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Pubbl. Ven, 10 Apr 2015

Medico negligente? Responsabile (anche) l´ASL: analisi della storica sentenza 6243 del 27/03 della Cassazione

Roberto Saglimbeni


La Terza sezione civile sancisce la responsabilità dell´Azienda Sanitaria Locale nei casi di negligenza, imprudenza o imperizia del medico convenzionato, facendo leva su un´interpretazione innovativa dell´art. 1228 alla luce della L. 833/78 ("Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale"). La sentenza, che chiude un caso iniziato nel 1997, è indicativa di un mutato orientamento giurisprudenziale e apre nuovi scenari nei rapporti tra ASL, medici e pazienti.


Con la sentenza 6243 del 27/03/15, la Terza sezione civile della Corte di Cassazione ha condannato l´ASL "Torino 4" (già USL Chivasso 7) per la negligenza e l´imperizia di un medico convenzionato col SSN che, nel 1997, era intervenuto in colpevole ritardo e con una diagnosi sbagliata comportando nel paziente, già gravemente ammalato, un peggioramento del quadro clinico fino alla paralisi della parte sinistra del corpo. La pronuncia della Corte, colpevolmente ignorata dai principali organi d´informazione, costituisce una pietra miliare in ambito di responsabilità civile in quanto riscrive la storia dei rapporti tra ASL, medico e paziente, ampliando la tutela di quest´ultimo fino a ritenere l´ASL colpevole per le mancanze del suo convenzionato anche al di fuori delle prestazioni ambulatoriali. 

Con la sentenza 6243 del 27/03/15, la Terza sezione civile della Corte di Cassazione ha condannato l´ASL "Torino 4" (già USL Chivasso 7) per la negligenza e l´imperizia di un medico convenzionato col SSN che, nel 1997, era intervenuto in colpevole ritardo e con una diagnosi sbagliata comportando nel paziente, già gravemente ammalato, un peggioramento del quadro clinico fino alla paralisi della parte sinistra del corpo. La pronuncia della Corte, colpevolmente ignorata dai principali organi d´informazione, costituisce una pietra miliare in ambito di responsabilità civile in quanto riscrive la storia dei rapporti tra ASL, medico e paziente, ampliando la tutela di quest´ultimo fino a ritenere l´ASL colpevole per le mancanze del suo convenzionato anche al di fuori delle prestazioni ambulatoriali. 

I fatti e le sentenze di primo e secondo grado

Nel 1997 due coniugi contattavano il loro medico di fiducia per verificare le condizioni del marito. Il ritardo del medico, intervenuto solo 24 ore dopo il sollecito, provocò nel paziente un aggravamento dello stato di salute, con un attacco ischemico e una conseguente paralisi della parte sinistra del corpo. La coppia citò in giudizio il medico di base e, in sede di risarcimento del danno, l´allora USL competente, ritenuta dai coniugi corresponsabile dell´accaduto. Il Tribunale di Torino condannò il medico nel 2007 e, dopo un supplemento di c.t.u., ritenne l´ASL (già USL) responsabile in solido: a seguito del ricorso di entrambi i convenuti fu chiamata a pronunciarsi sul fatto la Corte d´Appello di Torino.

La Corte d´Appello, ribaltando la sentenza di primo grado, emise un verdetto i cui punti principali sono così condensabili:

  • Nulla quaestio sulla responsabilità del medico, tenuto a un risarcimento pari a 70´000 euro: era infatti ampiamente dimostrato dalle consulenze tecniche di primo grado il comportamento colposo del medico stesso e la sua rilevanza nell´aggravamento delle condizioni del paziente.
  • Si esclude la responsabilità dell´Azienda Sanitaria Locale (nel frattempo diventata ASL "Torino 4"), poichè la Corte non ritiene rilevanti né gli argomenti basati sull´art. 1228 c.c., né tantomeno quelli che fanno leva sull´art. 2049 c.c.

Andando più nello specifico l´art. 1228 (Responsabilità per fatto degli ausiliari) recita che "Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell´dempimento dell´obbligzione si vale dell´opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro", mentre l´art. 2049 dispone che "I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell´esercizio delle incombenze a cui sono adibiti". La Corte torinese segnalava come la L. 833/78, pur istituendo numerosi obblighi a carico delle Aziende Sanitarie Locali, si limitasse a comportare per il SSN degli obblighi organizzativi e non "un obbligo diretto avente ad oggetto il contenuto della prestazione professionale"; non sussiste, secondo l´interpretazione della Corte, un contratto tra il paziente e l´ASL dato che, nella scelta del medico di base, il primo non viene a contatto con quest´ultima e, per di più, è da rilevare come il medico stesso sia "un libero professionista [...] scelto dal paziente", con piena libertà nell´esecuzione della prestazione (cfr. Cass. IV sez. Penale, sentenza 34460 del 16/04/2003) e nei cui confronti l´ASL assume un compito meramente organizzativo-amministrativo, non esistendo "un potere di vigilanza e controllo sul contenuto specifico della prestazione professionale del medico di base".

I principi della L. n.  833/78

L´interesse dello Stato alla salute dei suoi cittadini è sancito dall´art. 32 comma 1 Cost., secondo il quale "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell´individuo e interese della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti". La disposizione costituzionale pone lo Stato in prima linea nell´assistenza sanitaria degli associati, aggiornando un impianto normativo che, al netto delle integrazioni fasciste, era sostanzialmente basato sulla c.d. Legge Crispi (n. 6972 del 1890) e sul sistema degli Ipab (Istituti pubblici assistenza e beneficenza). Bisogna tuttavia attendere la L.  n. 833/78 perché l´art. 32 trovi effettiva concretizzazione: la L. n. 833, denominata "Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale", riforma in maniera netta e complessiva il sistema di assistenza sanitaria, costruendo la struttura assistenziale che, pur dopo molteplici interventi, è ancora oggi in vigore. 

Dopo aver stabilito all´art. 1 che "[...] Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l´eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L´attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali [...], aver fissato all´art. 2 gli obbiettivi e aver ripartito le competenze tra Stato e Regioni (artt. 6 e 7), la L. n. 833 sancisce che "alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull´intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali" (art. 10). Tali Unità Sanitarie Locali (oggi ASL) provvedono "all´assistenza medico-generica e infermieristica, domiciliare e ambulatoriale" (art 14, lett. h) servendosi di "personale dipendente o convenzionato" (art. 25). I rapporti col personale convenzionato sono garantiti da appositi accordi collettivi a durata triennale (art. 48) mentre gli standard e gli obbiettivi del SSN vengono fissati nel Piano Sanitario Nazionale, predisposto dal Governo su proposta del Ministero della Salute e dopo aver sentito il Consiglio Sanitario Nazionale. 

La sentenza  n. 6243 del 27/03

L´analisi della L.833/78, per quanto breve, è indispensabile per capire il procedimento logico-argomentativo svolto dalla Terza sezione nella sentenza 6243 del 27/03/15 che, oltre a mettere la parola fine su una vicenda protrattosi per quasi 20 anni, ha aperto la via a un nuovo orientamento giurisprudenziale incline a riconoscere l´ASL come responsabile della condotta del medico convenzionato (in senso opposto, ad esempio, Cass. pen. sez. IV, sentenza 34460 del 16/04/2003 e n° 36502 del 23/09/2008).

Per la Cassazione in forza della L. n. 833/78 "Le USL provvedono ad erogare l´assistenza medico generica [...] assicurando i livelli di prestazioni stabiliti dal piano sanitario nazionale" ed il beneficiario di tali prestazioni è il cittadino in quanto "utente del SSN e come tale iscritto in appositi elenchi [...]". Solo in quanto utente del SSN il cittadino compie dunque la sua libera scelta del medico "di base", il quale altro non è che un componente di quel "personale convenzionato" (art. 25) mediante il quale l´Azienda Sanitaria presta l´assistenza medico-generica. Dato che il medico convenzionato è selezionato secondo i parametri definiti dagli accordi di cui all´art 48 della L.833/78 ne deriva che la scelta del medico da parte del´utente è destinata a "[...] produrre i suoi effetti nei confronti [...] della USL nel cui territorio opera il medico [...] in regime di convenzionamento".

Il medico c.d. di base è dunque legato al paziente in forza dell´accordo di convenzionamento con l´ASL, dalla quale riceve infatti una remunerazione che instaura un rapporto lavorativo di "parasubordinazione", nettamente distinto dalla libera professione che il medico può comunque esercitare al di fuori dell´assistenza medico-generica. A conferma di tale interpretazione è poi vietato al medico convenzionato di ricevere "pagamento anche parziale da parte dell´assistito delle prestazioni previste in convenzione" (art. 8, lett. d, d.lgs. n°502 del 1992).

La Corte fissa dunque i seguenti principi:

  1. Sull´ASL grava un obbligazione ex lege di prestare l´assistenza medico-generica all´utente (anche) mediante l´opera del medico convenzionato ed è dunque applicabile la disciplina sulle obbligazioni in generale del Titolo I del Libro quarto del Codice Civile;
  2. Il medico convenzionato è obbligato alla prestazione solo in forza del rapporto di convenzionamento e non per un rapporto giuridico diretto con l´utente;
  3. L´ASL assume dunque la veste di soggetto "debitore" di una prestazione che eroga servendosi del medico convenzionato che assume, nel caso specifico, la veste di ausiliario. La prestazione rimane libera nei suoi contenuti tecnici-professionali ma l´ASL esercita comunque un certo controllo sul suo "parasubordinato" (ad esempio sull´idoneità di locali e attrezzature).

La tesi dei ricorrenti è dunque accolta in pieno dalla Corte, che sancisce l´applicabilità dell´art. 1228 c.c. anche ai casi in cui l´ASL non si serva di personale dipendente ma di personale convenzionato, dato che l´Azienda Sanitaria, nelle vesti di debitore, si serve di un terzo nell´adempimento dell´obbligazione assumendo su di sé i rischi di eventuali danni per il creditore, secondo la formula "cuius commoda eius et incommoda". La Corte enuncia dunque questo principio di diritto:"L´ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell´art. 1228 cod. civ., del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l´assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita [...]"

L´interpretazione della Corte ha il merito di rileggere in positivo la L. n. 833/78, in quanto attribuire all´ASL un mero compito organizzativo in sede di accertamento delle responsabilità avrebbe portato a conclusioni discutibili. In realtà, come dimostrato, il soggetto debitore ASL assume su di se il rischio di adempiere la prestazione servendosi di un terzo, in quanto il legame principale e rilevante è quello che lega l´Azienda Sanitaria al cittadino, nei limiti di quanto il SSN è tenuto a garantire sulla base dei Piani triennali (e, specificatamente, dei Livelli Essenziali di Assistenza). Il prevedibile aumento delle pronunce di responsabilità civile a carico delle ASL non deve spaventare ma far riflettere sulla possibilità di riformare il sistema dei convenzionamenti, a patto di non intaccare quella tutela minima che il cittadino merita e che dovrebbe trovare riconoscimento nell´operato del SSN prima ancora che in quello delle corti. 


Fonti e Bibliografia