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Pubbl. Dom, 12 Apr 2015

Guerra, spazi e globalizzazione secondo il pensiero di Carl Schmitt

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Gian Marco Lenzi


La riflessione di Carl Schmitt sui temi della guerra e della globalizzazione.


Un’occupazione di terra, ad avviso del giurista, istituisce diritto secondo una duplice direzione: verso l’interno e verso l’esterno. Verso l’interno, cioè internamente al popolo oc-cupante, viene creato, con la prima “misurazione” e “spartizione” del suolo occupato, il primo ordinamento di tutti i rapporti di possesso e di proprietà. […] Verso l’esterno, invece, un gruppo si trova posto dinanzi ad altri popoli e potenze che occupano terra o ne prendono possesso.

(Carl Schmitt - I nomos della terra)

 

Il tema di questo mese

Come ho fatto per lo scorso mese, vorrei iniziare a delineare quale sia il tema di cui parleremo il prossimo, all’interno della mia rubrica settimanale.

Quello di cui parleremo sono dei temi etichettatili come “I drammi dell XXI secolo”: mi riferisco a tutte quelle situazioni drammatiche e quelle prospettive, in un certo senso irrisolvibili, rispetto a cui l’umanità dovrà in qualche modo contrapporsi, o su cui dovrà riflettere, per non soccombere. Queste “prospettive e situazioni” sono fenomeni generalmente avvertiti come assolutamente negativi o, almeno per la maggior parte delle persone, eliminabili oppure necessari allo stato delle cose attuali. Mi sto riferendo, ad esempio, a fenomeni come la guerra, la globalizzazione, l’ecologia, l’immigrazione, la schiavitù etc.

Questi temi verranno affrontati secondo tre “chiavi metodologiche”. La prima, è che si cercherà di utilizzare autori e argomentazioni che, in qualche modo, riguardano le tematiche della filosofia del diritto. La seconda, invece, consiste nella volontà sistematica di tratteggiare, per l’argomento o gli argomenti della settimana, una dinamica che spieghi il motivo o la provenienza del fenomeno: cercare, quindi, di comprendere come mai e in che modo, queste “prospettive e situazioni” sono così attuali anche se vittime di bisogni umani o conseguenze di un processo storico, in un certi senso, percepibile. La terza è di voler ragionare in modo alternativo su questi temi, provando a presentare delle riflessioni che tentino, in qualche modo, di spiazzare il lettore o che sono opposte a quelle che è il solito modo di pensare questi argomenti.

 

L’ articolo

Siamo abituati a pensare la guerra come la problematica numero uno per l’umanità. L’effetto provocato dalle due guerre mondiali sulla nostra sensibilità e, ad esempio, il ricordo ancora “fresco” dall’uso delle bombe nucleari durante i conflitti, hanno e continuano ad avere nell’immaginario comune un posto di primo piano in quello che possiamo definire come il male assoluto o una delle “vergogne” dell’umanità

Un altro fenomeno, molto più recente, ma con pareri contrastanti e opposti, è quello della globalizzazione: certamente pensiamo a questi due fenomeni come distanti e slegati, e sicuramente posti in sedi differenti del nostro immaginario etico.

Ma in che relazione stanno questi due fenomeni, come si valutano e, soprattutto, e cosa c’entra con essi il pensiero di un teorico famoso, ma che ha diviso per molto gli studiosi, come Carl Schmitt? Proviamo a seguire il filo rosso di questi concetti, iniziando dall'abbozzare alcuni punti teorici fondamentali del grande giurista tedesco.

A mio parere - lo stesso immagino anche di molti altri studenti di Giurisprudenza - Schmitt non è uno dei pensatori che più colpisce durante gli studi di filosofia del diritto. Questo principalmente per due motivi.

Il primo motivo è senz’altro il legame mai negato, seppur con strappi e con una certa opposizione per alcuni anni, con il regime nazista. L’altra ragione è nell’apparente semplicità e scontentezza dell’analisi, nonché della crudezza delle sue sentenze totalmente opposte con la mai visione del mondo dell’uomo. 

Ristudiandolo dopo tempo, e pur conservando intatta la mia prima ragione di “distacco”, devo ricredermi totalmente sulla seconda: oggi per me è facile dire che la riflessione  del teorico tedesco presenta una profondità incredibile e, ancora più importante, il suo pensiero risulta fondamentale per capire l’evoluzione e le caratteristiche del “politico” e le dinamiche dell’attualità dell’occidente. Proprio per lo spirito della tematica del mese, che ho spiegato poc’anzi, ritengo che discutere di Schmitt sia utile per riflettere sopra due dei drammi della modernità: la “guerra” e la “globalizzazione”.

Ma cosa centrano questi due concetti con la riflessione di Schmitt e in che cosa consiste quest’ultima? 

Possiamo individuare, per riassumere, la base del ragionamento del teorico tedesco nel concetto di “politico” (non di politica).  Il politico è una dimensione della comunità inscindibile e laddove c’è una comunità e uno spazio territoriale definito, che è quello fondamentale in cui la comunità si definisce e si confina in opposizione alle altre, c’è (e ci sarà sempre) “politico”. Ciò vuol dire che per Schmitt il politico è la mera contrapposizione fra un amico (pubblico) "interno" e un nemico (pubblico) "esterno" a una determinata comunità, in determinato spazio. Per un semplice esempio, lo Stato italiano è il territorio dove lavora il politico, cioè entro i suoi confini, in contrapposizione a chi ne è fuori (altri Stati e gli stranieri, cioè i loro cittadini).

La possibilità di gestione e di organizzazione di questo spazio è dovuto al nomos, che è un altro punto fondamentale dell’architettura teorica sviluppata dal pensatore tedesco. Per nomos si intende il “risultato” di 3 fasi di quella che è al giustificazione della sfera politica in un determinato spazio: cioè la presa della terra, la divisione e la spartizione della proprietà e infine la organizzazione/produzione/consumo. Queste tre attività sono “il legame” dello Stato e chi è dentro con quel territorio: il nomos è infatti “della terra”.

Queste 3 fasi che si identificano nel nomos, sono il “soppalco” che lega e giustifica l’ordinamento costituito in uno spazio e, di conseguenza, la legittimazione della presenza di una comunità in quello spazio.

La difesa dello spazio in contrapposizione a quello di un altra comunità è lasciato nelle mani del “politico - come contrapposizione” ed è devoluto allo Stato (il soggetto politico per eccellenza, per Schmitt): ovvero sono devoluti ad esso la gestione di tutte le misure necessarie alla salvaguardia di questo spazio-in-opposizione e di chi ci vive.

Questa opposizione non è amichevole, ma lo è soltanto nel limite in cui essa è necessaria (per i fini della comunità). Lo scontro legittimo e più “onesto” per contrapporsi è la lotta: la guerra.

La stessa struttura di Stato porta con sé delle “conseguenze” necessarie secondo Schmitt. La prima è che non ci può essere un solo Stato (come ad esempio uno Stato mondiale), un solo spazio del politico, ma solo tante pluralità in contrapposizione. La seconda è che questa relazione in contrapposizione porta necessariamente a relazionarsi con la guerra tra di essi: quindi è possibile dire che la struttura di politica-come-Stato ha come conseguenza la guerra contro un altra struttura della guerra (un altro Stato). 

La necessarietà di questa forma è una necessarietà “naturale”: guerra, spazio e politico sono certamente, per il giurista tedesco, dimensioni conseguenti a quella che è la natura umana. E' inutile pensare in modo negativo la guerra per Schmitt, essa è necessaria come il solo modo per definire la comunità e la sua presenza nello spazio. Anzi, la guerra, come diretta dalla politica verso un punto-obbiettivo unico, che è il nemico, è essenziale per convogliare quella che è la violenza naturale dell’essere umano. 
La guerra è giusta e necessaria: la relazione del politico nella sua forma più naturale, pura e perfetta.

In conclusione, per Schmitt, se la guerra e gli spazi (confinati politicamente) sono “buoni e giusti”, quali forme perfette di contenitori del politico nella storia dell’occidente, riconoscibili negli Stati moderni, c’è però un fenomeno che per il tedesco riconosce come il male assoluto, nonché guastatore di questa “ideale” struttura: la globalizzazione.

La globalizzazione è la fine del nomos. La perdita di ogni confine e ogni “terra”, ma anche ogni distanza, che era ben salda nel corso del 1800 si sta ora sfaldando grazie alla tecnologia e all’economia mondiale. Ora la guerra attuale per Schmitt non si individua più nella terra e nella contrapposizione di spazi fisici (amico/nemico/politico) ma è una guerra civile mondiale, dove l’ingerenza degli Stati economicamente e politicamente più potenti rendono il mondo come “uno Stato mondiale” o dei “grandi spazi” slegati dai nomos

Con questo sistema la guerra civile mondiale (“il terrorismo”, quindi) potrebbe essere senza fine, senza i limiti dei confini e qualcosa da conquistare, dato che non vi è più. Senza lo straniero non ci sono riferimenti per il nemico che rimane, “solo”, l’umanità stessa. Lo Stato mondiale è per Schmitt l’ultima chiamata per l’umanità che perde se stessa. Creare uno Stato mondiale senza opposizioni potrebbe portare, sempre seguendo il modello di Schmitt, a non poter più convogliare e “ritualizzare” la violenza.

Il pensiero di Schmitt deve essere tenuto ben in mente per analizzare il mondo attuale e, come sottolineato all’inizio, nonostante le critiche che ha ricevuto, in un certo modo si sta avverando questa “profezia”

Un pensiero che poteva essere sconcertante nasconde una profondità di riflessione che ho solo toccato con superficialità in questo articolo. 

Vale la pena chiedersi, in conclusione, se l’uomo possa vivere senza la guerra e che posto, e in che modo, essa deve esser ripensata nella sua essenza. Siamo così sicuri che la guerra sia il male assoluto o essa è solo un male necessario?

 


Bibliografia
  • G. Marramao, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, Boringhieri, Torino, 2003.