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Pubbl. Gio, 24 Gen 2019

Le Sezioni Unite in tema di successione di leggi penali nel tempo e reati a evento differito

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Ilaria Taccola
AvvocatoUniversità di Pisa


”In tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta” Sezioni Unite, 19 luglio 2018 n. 40986


Sommario: 1. Premessa; 2 Il caso; 3. Le Sezioni Unite

1. Premessa

Quando un fatto costituente reato si verifica in parte sotto la vigenza di una legge e in parte sotto un’altra legge, viene in rilievo la questione in merito all’individuazione del “tempus commissi delicti”.

Con l’espressione “il tempo del commesso reato” si fa riferimento al dibattito in merito alla legge da applicare al reato, ai sensi della successione delle leggi nel tempo ex art. 2, quarto comma c.p.

Infatti, per quanto riguarda i casi più dibattuti, vengono in rilievo i reati a tempo plurimi, ossia i reati a esecuzione frazionata e i reati a evento differito.

In relazione ai reati a evento differito, nei quali l’evento si verifica in un tempo successivo alla condotta, la questione dibattuta attiene all’individuazione della legge applicabile quando interviene una successione di leggi nel tempo nell’intervallo di tempo intercorrente tra la verificazione della condotta e dell’evento.

Mancando una nozione all’interno del codice penale, la dottrina ha elaborato tre teorie.

Il primo criterio è quello della condotta che considera commesso il reato quando si è realizzata l’azione o l’omissione. Il secondo criterio è quello dell’evento che individua il momento consumativo del reato quando si è verificato l’evento. Più precisamente, il criterio dell’evento considera come commesso il reato quando la fattispecie incriminatrice è completa in tutti i suoi elementi costitutivi. Infine, l’ultimo criterio è quello misto che ritiene che si dovrebbe utilizzare la teoria della condotta o dell’evento a seconda del risultato più favorevole per l’agente.

Secondo autorevole dottrina[1], il criterio più adeguato è quello della condotta perché è in quel momento che il reo decide di violare la legge penale e pertanto, quest’ultimo non può essere punito in base a una legge più sfavorevole di quella in cui ha realizzato la condotta incriminatrice.

Di conseguenza, nei reati unisussistenti si deve individuare il momento in cui è avvenuto l’unico atto della condotta. Nei reati a condotta frazionata, si deve fare riferimento all’ultimo atto della condotta. Nei reati permanenti e nei reati abituali si deve guardare all’ultimo atto e non al primo atto con cui si inizia la permanenza o l’abitualità. Nei reati omissivi, si deve individuare il termine entro il quale l’agente dovrebbe compiere l’obbligo giuridico. 

2. Il caso

In data 02/01/16, l'imputato F.P. alla guida della propria autovettura investiva P.B., in prossimità di un attraversamento pedonale. Successivamente, in data 29/08/16, interveniva la morte della persona offesa a causa del sinistro stradale.

A seguito della sentenza di patteggiamento, pronunciata il 28/06/17 dal G.U.P. di Prato, all’imputato veniva applicata la pena di anni uno di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 589-bis c.p. poiché “cagionava per colpa la morte di B. P.”.

La pena base di due anni di reclusione è stata diminuita per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche fino a un anno e quattro mesi di reclusione; ridotta a un anno di reclusione per la scelta del rito.

Più precisamente, all’imputato è stata applicata la nuova disciplina dell’omicidio stradale ex art. 589 bis c.p., introdotto dalla legge 23 marzo 2016 n. 41 che ha previsto un trattamento sanzionatorio più rigoroso rispetto alla previgente disciplina.

Invero, il cosiddetto omicidio stradale veniva sanzionato attraverso l’applicazione dell’art. 589, secondo comma c.p. che prevedeva l’applicazione di una circostanza aggravante nel caso in cui l’omicidio fosse avvenuto a causa della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

Di conseguenza, la pena base ai sensi del previgente ex art. 589, secondo comma c.p. era da due a setti anni, ma essendo una circostanza aggravante a differenza dell’art. 589 bis c.p., soggiaceva alla disciplina del bilanciamento delle circostanze ex art. 69 c.p.

La nuova disciplina ex art. 589 bis c.p. oltre a essere un’autonoma fattispecie incriminatrice, prevede anche l'applicazione obbligatoria e automatica della sanzione amministrativa della revoca della patente di guida per un periodo minimo di cinque anni.

Pertanto, l’imputato, a mezzo del proprio difensore ricorreva in Cassazione adducendo la violazione legge in relazione all’art. 589 bis c.p., poiché la fattispecie ascritta è entrata in vigore in un'epoca successiva al momento della commissione del reato.

Tale applicazione contrasta con il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole ex art. 25 Cost e il divieto di retroattività dell’art. 7 CEDU. Secondo l’impostazione del ricorrente, infatti, si sarebbe dovuto applicare al caso di specie la legge vigente al momento della condotta.

Essendo dibattuta la questione,[2] la quarta sezione della Cassazione[3] ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione:

“Se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell'evento.”

3. Le Sezioni Unite

Le Sezioni Unite[4] prima di enunciare il principio di diritto, ripercorrono le argomentazioni sostenute dai due orientamenti richiamati.

Il primo orientamento[5] sosteneva che nel caso in cui sia intervenuta una legge successiva nell’intervallo di tempo tra la condotta e l’evento, per individuare la disciplina applicabile si dovesse fare riferimento al momento della consumazione del reato. Tale decisione poggiava sull’assunto per cui l’art. 2, quarto comma c.p. facesse riferimento al tempo in cui è stato commesso il reato e pertanto si interpretava tale dizione, ritenendo equivalente la commissione del reato al momento consumativo. Pertanto, la legge modificativa più favorevole poteva essere applicata soltanto se fosse intervenuta al momento della verificazione dell’evento.

Al contrario, il secondo orientamento[6], aderendo al criterio della condotta, riteneva che per stabilire la legge applicabile non si doveva guardare al momento della consumazione del reato, ma al momento della commissione del reato. Più precisamente, secondo tale assunto, la commissione del reato non coincide sempre con la consumazione del reato, poiché ci sono dei reati in cui la commissione e la consumazione intervengono in termini temporali differenti.

Secondo tale tesi, l’applicazione retroattiva di una legge intervenuta successivamente alla verificazione della condotta dell’agente collide con il principio di legalità che informa il nostro ordinamento. Invero, il soggetto deve essere messo in grado di conoscere previamente il precetto penale e le conseguenze sanzionatorie che derivano dalla sua violazione. Pertanto, un’applicazione retroattiva della legge più sfavorevole intervenuta al momento della verificazione dell’evento comporterebbe un trattamento sanzionatorio imprevedibile, contrario ai principi costituzionali.

Le Sezioni Unite condividono il secondo orientamento richiamato, a cui aggiungono alcune precisazioni.

Innanzitutto, si evidenzia che il riferimento all’art. 2, quarto comma c.p. alla commissione del reato non assume una portata generale per avallare il criterio della condotta come sostenuto dalla sentenza Bartesaghi[7]. Infatti, per quanto riguarda la prescrizione vi è una disciplina specifica in merito alla decorrenza del termine. Ma, pur non potendo sostenere il il criterio della condotta per l’individuazione del tempus comissi delicti come criterio generale, valido per ogni istituto, la Corte ritiene che il termine “reato commesso” enunciato all’art. 2, quarto comma c.p. sia riconducibile al momento di verificazione della condotta ai fini dell’applicazione della successione di leggi nel tempo.  

Inoltre, la Corte ricorda che il secondo orientamento è più confacente al rispetto dei principi costituzionali e della CEDU. Infatti, il principio di irretroattività della legge più sfavorevole, disciplinato dall’art. 25 Cost. si differenzia dal principio di retroattività della legge più favorevole che trova la sua ratio giustificatrice nell’art. 3 Cost. ed è pertanto suscettibile di limitazioni che devono essere giustificate dal bilanciamento di interessi contrapposti di analogo rilievo.

Viceversa, per il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole viene in rilievo la preventiva prevedibilità delle conseguenze sfavorevoli della propria azione od omissione da parte del soggetto e la salvaguardia della sua libera autodeterminazione. Invero, è nel momento in cui il soggetto agisce e porta a compimento la condotta che il soggetto si pone in contrasto con la norma incriminatrice ed è pertanto quello il momento in cui va individuato il tempus commissi delicti al fine dell’applicazione della successione di leggi nel tempo, anche per salvaguardare la funzione generale di prevenzione della pena.

Infatti, la Corte ricorda anche l’insegnamento della Corte Costituzionale per la quale, analizzando il primo e il terzo comma dell’art. 27 Cost. ha desunto che "alla possibilità di conoscere la norma penale" vada «attribuito un autonomo ruolo nella determinazione dei requisiti subiettivi d'imputazione costituzionalmente richiesti, in quanto tale possibilità è «presupposto della rimproverabilità del fatto, inteso quest'ultimo come comprensivo anche degli elementi subiettivi attinenti al fatto di reato». In questa prospettiva, con specifico riferimento al principio di irretroattività della norma penale sfavorevole, si è sottolineato che, «avuto riguardo anche al fondamentale principio di colpevolezza ed alla funzione preventiva della pena, desumibili dall'art. 27 Cost., ognuno dei consociati deve essere posto in grado di adeguarsi liberamente o meno alla legge penale, conoscendo in anticipo - sulla base dell'affidamento nell'ordinamento legale in vigore al momento del fatto - quali conseguenze afflittive potranno scaturire dalla propria decisione”.

Pertanto, le Sezioni Unite, enunciano il seguente principio “In tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta”.

 

Note e bibliografia

[1] Mantovani, Diritto Penale CEDAM 2017
[2] Vedi “Condotta realizzata con una legge più favorevole ed evento verificato dopo la modifica della sanzione”, su Cammino Diritto
[3] Cass., Sez. IV, ord. n. 21286 del 5 aprile 2018
[4] Cass. Sezioni Unite, n. 40986 del 19 luglio 2018 (dep. 24 settembre 2018)
[5] Cass. sez IV, n 22379 del 17 aprile 2015.
[6] Cass. sez. IV, n. 8448 del 5 ottobre 1972.
[7] Vedi nota n. 5