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Pubbl. Gio, 14 Mar 2019

Il Codice della Crisi e gli effetti sul Diritto Penale

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Giuseppe Ferlisi
AvvocatoUniversità degli Studi di Salerno


In questo articolo sono trattate le modifiche apportate dal D.lgs n. 14/2019 nel campo penalistico, con maggior attenzione al rapporto fra la nuova procedura di liquidazione e le misure di sequestro e confisca.


Sommario: Premessa. 1. Le novità terminologiche. 2. Le nuove misure premiali. 3. Il rapporto tra procedure concorsuali e le misure cautelari reali. 4. Altre modifiche nel codice penale; abrogazioni. 5. Altre modifiche nel codice penale; nuove norme. Conclusioni.

Premessa

Il recente testo contenuto nel D.lgs n. 14/2019 e titolato “Codice della Crisi” contiene ben poche novità rispetto alla materia penale, limitandosi alla modifica di alcune disposizioni letterali attualmente contenute nel r.d. 267 del 1942.

1. Le novità terminologiche 

Una dirompente novità, con cui dovranno fare i conti gli operatori del diritto penale, è innanzitutto terminologica, giacché ai concetti di fallimento e di imprenditore fallito dovranno sostituirsi a quello di "liquidazione" e di "imprenditore dichiarato in liquidazione giudiziale", visto il cambiamento nel nomen della procedura fallimentare.
Tale modifica, comunque, costituendo un'operazione neutra sulla fisionomia del reato di bancarotta, non determina un'abrogazione delle attuali fattispecie incriminatrici, anche perché la nuova liquidazione si basa su una procedura concorsuale per arrivare alla completa integrazione.1
Tale interpretazione viene ricavata anche sulla scorta delle intenzioni del legislatore, dato che il Parlamento nella sua delega – contenuta nella l. 155 del 2017 – conferma “la continuità delle fattispecie criminose nel testo dell’emanando Codice il termine fallimento ed i suoi derivati andavano sostituiti con l’espressione liquidazione giudiziale”; tale delega, infatti, non autorizza modifiche di natura sostanziale al trattamento penale riservato alle condotte di bancarotta ed alle altre contenute dal titolo sesto della legge fallimentare.2
Invero, in dottrina si sono registrate opinioni diametralmente discordanti rispetto a quella proposta – opinioni che per adesso sono nettamente minoritarie – le quali, prendendo le mosse dalla Sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 24468 del 2009 che determinò l’abolizione dell’amministrazione controllata, ritengono che l’abrogazione di tale procedura e la soppressione di ogni riferimento alla stessa determinano la totale abolizione del reato di bancarotta societaria.3
Ciò premesso, una delle modifiche maggiormente rilevanti è quella che ha soppresso la parola “fallimento” dell’art. 223 comma 1 e 2 del codice penale, sostituendola con  “dissesto”; tale norma punisce sindaci, amministratori, direttori generali e liquidatori che – con varie modalità – cagionano il fallimento della società.
Tuttavia, tale sostituzione letterale continuerà a non provocare conseguenze giuridiche rilevanti poiché la Suprema Corte (Cass., Sez. V, 30 marzo 2016, n. 12793; Cass., Sez. V, 9. ottobre 2014, n. 42272) aveva già rilasciato - in altra occasione -  un'interpretazione in base alla quale la parola “fallimento” non era riferita solo come pronuncia giudiziaria, ma anche allo stato di crisi dell’azienda – ossia il dissesto economico.

2. Le nuove misure premiali

Una delle maggiori novità, che sicuramente riguarda gli avvocati penalisti, è contenuta nell'art. 25 comma 2 del codice de quo.
Costituisce una misura premiale, nella specie una causa di non punibilità, disponendo che “quando nei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b)  - ovvero, tutte le fattispecie di bancarotta, il ricorso abusivo al credito, i reati dell’institore, i reati commessi in sede di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione - limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura, il danno cagionato è di speciale tenuità, non è punibile chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti”.
Purtroppo, a parere di chi scrive, tale misura risulterà di difficile applicazione, dato che occorre che il debitore abbia agito in maniera tempestiva aprendo le procedure concorsuali entro 3 o 6 mesi dal momento conoscitivo della situazione di crisi aziendale; risulterà, infatti, difficile determinare – e soprattutto dimostrare per i colleghi avvocati -  il momento esatto in cui l’imprenditore è venuto a conoscenze della condizione di crisi e su quali basi giudicare, quindi, la tempestività o meno delle sue iniziative.
Inoltre, dato che la stessa causa di non punibilità viene subordinata alla “particolare tenuità del danno”, si può evincere come dai precedenti arresti della Suprema Corte (Cass. sez. V, 16 aprile 2015, n. 15976; Cass. sez. V, 24 aprile 2015, n. 17351) che tale circostanza viene riconosciuta molto di rado.
La fausta previsione rispetto all’applicazione di tale fattispecie premiale viene confortata, purtroppo, dal comma 2 dell’articolo in commento; tale previsione – una attenuante ad effetto speciale - dispone che  “fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità, per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta fino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000 euro”.
Di tal che, viene considerato lieve quel danno patrimoniale per cui “all’apertura della procedura concorsuale il valore dell’attivo inventariato od offerto ai creditori superi il quinto dell’ammontare dei debiti”; ciò fa logicamente e giuridicamente presupporre che la tenuità del fatto di cui al primo comma possa essere concesso solo nel caso ci si ritrovi in una situazione persino più lieve di cui al secondo comma – in base al quale il debitore è comunque punibile.
In definitiva,  l’applicazione  si restringe a pochissimi casi.

3. Il rapporto tra procedure concorsuali e le misure cautelari reali

Altre modifiche rilevanti sono state introdotte per ciò che concerne i rapporti tra procedure concorsuali e le misure cautelari reali: agli articoli dal 317 al 321 del codice in commento viene stabilito che i provvedimenti di sequestro, sia conservativo che preventivo, possono essere applicati in ipotesi residuali.
Difatti, il sequestro preventivo viene limitato all’ipotesi in cui, in caso di procedura di liquidazione aperta, i beni non costituenti reato rimangono a disposizione della procedura concorsuale a fini soddisfattivi dei creditori.
Addirittura si consente che, nel caso tali beni siano sottoposti a sequestro preventivo prima della procedura, il giudice possa, su richiesta del curatore, revocare il decreto e disporre la restituzione degli stessi.
Il sequestro conservativo viene addirittura nella sostanza eliminato, dato che viene stabilita un’incompatibilità con la procedura di liquidazione già aperta e comunque, in caso di procedura non ancora iniziata, disponendo il divieto di prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari individuali.
Riguardo, invece, la procedura di prevenzione di cui al d. lgs n. 159/2011 e il suo rapporto con la neo liquidazione giudiziale, bisogna partire dall’analisi di cui all’art. 63 del citato decreto 2001.
Tale articolo prevede che in caso di dichiarazione di fallimento successiva al sequestro, i beni sottoposti alla procedura concorsuale sono esclusi dalla massa attiva fallimentare; in caso di revoca del sequestro o della confisca, invece, il curatore procede all’apprensione dei beni ed il giudice delegato verifica i crediti ed i diritti in relazione ai beni per cui è intervenuta la revoca.
Diverso è, anche qui, il caso del sequestro successivo alla dichiarazione del fallimento: il successivo articolo 64 del novellato del 2001 statuisce che il giudice delegato al fallimento, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, disponga con decreto non reclamabile la separazione di tali beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all'amministratore giudiziario; in tal modo, i crediti e i diritti inerenti ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, ancorché già verificati dal giudice del fallimento, sono ulteriormente verificati dal giudice delegato del tribunale di prevenzione. 
In ogni caso, ai sensi dell’art. 65, il controllo e l'amministrazione giudiziaria non possono essere disposti su beni compresi nel fallimento e quando la dichiarazione di fallimento è successiva all'applicazione delle misure di prevenzione del controllo ovvero dell'amministrazione giudiziaria, la misura di prevenzione cessa sui beni compresi nel fallimento

4. Altre modifiche nel codice penale; abrogazioni.

Quanto alle modifiche contenutistiche della precedente disciplina penale, sono stati abrogati:
- l’art. 221 legge fallimentare, divenuto incompatibile con il processo penale in vigore dal 1988, visto che la norma prevedeva che in caso di applicazione del rito sommario nel fallimento, le pene per la bancarotta, il ricorso abusivo al credito e la denuncia di creditori inesistenti fossero ridotte di un terzo;
- l’art. 235 relativo all’omessa trasmissione dell’elenco dei protesti cambiari al presidente del tribunale, obbligo non più in vigore; 
- il delitto di omissione di beni dell’inventario nella domanda di liquidazione di cui all’art. 14 della vigente legge n. 3 del 2012, sul sovraindebitamento).
 

5. Altre modifiche nel codice penale; nuove norme.

Sono state poi introdotte alcune nuove fattispecie di reato e in particolare:
- l’art. 344, comma 2, del Codice della crisi sanziona il debitore incapiente che, per accedere all’esdebitazione produce documenti falsi o contraffatti o distrugge quelli che permettono la ricostruzione della propria situazione debitoria;
- l’art. 345 del medesimo testo  sanziona le falsità nelle attestazioni dei componenti degli organismi di composizione della crisi (OCRI) relative ai dati aziendali del debitore che voglia presentare domanda di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione dei debiti; tale norma incriminatrice è tuttavia solo apparentemente nuova, giacchè essa è modellata su quella dell’art. 342 (falsità in attestazioni per l’accesso al concordato) che, a sua volta, riproduce il contenuto dell’art. 236-bis (falso in attestazioni e relazioni) R.D. n. 267 del 1942.

Conclusioni

Come descritto, ben poche sono le novità nel campo penalistico operato dal testo in commento.
Difatti, la riforma analizzata è mossa - più che altro - dallo scopo precipuo di porre al riparo i beni oggetto della procedura concorsuale dalle attività degli organi inquirenti.
E’, altresì, evidente il tentativo di tutelare i creditori concorsuali, spesso penalizzati – nel regime previgente – a scapito delle esigenze di sequestro e confisca; di fatto i creditori risultavano essere i veri incolpevoli destinatari della misura cautelare.

Note

1. Codice della Crisi - D.lgs. 14/2019.

2 CHIARAVIGLIO,  Osservazioni penalistiche ‘a prima lettura’ sul progetto di codice della crisi e dell’insolvenza, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10 maggio 2018.

3 cfr. la Relazione illustrativa al nuovo codice della crisi secondo cui "è garantita di fatto continuità normativa, non contenendo la delega disposizioni che autorizzassero modifiche di natura sostanziale al trattamento penale riservato alle condotte di bancarotta e alle altre condotte contemplate oggi dal titolo sesto della legge fallimentare".

4. GAMBARDELLA, Il nuovo codice della crisi di impresa e dell'insolvenza: un primo sguardo ai riflessi in ambito penale, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 27 novembre 2018.