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Pubbl. Sab, 9 Feb 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

La disciplina urbanistica e le diverse declinazioni della nullità degli atti negoziali di trasferimento degli immobili

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Paolo Del Gaudio
Laurea in GiurisprudenzaUniversità degli Studi di Salerno


La nullità per violazione delle norme in materia di urbanistica ed edilizia: alle Sezioni Unite il compito di stabilire la natura della nullità degli atti negoziali di trasferimento di immobili irregolari secondo la legge urbanistica. Il difficile bilanciamento tra contrapposte esigenze di contrasto all’abusivismo e tutela dell’acquirente


Sommario: 1. La disciplina urbanistica e la nullità; 3. Le contrapposte teorie; 4. Excurcus giurisprudenziale 4. L'ordinanza di rimessione; 5. La “Terza via”: la nullità testuale; 6. Considerazioni a margine.

1. La disciplina urbanistica e la nullità

La questione del corretto inquadramento circa la natura della nullità degli atti negoziali di trasferimento di immobili irregolari sotto il profilo della legge urbanistica appare particolarmente delicata, non solo per la complessità della materia e per l’incertezza del dato normativo, ma anche perché involge il necessario bilanciamento tra due contrapposte esigenze: il contrasto all’abusivismo edilizio, da una parte, e l’esigenza di tutela dell’acquirente di immobile difforme dal titolo concessorio, dall’altra. Pertanto, ogni possibile approdo risolutivo, così come la corretta individuazione dell’ambito applicativo della predetta nullità, è condizionato dalla soluzione che si intende dare alla problematica inerente alla natura, “formale” o “sostanziale”, della suddetta nullità.  Allo stato dei fatti la vexata quaestio non ha trovato un punto di incontro univoco in dottrina e giurisprudenza, tanto da giustificarne la rimessione al Supremo Consesso della Corte di Cassazione che, a giorni, farà finalmente chiarezza sul tema (per effetto della Ordinanza di rimessione 30.7.2018 n. 20061, di cui si dirà ampiamente a breve). È opportuno ricordare che la nullità urbanistica è un’ipotesi di nullità speciale, attualmente, disciplinata dall’art. 40 della l. 47/1985 e dal suo omologo, art. 46 del d.p.r. n. 380/2001, quest’ultimo applicabile ratione temporis agli atti negoziali inerenti ad immobili, la cui costruzione sia iniziata dopo la data del 17 marzo 1985.

Tali disposizioni prevedono, oltre ad un divieto assoluto di stipula, la nullità degli atti inter vivos, pubblici o privati, già stipulati, aventi ad oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali (eccettuati i diritti reali di garanzia e le servitù), relativi ad edifici o loro parti, sprovvisti della dichiarazione di parte alienante, recante gli estremi del titolo edilizio abilitativo richiesto per la costruzione. I titoli cui il legislatore fa rinvio sono, rispettivamente, la licenza edilizia, per i fabbricati realizzati prima dell’entrata in vigore della legge del 1985, la concessione edilizia ovvero la cd. concessione in sanatoria di cui all’art. 30, nel caso di applicazione della l. n. 47/1985 e il permesso di costruire ex art. 10, ovvero il permesso in sanatoria ex art. 36, nelle ipotesi previste dal d.p.r. n. 380/2001. Attualmente gli interventi che necessitano dell’emissione di tali titoli, da menzionare nell’atto negoziale, sono, di norma, le nuove costruzioni e le “ristrutturazioni pesanti” (locuzione foriera di non pochi problemi ermeneutici), elencate nel citato art. 10 del d.p.r. n. 380/2001. Tuttavia, sono validi gli atti in oggetto allorquando venga in essi resa dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi del d.p.r. n. 445/2000, attestante che i detti interventi edilizi “abbiano avuto inizio” prima della data del 1.9.1967, coincidente con il giorno dell’entrata in vigore della l. n. 765/1967, cd. Legge Ponte.

2. Le contrapposte teorie

Al fine di individuare il concreto spazio applicativo della disciplina della nullità urbanistica, indispensabile, come detto, risulta determinarne preliminarmente la natura giuridica. Storicamente si sono fronteggiate sul punto due teorie: la tralatizia tesi “formalistica” e la più moderna “tesi sostanzialistica”. Secondo la prima impostazione[1] tale nullità, riconducibile al generale paradigma di cui all’art. 1418, co. 3, c.c., colpirebbe l’atto negoziale esclusivamente in quanto affetto dalla carenza documentale della menzione degli estremi del titolo edilizio abilitativo ovvero della dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Peculiare corollario di tale assunta natura formale della sanzione, poi, sarebbe quello di ammettere, in limine, la validità di un atto contenente gli estremi del provvedimento amministrativo autorizzatorio, indipendentemente dal fatto che l’intervento edilizio sia stato realizzato in difformità dallo stesso, con mendacio, dunque, del soggetto dichiarante. Ciò posto sulla premessa che la ratio delle prescrizioni in questione non sarebbe quella di attestare la piena corrispondenza tra il “costruito” e il “concesso”, bensì quella di tutelare la parte acquirente, mettendola in condizione di conoscere in base a quali titoli l’immobile sia stato realizzato e se, dunque, sia stato commesso o meno un abuso edilizio. In accordo ai fautori della prima teoria, quindi, va riconosciuta esclusiva rilevanza, ai fini della validità degli atti, al solo requisito formale. Vale a dire che l’atto è e rimane valido per il solo fatto che vi siano menzionati un provvedimento autorizzativo o la avvenuta costruzione anteriormente al 1° settembre 1967, anche se si tratta di dichiarazione falsa ed anche se il provvedimento citato non esiste o l’edificio è stato costruito dopo il 1967 in assenza di provvedimento autorizzativo. Dall’obiezione avanzata alla tesi in oggetto da parte di autorevole dottrina, in forza della quale non è possibile considerare tale nullità soltanto sul piano della mera previsione legislativa, risultandone, piuttosto, necessaria una lettura “teleologicamente orientata”, anche in ragione del paradigma delle nullità “virtuali”, di cui all’art. 1418, co. 1, c.c., è scaturito l’opposto orientamento “sostanzialistico”[2]. Quest’ultimo, ha enucleato due distinte sanzioni invalidanti, affiancando alla “nullità formale” ex verba legis, una “nullità sostanziale”, riconducibile ad un’illiceità contrattuale, per contrasto con norma imperativa di legge, ai sensi dell’art. 1418, co.1, c.c.. Paradigma di tale concezione è la constatazione che se il legislatore, per contrastare il fenomeno dell'abusivismo edilizio con riferimento agli atti di compravendita di fabbricati irregolari, è giunto al punto di sancirne la nullità anche solo per la mancata indicazione degli estremi della concessione, ove in effetti esistente, a maggior ragione l'atto è nullo se l'immobile è abusivo e gli estremi della concessione sono fittizi. Pertanto, se si vuol riconoscere alla normativa in esame la funzione di repressione e disincentivazione degli abusi edilizi appare necessario ritenere che per la validità degli atti non può considerarsi sufficiente la semplice menzione del provvedimento autorizzativo, ma il provvedimento deve effettivamente sussistere, ovvero in ipotesi di dichiarazione ante 1967 la costruzione deve essere stata effettivamente realizzata precedentemente al 1° settembre 1967, e in ogni caso la costruzione non deve essere stata eseguita in difformità dal titolo citato. Conseguentemente, per dirsi valido un atto traslativo inter vivos avente ad oggetto un bene immobile non è sufficiente il solo requisito formale ma deve necessariamente sussistere anche il requisito sostanziale. Iniquo risulterebbe, infatti, ritenere valido un atto avente per oggetto un fabbricato totalmente abusivo e ciò per effetto di una dichiarazione palesemente falsa in ordine ai titoli edilizi abilitativi e ritenere, al contempo, nullo l’atto avente per oggetto un fabbricato assolutamente regolare sotto il profilo urbanistico ma privo delle menzioni prescritte dalla legge, seppur astrattamente convalidabile. In definitiva, se risulta manchevole il requisito sostanziale, ovvero manca la riferibilità dell’opera ad un provvedimento autorizzativo o la costruzione non è effettivamente avvenuta anteriormente al 1° settembre 1967, anche se dovesse sussistere il requisito formale, in ragione di una mendace dichiarazione, l’atto deve comunque ritenersi nullo. Appare evidente, quindi, che le contrapposte teorie, tradottesi in una dicotomia di vedute anche in seno alla Corte di Cassazione, si fondano su una diversa prospettiva dalla quale si esamina la questione.

3. Excursus giurisprudenziale

In principio il giudice di legittimità considerava rilevante, ai fini della validità dell’atto negoziale avente ad oggetto il trasferimento di un bene immobile, solo il requisito formale, ovvero la presenza nell’atto di trasferimento del titolo edilizio abilitativo richiesto per la costruzione, con la conseguenza che l’atto era considerato in ogni caso nullo se carente delle dichiarazioni prescritte, e ciò a prescindere dalla regolarità effettiva dell’immobile[3]. La carenza del requisito sostanziale, veniva dalla Cassazione ricondotta, all'opposto, sul piano dell’inadempimento contrattuale e non su quello della nullità. Pertanto, il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico non rilevava di per sé ai fini della validità dell’atto, trovando, invece, rimedio esclusivamente nella disciplina dell’inadempimento contrattuale[4]. La deduzione in contratto di un immobile abusivo, per il quale non esisteva alcuna possibilità di sanatoria, costituiva, dunque, secondo l’opinione della Cassazione, non causa di nullità del contratto ma esclusivamente inadempimento di non scarsa importanza, tale da legittimare la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento[5]. Lungo questa prospettiva, coerentemente, assumeva esclusiva rilevanza, ai fini della validità dell’atto, il solo requisito formale, al punto da escludere la nullità degli atti tutte le volte in cui nell’atto fossero state inserite le prescritte menzioni anche se le stesse non fossero conformi al vero. Sul punto si affermava che per la validità del contratto era necessaria unicamente l’autodichiarazione del venditore che la costruzione fosse iniziata prima del 1° settembre 1967 e non la veridicità della stessa, configurando la norma di legge una nullità formale e non sostanziale[6]. La supremazia del profilo formale su quello sostanziale veniva ribadita dalla Cassazione anche con riferimento ai canoni normativi in tema di ermeneutica della legge che non consentiva di attribuire al testo normativo un significato che prescindesse dalle espressioni formali in cui si articolava. Di guisa la circostanza che le ipotesi di nullità previste dalla norma erano tassative e non estensibili per analogia determinava che, a stretto rigore di legge, la nullità era costituita unicamente dalla mancata indicazione degli estremi dei titoli edilizi ovvero dell’inizio della costruzione prima del 1967[7]. Secondo il giudice di legittimità, quindi, la nullità prevista dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dal T.U. d.p.r. 380/2001 assolveva esclusivamente una funzione di tutela dell’affidamento, sanzionando la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile nella condizione di conoscere le condizioni dell’immobile acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla sua regolarità edilizia; non poteva conseguentemente essere riconosciuta alcuna efficacia sanante all’esistenza dei titoli edilizi o della sanatoria non dichiarati in atto, così come, al contrario, nessuna invalidità poteva derivare al contratto dalla concreta difformità della costruzione dai titoli edilizi o dalla sanatoria e in generale dal difetto di conformità del bene rispetto alle norme urbanistiche[8]. La Suprema Corte di Cassazione, nel 2013, con la pronuncia n. 23591, ha compiuto un revirement giurisprudenziale, con il quale ha ritenuto che alla nullità di carattere formale per mancata osservanza delle prescrizioni di legge si debba aggiungere anche una nullità sostanziale qualora la vendita avesse per oggetto un fabbricato non in regola con la normativa urbanistica. Con il menzionato “cambio di rotta”, la Cassazione ha affermato che la “non perfetta formulazione della disposizione di legge consente di affermare che dalla stessa è desumibile il principio generale di nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunge una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi”. Per attribuire precipua rilevanza anche al requisito sostanziale gli Ermellini sono arrivati a configurare due distinte tipologie di nullità: una nullità di carattere sostanziale che colpisce gli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, nonché una ulteriore nullità, stavolta di carattere formale, che colpisce gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, nei quali non siano menzionati gli estremi dei titoli edilizi (compresi quelli in sanatoria), con la conseguenza che potrebbe esservi una coesistenza di entrambe le predette nullità nell’ipotesi di atti carenti delle prescritte menzioni ed aventi per oggetto immobili irregolari sotto il profilo urbanistico. Tale impostazione è stata successivamente avallata dalle pronunce della Cassazione nn. 28194 del 17 dicembre 2013 - 25811 del 5 dicembre 2014 - 18261 del 17 settembre 2015. Nonostante le conferme giurisprudenziali occorse, tale ultimo orientamento ha suscitato diverse perplessità in dottrina, riscontrando non pochi dubbi anche in seno alla Corte di Cassazione stessa. Le perplessità in esame sono sfociate nell’ordinanza della Seconda Sezione Civile della Cassazione n. 20061 del 9 gennaio 2018, con la quale si sono rimessi gli atti di causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite “ai fini della composizione del rilevato contrasto diacronico sulla natura della nullità urbanistica” 

4. L’ordinanza di rimessione

Con ordinanza del 9 gennaio 2018 n. 20061 (dep. 30 luglio 2018), la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, ritenendo che l’orientamento inaugurato dalle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13, con il quale si sanciva la natura sostanziale della nullità degli atti negoziali di trasferimento di immobili non in regola con la disciplina urbanistica, meritasse un riconsiderazione, ha rimesso gli atti di causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite. Il Collegio rimettente nell’ordinanza in esame ha evidenziato che la tesi della nullità sostanziale, oltre a non trovare riscontro effettivo nella lettera della legge (che sanziona unicamente l’assenza di una dichiarazione negoziale dell’alienante avente ad oggetto gli estremi dei provvedimenti concessori senza alcun riferimento alla necessità che la consistenza reale di tale immobile sia conforme a quella risultante dai progetti approvati con detti provvedimenti concessori), appare madre di notevoli complicazioni nella prassi applicativa, rischiando di pregiudicare in maniera significativa gli interessi della parte acquirente. Ed invéro, l’acquirente in buona fede rimarrebbe esposto, con la dichiarazione di nullità dell’atto di trasferimento, alla perdita dell’immobile e con la conseguente necessità di procedere al recupero del prezzo versato, sebbene aveva fatto incolpevole affidamento sulla validità dell’atto. Con l’ordinanza de quo la Seconda Sezione Civile della Cassazione osserva, inoltre, che con l’accoglimento della teoria della nullità sostanziale si introdurrebbe una ulteriore problematica di non facile soluzione: quella della rilevanza delle irregolarità edilizie ai fini della commerciabilità degli immobili. Precisa, in proposito, il Collegio che la nozione di irregolarità urbanistica è nozione assai eterogenea, che presenta un esteso ventaglio di articolazioni, dall’immobile edificato in assenza di concessione, all’immobile edificato in totale difformità dalla concessione, all’immobile che presenta una variazione essenziale rispetto alla concessione o, ancora, a quello che presenta una parziale difformità dalla concessione. Al riguardo il Collegio lamenta, poi, che né nelle sentenze nn. 23591/13 e 28194/13 né nelle sentenze 25811/14 e 18261/15 si compie una doverosa distinzione tra le ipotesi di difformità totale, variazione essenziale o variazione parziale non essenziale, sebbene in tali pronunce si enunci il principio generale della nullità di carattere sostanziale degli atti di trasferimento di “immobili non in regola con la normativa urbanistica”. Sotto questo profilo, a parere del Collegio, sarebbe, dunque, auspicabile e doveroso un chiarimento da parte delle Sezioni Unite in merito alla ampiezza della nozione di irregolarità urbanistica. Sotto un altro profilo il Collegio evidenzia come la tesi della natura sostanziale della nullità finisca con il far dipendere la validità del contratto da valutazioni, quali quelle legate alla diversa portata della irregolarità edilizia, che sul piano teorico possono considerarsi nitide, ma che sul piano operativo possono implicare non pochi margini di opinabilità, considerando che la verifica in concreto della gravità della irregolarità urbanistica è demandata, per legge, alle amministrazioni municipali, le cui normative ed i cui orientamenti interpretativi non sempre forniscono criteri di valutazione idonei ad orientare con chiarezza e certezza le valutazioni dei tecnici delle parti contraenti, e allo stesso Notaio rogante, oltre che, in seconda battuta, al giudice amministrativo. Infine, il Collegio remittente evidenzia la necessità che la pronuncia delle Sezioni Unite chiarisca, in virtù di un bilanciamento tra le esigenze del contrasto all’abusivismo e le esigenze di tutela dell’acquirente, in che misura la difformità tra “concesso” e “costruito” assuma rilevanza ai fini della validità dell’atto traslativo.   

5. La “terza via”: la nullità testuale

Dopo aver delineato lo stato dell’arte di una questione tanto controversa da condurre alla rimessione della stessa alle Sezioni Unite con l’ordinanza depositata il 30.7.2018, n. 20061, è interessante dar conto di un terzo orientamento, espresso dalla dottrina prevalentemente in ambito notarile, che tenta di superare il contrasto interpretativo corrente, suggerendo di valutare la questione da altro piano prospettico. Più che distinguere tra nullità formale e nullità sostanziale, infatti, potrebbe concludersi per la sussistenza di un’unica nullità: quella “testuale”. Con tale espressione, in stretta adesione al dato normativo, s’intende l’invalidità assoluta determinata dall’assenza di menzioni urbanistiche cui non può che corrispondere, sul profilo “sostanziale”, il mancato rilascio ab origine del titolo edilizio abilitativo. Ovverosia, data l’imprescindibile coincidenza tra requisito formale e requisito sostanziale, l’incommerciabilità del fabbricato potrà determinarsi solo in caso di costruzione in assenza di titolo edilizio ovvero in totale difformità dallo stesso. La vexata quaestio circa la natura della nullità in materia urbanistica, fondata sull’alternativa nullità formale/nullità sostanziale, appare, quindi, mal posta. In armonia con quanto detto, allora, la circostanza che per la validità degli atti traslativi o divisionali di fabbricati occorra la coesistenza sia del requisito formale che del requisito sostanziale altro non è che una diversa connotazione della medesima forma di invalidità negoziale. A ben vedere, infatti, la nullità in questione non può che essere una ed una soltanto, in ragione della considerazione che il requisito sostanziale è il presupposto stesso per l’esistenza del requisito formale. Difatti, se non sussiste il requisito sostanziale non può neppure essere rispettato il requisito formale. Il rispetto del requisito formale richiede che i titoli edilizi citati, relativi alla vicenda costruttiva o ad una eventuale ristrutturazione “pesante”, effettivamente esistano e siano riferibili al fabbricato negoziato ovvero, in caso di autodichiarazione di costruzione anteriore al 1° settembre 1967, che tale circostanza corrisponda effettivamente al vero. Il requisito formale non potrà ritenersi rispettato se la dichiarazione resa è falsa ovvero se il fabbricato, contrariamente a quanto dichiarato, non è stato costruito prima del 1° settembre 1967 ovvero se il titolo citato non esiste ovvero se il titolo citato si riferisce ad altro e diverso fabbricato ovvero se il fabbricato è stato costruito o ristrutturato in totale difformità dal titolo citato, per cui non può in nessun modo essere riferibile al progetto approvato col titolo citato. Pertanto, anche la cd. “nullità sostanziale” in realtà va ricondotta alla nullità per mancanza delle menzioni, posto che la menzione riportata, in quanto non riferibile, per uno dei motivi sopra illustrati, al fabbricato negoziato, è tamquam non esset; si può parlare al riguardo, più correttamente, di “nullità testuale” (secondo alcuni autori documentale) proprio per distinguerla sia dalla cd. “nullità formale” che dalla cd. “nullità sostanziale”. In definitiva, con l’espressione “nullità formale” si fa riferimento alla nullità cagionata dalla sola mancanza delle menzioni urbanistiche, nullità comunque esclusa dalla presenza di dette menzioni anche se non corrispondenti al vero; con l’espressione “nullità sostanziale” si fa riferimento alla nullità generata dalla irregolarità urbanistica grave dell’immobile negoziato; e, infine, con l’espressione “nullità testuale” si fa, invece, riferimento alla nullità originata dalla mancanza delle menzioni urbanistiche, ossia del requisito formale, che è l’unica prevista dalle norme in commento, nullità che rimane esclusa solo se le suddette menzioni corrispondono al vero, con la conseguenza che risulterà incommerciabile il fabbricato costruito in assenza di titolo edilizio ovvero in totale difformità dal titolo rilasciato, non potendo l’atto traslativo o divisionale avente per oggetto un simile fabbricato essere corredato dalle prescritte menzioni urbanistiche. Concludendo, per la validità di un simile atto, requisito formale e requisito sostanziale debbono coesistere, non sussistendo alcuna necessità di configurare due distinte nullità al fine di dare rilevanza, per la validità dell’atto, oltre che al requisito formale anche al requisito sostanziale. Ed in vero, la coesistenza tra i due requisiti non va considerata su un piano “orizzontale”, come se si trattasse di due requisiti autonomi e distinti tra di loro, il cui concorso sia necessario per evitare la nullità dell’atto, ma vanno considerati piuttosto, sotto un profilo “verticale”: a monte sta il requisito sostanziale, a valle si pone invece il requisito formale; in pratica il “requisito formale”, l’unico richiesto dalla normativa vigente per la validità dell’atto, non può neppure considerarsi esistente se a monte non sussiste il requisito sostanziale, che ne costituisce, pertanto, il presupposto indefettibile di sussistenza.

6. Considerazioni a margine

La questione, proteiforme e paradigmatica, circa la natura della nullità degli atti negoziali di trasferimento di immobili irregolari sotto il profilo della legge urbanistica, col passare del tempo, ha assunto le sembianze di un giano bifronte che vede coesistere all’interno della medesima categoria giuridica della nullità urbanistica due diverse anime: quella formale e quella sostanziale, espressione delle contrapposte esigenze di lotta all’abusivismo edilizio e di tutela del legittimo affidamento dell’acquirente in buona fede. A parere di chi scrive, e sulla premessa che la teoria mediana della nullità “testuale” altro non è che una proiezione verticale della tesi “formalistica”,  l’unica costruzione giuridicamente coerente con la ratio legislativa, nonché rispettosa dei principi garantistici che informano il nostro ordinamento e che vietano, tra l’altro,  l’applicazione analogica di sanzioni a fattispecie non previste dal legislatore, è solamente la teoria della nullità “formale”. A ben vedere, infatti, la problematica cambia connotati a seconda della prospettiva dalla quale si ci approccia alla stessa, essendo “l’osservatore a determinare l’osservato”. In ragione di questa consapevolezza, occorre depurare la questione giuridica da tutte quelle contaminazioni pratiche che inevitabilmente “sporcano” un approccio squisitamente giuridico. Difatti, sempre più spesso assistiamo ad uno svilimento del diritto civile piegato a ragioni pubblicistiche di cui non è, e non può essere, espressione. L’idea della natura sostanziale della nullità urbanistica, oltreché frutto di una illegittima superfetazione interpretativa, è emblematica di questo tentativo di strumentalizzazione dello ius privatum per il perseguimento di finalità di gestione del territorio di chiara matrice pubblicistica. Si rende necessario, allora, depotenziare l’idea che il legislatore abbia inteso dichiarare guerra serrata all’abusivismo edilizio. Difatti, se così fosse stato, la normativa in esame, non avrebbe dovuto consentire la commerciabilità di beni abusivi allorquando siano oggetto di atti di trasferimento mortis causa o siano oggetto di costituzione di diritti reali di garanzia o servitù. Orbene, acclarato che la nullità sostanziale è frutto più di una forzatura ermeneutica - teleologicamente orientata al perseguimento di finalità pubblicistiche - piuttosto che di un effettivo riscontro normativo, occorre esprimere ulteriori considerazioni a sostegno del rifiuto della tesi sostanzialistica, questa volta di carattere eminentemente pratico. Questa, infatti, risulterebbe anzitutto lesiva del principio di certezza del diritto, affidando a valutazioni opinabili degli uffici tecnici comunali la compatibilità degli immobili compravenduti allo strumento autorizzatorio, nonché comporterebbe in capo al notaio, vera e propria vittima di una simile impostazione, un onere di accertamento in concreto della compatibilità del titolo concessorio con l’edificio realizzato che risulterebbe sproporzionato, inaccettabile e contrario alle funzioni riconosciute allo stesso. Inoltre, parrebbe che una simile impostazione possa risultare foriera di enormi pregiudizi per l’acquirente, che in buona fede ha fatto legittimo affidamento sulla regolarità della operazione compiuta. Ed infatti, oltre alle evidenti difficoltà di azionamento dei mezzi recuperatori del prezzo versato, l’acquirente in buona fede, qualora la stipulazione del contratto sia risalente nel tempo, rischierebbe di rimanere sfornito di tutela recuperatoria del prezzo versato in virtù dello spirare dei termini di prescrizione dell’azione stessa. È noto, infatti, che la sentenza che accerta la nullità del regolamento contrattuale ha natura dichiarativa, come tale esplica i suoi effetti ex tunc. Palese, allora, risulta essere l’estrema ingiustizia del risultato pratico di una simile impostazione che danneggerebbe l’acquirente in buona fede a vantaggio dell’alienante che non solo in sede di stipulazione ha fornito dichiarazioni non veritiere, ma che (verosimilmente) è anche l’autore dell’abuso, il quale vedrebbe il bene compravenduto ritornare nella sua sfera patrimoniale in virtù della declaratoria di nullità dell’atto di trasferimento e, con la complicità del tempo, si parrebbe al riparo anche da eventuali richieste restitutorie essendo maturati i termini di prescrizione della stessa. Né tanto meno, una eventuale negligenza dell’acquirente con riferimento all’onere di verifica della regolarità urbanistica dell’immobile acquistato, è idonea a dare fondamento ad una simile impostazione, rilevando tutt’al più in sede di perimetrazione del risarcimento dei danni patiti. Non ci resta che attendere la pronuncia del Supremo Consesso della Corte di Cassazione, auspicando un ritorno al diritto.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cass., 05.07.2013,  n. 16876.
[2] Cass., 17.10.2013, n. 23591, e Cass., 05.12.2014,  n. 25811.
[3] Cass. 15 giugno 2000 n. 8147: “l’art. 40 legge 47/1985 detta una prescrizione puramente formale tanto che, a prescindere dalla regolarità effettiva dell’immobile, il contratto sarà comunque nullo se carente delle dichiarazioni prescritte”.
[4] Cass. 24 marzo 2004 n. 5898.
[5] Cass. 19 dicembre 2006 n. 27129 (con riguardo specifico ad un preliminare con il quale veniva promesso in vendita un immobile abusivo non sanabile).
[6] Cass. 5 luglio 2013 n. 1687.
[7] Cass. 5 luglio 2013 n. 16876.
[8] Cass. 7 dicembre 2005 n. 26970.