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Pubbl. Gio, 9 Apr 2015

La figura dell´imprenditore artigiano: funzioni e caratteristiche di quest´ibrido.

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Flavia Piccione


Nel disegno costituzionale “sono indubbiamente presenti forti accentuazioni interclassiste fondate su di una concezione dei rapporti sociali di collaborazione tra classi ed in esso trovano naturalmente un rilievo del tutto particolare gli artigiani ed i coltivatori diretti” Cavazzuti, Le piccole imprese.


L’art. 2083 cod. civ. delinea il profilo del piccolo imprenditore racchiudendovi, insieme al coltivatore diretto del fondo e al piccolo commerciante, l’artigiano.  Nel nucleo della categoria dimensionale si trovano cristallizzate le figure tipiche di piccolo imprenditore, cui si affianca una figura aperta, non nominata, destinata a fungere da criterio generale e residuale di qualificazione della piccola impresa.

Il segmento normativo finale accoglie nella categoria del piccolo imprenditore, oltre alle tre figure menzionate, anche “coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. L’esatta interpretazione della formula normativa, scientemente ambigua ed elastica, è data risalendo all’origine storica dell’art. 2083 c.c. Indubbiamente, nella norma si  isolano le uniche figure di piccolo imprenditore note al legislatore del 1942 - coltivatore diretto del fondo,artigiano e piccolo commerciante - le quali, tuttavia, non esauriscono il fenomeno della piccola impresa, in quanto aventi valore meramente esemplificativo.  

La categoria rimane aperta in virtù di una scelta di politica legislativa. Nel disegno del legislatore del 1942 il criterio generale di qualificazione fondato sul rapporto di prevalenza  assolve a distinte funzioni. Oltre a fungere da criterio elastico,volto ad assorbire anche le future possibili configurazioni di piccola impresa,opera inoltre quale requisito distintivo del piccolo imprenditore in generale,e come tale applicabile anche alle figure tipiche. Ciò emerge chiaramente dalla Relazione del codice civile n. 836 ove si chiarisce che : “non poteva essere materia del codice la fissazione di particolari criteri di discriminazione tra agricoltore e coltivatore diretto del fondo,tra industriale e artigiano,tra commerciante e piccolo commerciante, poiché questi criteri sono legati alla particolare natura dei diversi settori della produzione. Il codice si limita quindi a porre il criterio generale,secondo cui deve considerarsi piccolo imprenditore,qualunque sia la natura della sua attività economica,colui che esercita attività professionale organizzata prevalentemente (si intende rispetto al capitale impegnato) con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.  L’etichettatura di un’impresa come piccola o medio - grande,o grandissima, risulta,in ultima analisi,affidata al rispetto del rapporto di prevalenza anche in presenza delle figure c.d. nominate.

 Ma in cosa si sostanzia il rapporto di prevalenza?  A quali elementi della fattispecie imprenditoriale si riferisce?  Nell’art.2083 figura,declinato al participio passato,il termine “organizzazione”  che, letto in combinato disposto con l’art.2082, dischiude un significato particolare.  L’organizzazione ex artt. 2082-2083 indica una fase preliminare all’esercizio dell’impresa e che consiste nel coordinamento dei fattori produttivi – vale a dire nell’assunzione di dipendenti, nel reperimento di capitale iniziale di rischio, nell’acquisto di attrezzature e macchinari. Di conseguenza la prevalenza del lavoro dell’imprenditore e dei familiari deve sussistere rispetto ai restanti fattori produttivi,alla struttura organizzativa complessivamente intesa. Una simile ricostruzione del rapporto di prevalenza è suggerita non soltanto dalla nozione giuridica di organizzazione imprenditoriale, ma soprattutto da ragioni pratiche. Come ha osservato Bigiavi (La piccola impresa) il concetto di prevalenza non potrebbe riferirsi esclusivamente alle altrui prestazioni lavorative, altrimenti si arriverebbe alla soluzione assurda di considerare piccolo imprenditore il titolare di un complesso aziendale, che non necessita di ulteriori apporti lavorativi in quanto del tutto automatizzato. Per accertare se il criterio di prevalenza sia rispettato occorre analizzare la posizione dell’imprenditore rispetto al ciclo produttivo.

Il rapporto di prevalenza del lavoro proprio e dei familiari si apprezza non in termini meramente quantitativi - economici, bensì in senso qualitativo-funzionale. L’apporto lavorativo del titolare,ed eventualmente quello dei familiari,deve costituire un fattore infungibile del processo produttivo,in mancanza del quale l’attività produttiva non giungerebbe al medesimo risultato. È necessario che i beni ed i servizi prodotti siano caratterizzati dall’opera personalmente svolta dall’imprenditore. Se il complesso aziendale è strumentale all’esplicazione delle capacità artistiche e tecniche dell’imprenditore, il fenomeno si qualifica sempre quale piccola impresa. Viceversa,se l’attività produttiva è altamente sofisticata, tanto da essere in toto automatizzata, il rapporto di prevalenza si inverte sotto il peso degli altri fattori produttivi. In quest’ultima ipotesi il capitale investito,le attrezzature,i macchinari,le prestazioni lavorative altrui svolgono la gran parte del lavoro e,in via consequenziale,l’apporto lavorativo del titolare nell’impresa arretra ad una posizione marginale.

Il criterio di prevalenza, nel significato sopra chiarito, trova agevole applicazione rispetto alle figure del coltivatore diretto del fondo e del piccolo commerciante, mentre sorgono problemi applicativi quando si passa all’analisi dell’imprenditore artigiano. Quest’ultima figura riceve infatti dalla legge n. 443 del 1985, legge-quadro per l’artigianato, un’ulteriore definizione solo in parte coincidente con quella dettata dal codice civile. L’art.2 definisce imprenditore artigiano “colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”.  L’art. 3 specifica ulteriormente la definizione in relazione all’oggetto dell’attività, al ruolo dell’artigiano, alla forma organizzativa dell’impresa,recitando al primo comma che “E' artigiana l'impresa che (…) abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un'attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all'esercizio dell'impresa”.  Si riconosce qualifica artigiana anche all’impresa esercitata in forma di società,eccettuate le s.p.a. e le s.a.p.a., purché “la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell'impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale”.

La Corte di Cassazione, nella sentenza del 2 giugno 1995, n. 6221, ha sottolineato che la legge-quadro richiede, ai fini della qualifica artigiana, che sussistano congiuntamente i caratteri della prevalenza del lavoro, anche manuale, dell’imprenditore nel processo produttivo (art. 2) e della funzione preminente del lavoro sul capitale, ancorché quest’ultimo criterio sia richiesto in modo esplicito solo per la forma societaria (art.3, 2°comma).  La regola enucleabile dalla legge del 1985 poggia sul presupposto dell’inadeguatezza del solo criterio quantitativo-matematico per accertare la natura artigiana dell’impresa. La valutazione del rapporto di prevalenza tra i fattori del capitale e del lavoro non può essere affidata in via esclusiva a dati economici, essendo imprescindibile raffrontare l’elemento quantitativo con la particolare tipologia di attività che, di volta in volta, viene in considerazione. In tal modo, è possibile far rientrare nella categoria artigiana anche quelle attività d’impresa che, sebbene necessitano di ingenti investimenti di capitali, ciò nonostante si caratterizzano per il ruolo essenziale dell’opera creativa del titolare e dei suoi familiari. L’esistenza di un capitale di rilevante entità, l’utilizzo di materie prime costose o di macchinari sofisticati non sono condizioni di per sé ostative al riconoscimento della qualifica artigiana, purché i beni o i servizi prodotti presentano i segni caratteristici dell’opera personale dell’imprenditore. Basti pensare alle attività dell’orafo. In coerenza con tali regole valutative,si nega la qualifica di artigiana all’impresa che, non necessitando per natura di elevati capitali,e non presentando alcuna spiccata nota tecnica o artistica,viene organizzata prevalentemente con l’impiego di ingenti investimenti.  

Scandagliare il contenuto delle varie definizioni normative di imprenditore artigiano è compito indispensabile per il riconoscimento,nel caso concreto,del privilegio artigiano previsto dall’art.2751bis n.5 cod. civ.,come modificato dall’art.36 del d.l. n.5/2012,conv. In L. 35/2012,ai sensi del quale hanno privilegio(1) generale sui beni mobili i crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti.  Il rinvio generico alle disposizioni normative vigenti nel settore dell’artigianato è indirizzato – si spiega nella Relazione illustrativa- a coordinare la disciplina codicistica in materia di privilegi con la nuova definizione di impresa artigiana introdotta dalla legge-quadro che, in quanto normativa di settore, è l’unico termine cui da ora innanzi dovrà farsi riferimento per l’applicazione dell’art.2751 bis n.5, in sostituzione all’art.2083 cod.civ., utilizzato in passato. Tuttavia, nella recente pronuncia della Corte di Cassazione (sent. 20 marzo 2015 n. 5685) è stato ben spiegato il regime transitorio applicabile ai crediti relativi all’impresa artigiana che siano sorti in un periodo antecedente alla modifica normativa. Non avendo natura interpretativa, né valore retroattivo, non partecipando della natura di norma processuale e non operante, di conseguenza, come ius superveniens ai giudizi pendenti, in osservanza del principio di irretroattività delle leggi di cui all’art. 11 preleggi – la nuova norma è suscettibile di essere applicata solo ai crediti sorti nel giorno stesso o in un giorno successivo alla sua entrata in vigore. Corollario di tale argomentazione è la persistente applicazione del criterio generale di cui all’art.2083 cod.civ. ai fine del riconoscimento del privilegio artigiano ai crediti contratti anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 35/2012. La valutazione della natura artigiana dell’impresa segue i criteri definitori della normativa ratione temporis applicabile nei vari casi.

Inoltre. la sentenza prosegue spiegando le intercorrelazioni esistenti tra i vari livelli di regolamentazione del fenomeno dell’impresa artigiana. Oltre ad un primo livello generale, dove si colloca la definizione del codice civile all’art. 2083 ed un secondo livello dove si trova la legislazione speciale  (L. n. 443/1985), esiste un terzo livello occupato dalla legge fallimentare, in particolare dall’art.1,2° comma,modificato dal D.lgs. 12 settembre 2007 n.169. I diversi sistemi regolatori prevedono criteri di qualificazione dell’impresa artigiana non pienamente coincidenti. La disomogeneità delle varie definizioni normative riflette la varietà e diversità di interessi cui si intende dare sistemazione nei vari settori di rilevanza dell’artigianato.  Il coordinamento tra le varie fonti è pacifico a seguito dell’emanazione della legge-quadro che ha abrogato la precedente legge n. 860 del 1956, la quale fissava una definizione di impresa artigiana “a tutti gli effetti di legge” sostituendosi alla disciplina fallimentare e civilistica. Alla luce dell’attuale quadro normativo, i criteri della legge del 1985 fungono da requisiti per l’identificazione delle imprese ammesse a beneficiare della legislazione regionale di sostegno( a norma dell’art.1 della stessa legge), emanata in attuazione dell’impegno programmatico di cui all’art.45, 2° comma, Cost.; la norma definitoria di cui all’art. 2083 cod.civ. serve ad individuare l’artigiano ai fini dell’inquadramento nella categoria di piccolo imprenditore e,quindi, dell’esonero dallo statuto dell’imprenditore commerciale (obbligo di tenuta delle scritture contabili,iscrizione obbligatoria nel registro delle imprese).

Infine, il giudizio di fallibilità è rimesso,in via esclusiva, ai parametri dimensionali individuati dall’art.1,2° co. L. Fall., poiché è stato reciso qualsiasi nesso tra la qualifica civilistica di piccolo imprenditore ed i requisiti per l’esposizione a fallimento. Ne discende che la condizione di piccolo imprenditore e la posizione di imprenditore fallibile possono sovrapporsi in capo alla medesima persona senza che ciò contrasti,come in passato,con lo statuto dell’impresa commerciale.

A conclusione del percorso argomentativo seguito nella sentenza, la Corte di Cassazione elenca gli elementi al ricorrere dei quali è configurabile un’impresa artigiana. A tal fine, si parte dall’assunto che l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane, ancorché spiega un’efficacia costitutiva ai fini dell’applicazione della normativa regionale di ausilio ai sensi dell’art. 5 l. n.443/1985,non incide in alcun modo - neppur indirettamente quale presunzione iuris tantum della natura artigiana dell’impresa - sull’estensione del privilegio artigiano ex art.2751 bis. n.5 cod.civ.  A dispetto del dato formale, spetta al giudice sindacare sulla natura artigiana dell’impresa creditrice, conformemente all’orientamento della Corte Costituzionale (sent. 24 luglio 1996 n. 307).  

La tradizionale dicotomia tra industriale ed artigiano si è notevolmente affievolita sia considerando il costante indirizzo seguito dalla Cassazione, sia in virtù della legge n.443/1985. Quest’ultima, infatti, all’art. 4 ricomprende tra le imprese artigiane anche le imprese esercenti servizi di trasporto menzionate all’art.2195 cod.civ.,norma convenzionalmente deputata all’individuazione dell’imprenditore commerciale. Ed ancor di più,nella sentenza in commento si afferma che l'artigiano va considerato un normale imprenditore commerciale, allorché abbia organizzato la sua attività in guisa da costituire una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto (…) sicché l'opera di esso titolare non sia più né essenziale né principale (cfr. Cass. 22 dicembre 2000, n. 16157; Cass 12487/05).

In conclusione, per un’adeguata ed approfondita verifica circa la sussistenza della natura artigiana dell’impresa, è necessario che i requisiti canonizzati all’art.2083 cod. civ., quali la partecipazione personale dell’imprenditore nel processo produttivo e la preminenza del lavoro del titolare e dei familiari, siano integrati da altri indici valutativi.

Occorre dapprima conoscere esattamente il numero dei dipendenti. L’impegno di numerosa manodopera presuppone un’organizzazione della dipendenza aziendale tale da far venir meno la prevalenza dell’apporto lavorativo del titolare e da rendere superflua l’opera prestata personalmente dal titolare, sebbene professionalmente qualificata,rispetto alle altrui prestazioni lavorative. Invece il dato relativo al volume di affari,come qualsiasi altro criterio matematico di valutazione della preminenza del lavoro sul capitale,risulta senza indubbio non idoneo al corretto accertamento dell’impresa artigiana in quanto affetto da un’evidente limite. Avvalendosi di un parametro meramente quantitativo si trascura l’elemento qualitativo incentrato sulla particolare natura dell’attività svolta. La caratterizzazione dell’attività imprenditoriale in senso professionale può essere predominante al punto tale che l’impresa costituisce espressione delle qualità artistiche o capacità tecniche del titolare, le quali imprimono una direzione del tutto personale al ciclo produttivo,indipendentemente dal capitale investito,dai macchinari utilizzati,dal ricavo finale.  

 


(1) Privilegio: costituisce, al pari del pegno e dell’ipoteca,una causa legittima di prelazione. È la preferenza che,ai sensi dell’art. 2745, è accordata dalla legge in considerazione della causa del credito. Alcuni crediti sono ex lege corroborati da una causa di prelazione. In tal modo i relativi creditori, c.d. privilegiati, beneficiano del diritto di essere preferiti, nella distribuzione del ricavato della vendita forzata dei beni oggetto di privilegio,rispetto ai creditori c.d. chirografari, in quanto sprovvisti di qualsiasi causa di prelazione

Fonti:

  • Sentenza Cassazione 2  giugno 1995,n. 6221; sent. n. 5685,20 marzo 2015; sent. Corte Costituzionale 24 luglio 1996 n.307;
  • Manuale di diritto privato,Andrea Torrente – Piero Schlesinger;
  • Diritto commerciale,vol.1 di Gian Franco Campobasso;
  • “La piccola impresa” di Bigiavi.