• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 8 Apr 2015

Il necessario bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto alla privacy in tema di intercettazioni: nuove proposte di riforma.

Modifica pagina

Maria Gabriella Laratta


Il Governo Renzi annuncia nuove norme in tema di intercettazioni: potere discrezionale dell´Autorità Giudiziaria di stabilire la rilevanza e la irrilevanza della Intercettazione per il successivo processo, introduzione di nuove forme di intercettazione e nuove figure di reato con sanzioni pecuniarie e detentive più severe.


L’intervento legislativo in tema di intercettazioni, nonostante sia sentito da anni come necessario e quanto più urgente, è una questione ancora molto lontana dall’essere affrontata.  Ogni volta che viene meno il segreto istruttorio alla chiusura delle indagini preliminari i mass media divulgano i contenuti delle intercettazioni che coinvolgono rappresentanti delle Istituzioni quali, Ministri, Parlamentari e fin anche Presidenti della Repubblica. In seguito all’ondata ciclica di scandali, puntualmente, i vertici politici annunciano interventi in materia che vengono sempre procrastinati e mai realizzati.

Le intercettazioni sono mezzi di prova di prova disciplinati dagli artt. 266-271 del codice di procedura penale[1], disposizioni da leggere e interpretare alla luce della tutela costituzionale sancita dall’art. 15 della Costituzione: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”.

Anche questa norma, come tante altre, rappresenta il contrappasso di un periodo, come quello fascista repressivo di un ogni diritto che oggi viene invece proclamato “inviolabile” dalla Costituzione del ’48.

Le intercettazioni di comunicazioni si presentano come uno strumento investigativo e di ricerca della prova estremamente invasivo e, pertanto, le limitazioni alla riservatezza delle comunicazioni, sia dei soggetti indagati sia dei terzi che con essi interloquiscono, devono avvenire in conformità delle prescrizioni del comma 2 dell’art. 15 Cost., che nello specifico sono la riserva di legge e la riserva di giurisdizione.

Per quanto attiene alla riserva di giurisdizione l’art. 267 c.p.p. prescrive la necessità di un provvedimento[2] da parte dell’autorità giudiziaria e, soprattutto il mezzo di prova dell’intercettazione deve essere “indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.”

Ma a fronte del requisito dell’indispensabilità, le autorità investigative ne hanno fatto e ne fanno un largo uso soprattutto per arginare e contrastare i fenomeni di criminalità organizzata e di corruzione che, proprio alla luce dei contenuti delle intercettazioni stesse, portano a galla il clientelismo e il lassismo delle quali sono contemporaneamente colpevoli e vittime sempre più le nostre Istituzioni, da cui dovremmo sentirci protetti e rassicurati e che invece ci fanno sentire solo piccole marionette in un sistema di poteri forti e subdoli.

Per quanto riguarda, invece, la riserva di legge, costituzionalmente sancita anch’essa all’art. 25, co.2 Cost.[3], viene ormai costantemente violata. È stata la Corte Costituzionale a sopperire alla mancanza di un intervento legislativo, a partire dagli anni ’70 ad oggi, con tutta una serie di pronunce il cui filo conduttore, si snoda lungo un percorso ermeneutico abbastanza lineare che enuclea, all’interno dell’art. 15 Cost., due distinti interessi di pari rango costituzionale: quello relativo alla libertà e segretezza delle comunicazioni, radicato nel comma 1 dell’art. 15 in connessione con l’art. 2 Cost.; e quello inerente all’esigenza di prevenire e reprimere i reati che, implicitamente richiamato dal comma 2 dell’art. 15 Cost., giustifica la possibilità ivi prevista - sia pure subordinatamente alla sussistenza della doppia riserva di legge e di giurisdizione - di operare restrizioni alla libertà enunciata dal comma 1.[4]

Proprio la Consulta è intervenuta, soprattutto sul tema dell’utilizzabilità, anche sulla relativa disciplina andandone a modellare via via il contenuto. Intervento che a ben vedere sconvolge il principio della ripartizione dei poteri, eredità di Montesquieu, quale Paese di Civil Law, in cui al potere giurisdizionale spetta solo la funzione di applicazione e interpretazione della legge, mentre spetta solo a quest’ultima statuire sulle situazioni giuridiche soggettive.

Sono due le sfere che con l’utilizzo delle intercettazioni vanno ad essere intaccate: da un lato il diritto di privacy di quei soggetti verso i quali non è stata disposta alcuna intercettazione ma che si ritrovano ad essere intercettati avendo avuto conversazioni con l’utenza oggetto di intercettazione, si tratta delle c.d. intercettazioni indirette aventi natura casuale; dall’altra il diritto/dovere degli operatori del settore dell’informazione, siano essi televisivi, di carta stampata e del Web, di diffondere e divulgare ciò che è di interesse pubblico.

Occorre bilanciare, in un’ottica di ragionevolezza, due diritti che trovano entrambi copertura costituzionale.

Per quanto attiene al primo profilo la tutela del diritto alla privacy è sentita maggiormente meritevole di tutela quando il “terzo estraneo” è un Parlamentare che, spesso e volentieri, pur non essendo indagato, si ritrova sulle pagine dei più importanti quotidiani italiani alla gogna dell’opinione pubblica per la quale è evidentemente già colpevole.

Un primo tentativo di tutela del diritto alla privacy di questi soggetti è rappresentato dalla L. 140 del 20 giugno del 2003, meglio nota come il c.d. Lodo Schifani.

È precisamente l’art. 6 del suddetto Lodo ad occuparsi del tema delle intercettazioni. Il 1° e il 2° comma dell’art. 6 distinguono a seconda che il giudice delle indagini preliminari ritenga irrilevanti, ai fini del procedimento, i verbali e le registrazioni delle conversazioni o comunicazioni intercettate alle quali abbiano occasionalmente preso parte dei membri del Parlamento, ovvero che li ritenga rilevanti.

Nel primo caso è stabilito che le risultanze debbano essere integralmente distrutte a norma dell’art. 269, co. 2, 3 c.p.p.; nella seconda ipotesi è necessario, perchè possano essere utilizzate, richiedere l’ autorizzazione della Camera di appartenenza del Parlamentare. Nell’ipotesi di denegata autorizzazione il comma 5 dell’art. 6 è tassativo in quanto dispone che “la documentazione delle intercettazioni deve essere distrutta immediatamente e comunque non oltre dieci giorni dalla comunicazione del diniego.”.

La norma ha destato perplessità in termini di ragionevolezza laddove, in caso di intercettazioni indirette e casuali, nelle quali siano coinvolti soggetti terzi estranei nel senso appena specificato, siano comunque rilevanti per la posizione del soggetto indagato la cui utenza è stata messa sotto controllo.

Su questo aspetto è intervenuta la Corte Costituzionale che, con sentenza n. 390 del 23 novembre 2007, ha dichiarato l’illegittimità - per contrasto con gli artt. 3 e 68 comma 3 Cost., dell’art. 6, co. 2, 5, 6, “ nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettazioni[5]

Per tentare di comprendere pienamente il secondo profilo e quindi la rilevanza della problematica relativa alle operazioni di intercettazione, deve adesso farsi riferimento al tema, generale, della segretezza degli atti di indagine.  A questo proposito, deve essere subito evidenziata la vigenza, nel nostro ordinamento del principio in forza del quale il corso delle indagini preliminari deve caratterizzarsi per la sua segretezza (o, se si preferisce, per la sua non pubblicità), diversamente da quanto avviene nella successiva fase dibattimentale, che si svolge, a seguito dell’esercizio della azione penale, davanti al giudice, e che si ispira, invece, salvo eccezioni[6], al principio della pubblicità e della piena conoscibilità degli atti, da parte del pubblico[7].

Stando a quanto appena detto quindi vige il divieto di pubblicazione delle risultanze delle intercettazioni nelle more delle indagini preliminari, divieto che verrebbe quindi meno con l’esercizio dell’azione penale da parte del Magistrato del Pubblico Ministero, con la quale viene meno il segreto istruttorio. Nella prassi constatiamo, tuttavia, che questo divieto non viene più quasi mai rispettato[8].
Ecco il motivo per il quale emerge da più parti la necessità di una riforma in materia che detti norme che sappiamo fungere da ago della bilancia tra il diritto di cronaca e il diritto alla privacy. Riforma che anche l’attuale Governo, presieduto da Matteo Renzi sembra voler affrontare. Ed infatti la Commissione istituita a Palazzo Chigi e presieduta dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, si è espressa anche, e non soltanto sul tema delle intercettazioni.

Quali sono i punti chiave di questa proposta?

  • Divieto di pubblicazione delle intercettazioni considerate irrilevanti;
  • Introduzione del reato di “Pubblicazione arbitraria di intercettazione”, e dell'art. 595 bis, punito con una sanzione da 2.000 a 10.000 euro, o con la detenzione da due a sei anni;
  • Introduzione di nuove forme di intercettazioni quale le riprese video;
  • Introduzione della intercettazione epistolare: previa autorizzazione del giudice si potrebbe venire a conoscenza del contenuto delle lettere in maniera clandestina, facendole recapitare regolarmente senza che il destinatario sappia che quella corrispondenza, prima di giungere nelle sue mani, lungo il tragitto è stata bloccata, letta e interpretata, prima dalla polizia giudiziaria e poi dai magistrati.

La proposta è, quindi, quella non di privare o limitare l’utilizzo delle intercettazioni da parte delle autorità investigative che possono rivelarsi in certe situazioni davvero fondamentali, ma sul fattore “pubblicazione”; si ritiene che, una volta svolte e chiuse le dovute indagini preliminari, sarà l’autorità giudiziaria a decidere quali sono quelle rilevanti e necessarie per il successivo processo, e quindi pubblicabili, e quelle che, coinvolgendo terze persone sono irrilevanti, e per il rispetto del diritto della privacy e proprio di quel diritto di segretezza ex art. 15 Cost. di quest’ultimi è opportuno che non cadano in pubblico dominio.

Ancora una volta, se per un verso è apprezzabile l’intento, per altro non è sempre facile distinguere tra la rilevanza e la non rilevanza soprattutto quando ad essere coinvolta è la stessa cosa pubblica. Come si fa, ad esempio, a nascondere ai cittadini italiani che, per rimanere alle ultime vicende giudiziarie che la cronaca ci racconta, ad essere in qualche modo coinvolto è l’attuale Ministro delle Infrastrutture?[9]

Un pericolo possibile che si può intravedere nella nuova suddetta proposta è quello che essa stessa si possa prestare ad intenti corruttivi. Infatti, dal momento che la decisione circa la rilevanza o meno del contenuto delle intercettazioni sarebbe oggetto del potere discrezionale dell’Autorità Giudiziaria, nulla impedisce che quest’ultima possa essere vittima di tentativi corruttivi.

Allo stato attuale, non essendoci infatti distinzione tra intercettazioni rilevanti e irrilevanti tutte le intercettazioni al termine delle indagini preliminari diventano pubbliche e potenzialmente pubblicabili; ragion per cui il corruttore dovrebbe portare il corrotto a violare il principio di legalità. Così se invece la proposta avanzata dal Governo Renzi dovesse essere tramutata in legge dello Stato, al corruttore basterebbe fare leva sulla discrezionalità della Autorità Giudiziaria relativa alla distinzione tra irrilevanti e rilevanti e quest’ultima non violerebbe il principio di legalità ma si troverebbe a rispondere solo e soltanto alla propria etica morale, potendo infatti sempre nascondersi dietro alla irrilevanza dell’intercettazione, rendendo altresì più difficile provare l’avvenuto reato di corruzione.

Ennesima dimostrazione  di come la soluzione può aggravare il problema o nel caso particolare crearne uno nuovo.

 


[1] Per una disamina delle disposizione si veda il Compendio di  procedura Penale, Cedam, Giovanni Conso, Vittorio Grevi e Marta Bargis.

[2] Si tratta nello specifico di un decreto motivato.

[3] Art. 25 Cost. “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

[4] Si veda nello specifico la storica sentenza n. 34 del 1973.

[5] In ordine di tempo preme segnalare oltremodo il decreto legge del settembre 2006 che ha inteso regolare più dettagliatamente le ipotesi di   assunzioni ed utilizzo di intercettazioni che nascano, di per sé, illegali.

[6] Trattasi in primis della disciplina dettata dall’art. 270 bis del c.p.p.

[7] Gabriele Zampagni, Difesa della Privacy, Intercettazioni e segreto d’indagine: Il problema di due diritti in conflitto, in Il diritto di tutti, Giuffrè Editore, 2006.

[8] Per ragioni di completezza espositiva si ricorda il Provvedimento generale del  21 Giugno 2006 emanato dal Garante della Privacy in materia di giornalismo e intercettazioni telefoniche finalizzato a richiamare espressamente gli operatori del settore della stampa al rispetto scrupoloso  delle norme dettate dal codice di procedura penale, dal codice della privacy, dal codice deontologico dei giornalisti e ai principi affermati dall’Authority, nel corso degli anni.

[9] Si precisa che l' ex Ministro Lupi non risulta essere Indagato a seguito del recente scandalo afferente alle “Grandi Opere”.