela privata, nell’ipotesi di impossibilità di un tempestivo intervento pubblico”[v].
Carattere fondamentale e imprescindibile della legittima difesa, dunque, come si evince dalla norma che la contempla, è la proporzionalità tra la difesa e l’offesa. Proporzionalità che “costituisce il baricentro della scriminante della legittima difesa. Onde, l’assenza della proporzione trasformerebbe la legittima difesa in un’offesa ingiustificata ed un scriminante immorale”[vi].
Altro elemento richiesto perché si possa configurare un’ipotesi riconducibile alla legittima difesa è l’attualità del pericolo: è necessario che “l’offesa ingiusta si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva, sicchè resta estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva e anticipata”[vii].
Consentire, quindi, la reazione anche dinanzi ad un pericolo non attuale, ma soltanto futuro, significherebbe, a parere di autorevole dottrina, disattendere la ratio della scriminante, che finirebbe per assurgere a strumento di offesa piuttosto che di difesa[viii].
Anche la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di osservare che requisito necessario e indispensabile in tema di legittima difesa è l’attualità del pericolo, consistente in una concreta e imminente minaccia e/o offesa già in corso di attuazione nel momento stesso della reazione; minaccia o offesa “tali da far sorgere nel soggetto reagente la percezione di una situazione di pericolo incombente, con conseguente necessità di difesa”[ix].
L'attualità dell’offesa rimane requisito fondamentale e necessario perché si possa configurare una fattispecie riconducibile alla causa di giustificazione di cui ci stiamo occupando anche nel caso di legittima difesa domiciliare[x].
3 . La riforma dell’assetto normativo riguardante la legittima difesa, l’eccesso colposo e altre fattispecie penali di parte speciale, approvata dal Senato il 28 marzo 2019.
Al secondo comma dell’articolo 52 del Codice penale, dopo la parola “sussiste” è inserita la parola “sempre”. Ciò si traduce, in concreto e come emergerà dalla lettura del nuovo combinato disposto degli articoli 52 e 614 del Codice penale, che la difesa sarà sempre legittima in caso di violazione di domicilio, e ciò in base alla presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa. In altri termini, dovrà comunque esser considerata lecita la condotta di chi userà un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo alla difesa della propria o altrui incolumità o dei beni propri o altrui, sempre che, in quest’ultimo caso, non vi sia desistenza o sussista un pericolo di aggressione.
In riferimento alla legittima difesa, poi, viene aggiunto un ultimo comma all’articolo 52 del Codice penale, in forza del quale agirà “sempre in stato di legittima la difesa colui” che compirà un atto “per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”.
Quanto alle modifiche introdotte in tema di eccesso colposo, verrà meno l’eccesso colposo di legittima difesa, quindi sarà lecita tout court, la condotta di chi reagirà per la salvaguardia della propria o altrui incolumità in stato di “grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”[xi].
La riforma prevede, infine, l’inasprimento del “pacchetto sanzionatorio” a carico degli autori di taluni dei reati contro il patrimonio: violazione di domicilio (articolo 614 c. p.), furto in abitazione e furto con strappo (articolo 624 bis c. p.) e rapina (articolo 628 c. p.).
Inoltre, ricorrendo le fattispecie rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 624 bis (furto in appartamento e furto con strappo), il reo potrà beneficiare della misura della “sospensione condizionale della pena” solo nell’ipotesi in cui avrà integralmente risarcito il danno al soggetto passivo del reato.
Altra importante novità introdotta con la riforma in esame consiste nel fatto che sarà esclusa in toto la responsabilità civile nei casi di legittima difesa domiciliare, “vale a dire che l’autore del fatto, se assolto in sede penale non può esser richiamato a risarcire il danno derivante dallo stesso fatto”[xii]. Ciò si traduce, in concreto, nella mancata possibilità per gli autori dei reati connessi, a contrario, alla legittima difesa domiciliare e, al contempo, vittime dell’innescata reazione asseritamente legittima, o per i loro familiari, che rimanessero feriti o uccisi, di ottenere qualsivoglia risarcimento dei danni.
Dal punto di vista processuale, infine, si dovrà dare priorità alla trattazione dei processi per i casi di legittima difesa domiciliare, assicurando la precedenza ai ruoli dei dibattimenti per omicidio colposo e lesioni personali colpose (articolo 9 della Legge di riforma).
4. Qualche dubbio in ordine alla legittimità costituzionale della nuova normativa.
Il criterio della proporzionalità comunque e sempre presunta tra offesa e difesa in contesti di aggressioni presso il domicilio o in altri luoghi di esercizio dell’attività commerciale, professionale o imprenditoriale (quali potrebbero essere, ad esempio, l’ufficio o lo studio professionale, piuttosto che i locali dell’azienda) pone il bene supremo della vita umana, o beni comunque primari come l’incolumità personale e la salute, alla stessa stregua di un qualunque bene patrimoniale.
L’istituto giuridico che ne risulta stimola in qualcuno l’interrogativo, posto in termini più che condivisibili, se non “si stia trasformando la legittima autodifesa, da scelta necessitata a fronte di un pericolo senza alternative, in una forma invece di punizione del reo, erogata in via anticipata dal privato e subappaltatagli dallo Stato che ammette di non saperlo proteggere”[xiii].
Così equiparando la vita umana al patrimonio, la norma costituzionale che si presume violata è, in primis, l’articolo 2 della Carta costituzionale, laddove sancisce che la Repubblica italiana “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. E’ persino superfluo qui rilevare che primo tra i diritti inviolabili dell’uomo è il bene della vita stessa. La prevalenza che la nuova normativa accorda alla tutela del domicilio e del patrimonio rispetto al diritto supremo e inviolabile alla vita costituisce una palese, incontestabile e grave violazione del principio di cui all’articolo 2 della Costituzione.
Sotto tale profilo, sembrerebbe non rispettato anche un altro dei principi fondamentali del nostro Ordinamento, ovvero il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Carta costituzionale: vengono disciplinate in modo analogo, infatti, situazioni diverse, ossia la difesa della vita da una parte e la difesa del patrimonio dall’altra.
Sembrano sussistere, inoltre, altri profili relativi alla non conformità della legittima difesa, così come concepita dalla riforma in atto, a tale principio fondante l'Ordinamento: dal punto di vista sostanziale, infatti, il “grave turbamento” che in determinate situazioni andrà ad incidere sull’eccesso colposo, escludendolo, non può trovare applicazione solo per una singola scriminante[xiv] e non anche per le altre; stesso discorso valga in ordine alla previsione di una sorta di precedenza per la celebrazione dei processi in materia di legittima difesa domiciliare rispetto ai restanti altri.
E non si andrebbe molto lontano dal vero, alla luce di quanto appena esposto, se si sostenesse che anche tali situazioni pongono verosimilmente in essere una violazione del principio di uguaglianza, in uno dei corollari in cui esso si estrinseca: il criterio della ragionevolezza delle norme.
La presunzione legale della legittimità della difesa domiciliare, infine, potrà incidere sui criteri di apprezzamento e valutazione dei Giudici, comprimendone sensibilmente i margini, quando la Carta costituzionale riconosce ed assicura l’autonomia e l’indipendenza, latu sensu, della Magistratura.
Risulta forse opportuno porsi, a tal punto, un interrogativo: si potrebbe tentare una lettura della riforma sotto una lente teoretica che permetta di sperimentare la via di un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa? Ad esso si potrebbe rispondere - nel tentativo di evitare il rischio di accampare pretese che richiamino posizioni in qualche modo di parte - che tale via si potrebbe percorrere partendo dall’ipotesi in cui non si tenesse conto dell’avverbio “sempre” introdotto nel secondo comma dell’articolo 52 del Codice penale. Ma occorrerebbe, a tale scopo, un ulteriore intervento legislativo, in mancanza del quale apparirà difficile, a parer di chi scrive, ricercare ragioni per intraprendere un simile percorso teoretico.
5. Conclusioni.
Rilievi di incostituzionalità a parte, è fuor di dubbio che la riforma appena approvata andrà ad incidere in maniera netta e sostanziale sugli articoli 52 e 55 del Codice penale, riformando profondamente gli istituti da essi previsti e disciplinati.
Ad orientare il legislatore nel senso della riforma in parola – oltre che ragioni di natura politico-ideologica (che, condivise o no, in una democrazia parlamentare sono da considerare in ogni caso legittime) - anche considerazioni di carattere criminologico e sociale. Ciò che ha indotto la maggioranza parlamentare alle modifiche degli articoli 52 e 55 c. p. è stata, infatti, sotto questi profili, e con ogni verosimiglianza, la (ritenuta) crescente mancata percezione, da parte dei cittadini, della loro sicurezza, in particolare entro le mura domestiche.
Ma le valutazioni riconducibili a tali ultime categorie non trovano riscontro alcuno nella realtà, se i dati statistici confermano un costante e sensibile calo dei reati contro il patrimonio: rapine in calo del 24,2% dal 2014 al 2018; i furti sono passati dai 40.839 del 2014 ai 28.390 del 2018 (Fonte).
Tuttavia, per meglio comprendere la portata delle novità introdotte, non ci si può esimere dal rilevare - indipendentemente da qualsivoglia valutazione e orientamento di carattere politico o considerazioni di natura antropologica, ma cercando di rimanere saldamente ancorati all’ambito strettamente giuridico - che la natura delle modifiche andrà a stravolgere i caratteri fondanti e gli elementi costitutivi stessi della legittima difesa e, con essa, dell’eccesso colposo, disintegrando, di fatto, il “cuore” di tali istituti, in origine concepiti e costruiti in maniera tale da sottostare a principi di civiltà giuridica. Principi che li hanno accompagnati per circa un secolo.
Come non rilevare, inoltre, che con tali modifiche si andrà a restringere in maniera notevole e preoccupante il principio cardine della scriminante di cui ci siamo occupati, ovvero il criterio della proporzionalità tra offesa e difesa; non si richiederà, infatti, che vi sia aggressione concreta ed attuale, essendo sufficiente il mero pericolo o la minaccia di un'aggressione.
La conclusione è abnorme: basterà che il ladro o il rapinatore mostreranno un’arma, o anche solo affermeranno di essere armati, perché ciò potrà legittimare una reazione capace di tradursi, in concreto, anche nella loro “legittima” uccisione.
Alla luce di quanto appena detto, è auspicabile che siano sollevate, e in tempi brevi, una o più questioni di illegittimità costituzionale e che la Consulta si pronunci nel senso di ricondurre gli istituti giuridici che qui si è cercato di analizzare sui giusti binari della civiltà giuridica. Binari da cui uno Stato di diritto non può, e non deve, in alcun modo discostarsi.
A conclusione di questo breve lavoro, si ritiene opportuno riportare lo stralcio di un articolo apparso su un diffuso quotidiano nazionale, nell’edizione cartacea del 29 marzo 2019, nella parte in cui riproduce la frase che segue: “Se il ladro, colto nell’atto di fare uno scasso, viene percosso e muore, non vi è delitto di omicidio” (Esodo 22, 2)”[xv].
Ebbene: tale "massima" risale a 4000 anni fa.
Note e riferimenti bibliografici.
[i] Cass. pen., Sez. I, sent. n. 45407/2004, in cui la Suprema Corte ha ritenuto eccedenti i limiti della necessità di difendere il proprio bestiame da un tentativo di furto l’uso di un fucile puntato in direzione della vittima. In senso conforme: Cass. pen., Sez. I, sent. n. 298/1992 (in cui la Suprema Corte ravvisa l’eccesso colposo di legittima difesa in tutte quelle “situazioni particolari nelle quali, per colpa, determinata da imperizia, negligenza e imprudenza, si superano i limiti scriminanti effettivamente esistenti, nel senso che il comportamento dell’agente […] è accompagnato dalla mera putatività di un elemento della scriminante, della quale vengono in realtà ecceduti i limiti”) e Cass. Pen., Sez. V, n. 2043/82 (“ai fini della sussistenza della situazione di cui all’art. 55 c.p., l’eccesso colposo deve dipendere da un errore di valutazione in ordine all’entità del pericolo”).
[ii] Cass. pen., sent. n. 31001/2015, dove la Corte esclude qualsivoglia ipotesi di legittima difesa e, di conseguenza, il possibile configurarsi dell’eccesso colposo nella condotta dell’imputato che, al termine di una colluttazione col rapinatore che si era introdotto nel negozio della sorella, si era impossessato dell’arma del ladro ferendolo mortalmente mentre quest’ultimo, avvedutosi della condizione di pericolo, stava ormai desistendo dall’aggressione, guadagnando una scappatoia a distanza di ormai cinque metri dall’imputato. In senso conforme: Cass. pen., sent. n. 15742/2014.
[iii] L’articolo, così come formulato dal Codice penale, è il risultato di una rilevante e sostanziale modifica già operata ad opera della Legge 13 febbraio 2006, n. 59
[iv] L’articolo 614, Codice penale – “Violazione di domicilio” – sanziona penalmente chi “s’ introduce nell’abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si introduce clandestinamente o con l’inganno” (primo comma) e “chiunque si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con l’inganno“ (secondo comma).
[v] F. BELLAGAMBA, I problematici confini della categoria delle scriminanti, Giuffrè, 2007, p. 69.
[vi] F. MANTOVANI, Legittima difesa comune e legittima difesa speciale, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2006, p.441.
[vii] Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 6591/2010. Nello stesso senso: Cass. Pen., Sez. V, sentenza n. 26159/2010, che prende in considerazione l’attualità del pericolo in merito ad un’altra delle scriminanti, lo stato di necessità (“ai fini dell’integrazione dell’esimente è necessario che il pericolo di un danno grave alla persona sia attuale ed imminente [ … ] non essendo all’uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto”).
[viii C. F. GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità, Giuffrè, 1964, p. 269.
[ix] Cass. pen, sent. n. 41879/2013
[x] Cass. pen., Sez. I, sent. n. 4890/2009, in cui la Suprema Corte afferma che “non sussiste il requisito della necessità della reazione armata tutte le volte in cui l’aggredito possa, senza alcuna difficoltà, rifugiarsi nella propria abitazione (dalla quale invocare soccorso) o comunque allontanarsi dal luogo della aggressione armata”. Nello stesso senso: Cass. pen., Sez. I, sent. n. 23221/2010 e Cass. pen., Sez. I, sent. n. 16677/2007
[xi] A proposito della condizione psichica del “grave turbamento”, autorevole dottrina, già sotto la vigenza della normativa precedente, rimarcava la sostanziale inutilità della previsione, sul rilievo che “se si accerta un grave turbamento psichico causato dall’aggressore all’aggredito la colpa di quest’ultimo, di fatto, già adesso deve ritenersi esclusa. In ogni caso, per stabilire se c’è stato il predetto turbamento parrebbe necessario compiere indagini e quindi aprire un procedimento.” (C. F. GROSSO, in www.repubblica.it/politica/2017/05/04/news/legittima-difesa-carlo-federico-grosso).
[xii] A. MARINI, La legittima difesa è legge: le novità dal gratuito patrocinio alle sanzioni, www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-03-07/legittima-difesa-niente-obbligo-risarcimento-chi-e-assolto-sede-penale
[xiii] Luigi FERRARELLA, Il tentativo di trasformare i tribunali in spettatori, in Corriere della Sera, ed. cartacea del 29 marzo 2019, pag. 5.
[xiv] L’osservazione è di Francesco MINISCI, Presidente dell’Associazione nazionale magistrati, “Poco chiara, ed equipara la vita umana al patrimonio”, articolo a cura di Fulvio FIANO, in Corriere della Sera, ed. cartacea del 29 marzo 2019, pag. 5.
[xv] L. FERRARELLA, Il tentativo di trasformare i tribunali in spettatori, cit.