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Pubbl. Lun, 10 Dic 2018

Omesso versamento dell´assegno periodico di mantenimento in favore dei figli nati fuori del matrimonio

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Ivan Clarice


Il contributo analizza le prime interpretazioni fornite dalla Giurisprudenza a seguito dell´ entrata in vigore del D. Lgs. 21/2018, il quale, intervenendo in materia di delitti contro l´assistenza familiare, ha suscitato un vivo dibattito in relazione alla permanente illiceità penale dell´omissione contributiva del genitore non coniugato


Sommario: 1. L´attuazione del principio della ”riserva di codice” ex D. Lgs. 21/2018; 2. Le prime interpretazionI della Giurisprudenza di merito in ordine alla applicabilità del nuovo impianto normativo ai genitori dei figli nati fuori del matrimonio; 3. Le Ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale; 4. Considerazioni conclusive. 

1. L´attuazione del principio della ”riserva di codice” ex D. Lgs. 21/2018

Con la Legge 23 giugno 2017 n. 103, diretta ad operare incisive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario, veniva, tra l'altro, attribuita delega al Governo ad adottare Decreti Legislativi per la riforma della disciplina di varie materie.

In particolare, con la lettera q) del comma 85 della su indicata Legge si delegava il Governo ad attuare il principio della "riserva di codice" nella materia penale "attraverso l'inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale". Nell'esercizio della delega attribuita il Governo emanava il Decreto Legislativo 21/2018, attraverso il quale, in attuazione della riserva di codice in materia penale, venivano trasferite in un unico articolo le plurime previsioni incriminatrici relative alla sottrazione agli obblighi di natura familiare. Tale operazione veniva perseguita dal Legislatore delegato attraverso:

  1. l'abrogazione dell'art. 12 sexies della Legge 1 dicembre 1970 n. 898 che applicava le pene previste dall'art. 570 c.p. al coniuge (divorziato) che si sottraeva all'obbligo di corresponsione, all'altro ex coniuge e ai figli, dell'assegno di mantenimento;
  2. l'abrogazione dell'art. 3 della Legge n. 54 dell'8 febbraio 2006 che estendeva la previsione incriminatrice dell'art. 12 sexies alle violazioni degli obblighi di natura economica in essa previsti, precisando (nel successivo art. 4 comma 2) che tale disposizione si applicava, tra gli altri, anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati;
  3. l'inserimento, nel corpus del codice penale, dell'art. 570 bis c.p., secondo il quale "le pene previste dall'art. 570 si applicano al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipo di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli".

2. Le prime interpretazionI della Giurisprudenza di merito in ordine alla applicabilità del nuovo impianto normativo ai genitori dei figli nati fuori del matrimonio

Per effetto dell'entrata in vigore della nuova norma, e della correlativa abrogazione delle previgenti previsioni incriminatrici, si pone oggi all'interprete la questione concernente la rilevanza penale dell'omessa corresponsione dell'assegno di mantenimento in favore dei figli nati fuori del matrimonio.

L'art. 570 bis c.p. individua testualmente, quale soggetto attivo del reato di omessa corresponsione, il coniuge. Sarebbero  dunque stati esclusi dal campo di applicazione della norma i genitori dei figli nati fuori del matrimonio, la cui omissione degli obblighi di natura economica, pertanto, non costituirebbe più reato. Accanto alla introduzione dell'art. 570 bis c.p., infatti, il Legislatore delegato ha abrogato, come su precisato, l'art. 3 della Legge n. 54 dell'8 febbraio 2006 che consentiva agevolmente di equiparare, anche dal punto di vista penale, la tutela apprestata in favore dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati in costanza di matrimonio. Chiara e assolutamente costante era, a tal proposito, la Giurisprudenza di legittimità, la quale, in subiecta materia, aveva più volte evidenziato che "In tema di reati contro la famiglia, il reato di omesso versamento dell'assegno periodico di mantenimento, educazione ed istruzione dei figli, previsto dall'art. 12 sexies, Legge 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall'art. 3, Legge 8 febbraio 2006, n. 54) è configurabile non solo nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ma anche in quello di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza" (Ex multis, Sentenza N. 12393/2018).

La questione affrontata nel presente elaborato è stata recentemente oggetto di diverse pronunce di merito. L'interpretazione che gli organi monocratici hanno in tal senso fornito è stata variegata e difforme. Appare dunque opportuno, in questa sede, illustrarne  i primi approdi ermeneutici.

Il Tribunale di Treviso, con Sentenza del 17 aprile 2018, N. 554, ha ritenuto che l'omesso versamento dell'assegno periodico di mantenimento da parte del genitore non coniugato in favore dei figli non possa essere sussunto nella nuova disposizione codicistica di cui all'art. 570 bis c.p., ostandovi il chiaro tenore letterale della norma, la quale fa espresso riferimento alla figura del coniuge. Un'applicazione estensiva della norma, pertanto, rappresenterebbe una chiara violazione del divieto di analogia in malam partem. Ciò detto, il Tribunale ha ritenuto che la condotta omissiva del convivente more uxorio possa essere giuridicamente ricondotta alla fattispecie incriminatrice, già vigente all'epoca dei fatti, di cui all'art. 570, comma 1 c.p., la quale punisce "chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale". Secondo il giudizio del Tribunale, infatti, rientra nella tutela penale apprestata dall'art. 570 comma 1 c.p. anche la violazione degli obblighi di assistenza materiale del figlio posti a carico del genitore dalle norme del codice civile. La condotta di chi si sottrae a tali obblighi di assistenza materiale, tra i quali rientra la corresponsione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio naturale, concretizzerebbe in altri termini una condotta contraria all'ordine e alla morale della famiglia, comunemente intesa come comprensiva di ogni comportamento attivo o omissivo lesivo del vincolo di solidarietà familiare. Secondo la soluzione adottata dal Tribunale di Treviso, dunque, si assisterebbe ad una sostanziale abolitio sine abolitione, in quanto la caducazione della previgente normativa ad opera del D. Lgs. 21/2018 non priverebbe di rilevanza penale la condotta omissiva del convivente more uxorio, potendo questa essere sussunta in una diversa fattispecie astratta preesistente.

Il Tribunale di Genova, con Sentenza del 30 maggio 2018, N. 2269, ha invece escluso che l'abrogazione della previgente disciplina normativa debba condurre all'applicazione di una diversa e preesistente fattispecie incriminatrice, quale quella individuata nell'art. 570 comma 1 c.p. dal Tribunale di Treviso. In particolare, si è ritenuto, sulla base dell'interpretazione data al diritto positivo "sopravvissuto" alla riforma, che permanga la rilevanza penale della condotta omissiva del genitore more uxorio in ragione della mancata abrogazione, da parte del D. Lgs. 21/2018, dell'art. 4 L. 8 febbraio 2006, n. 54. Il tenore di tale disposizione, pur non coinvolta nella vicenda abrogativa, sarebbe infatti mutato in quanto non richiamerebbe più l'art. 3 delle Legge, abrogato, ma lo stesso art. 570 bis c.p.. L'art. 8 del D. Lgs. 21/2018 ha infatti previsto che "i richiami alle disposizioni abrogate dall'art. 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale come indicato nella tabella A del presente decreto".

L'attuale tenore letterale dell'art. 4 comma 2 L. 54 del 2006 sarebbe dunque il seguente "gli articoli 1 e 2 della presente legge e l'art. 570 bis del codice penale si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati". Per effetto di tale operazione, il tribunale di Genova ha ritenuto che è reato non corrispondere l'assegno di mantenimento alla propria prole seppur non si è mai contratto matrimonio con l'altro genitore.

3. Le Ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale

Le suindicate Sentenze di merito hanno ritenuto che, nonostante la riforma attuativa del principio della "riserva di codice", debba tuttora essere considerata penalmente rilevante la condotta del genitore non coniugato che ometta la corresponsione, in favore della prole, dell'assegno di mantenimento. A tale conclusione i Giudici di merito sono pervenuti o attraverso l'applicazione di diversa e preesistente disposizione incriminatrice, o, per altra via, attraverso il tenore letterale che l'art. 4 comma 2 L. 54 del 2006 avrebbe assunto a seguito delle modifiche apportate dal D. Lgs. 21/2018.

Accanto a tali pronunce ne vanno tuttavia segnalate delle altre, pervenute a conclusioni significativamente difformi.

Di rilevante interesse appaiono, sotto tale profilo, due provvedimenti di recente emissione, i quali, evidenziata l'impossibilità di fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata della nuova disposizione codicistica, in ragione del chiaro tenore letterale della stessa, hanno avanzato questione di legittimità costituzionale.

La Corte di Appello di Trento, investita di un processo penale in ordine al reato di cui all'art. 12 sexies della Legge 1 dicembre 1970 n. 898, come richiamato dall'art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54, ha emesso, in data 21 settmebre 2018, una Ordinanza con la quale ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativamente agli articoli 2 comma 1 lettera c) e 7 comma 1 lettera b) e o) del Decreto Legislativo 1 marzo 2018 n. 21 "nella parte in cui è abrogata la previsione incriminatrice della violazione degli obblighi di assistenza familiare da parte del genitore non coniugato, per contrasto con gli artt. 25 e 76 della Costituzione".

La Corte ha preliminarmente ritenuto che, per effetto dell'attuazione del principio della riserva di codice, il Legislatore delegato abbia abrogato, formalmente e sostanzialmente, la previgente previsione incriminatrice che puniva l'omessa corresponsione dell'assegno periodico di mantenimento in favore dei figli nati fuori del matrimonio. In particolare, secondo la Corte di Appello, "il genitore di figli avuti con persona non unita in matrimonio va ora esente da ogni responsabilità penale in caso di sua sottrazione agli obblighi di mantenimento della prole, né è possibile alcuna interpretazione costituzionalmente orientata della norma in questione, nella parte censurata, contrariamente a quanto era possibile effettuare rispetto alla previgente formulazione dell'art. 3 della Legge n. 54/2006, per il chiaro tenore letterale della stessa".

Non sarebbe possibile, secondo il giudizio espresso nella citata Ordinanza, applicare al caso di specie il reato previsto dall'art. 570 comma 2 n. 2 c.p.. Tale fattispecie incriminatrice, pur potendo essere commessa da "chiunque", necessita, per la sua integrazione, dell'evento tipico della mancanza dei mezzi di sussistenza quale conseguenza della condotta omissiva di mantenimento. L'evento disciplinato dalla norma, tuttavia, non è necessariamente correlato agli inadempimenti economici del soggetto agente e deve essere, per tali ragioni, oltre che contestato nel capo di imputazione, ritenuto sussistente dal Giudice.

Non sarebbe altresì possibile ritenere sussistente l'ipotesi delittuosa dell'art. 570 comma 1 c.p. in ragione della diversità ontologica tra tale fattispecie incriminatrice (che presuppone una condotta "contraria all'ordine e alla morale delle famiglie") e l'ipotesi dell'art. 570 bis c.p., come era per l'abrogata ipotesi dell'art. 12 sexies (che punisce il mero inadempimento degli obblighi di natura economica).

Ciò detto, La Corte di Appello di Trento ha ritenuto che il Governo, nell'attuazione del principio della riserva di codice in qualità di Legislatore delegato, abbia illegittimamente esercitato la funzione legislativa in quanto, lungi dal limitarsi a trasferire nel corpus del codice penale le fattispecie criminose disseminate in leggi speciali, avrebbe proceduto, in assenza di qualsivolglia specifico mandato, all'abrogazione di norme, e ciò in aperto contrasto con l'art. 76 della Costituzione, il quale, come noto, ammette l'esercizio della funzione legislativa da parte del Governo su delega del Parlamento, ma solo per oggetti definiti e nell'ambito dei principi e criteri direttivi fissati dall'Organo delegante.

Il Tribunale di Nocera Inferiore, con Ordinanza del 26 aprile 2018, ha parimenti rimesso la questione al vaglio di legittimità della Corte Costituzionale. Il Tribunale, premessa la circostanza per cui l'art. 570 bis c.p. non contiene alcun riferimento, neppur implicito, agli obblighi economici gravanti sul genitore non coniugato, esclude l'applicabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Tuttavia, la formulazione della nuova disposizione codicistica, secondo il tenore letterale dell'Ordinanza, "determinerebbe una irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento nell'ambito dei rapporti tra genitori e figli nati in costanza o al di fuori del matrimonio in palese contrasto con il principio di uguaglianza formale e sostanziale, consacrato nell'art. 3 della Costituzione". La tutela per i figli dei genitori non coniugati sarebbe infatti sensibilmente affievolita in quanto la rilevanza penale dell'omessa corresponsione dell'assegno di mantenimento da parte del genitore non coniugato sarebbe relegata alla sussistenza di ulteriori e diversi presupposti, segnatamente disciplinati dall'art. 570 comma 2 n. 2 c.p., quali, come noto, lo stato di bisogno dell'avente diritto e la dimostrazione del venir meno dei mezzi di sussistenza di quest'ultimo.

A fronte di interventi delle Corti di merito che hanno cercato di sussumere l'omessa corresponsione dell'assegno di mantenimento da parte del genitore non coniugato nel panorama normativo vigente a seguito del più volte richiamato intervento del Legislatore delegato, ve ne sono, di converso, degli altri che hanno sancito la sopravvenuta irrilevanza penale di tali condotte omissive, cionondimeno avanzando questioni di legittimità costituzionale, vuoi per eccesso di delega, e dunque per contrasto con gli articoli 25 e 76 della Costituzione, vuoi per il (ritenuto) palese contrasto dell'attuale impianto normativo con l'articolo 3 della Costituzione.

4. Considerazioni conclusive.

Come il lettore avrà certamente potuto notare, il dibattito che il Legislatore Delegato ha suscitato attraverso l'attuazione della "riserva di codice" è particolarmente vivo ed attuale, viepiù in ragione della frequenza con la quale i Tribunali di merito vengono investiti della materia ad esame.

In attesa di un intervento chiarificatore da parte del Giudice delle leggi, chiamato come visto a verificare la legittimità costituzionale dell'attuale impianto normativo, è possibile, allo stato, constatare la sussistenza di un "filo rosso" che ha accomunato le diverse pronunce di merito sopra elencate. Le Sentenze e le Ordinanze, seppur pervenendo a risultati interpretativi difformi, hanno infatti tentato di rivendicare il principio dell'equiparazione della tutela dei figli nati da genitori non coniugati rispetto a quelli nati in costanza di matrimonio. In alcuni casi, vedasi Sentenze di Treviso e Genova, attraverso un'interpretazione dell'attuale assetto normativo che assicurasse la permanente rilevanza penale della condotta omissiva del genitore non coniugato. In altri casi, premessa l'inattuabilità di fornire un'interpretazione costituzionalmente orientata del nuovo art. 570 bis c.p. che consentisse di ritenere ancora sussistente la rilevanza penale della condotta, attraverso la rimessione della questione alla Corte Costituzionale.

A ben vedere, la questione nasce da una evidente "disattenzione" del Legislatore Delegato, il quale, abrogando gli artt. 12 sexies L. 1 dicembre 1970 e 3 L. 8 febbraio 2006 n. 54 ed introducendo l'art. 570 bis c.p., ha espressamente qualificato la nuova disposizione incriminatrice quale reato proprio, come tale configurabile solo dal soggetto che rivesta la qualità di "coniuge",  lasciando conseguentemente esente da sanzione penale la condotta di chi non assuma tale qualifica.

In ragione delle analizzate Ordinanze del Tribunale di Nocera Inferiore e della Corte di Appello di Trento, appare opportuno, per completezza di esposizione, analizzare l'ammissibilità di una questione di costituzionalità potenzialmente foriera, come nei casi esaminati, di una pronuncia in malam partem in materia penale.

La questione merita di essere affrontata da un duplice punto di vista.

In primo luogo analizzando il rapporto tra pronuncia di incostituzionalità in materia penale ed effetti che essa determinerebbe sulla successione delle leggi nel tempo, così come disciplinata dall'art. 2 Codice Penale.

In secondo luogo esaminando la compatibilità tra pronuncia di incostituzionalità in materia penale e principio delle riserva di legge ex art. 25 comma 2 Costituzione.

Riguardo al primo profilo la Corte Costituzionale aveva in un primo tempo sostenuto che una questione finalizzata ad una pronuncia in malam partem sarebbe stata priva di rilevanza, dato il principio di irretroattività delle norme penali sfavorevoli. Con la Sentenza N. 85 del 1976, la Corte aveva infatti evidenziato che "i principi generali vigenti in tema di non retroattività delle norme penali più sfavorevoli al reo, desumibili dagli artt. 25, secondo comma Costituzione e 2 del codice penale, impedirebbero in ogni caso che una eventuale Sentenza, anche se di accoglimento, possa produrre un effetto pregiudizievole per l'imputato nel processo penale innanzi al Giudice a quo".

Successivamente, tuttavia, la Corte ebbe a riconoscere che la retroattività della legge più favorevole non possa precludere l'assoggettamento di tutte le norme di rango primario allo scrutinio di legittimità costituzionale (Sentenze n. 394 del 2006 e 28 del 2010). Secondo il tenore di tali pronunce occorre distinguere tra le garanzie che la Costituzione ed il Codice penale assicurano all'imputato in materia di successione di leggi nel tempo e il sindacato di costituzionalità al quale tutte le norme devono sottostare. Diversamente opinando si correrebbe il rischio di istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all'interno delle quali la legislazione ordinaria diventerebbe incontrollabile.

La Giurisprudenza costituzionale è in tal modo pervenuta a sostenere il principio di diritto che scinde il controllo di legittimità costituzionale, della cui liceità non può dubitarsi, dagli effetti della pronuncia di incostituzionalità nel processo principale, da valutarsi secondo i principi generali sanciti dall'art. 2 del Codice Penale. In tal senso la Corte, con la Sentenza n. 28 del 2010 ha statuito che, per superare il paradosso ed evitare al tempo stesso eventuali effetti impropri di una pronuncia in malam partem, "occorre distinguere tra controllo di legittimità costituzionale, che non può soffrire limitazioni, se ritualmente attivato secondo le norme vigenti, ed effetti delle sentenze di accoglimento nel processo principale, che devono essere valutati dal Giudice rimettente secondo i principi generali che reggono la successione nel tempo delle leggi penali".

Per ciò che attiene alla compatibilità tra pronuncia di incostituzionalità in materia penale e rispetto del principio della riserva di legge, la Corte Costituzionale ha inizialmente ritenuto che a una pronuncia della Corte in malam partem fosse di ostacolo il principio sancito dall'art. 25 comma 2 Costituzione che demanda in via esclusiva al Legislatore la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni  loro applicabili, impedendo alla Corte di creare nuove fattispecie criminose o estendere quelle esistenti a casi non previsti (ex plurimis, Sentenza n. 394 del 2006; Ordinanza n. 204, n. 66 e n. 5 del 2009; Ordinanza n. 285del 2012). 

Tale principio, tuttavia, non può applicarsi ai casi in cui la questione di legittimità costituzionale venga sollevata per contrasto con gli articolo 25 e 76 della Costituzione. Si tratta, a ben vedere, dell'ipotesi di carenza o eccesso di delega, sostenuta, per quel che qui interessa, dalla Corte di Appello di Trento con l'Ordinanza del 21 settemebre 2018. La Corte costituzionale, chiamata in un caso analogo a pronunciarsi su un ritenuto difetto di delega del Legislatore delegato, ha statuito, con la Sentenza n. 5 del 2014, che "quando, deducendo la violazione dell'art. 76 della Costituzione, si propone una questione di legittimità costituzionale di una norma di rango legislativo adottata dal Governo su delega del Parlamento, il sindacato di questa Corte non può essere precluso invocando il principio della riserva di legge in materia penale. Questo principio rimette al Legislatore, nella figura appunto del soggetto - Parlamento, la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni da applicare, ed è violato qualora quella scelta sia invece effettuata dal Governo in assenza o fuori dai limiti di una valida delega legislativa".

Chi scrive ritiene che la definitiva soluzione possa pervenire, come richiesto dalla Corte di Appello di Trento, da una Sentenza della Corte Costituzionale, la quale, in ragione dell'evidente contrasto tra il contenuto precettivo della legge delega (L. 23 giugno 2017 n. 103) e il D. Lgs. 21/2018, dichiari l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 25 e 76 della Costituzione, degli artt. 2 comma 1 lett. c) e 7 comma 1 lett. b) e o) del D. Lgs. 21/2018 nella parte in cui abrogano la previsione incriminatrice della violazione degli obblighi di assistenza familiare da parte del genitore non coniugato.

Il Governo avrebbe infatti operato l'abrogazione di una previsione incriminatrice a fronte di una Legge delega che gli conferiva un mandato di mero trasferimento, nell'unicità organica del codice penale, di fattispecie criminose previste in leggi speciali. Fondamentalmente travisata ed anzi tradita sarebbe stato inoltre l'obiettivo della legge delega, i cui principi e criteri direttivi erano espressamente indicati nella finalità di "una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettività della funzione rieducativa della pena". Onde avallare le proprie argomentazioni, la Corte di Appello ha operato una ricognizione della Giurisprudenza della Corte Costituzionale secondo la quale "il difetto di delega, se esistente, comporta un esercizio illegittimo da parte del Governo della funzione legislativa" e "l'abrogazione della fattispecie criminosa mediante un Decreto Legislativo, adottato in carenza o in eccesso di delega, si porrebbe in contrasto con l'art. 25, secondo comma, Cost., che demanda in via esclusiva al Parlamento, in quanto rappresentativo dell'intera collettività nazionale, la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni loro applicabili, precludendo al Governo scelte di politica criminali autonome o contrastanti con quelle del Legislatore delegante" (Corte Costituzionale, Sentenza n. 5 del 2014).

La questione di legittimità avanzata dalla Corte di Appello di Trento si lascia preferire a quella avanzata dal Tribunale di Nocera Inferiore in quanto maggiormente compatibile col principio della riserva di legge in materia penale. L'Ordinanza emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore, tesa ad un intervento additivo della Corte Costituzionale che dichiari illegittima la norma "nella parte in cui esclude dall'ambito di operatività della disciplina penale ivi prevista i figli di genitori non coniugati" si fonda sul ritenuto contrasto dell'art. 570 bis c.p. con il solo articolo 3 della Costituzione, senza alcun riferimento alla carenza di delega. Una questione di legittimità costituzionale siffatta rischia tuttavia di generare una pronuncia in malam partem in materia penale con conseguente contrasto con il principio sancito dall'art. 25 comma 2 Costituzione il quale, come ritenuto dalla stessa Corte Costituzionale, demanda in via esclusiva al Legislatore la scelta dei fatti da sottoporre a pena e delle sanzioni applicabili, impedendo alla Corte di creare nuove fattispecie criminose o estendere quelle esistenti a casi non previsti.