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Pubbl. Sab, 27 Apr 2019

Ingiusta detenzione cautelare: va indennizzata se non è stato possibile provare la colpa grave.

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Alessandra Inchingolo


Qualora il giudice non abbia valutato la condotta dell´interessato, alla luce del quadro indiziario, la riparazione per ingiusta detenzione non può essere esclusa.


Con sentenza n. 49900 del 2018, la quarta sezione penale della Suprema Corte ha annullato l'ordinzanza che rigettava la domanda di rioparazione per ingiusta detenzione presentata da IGALA Fasial. Infatti, per escludere la riparazione per dolo o colpa grave il giudice deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario che ha legittimato il titolo cautelare.

La vicenda trae origine da quanto accaduto ad un imputato IGALA Faisal, al quale era stato contestato il reato di omicidio aggravato in concorso con altri soggetti, quando costui all'interno di un’ imbarcazione in avaria diretta verso le coste italiane, aveva gettato fuori dalla imbarcazione in mare aperto un uomo determinandone la morte. A tal proposito fu sottoposto a custodia cautelare che si era protratta senza soluzione di continuità, per oltre 4 anni.

Va precisato che la Corte d’Assise di Agrigento lo aveva ritenuto responsabile dell’omicidio condannandolo alla pena di 14 anni di reclusione, mentre in secondo grado, la Corte d’Appello di Palermo lo assolveva definitivamente.

Al medesimo giudice l’IGALA presentava domanda di riparazione per ingiusta detenzione che però veniva rigettata, sulla base della ricorrenza della causa impeditiva della colpa grave che aveva concorso a determinarne la carcerazione laddove, pure risultando non adeguatamente dimostrata la responsabilità del ricorrente nell'atto omicidiario, era risultato accertato come l'IGALA , unitamente ad altri migranti africani, aveva assunto con violenza il controllo del peschereccio in avaria, minacciando gli altri imbarcati e intimorendoli con l'uso della forza, così da ingenerare nell'autorità giudiziaria l'apparenza di un concorso nella realizzazione di tutte le condotte lesive, compresa quella omicidiaria. Tale situazione di apparenza veniva alimentata dallo stesso contegno serbato dall'IGALA all'interno della imbarcazione nel disporre di risorse di sopravvivenza (acqua), che lo poneva in una condizione di sovraordinazione all'interno della imbarcazione.

Pertanto l’IGALA proponeva ricorso per cassazione deducendo con il primo motivo violazione di legge, inosservanza della legge penale e vizio della motivazione in relazione ai presupposti della sussistenza di un comportamento ostativo all'insorgenza del diritto azionato, facendo emergere travisamento della prova da cui il giudice della riparazione ha tratto la suddetta convinzione.

Col secondo motivo evidenziava la totale mancanza di motivazione sulle richieste subordinate con le quali il ricorrente aveva limitato la richiesta indennitaria al pendo di carcerazione sofferto dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, ovvero dall'inizio del dibattimento in grado di appello, in ragione dell'ingiustificato ritardo nella decisione una volta che ormai risultava pacifica l'assenza di responsabilità del prevenuto.

Infatti, il Giudice di seconde cure aveva assolto l’IGALA tuttavia ne rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione sulla scorta del fatto che l'IGALA sarebbe stato riconosciuto, da tre testimoni, quale partecipe di un gruppo di facinorosi che, attraverso un atteggiamento di sovraordinazione, a seguito dell'avaria dell'imbarcazione, avrebbe tenuto un atteggiamento violento al punto da mettere in soggezione il resto dell’equipaggio, ingenerando la convinzione di una sua corresponsabilità con gli altri correi. 

Ciò che maggiormente lascia perplessi nell’intera vicenda è la scarsa, frammentaria e contraddittoria motivazione fornita dalla Corte d’appello nel rigettare la domanda di riparazione per ingiusta detenzione sofferta dall’IGALA che pure è stato assolto dallo stesso giudice e al contempo giudicato connivente e contiguo ai veri responsabili dell’omicidio!

Si badi infatti alla circostanza che il Giudice della riparazione non deve valutare se la condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale [cfr. sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013 Cc. (dep. 25/0272014), Rv. 259082].

Per la medesima ragione, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purchè la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento.

Inoltre, il requisito della colpa grave, che impedisce il riconoscimento dell'indennità, può pertanto ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell'agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l'agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell'attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell'agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell'attività criminosa dell'agente [cfr. sez. 4 n. 15745 del 19/02/2015, Rv. 263139]

Tuttavia, la motivazione a suffragio del rigetto della domanda di riparazione per ingiusta detenzione fornita dalla Corte d’Appello non conteneva alcun riferimento a fatti materiali narrati dai testimoni e al loro collegamento con la persona dell'IGALA, non è dato sapere se il giudice dell'assoluzione le avesse ritenute utilizzabili e rilevanti nella loro portata indiziante, peraltro contrastanti con specifiche e motivate deduzioni dalla difesa del ricorrente, che ne assume il travisamento. Così come vanno ritenuti irrilevanti la posizione di primazia assunta dal ricorrente. Per tali motivi la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata rinviando alla Corte d’appello per un nuovo giudizio.