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Pubbl. Ven, 21 Dic 2018

Il reato di tortura (art. 613 bis c.p.) e il caso dei rapporti orizzontali tra privati

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Mariangela Miceli
AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo


Il reato di tortura ex art. 613 bis c.p., come disegnato negli ultimi 29 anni di modifiche legislative, è stato interpretato in modo da ricomprendervi anche la tortura in rapporti c.d. orizzontali tra privati. La sentenza del 13.09.2018 emessa dal Tribunale di Trapani conferma tale orientamento.


Sommario: Premessa; 1. La legge n.110/2017 “Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano”; 2. Il caso; 3. La Sentenza;  4. Il reato di torture orizzontali; 5. Conclusioni.

Premessa

Il reato di tortura in Italia ha trovato una sua regolamentazione distinta in un’epoca assai tarda rispetto agli altri Paesi europei.

Risale al 2015 la condanna della Corte Edu (con la pronuncia n. 6884/11)[1] che in merito ai fatti di Genova risalenti al G8 del 2001 ha evidenziato come l’Italia per le violenze, qualificate come tortura, non abbia  adempiuto all’obbligo positivo di dotarsi di una legge che incriminasse tale tipo di reato.[2]

E' sufficiente ricordare il caso di Stefano Cucchi, grazie alla petizione portata avanti dalla sorella Ilaria,  il reato di tortura è stato, infatti, introdotto nell'ordinamento italiano, attraverso la legge del 14 luglio 2017 n. 110, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.166 del 18 luglio 2017, il Nostro Paese così ha recepito, finalmente, le indicazioni contenute nella Convenzione di New York del 1984.[3]

Il reato di tortura prima dell’entrata in vigore della sopracitata legge è stato oggetto di un’elevata discrezionalità interpretativa, tanto che il giudice, dinanzi ad un vuoto normativo era costretto a dover adattare la normativa esistente a casi di costrizioni fisiche, psichiche e di privazione della libertà.

Nel 2015,  venne alla ribalta un caso nelle cronache italiane che riguardò la vicenda di una modella svedese che indotta a venire in Italia, intraprese una relazione con il presunto manager, tuttavia, la relazione sfociò in un rapporto nel quale la donna veniva percossa giornalmente con schiaffi e colpi di cintura, era costretta a subire rapporti sessuali cruenti e bruciature al corpo, in una condizione di totale prostrazione fisica e psicologica, asservimento e terrore.

Il Tribunale di Monza, con sentenza del 10.06.2016 dichiarò ai tempi dei fatti, il sedicente manager colpevole delle imputazioni per il delitto di cui all’art. 605 c.p. con la seguente motivazione: “ per avere privato la donna della libertà personale, per il delitto di cui all’art. 572 c.p. per averla maltrattata, per i delitti di cui agli artt. 81 cpv., 609 bis, 609 ter comma 1 nn. 4 e 5quater c.p., e con le aggravanti di aver commesso i fatti su persona comunque sottoposta a limitazione della libertà personale; e di aver commesso i fatti nei confronti di persona della quale il colpevole sia colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, applicando la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, e riconoscendo la continuazione tra i reati, lo condanna alla pena di 20 anni di reclusione, oltre al risarcimento del danno e una serie di obblighi e di vieti nei confronti della vittima.[4]

Alla luce dei fatti appena esposti e della condanna  inflitta dal giudice di Monza, appare ancora più chiaro come la sentenza oggetto del presente articolo sia rilevante sotto il profilo dell’applicazione del nuovo reato di cui all’art. 613 bis nei rapporti c.d. orizzontali.

1. La legge n. 110/2017: “Introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano”

La legge 110 ha introdotto nel codice penale gli artt. 613-bis e 613-ter, rubricati rispettivamente “Tortura” e “Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura”.

Il nuovo art. 613-bis c.p. punisce così con la reclusione da 4 a 10 anni chi “con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa…, se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

La fattispecie è aggravata - da 5 a 12 anni di reclusione - se i fatti di cui sopra “sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio”.

Restano fuori dall’area della punibilità le “sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti”.

Ulteriori aggravanti sono previste quando dai fatti sopra descritti derivino:

  • una lesione personale: la pena è aumentata fino a 1/3;
  • una lesione personale grave: aumento di 1/3;
  • una lesione personale gravissima: aumento della metà;
  • la morte quale conseguenza non voluta: 30 anni di reclusione;
  • la morte quale conseguenza voluta: ergastolo

L’art. 613-ter, invece, si occupa di disciplinare l’ istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura, prevedendo che: si applica la reclusione da 6 mesi a 3 anni al pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio “il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso”.

La nuova legge modifica anche l'art. 191 c.p.p. in tema di prove illegittimamente acquisite, riformulando il comma 2-bis e sancendo l’inutilizzabilità delle dichiarazioni o delle informazioni ottenute mediante il delitto di tortura, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale.[5]

L’art 613-bis primo comma, configura così la tortura come un reato comune proprio in ragione della maggior tutela che l’ordinamento riconosce a chi subisce il disvalore di  trattamenti inumani (individuati perlopiù in elementi di natura fortemente emotiva quali l’umiliazione della vittima), trattamenti degradanti (consistenti nella sofferenza fisica), tortura (imperniata sugli elementi della rilevante gravità delle sofferenze subite dalla vittima).

Il soggetto passivo del reato -  quindi la vittima -  è chi versa in una condizione di subordinazione: “privazione della libertà personale; persona affidata alla cura, alla custodia, all’autorità, alla potestà o all’assistenza del soggetto agente; una persona che si trovi in una condizione di minorata difesa”.

2. Il Caso

La vicenda della sentenza oggetto dell’odierna disamina prende avvio da un’indagine dei carabinieri avvenuta presso una casa di riposo per anziani, alcuni degli operatori, infatti, sospettati di ripetuti altrattamenti agli ospiti -  in particolare una di essi veniva sequestrata e torturata -  vennero sottoposti ad intercettazioni ambientali e videosorveglianza.

I risultati delle indagini portarono alla luce le angherie cui erano sottoposti gli anziani della struttura: schiaffi, pugni, e maltrattamenti anche nei confronti di anziani inermi e malati. Le persone arrestate in totale furono quattro.

Dalle immagini diffuse dai carabinieri gli anziani venivano legati e sbattuti violentemente contro lo schienale della sedia. Tra queste una novantenne immobilizzata al letto, la vittima prediletta dagli operatori che sembrerebbe essere stata riconosciuta dalle immagini video dalla figlia.

3. La Sentenza

Alla luce di quanto sopra esposto il Gup del Tribunale di Trapani,  all’esito del rito abbreviato, ha condannato gli imputati rispettivamente alla pena di anni 6 di reclusione ed al pagamento di una provvisionale a titolo di risarcimento danni in favore delle parti civili per i reati di maltrattamenti aggravati, sequestro di persona e torture.

3.1 Il reato di torture orizzontali

La sentenza in commento – resa dal Tribunale di Trapani in funzione di Giudice per l’udienza preliminare (E. Cersosimo) – a distanza di poco più di un anno dall’introduzione del delitto di cui all’art. 613 bis c.p. – ha così per oggetto una fattispecie di tortura ante litteram, verificatasi nell’ambito di un rapporto cd. orizzontale, tra privati cittadini.

Più nel dettaglio – come si evince dalla lettura della sentenza – la vicenda da cui originava il procedimento era scaturita dal rapporto intercorso fra gli operatori della casa di riposo e gli ospiti, in particolare ad una di esse venivano inflitte torture, minacce e maltrattamenti degradanti.

La sentenza in parola presenta profili di interesse perché dimostra l’opportunità – colta, dopo qualche incertezza, dal legislatore del 2017 – di normare il delitto di tortura come reato comune e non come reato proprio, e al tempo stesso la necessità di evitare interpretazioni restrittive del requisito della privazione della libertà personale previsto, tra gli altri, dall’art. 613 bis c.p.

Ben può infatti accadere, come è avvenuto appunto nel caso di specie, che il soggetto passivo sia costretto a subire atti di tortura dopo essere stato illegittimamente privato della propria libertà personale dal suo torturatore, e, dunque, anche in assenza di un provvedimento giurisdizionale ad hoc.

Sulla base della ricognizione appena effettuata, appare evidente come il giudice abbia correttamente evidenziato che le violenze siano state compiute con finalità “punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione ed alla sofferenza fisica e mentale delle vittime”. Sicché questi atti sono stati qualificati quale ‘tortura’ ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione contro la tortura e le altre pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti.

Dalla stessa lettera della sentenza di cui sopra, appare evidente come l’art. 613 bis c.p. non richieda nessun fine specifico per la realizzazione del reato di tortura che si configura, pertanto, come reato a dolo generico. Anche riguardo all’elemento soggettivo il legislatore ha optato, pertanto, per una norma che prevede una massima tutela per le condotte rientranti nel concetto di tortura, non ritenendo necessario il requisito di intenzionalità previsto dall’art. 1 della Convenzione ONU del 1984 (“intentional infliction of severe pain or suffering”).

Non occorre, dunque, che l’agente sia mosso da alcuna particolare finalità, ben potendo la condotta illecita esser frutto di sadismo tout court (come nel caso della di specie), spirito di rivalsa o vendetta e comunque posta in essere senza alcuno scopo apparente.

La mancata previsione del dolo intenzionale (elemento che era richiesto in una prima stesura della norma per poi esser escluso in sede di approvazione della legge da parte del Senato) e la pacifica compatibilità tra il dolo generico ed il dolo eventuale permettono di affermare che, per la sussistenza dell’elemento soggettivo, sarà sufficiente la rigorosa dimostrazione che l’agente abbia posto in essere le condotte previste dall’articolo 613 bis c.p., accettando il rischio della verificazione degli eventi alternativi (acute sofferenze fisiche o verificabile trauma psichico) come conseguenza dei propri atti violenti e crudeli.

4. Conclusioni

Da quanto sopra esposto appare evidente come il sistema normativo penale italiano, prima dell’introduzione del reato di tortura di cui all’art. 613 bis del c.p., mostrasse tutta la sua inadeguatezza dei propri strumenti di contrasto del reato.

Ma se un lato alcuni definiscono la legge “colma lacune”, poiché sopperirebbe solo all’assenza di una fattispecie, senza però garantire i diritti dell’uomo; dall'altro lato, sebbene non si possa considerare perfetta, è preferibile tale normativa perchè più compatibile con la Convenzione Onu.

Va da sé che, la mancanza di una specifica previsione normativa, avesse comportato una limitazione all’esercizio dell’azione penale del pubblico ministero,accadeva spesso che si incardinasse un giudizio di responsabilità penale con la formulazione di un’imputazione minore, quanto ad offesa, rispetto alla complessità e alla gravità degli accadimenti. Si è giunti in passato a giudizi di condanna che hanno assunto solo un valore morale e simbolico, così disattendendo non solamente la funzione preventiva (generale-speciale) della pena, ma soprattutto ledendo gravemente la dignità e l’integrità della persona umana, sottoposta ad intenzionali violenze di un’intensità crudele ed inumana.

Basti ricordare i noti fatti che acceddero nel corso del G8 di Genova nel 2001, senza dimenticare i fatti similari del marzo di Napoli 2001. Il  carcere di Bolzaneto e la scuola Diaz-Pertini furono teatro, nei giorni tra il 20 e il 22 luglio del 2001, di episodi qualificabili come tortura, di cui gli orrori commessi sono ben descritti nelle pagine giudiziarie.[6]

Non ultimo il sopracitato caso di Stefano Cucchi, morto perché ucciso con schiaffi, pugni e calci, facendolo cadere e procurandogli lesioni divenute mortali per una successiva condotta omissiva da parte dei medici curanti, e per averlo comunque sottoposto a misure restrittive non consentite dalla legge. Proprio in virtù della mancanza di una specifica norma di riferimento, gli aguzzini del geometra romano vennero rinviati a giudizio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti dei militari dell’arma accusati di aver colpito Cucchi.

Vale la pena evidenziare come anche sul fronte internazionale, si sia avvertito la necessità dell’introduzione del reato di tortura[7]. Il caso, che ha riguardato da vicino l’Italia, è quello di Abu Omar, che era coinvolto nella pratica, purtroppo utilizzata di frequente, dell’extraordinary renditions. Le extraordinary renditions, (catture straordinarie basate sulla “logica del tutto concesso”), erano iniziate dal Governo Bush come arma di prevenzione e repressione agli attacchi terroristici.

Il loro scopo era quello di catturare uomini sospettati di terrorismo, per trasferirli in altri territori, poco garantisti e a bassa democraticità, al fine di estorcere una confessione, attraverso la sottoposizione ad atti gravemente lesivi dei diritti umani fondamentali.[8]

L’accusa addebitata agli imputati, agenti della CIA e del SISMI, era solamente quella di sequestro di persona aggravato (ex art. 605 c.p.) che, a detta dei più, non era idonea a ricomprendere la complessità della vicenda criminosa (iniziata con il sequestro, poi proseguita con una serie di illeciti quali la segregazione, la sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti e la tortura). Eppure nessuna altra imputazione sarebbe stata rispettosa del principio di legalità, sebbene, per alcuni, non si potesse definire la condanna giusta.

Infatti, il principio di legalità investe il nostro ordinamento su più fronti, l’articolo 25, 2 comma della Costituzione così recita.: “ Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”; mentre  l’articolo 1 del codice penale: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite” ed ancora, l’articolo 2, co.1 del codice penale: “ Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”; l’articolo 7 della CEDU: “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. Il principio di legalità è fondamento di ogni società democratica e vive nella dinamicità dell’interpretazione giurisprudenziale, ecco perché si è resa necessaria una normativa adeguata alla tutela del bene della libertà della vita.

Posto che esiste un divieto assoluto di analogia legis sotto l’aspetto giuspenalistico, a maggior conto il sistema penale italiano era chiaramente inadeguato a prestare una congrua tutela. L’atmosfera inoltre era resa maggiormente pesante da un contrasto tra l’esistenza di un diritto convenzionale che stigmatizza la tortura e l’assenza, nel diritto interno, di una norma incriminatrice.

Le norme internazionali a cui l’Italia aderito erano infatti plurime: l’art 5 della Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo del 10 dicembre 1948; l’art.7 del Patto dei diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, ratificato dall’Italia il 15 settembre 1978; la Convenzione contro la tortura e gli altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, entrata in vigore il 26 giugno 1989 e ratificata dall’Italia 12 gennaio 1989; i Principi di base dell’ONU sull’uso della forza e delle armi da fuoco da parte dei funzionari delle forze dell’ordine; le Osservazioni del Comitato di diritti umani delle Nazioni Unite; le Azioni del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura.

Infatti, l’Italia e la Germania sono gli unici Stati europei privi di una legge sul reato di tortura, ma in Germania il divieto dell’uso di tortura discende oltre che dall’adesione alle convenzioni internazionali, dalla Costituzione e da altre leggi ordinarie (in particolare, dall’art 1 della Legge fondamentale – Grundgesetz - che statuisce l’inviolabilità della dignità umana e dall’art 104 della stessa, secondo la quale le persone arrestate non possono essere sottoposte né a maltrattamenti morali, né a maltrattamenti fisici). Mentre gli altri Stati come la Francia (che incrimina la tortura e gli atti barbarie agli artt. 221,1 e 222,6,3 del codice penale), il Regno Unito (che penalizza la tortura agli artt. 134 e 135 del Criminal Justice Act 1988) e la Spagna (che sancisce il divieto di tortura sia nella Costituzione all’art. 15 sia nel codice penale agli artt. 173-177) condannano come tortura tutti quegli atti compiuti da un’autorità pubblica che, abusando dei suoi poteri, e al fine di ottenere una confessione o un’informazione, sottopongano una persona a sofferenze fisiche e psichiche di acuta intensità.

L’impegno dell’organo legislativo alla creazione di una apposita figura criminosa è giunto quindi alla luce  della condanna della Corte edu all’Italia per i fatti riferiti al G8 , le violenze sono state qualificate dalla Corte come tortura considerando, in modo specifico, la relativa durata, gli effetti fisici o psicologici arrecati sulla vittima, la preordinazione, lo scopo e il contesto in cui esse sono perpetrate.

Lo Stato italiano avendo il dovere generale imposto dall’art. 1 della Convenzione di “riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà definiti [...] [nella] Convenzione”, ha così correttamente introdotto il reato di tortura che trova, per quanto sopra esposto, applicazione anche nei casi di tortura c.d. orizzontale.

Note e riferimenti bibliografici

[1]C. eur. dir. uomo, IV sez., sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11.
[2]V. Angnoletto, L.Guadagnucci, L’eclissi della democrazia. Le verità nascoste sul G8 di Genova. Serie Bianca Feltrinelli.
[3]F. Cassiba, Violato il divieto di Tortora: condannata l’Italia per i fatti della scuola “Diaz-Pertini”, in Penale Contemporaneo.
[4]Trib. Monza, Sent. 10 giugno 2016 (dep. 22 agosto 2016), Pres. Pansini, Est. Colella.
[6]F. Cassiba, Violato il divieto di Tortora: condannata l’Italia per i fatti della scuola “Diaz-Pertini”, in Penale Contemporaneo.
[7]C. eur.dir. Uomo, Grande Camera, El Masri c Macedonia, sent. 13 dicembre 2012 (ric. N. 39630/09). E’ il primo caso di condanna di uno Stato del Consiglio d’Europa per la pratica delle extraordinary rentions, per violazione degli artt. 3 e 5 della Convenzione sotto il profilo sia sostanziale sia procedurale, nonché degli artt. 8 e 13 Cedu. Vedi anche F.Viganò, Prima condanna della Corte di Strasburgo in un caso di extraordinary rendition, in Penale contemporaneo, 14 dicembre 2012.
[8]M.Frulli, Immunità e crimini internazionali. L’esercizio della giurisdizione penale e civile nei confronti degli organi statali sospettati di gravi crimini internazionali, 2007, p.129; Gaeta, Extraordinary renditions e immunità dalla giurisdizione degli Stati esteri: il caso Abu Omar, in Rivista di diritto internazionale 1/2006.