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Pubbl. Mar, 6 Nov 2018

La clausola simul stabunt simul cadent impone l´integrale rinnovo del C.d.A.

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Stefano Marziali


L'innesco della clausola simul stabunt simul cadent si determina al momento delle dimissioni di uno o più membri del CdA e comporta la necessità di integrale rinnovo dello stesso, senza la possibilità di procedere a sostituzioni parziali interinali.


Sommario: 1. Il caso; 2. La clausola "simul stabunt, simul cadent"; 3. Le decisioni della Corte; 4. Osservazioni conclusive.

La sentenza in commento abbraccia una tematica di assoluto rilievo sul tema delle delibere da parte degli organi sociali. L'innesco della clusola simul stabunt simul cadent, infatti, prevede l'automatica propagazione dell'effetto estintivo di tutto l'organo amministrativo per l'ipotesi di cessazione di una componente (maggioritaria o minoritaria) dei consiglieri o finanche di un solo amministratore[1]. Da ciò discende la necessità di procedere alla convocazione dell'assemblea per la rinnovazione dell'intero collegio amministrativo.

1. Il caso.

In data 6 marzo il CdA di una società quotata convocava l'assemblea finalizzata all'approvazione del bilancio per il 24 aprile. Successivamente a tale convocazione, e prima del giorno delegato all'assemblea, alcuni soci di minoranza chiedevano l'integrazione dell'ordine del giorno ex art. 126-bis comma 1[2] del DLgs. 58/98 per poter votare la revoca di sei amministratori espressione del socio di maggioranza. Nel CdA che precedeva di due giorni la data prevista per l'Assemblea nella quale si sarebbe chiesta la revoca, si presentavano dimissionari, molti componenti dell'organo gestorio a decorrere dal giorno stesso dell'Assemblea. Tale circostanza avrebbe determinato dalla data stessa dell'Assemblea, l'attivazione della clausola simul stabunt simul cadent statutariamente prevista. Alla luce di quanto sopra esposto, l'organo amministrativo, ritenendo superata la richiesta di integrazione dell'odg, convocava l'assemblea per il rinnovo dell'intero CdA. A questo punto il socio di minoranza richiedeva al Collegio sindacale di integrare l'ordine del giorno, reputando peraltro da escludere, in relazione al carattere abusivo delle dimissioni, l'applicazione della clausola prevista. L'organo di controllo provvedeva all'integrazione avanzata dai soci di minoranza. Gli amministratori espressione della maggioranza impugnavano la delibera del Collegio sindacale richiedendone la sospensione. Il Tribunale di Milano, accogliendo l'impugnativa in via cautelare disponeva da un lato la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata che era stata adottata dal Collegio sindacale e dall'altro riteneva valida, fin dal momento dell'innesco la clausola statutaria simul stabunt simul cadent.

2. La clausola "simul stabunt, simul cadent".

Prima di entrare nel merito della vicenda, appare opportuno effettuare una panoramica sul dettato normativo in esame[3].

Innanzitutto preme sottolineare come clausole di tale portata sono spesso create per finalità diverse, di solito collegate al sistema di nomina degli amministratori concretamente adottato nelle singole società azionarie[4].

In particolare, la finalità della clausola in commento potrebbe essere ricondotta quale strumento di presidio della minoranza o di determinati gruppi di azionisti, evitando possibili manovre della maggioranza, o cooptazioni difformi dai patti originari, in maniera tale da assicurare a soci esterni al nucleo di comando una propria rappresentanza nell'organo di amministrazione[5].

Orbene, è opportuno sottolineare ora come la clausola in commento può atteggiarsi in maniera diversa nei singoli statuti, spettando in definitiva alla compagine sociale stabilire con quali modalità realizzare lo scopo di mantenere equilibrio tra l’Assemblea e l’organo di gestione. Ciò comporta che, per ricostruire l’effettiva volontà dei soci non può prescindersi dall’esame in concreto della singola clausola. Al riguardo, occorre distinguere le differenti ipotesi in cui a seguito del venire meno di alcuni amministratori, l'intero consiglio si consideri decaduto oppure si consideri solo dimissionario. A tal proposito, il penultimo comma dell’art. 2386 scioglie ogni dubbio in ordine agli effetti della clausola simul stabunt simul cadent. Difatti, gli amministratori non decaduti restano in carica in regime di prorogatio e convocano con urgenza l’Assemblea per il rinnovo del consiglio. Di converso, se l’intero consiglio viene considerato decaduto, invece, si deve ritenere che il Cda sia immediatamente cessato e quindi non legittimato a convocare l’Assemblea. Ne deriva che in questi casi l’organo delegato alla convocazione sia il Collegio sindacale.

Sulla questione dei termini di efficacia della cessazione dei Consiglieri di amministrazione in seguito a rinuncia di uno o più di essi in presenza della clausola simul stabunt simul cadent, è intervenuto anche il Comitato Triveneto dei notai[6], secondo cui: “Nelle società il cui statuto preveda che a seguito della cessazione di uno o più amministratori cessi l’intero consiglio, la rinuncia di uno o più amministratori nei modi che rendano applicabile detta clausola provoca la cessazione dei singoli amministratori nei seguenti termini di efficacia:

a) in mancanza di una ulteriore disposizione statutaria che renda applicabile il comma 5 dell’art. 2386 c.c.:

- gli amministratori non rinuncianti rimangono in carica fino a quando il consiglio non si è ricostituito;

- gli amministratori rinuncianti cessano immediatamente sino a quando rimanga in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione; le cessazioni per rinuncia successive sono efficaci dal momento in cui il consiglio si è ricostituito.

I consiglieri rimasti in carica hanno l’obbligo di convocare l’assemblea per la nomina del nuovo organo amministrativo;

b) in presenza di una espressa disposizione dello statuto che renda applicabile il comma 5 dell’art. 2386 c.c., la cessazione di tutti gli amministratori è immediatamente efficace; l’assemblea per la nomina del nuovo organo amministrativo deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.”

3. La decisione della Corte.

Alla luce di quanto sopra espresso, la decisione di cui è stata investita la Corte non può lesinare un pronunciamento preventivo sulla sussistenza o meno di una condotta abusiva degli amministratori dimissionari. Difatti, la Corte in prima battuta respinge la condotta abusiva degli amministratori dimissionari, in quanto sulla base delle motivazioni prospettate dal socio di minoranza, non si riscontrano condotte fraudolente o poste in essere violando l’insuperabile limite della clausola generale di buona fede di cui all’art. 1375 c.c.[7] In altri termini i giudici di merito riconducono, sulla base degli elementi indiziari forniti, ad “una evidente manifestazione di conflittualità tra i soci dalla quale, gli stessi amministratori dimissionari ben avrebbero potuto ritenere opportuno estraniarsi, salvo il caso di complessivo rinnovo dell’organo”.

Parimenti, la Corte rileva che la presentazione di dimissioni in blocco non rappresenti un intento di danno in capo al socio richiedente la revoca di taluni dei dimissionari, poiché, l’interesse del socio non è stato pregiudicato da tali dimissioni in quanto gli stessi amministratori abbiano comunque posto fine al loro mandato.

In sintonia con le statuizioni di principio testé espresse, la Corte riconduce l’innesco della clausola statutaria simul stabunt simul cadent all’atto delle dimissioni della maggioranza del Cda con conseguente convocazione di Assemblea per il rinnovo dell’intero Consiglio di amministrazione. Di conseguenza, la richiesta di integrazione dell’odg presentata dal socio di minoranza, entrano contrasto con la disciplina legale e con lo statuto[8] dell’Ente.

In altri termini, la Corte ritiene come non possano ritenersi ostative alla validità della clausola in esame, le disposizioni contenute nei primi tre commi dell’art. 2386, in quanto nulla impedisce all’autonomia statutaria di regolare i singoli rapporti di amministrazione attraverso un vincolo di dipendenza reciproca.

4. Osservazioni conclusive.

La risultanza espressa dalla Corte nella sentenza ivi commentata, chiarisce come debba essere interpretata la clausola simul stabunt simul cadent prevista negli statuti societari.

In particolare, si chiarisce come l'innesco della clausola statutaria simul stabunt simul cadent comporti la necessità di integrale rinnovo del Consiglio di Amministrazione, senza la possibilità di procedere a sostituzioni parziali interinali. Ne deriva che anche nel caso in cui la cessazione degli amministratori si determini con l'assemblea di sostituzione degli stessi, una eventuale parziale sostituzione anteriore alla stessa costituirebbe, quindi, una delibera illegale.

Il richiamo statutario al comma 4 dell'art. 2386 c.c., infatti, rende applicabile unicamente le regole dallo stesso previste che risultano non già sovrapponibili alle disposizioni dei primi tre commi dell'articolo in commento, ma incompatibili con le stesse.

Pertanto, si può affermare come da un lato, tale regime concerne situazioni soggettive individuali e diritti disponibili che ben possono essere derogati dalla legge interna rappresentata dalle norme statutarie, dall’altro lato rimane decisivo constatare che il potere di revoca attribuito inderogabilmente all’Assemblea non viene intaccato, fino a quando essi non siano decaduti per effetto della cessazione di uno di loro dalla carica per una qualsiasi causa.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Campobasso, Diritto Comerciale,II, Torino, 1998.
[2] L’art. 126-bis comma 1del TUF recita che “I soci che, anche congiuntamente, rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro dieci giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea, ovvero entro cinque giorni nel caso di convocazione ai sensi dell'articolo 125-bis, comma 3, o dell'articolo 104, comma 2, l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare, indicando nella domanda gli ulteriori argomenti da essi proposti ovvero presentare proposte di deliberazione su materie già all'ordine del giorno. Le domande, unitamente alla certificazione attestante la titolarità della partecipazione, sono presentate per iscritto, anche per corrispondenza ovvero in via elettronica, nel rispetto degli eventuali requisiti strettamente necessari per l'identificazione dei richiedenti indicati dalla società. Colui al quale spetta il diritto di voto può presentare individualmente proposte di deliberazione in assemblea.”
[3] In merito al disposto normativo va ricordato che, ai sensi dell’art. 2386 commi 4 e 5 c.c.:
[4] Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l’intero consiglio, l’assemblea per la nomina de l nuovo consiglio è convocata d’urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere quanto disposto dal successivo comma. [5] Se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo l’ordinaria amministrazione”.
[4] V. Sanfilippo, Funzione amministrativa e autonomia statutaria nelle società per azioni, Torino, 2000, p. 274 e ss.
[5] Corapi, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, pag. 179 e ss.
[6] H.C. 9, 1 pubblicazione 09/05.
[7] Ove tale disciplina venga applicata sulla base di presupposti messi in atto quale mero pretesto per procurare un effetto estraneo alla finalità tipica del sistema statutario previsto, si qualifica come negozio indiretto teso a realizzare un interesse giuridicamente non meritevole di tutela, con la conseguenza che sorge un diritto risarcitorio in capo all’amministratore revocato senza giusta causa.
[8] Le previsioni dell’art. 10 commi 8 e 9 dello statuto di TIM recitano:”Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, si provvede ai sensi dell’art. 2386 c.c., assicurando il rispetto dei requisiti di legge e di statuto in materia di composizione dell’organo collegiale. Ogni qualvolta la maggioranza dei componenti il Consiglio di amministrazione venga meno per qualsiasi causa o ragione, i restanti Consiglieri si intendono dimissionari e la loro cessazione ha effetto dal momento in cui il Consiglio di Amministrazione è stato ricostituito per la nomina assembleare”.