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Pubbl. Mar, 13 Nov 2018

È truffa aggravata l´indebito conseguimento dell´indennità

Alessandra Inchingolo


Il lavoratore che produce un certificato di malattia percependo un´indennità di mobilità, ma lavora per un´altra azienda durante il periodo di malattia, risponde del reato di truffa aggravata.


Quando un lavoratore produce al suo datore di lavoro un certificato medico che giustifichi la sua assenza dal lavoro ha diritto all’indennità erogata dall’INPS. Tuttavia se il lavoratore percepisce l’indennità ma contemporaneamente presta attività per altro datore di lavoro è imputabile per il reato di truffa  aggravata ai sensi dell’art.640, comma 2, n.1 c.p.

Quando un lavoratore produce al suo datore di lavoro un certificato medico che giustifichi la sua assenza dal lavoro ha diritto all’indennità erogata dall’INPS. Tuttavia se il lavoratore percepisce l’indennità ma contemporaneamente presta attività per altro datore di lavoro è imputabile per il reato di truffa  aggravata ai sensi dell’art.640, comma 2, n.1 c.p.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 47285 del 17 ottobre 2018.

La vicenda, da cui la sentenza in commento trae origine, riguarda il caso di un dipendente di un’azienda di trasporti che aveva prodotto un certificato medico attestante la sua malattia dal giorno 2 al giorno 10 di febbraio, ma era stato accertato che il medesimo lavoratore in data 5 febbraio effettuava un trasporto alla guida di un autoarticolato, per un’altra società proprietaria dell'autoarticolato sul quale era alla guida.

Il Tribunale di prime cure lo aveva ritenuto responsabile del reato di truffa condannandolo alla pena di nove mesi ed Euro 150,00 di multa.

Sentenza questa successivamente confermata dalla Corte d’Appello dell'Aquila in data 29.06.2016.

L’imputato avverso tale pronuncia proponeva dunque ricorso per Cassazione lamentando con due motivi, la violazione di legge e il vizio di motivazione, in relazione alla configurabilità  del reato contestato, in primis, perché l’aver presentato un certificato medico veritiero non integrava la fattispecie degli artifizi e raggiri, così come anche la condotta tenuta dal lavoratore in data successiva alla presentazione del suddetto certificato medico, di condurre un mezzo autoarticolato, in virtù del fatto che la società per cui aveva lavorato, durante il periodo di malattia, non avesse corrisposto l’indennità di malattia né risultasse provata tale circostanza. Pertanto la prestazione di attività lavorativa non accompagnata dalla corresponsione della retribuzione durante il periodo di malattia non poteva integrare il reato di truffa non essendo possibile ravvisare il doppio requisito del danno patrimoniale e dell'ingiusto profitto.

Col secondo motivo, il ricorrente adduceva la violazione di legge in relazione all'art. 131 bis cod. pen. poichè dall’analisi della busta paga emergeva che il danno derivante dalla condotta contestata all’imputato ammonterebbe ad Euro 172,43, importo di così lieve entità che avrebbe dovuto indurre l'applicazione della speciale causa di non punibilità. 

La Seconda Sezione Penale del Supremo Collegio ha rigettato il ricorso ritenendo manifestamente infondati entrambi i motivi di doglianza del ricorrente. Il rpimo perchè per costante giurisprudenza di legittimità, l'indebita percezione dell'indennità di malattia configura il reato di truffa aggravata ex art, 640, 2 co. n. 1 c.p. (vds Sez. 1, n. 6843 del 04/12/1997; Sez. 1, n. 2286 del 19/03/1999, Sez. 1, n. 4240 del 08/06/1999, Campana e altri, Rv. 213949)

Ma, soprattutto in merito al secondo motivo di appello, la Corte ha rilevato come la causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis cod. pen. risulti essere stata introdotta nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Dunque il ricorrente avrebbe dovuto dedurla già in sede di appello, non con riferimento alla data di proposizione dell’appello, ma nella discussione finale avvenuta in data 29/06/2016, in concomitanza con la rassegnazione delle conclusioni la parte avrebbe dovuto invocare il beneficio, ma non lo ha fatto.

Si osservi che sulla scorta di stabile giurisprudenza di legittimità (Cass.Pen. Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018), la questione dell'applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 606, comma 3 cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata, né sul giudice di merito grava, in difetto di una specifica richiesta, alcun obbligo di pronunciare comunque sulla relativa causa di esclusione della punibilità (Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 19207 del 16/03/2017, Celentano, Rv. 269913; Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678).

D’altronde, secondo gli Ermellini, la causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p. ha natura atipica in virtù delle negative conseguenze che produce per l'imputato ( preliminarmente la possibile rilevanza nei giudizi civili ed amministrativi ed, ancora, l'iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale). inoltre la sua applicazione presuppone, tra l'altro, l'accertamento della responsabilità penale ossia l'accertamento dell'esistenza del reato e della sua attribuibilità all'imputato.

Pertanto, l’imputato avrebbe dovuto richiedere la speciale causa di non punibilità del reato prevista dall’art. 131 bis del codice penale nel giudizio di appello nel momento in cui rassegava le conclusioni.

Per tali motivi ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha condannato l’imputato al pagamento delle spese processuali.