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Pubbl. Mar, 20 Nov 2018

Falso ideologico per il praticante che si iscrive al registro tacendo sui propri carichi pendenti

Nicola Tezza


La Suprema Corte di cassazione ha confermato la sentenza di condanna di un praticante avvocato per il reato di falso ideologico in atto pubblico ai sensi dell´art. 483 c.p. il quale, con dichiarazione sostitutiva resa all´Ordine degli Avvocati di Potenza, attestava mendacemente di non avere carichi pendenti al tempo della domanda di iscrizione.


Sommario:1. Profili introduttivi: la sentenza n. 21683/2018 - 2. Il caso in esame - 3. L'istituto dell'art. 483 c.p. - 4. Profili critici del cd. «falso ideologico» - 5. Conclusioni.

Sommario:1. Profili introduttivi: la sentenza n. 21683/2018 - 2. Il caso in esame - 3. L'istituto dell'art. 483 c.p. - 4. Profili critici del cd. «falso ideologico» - 5. Conclusioni.

1. Introduzione

Con la sentenza emessa in data 23 febbraio 2018, n. 21683 la Cassazione, sezione V, ha ribadito un orientamento già consolidato con riguardo all'applicazione del delitto di “falso ideologico” in atto pubblico, ex art. 483 c.p., alla dichiarazione sostitutiva presentata ai sensi degli artt. 46 e 47 D.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445. Seguendo il filone giurisprudenziale previgente la Corte di cassazione ha applicato il reato di "falso ideologico" commesso da privato congiuntamente con la disciplina extra-penale, che pone problemi non sempre di facile soluzione.

2. Caso in esame

Confermando la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Potenza, che a sua volta comprovava la sentenza del Tribunale di prime cure, la Suprema Corte rigettava il ricorso presentato da M.S., praticante avvocato che, al momento dell'iscrizione presso l'Ordine degli Avvocati di Potenza, aveva omesso consapevolmente di specificare i due procedimenti penali che erano a suo carico, nella dichiarazione sostitutiva. Questa circostanza è risultata successivamente non veritiera in seguito ad accertamenti eseguiti dallo stesso Consiglio dell'Ordine.

Dopo aver affrontato le questioni preliminari, la Cassazione è entrata nel merito della questione ed ha ritenuto infondato il ricorso presentato da M.S..

Per questo motivo il ricorso medesimo è stato rigettato. 

L'iter logico-giuridico seguito dagli ermellini ripercorre gli articoli essenziali del D.p.r. n. 445/2000 offrendo la possibilità per un inquadramento generale della materia di riferimento. In primis viene analizzato l'art. 1 con riguardo alla distinzione tra la nozione di "certificato" (lett. f) e quella di "dichiarazione sostitutiva di certificazione" (lett. g). Il primo termine indentifica il documento rilasciato da una pubblica amministrazione con funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, registri pubblici oppure accertati da soggetti aventi funzioni pubbliche. Mentre il secondo si riferisce al documento sottoscritto dall'interessato e presentato in sostituzione del certificato di cui supra. A ciò si lega, più nello specifico, la disciplina dell'art. 46 il quale indica le varie categorie di stati, fatti o qualità personali che sono comprovati dalle dichiarazioni sottoscritte da chi vi ha interesse. Il successivo art. 47, invece, sancisce la sostituzione dell'atto di notorietà riguardante stati, fatti o qualità personali dalla dichiarazione resa dal sottoscritto in osservanza delle modalità di cui all'art. 38. Il secondo comma precisa che la medesima dichiarazione può riguardare anche stati, fatti o qualità personali di cui l'interessato abbia una conoscenza solo indiretta. L'art. 48 completa sancendo che "Le dichiarazioni sostitutive hanno la stessa validità temporale degli atti che sostituiscono", precisando altresì al secondo comma, che "Le singole amministrazioni predispongono i moduli necessari per la redazione delle dichiarazioni sostitutive, che gli interessati hanno facoltà di utilizzare. Nei moduli per la presentazione delle dichiarazioni sostitutive le amministrazioni inseriscono il richiamo alle sanzioni penali previste dall'articolo 76, per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni mendaci ivi indicate. Il modulo contiene anche l'informativa di cui all'articolo 10 della legge 31 dicembre 1996, n. 675". Infine, il medesimo articolo ribadisce, all'ultimo comma, che le singole amministrazioni inseriscono la relativa formula nei moduli per le istanze. 

Dopo aver concluso questo inquadramento di carattere generale riguardante la disciplina di riferimento, la Cassazione, con riguardo al caso di specie, specifica che il modulo compilato dall'imputato M.S. contenesse "la espressa dicitura circa la consapevolezza, da parte del sottoscrittore, che l'accertamento della non veridicità delle dichiarazioni rese lo avrebbe esposto alla responsabilità penale, con revoca dell'ammissione, se conseguita, da parte del Consiglio dell'Ordine” (1). La dichiarazione resa dall’imputato è innanzitutto riconducibile alla disciplina dell’art. 46 D.p.r. 445/2000 (2) poiché da una parte l’atto sottoscritto riveste la funzione di provare i fatti attestati prescindendo dalla presentazione di attestati da parte del privato; dall’altra parte esso non contiene alcun richiamo alla modalità di sottoscrizione mediante funzionario addetto o mediante la presentazione di un documento di identità da parte del sottoscrittore. Tale disposto di lega al reato di falso ideologico ex art. 483 c.p., riscontrabile nel caso di specie. Tuttavia prima di analizzare le conclusioni a cui è giunta la Suprema Corte sulla base delle premesse condotte, occorre una breve analisi della fattispecie di cui all’art. 483 c.p. al fine di comprendere le caratteristiche principali del reato in relazione al rapporto con la disciplina extra-penale.

3. L'istituto dell'art. 483 c.p.

La disciplina di parte speciale, concernente le false attestazioni commesse da un privato in atto pubblico, occupa un ruolo decisivo nel ragionamento seguito dalla Cassazione. L’art. 483 c.p., collocato nel libro secondo tra «i delitti contro la fede pubblica», punisce «chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico, fatti dei quali è destinato a provare la verità», condotta che riguarda quelle situazioni in cui il pubblico ufficiale non ha alcuna gestione dei dati e delle informazioni limitandosi a «riversarle» nel documento in quanto rappresentate dal privato. Il delitto in oggetto sussiste qualora il privato attesti, al fine di svolgere un determinata attività giuridica, al pubblico ufficiale, un documento contenete fatti non corrispondenti al vero (4). Da una prima lettura emerge che il pubblico ufficiale sia esterno alla struttura del reato de quo(5),sebbene il reato medesimo si rifletta in un documento pubblico. Il pubblico ufficiale riveste quindi un ruolo residuale, di mera ricezione dell’atto fasullo (6). 

Per ciò che concerne l’identificazione dell’interesse giuridico tutelato dalla norma dell’art. 483 c.p., è opportuno evidenziare che sussistono diversi orientamenti dottrinali. Cercando di operare una sintesi, si può affermare che nei reati di falso, creandosi l'apparenza di un documento genuino, si lede «l'affidamento della collettività su alcuni segni o documenti indispensabili nel normale svolgimento dei rapporti sociali e giuridici» (7).Un esempio, appunto, è la dichiarazione sostitutiva resa nel caso in esame all’Ordine degli Avvocati di Potenza.

Nei reati di falso il bene giuridico rientrante nella categoria della "fede pubblica" può essere identificato nella «genuinità e veridicità dei documenti», concepiti come mezzi di prova essenziali, che, all’interno della collettività, assumono la qualità di strumenti di certezza pubblica, soprattutto ai fini del c.d. traffico economico e/o giuridico di cui supra. Nello specifico occorre evidenziare che sussiste comunque una differenza, quanto all’interesse tutelato, tra la falsità in atto pubblico del pubblico ufficiale e la falsità commessa in scrittura privata. Nella seconda ipotesi, infatti, la tutela è strumentale ad impedire un’offesa individuale verso un soggetto titolare di interessi contrapposti a quelli del falsificatore.

Dal puto di vista dell’elemento oggettivo la condotta di «falso ideologico» può compiersi secondo schemi i quali possono assumere il carattere della «complessità» ovvero essere «semplici ma mediati» (8).

Infatti il soggetto agente è il privato pone in essere la condotta rendendo questa fattispecie di reato come «indiretta o mediata». L’atto in oggetto può essere un documento redatto dal pubblico ufficiale che sia funzionale a provare il fatto attestato dal privato il quale abbia specifica rilevanza giuridica. 

Quanto all’elemento soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo come è proprio dei delitti contro la fede pubblica. Esso consiste «nella volontà cosciente di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero» (9). A ciò si aggiunge un'altra giurisprudenza di legittimità che sostiene come il dolo dell’art. 483 c.p. sia costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto criminoso ed altresì nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (10). Da ciò si deduce che l’elemento soggettivo del dolo vada escluso qualora la dichiarazione attestante falsità sia conseguenza di leggerezza o negligenza (11).

Dal punto di vista del momento consumativo del reato, una parte della dottrina e della giurisprudenza (12) sostengono che il reato si configuri non con la redazione della dichiarazione infedele, bensì con la sua ricezione da parte del pubblico ufficiale che successivamente la riporta nell’atto pubblico (13).

È infine prevista una circostanza aggravante per la quale la falsa attestazione compiuta dal privato deve essere eseguita in atti dello stato civile (14). 

4. Profili critici del cd.  «falso ideologico»

Sulla base di quanto esposto nei paragrafi precedenti si evince come il ruolo del pubblico ufficiale assuma grande rilevanza nella dinamica del delitto. La giurisprudenza di legittimità ha analizzato in modo approfondito la disciplina dell’art. 483 c.p., al fine di tracciare le differenze e le analogie con la disciplina dell’art. 479 c.p. relativo alla «falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici». L’esegesi operata dalla Suprema Corte ha condotto alla conclusione per cui il delitto di cui all’art. 483 c.p. si realizzi qualora il pubblico ufficiale si limiti a trasfondere la dichiarazione ricevuta dal privato nell’atto e qualora il dichiarante risponda della veridicità della dichiarazione resa in virtù di un preesistente obbligo di conformità (15).

5. Conclusioni 

Non vi è alcun dubbio, quindi, che l’art. 483 c.p. richieda un collegamento necessario con un’altra norma di carattere extra-penale che conferisca natura probatoria all’atto su cui ricade la condotta infedele in modo tale da provocare l’obbligo per il dichiarante di dire la verità. Questa norma, o meglio queste norme, sono gli artt. 46 e 48 del D.p.r. 445/2000: la prima, come ricordato supra, indica le varie categorie di stati, qualità personali e fatti comprovanti con le dichiarazioni sottoscritte dagli interessati, mentre la seconda prescrive l’onere per le amministrazioni di inserire nei moduli delle dichiarazioni sostitutive, il richiamo alle sanzioni penali previste per le ipotesi di falsità in atti e dichiarazioni non corrispondenti al vero. 

Nel caso de quo il modulo della dichiarazione predisposta dall’Ordine degli Avvocati di Potenza (13) è riconducibile alla disciplina dell’art. 46 D.p.r. 445/2000, essendo, peraltro, stato «predisposto in maniera chiara, dovendosi escludere qualsiasi errore di comprensione».

La sentenza della Cassazione esclude in ultima analisi l’applicabilità dell’art. 131 bisc.p. (16) evidenziando nel comportamento tenuto dall’imputato una condotta non occasionale ed altresì espressione di una chiara volontà di omettere l’esistenza di due procedimenti penali pregressi. Da ciò ne consegue che non sussistono i presupposti della particolare tenuità del fatto. È questa una presa di posizione molto forte poiché concepisce la non occasionalità della condotta non in un’eventuale reiterazione all’interno di un arco temporale definito, bensì nella natura di ciò che l’imputato aveva omesso di dichiarare. Omettere l’esistenza di due procedimenti penali è un fatto dotato di una certa gravità e caratterizzato da un disvalore penale tale da giustificare la non applicabilità del disposto dell’art. 131 bis c.p.

Note e riferimenti bibliografici

  1. Cass. pen., sez. V, sent. 16.05.2018, n. 21683. 
  2. I Giudici di legittimità precisano che «Senza alcun dubbio, inoltre, l’autocertificazione resa ai sensi del D.P.R. 445/2000, art. 46, riveste la funzione di provare i fatti attestati, evitando al privato l’onere di provarli con la produzione di certificati (…) in tal modo essa collega l’efficacia probatoria dell’atto al dovere del dichiarante di dichiarare il vero».
  3. Il riferimento è alle seguenti sentenze: Cass. pen., sez. V, sent. 27 novembre 2017, n. 12710 e Cass. pen., sez. V, sent. 06.06.2014, n. 48641.
  4. Sul punto v. ANTOLISEI F., Dir. pen.,PS, II, GROSSO C.F. (a cura di), 16 ed., p. 253, in cui si sostiene «La falsa attestazione deve essere resa ad un pubblico ufficiale. Restano, in conseguenza, escluse le dichiarazioni mendaci fatte al pubblico impiegato incaricato di pubblico servizio». Si veda anche GAROFOLI R., Manuale di Diritto penale,PS, t. II, GAROFOLI R, ALPA G. (diretto da), Roma, 2013, p. 109, il quale estende all’incaricato di pubblico servizio la disciplina riguardante le falsità commesse dai pubblici ufficiali ex art. 493 c.p..
  5. Una parte autorevole della dottrina ha sostenuto che il reato di cui all’art. 483 c.p. consisterebbe in un’affermazione o negazione di fatti e non in una dichiarazione di volontà. In tal senso non concretano il negozio in oggetto i negozi simulati poiché in essi non si riscontra una falsa attestazione della verità bensì una falsa dichiarazione della verità, così ANTOLISEI F., Dir. pen.PS, II, GROSSO C.F. (a cura di), 16 ed., p. 254.
  6. Sul punto il pubblico ufficiale avrebbe competenza quanto alla forma legale dell’atto medesimo, senza alcun potere di accertamento della verità dei dati comunicati i quali vengono semplicemente registrati dal medesimo. 
  7. In argomento v. Padovani T., Stortoni L., Diritto penale e fattispecie criminose. Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Bologna, 2006. 
  8. Sul punto v. MEZZETTI E., la condotta nella fattispecie pertinenti al falso documentale, in Le falsità documentali, RAMACCI F. (a cura di), Padova, 2001.
  9. V. Cass. pen., sez. II, sent. 15 dicembre 2003, n. 47867. 
  10. V. Cass. pen., sent. 31 maggio 2012, n. 33218. 
  11. Così GAROFOLI R., Manuale di Diritto penalePS, cit., p. 110, che esclude la figura eventuale del “falso documentale colposo”. Per la giurisprudenza di legittimità v. sempre Cass. pen., sez. V, sent. 31.05.2012, n. 33218
  12.  Sul punto v. Cass. pen., sez. VI, sent. 16.01.2012, n. 12298. 
  13.  In argomento v. FIANDACA G., MUSCO E., Dir. pen.PS, vol. I, 5 ed., p. 608.
  14.  Così Cass. pen., sez. V, sent 12.02.2010, n. 11597. 
  15.  Giova ricordare che gli Ordini e i Consigli Nazionali professionali, rientranti tra le pubbliche amministrazioni, hanno natura di enti pubblici non economici ai sensi del d. lgs 29/1993, art. 1, co. 2, poi trasfuso nel d. lgs. 165/2001.
  16.  Per maggiori approfondimenti sull’istituto v. AA.VV., Compendio di procedura penale, ed. 9, Padova, 2018; FALCONE G., La particolare tenuità del fatto: presupposti ed efficacia dell’istituto, in Riv. pen., 4/2018, pp. 315 ss; MARANDOLA A., Rilievo critici sulla reale capacità deflativa della particolare tenuità del fatto, in Studium iuris, 1/2018, pp. 15 ss.