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Pubbl. Gio, 25 Ott 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Responsabilità medica: la perdita di chance per omessa diagnosi dà diritto al risarcimento del danno

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Lorenzo Mariani


La recente sentenza n. 332 del 19.03.2018 del Tribunale di Livorno, in materia di responsabilità medica e danno da mancata diagnosi, conferma l´orientamento giurisprudenziale e dottrinario sul danno da perdita di chance come lesione di un bene giuridico autonomo e risarcibile se soddisfatta la regola del ”più probabile che non”.


Sommario: I. Introduzione - II. Il fatto - III. La decisione del Tribunale - IV. Osservazioni. 

I. Introduzione

Con la recente sentenza n. 332 del 19.03.2018, in materia di responsabilità medica e danno da mancata diagnosi, il Tribunale di Livorno ha determinato che la chance è un diritto autonomo la cui perdita è meritevole di essere risarcita qualora risulti che l’errore medico abbia comportato “più probabilmente che non” la perdita della possibilità di vivere più a lungo, indipendentemente dalla maggiore o minore idoneità della chance a conseguire il “risultato utile”. Tale idoneità, infatti, rileva soltanto ai fini della quantificazione del risarcimento.

II. Il fatto

Il caso oggetto dell'odierna sentenza in esame riguardava gli eredi di una donna deceduta per via di un carcinoma mammario, gli stessi avevano convenuto in giudizio l' Azienda Sanitaria Locale e la relativa compagnia di assicurazioni per sentirle condannare al risarcimento, tra gli altri, del danno da perdita di chance dovuto a tardiva diagnosi del male. La signora, infatti, si era sottoposta per ben due volte (nel 1997 e nel 1999) ad esami mammografici che avevano dato esito negativo. Nel febbraio 2000, in seguito ad una detrazione del capezzolo sinistro, la stessa si era sottoposta ad un nuovo esame che questa volta aveva evidenziato una neoplasia per la quale veniva effettuato un intervento chirurgico al quale, due anni dopo, seguiva l’accertamento di metastasi polmonari e cerebrali che portavano infine alla morte della paziente nel 2004.

III. La decisione del Tribunale 

Nell’accogliere le richieste attoree, il Tribunale di Livorno argomenta in favore dell’esistenza di un errore diagnostico e della sua incidenza sulla probabilità di vita della paziente, riportandosi alla CTU che aveva attribuito al ritardo nella diagnosi una perdita di probabilità di sopravvivenza del 25-30%[1].            
La perizia in parola, di cui l’arresto in esame sottolinea come “le uniche armi utili” contro la patologia di cui soffriva la signora fossero “la diagnosi precoce e la terapia secondo i protocolli per i vari stadi della malattia stessa”, e che “[l]a mammografia periodica fa parte delle metodiche tese a cogliere precocemente l’insorgenza dei tumori mammari. […] I radiogrammi del 1999 erano in grado di rivelare la presenza della neoplasia, o quantomeno di indurre a immediati approfondimenti diagnostici (ecografia, agobiopsia mirata), ma una tale diagnosi – di neoplasia o quanto meno di grave sospetto – non fu formulata. Nella mancata formulazione diagnostica, sia pure in termini di sospetto, è da riconoscere una imperizia dell’operatore.”[2]
Conclude quindi il Tribunale che la chance va intesa come possibilità di un risultato diverso e migliore di quello ottenuto; pertanto, il nesso causale tra condotta del medico e perdita della chance sussiste qualora l’errore abbia comportato “più probabilmente che non” la perdita della possibilità di una vita più lunga, sulla base di valutazioni e accertamenti di tipo statistico (ad esempio indagini epidemiologiche) e probabilistico. La valutazione della sussistenza del nesso causale prescinde dalla idoneità della chance a realizzare il risultato sperato, in quanto essa va considerata come un bene, ossia un vero diritto autonomo da tenere distinto dal diritto alla salute. L' idoneità al perseguimento di un risultato utile avrà il suo peso soltanto in sede di quantificazione del risarcimento dovuto, da effettuarsi in termini percentuali.[3]    

IV. Osservazioni

L’interpretazione fornita dalla sentenza in esame non è limitata alla sola esperienza dei Tribunali di merito, essa poggia, al contrario, su un preciso e attuale orientamento della giurisprudenza di Cassazione che configura la perdita chance non come un danno ad un astratto beneficio futuro,  ma come un pregiudizio concreto e attuale. Tale danno non è pertanto dovuto alla perdita di una mera situazione di fatto, ma è lesione di “una prospettiva favorevole, già presente nel patrimonio del soggetto”[4].

Uno storico esempio di questo orientamento è costituito dalla sentenza di Cassazione n. 4400 del 24 marzo 2004 che costituisce la “spina dorsale” dell’impianto argomentativo seguito dai Giudici di Livorno.
Nel sentenza appena richiamata, la Corte d’Appello aveva negato il nesso causale tra il mancato intervento e la morte del paziente, tenuto conto del fatto che tale operazione aveva “remote possibilità di successo, e per ciò non apprezzabili, sotto il profilo del nesso causale in questione”.[5]  La Suprema Corte, cassando la decisione, considerava la perdita di chance come un danno “non meramente ipotetico o eventuale (quale sarebbe stato se correlato al raggiungimento del risultato utile), bensì concreto ed attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quel risultato).” Siffatto danno “non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo.[6]             
Ed ancora, gli Ermellini accoglievano come valido strumento per la determinazione del nesso causale “un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti.” [7]       
Non a caso, l'argomentazione della Suprema Corte sul punto è riportata testualmente dalla sentenza del Tribunale di Livorno: "non è possibile affermare che l'evento si sarebbe o meno verificato, ma si può dire che il paziente ha perso, per effetto di detto inadempimento, delle chance, che statisticamente aveva, anche tenuto conto della particolare situazione concreta".

L’impostazione appena enunciata è seguita da giurisprudenza successiva: quale ad esempio la pronunci a n. 7195 del 27/03/2014, ampiamente citata dalla sentenza del Tribunale di Livorno. L'arresto della Suprema Corte è relativo al  diverso caso di una donna affetta da cancro alle ovaie che aveva perso il 41% di possibilità di vivere più a lungo perché i medici si erano limitati ad operare una sola delle sue ovaie. Ciò premesso, già nella ricostruzione del fatto la sentenza in questione permette di dare uno sguardo approfondito alla configurazione della chance come bene in sé, nonché alle incertezze e divergenze interpretative che caratterizzano l’argomento affrontato.
La Corte territoriale, infatti, aveva sì aderito alla visione per cui la chance è un bene giuridico e un diritto autonomo meritevole di tutela, ma aveva negato la risarcibilità nel caso di specie, in quanto le possibilità di vivere cinque anni più a lungo con un intervento corretto erano inferiori al 50%.[8]         
Nel loro giudizio adeguandosi all’orientamento espresso da giurisprudenza di legittimità più risalente[9], gli Ermellini hanno ribadito un principio di diritto fatto proprio dal Tribunale di Livorno
Tale principio è perfettamente espresso dal passaggio della sentenza n. 23846 del 18/09/2008 riportato all'interno della pronuncia n. 7195/2014[10] : “in tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, integra l'esistenza di un danno risarcibile alla persona l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, allorché abbia determinato la tardiva esecuzione di un intervento chirurgico, che normalmente sia da praticare per evitare che l'esito definitivo del processo morboso si verifichi anzitempo, prima del suo normale decorso, e risulti inoltre che, per effetto del ritardo, sia andata perduta dal paziente la "chance" di conservare, durante quel decorso, una migliore qualità della vita nonché la "chance" di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti”.             
Nel cassare il giudizio della Corte territoriale, il Giudice Supremo ha così chiarito che l’applicazione del criterio del “più probabile che non” comporta che sia “l'evento perdita di chance a costituire il termine di riferimento della causalità, quale evento di danno risarcibile.[11] Non rileva, quindi, che l’ottenimento della chance abbia o meno una probabilità superiore al 50%.            

A tal proposito, è il caso di notare che non vi è unanimità sul fatto che la lesione alla chance quale bene autonomo sia sempre risarcibile: non manca, infatti, giurisprudenza anche recente, che consideri degne di risarcimento solo le chances perdute che avessero almeno il 50% della probabilità di conseguire il miglior risultato. Ciò al fine di evitare indennizzi per possibilità totalmente aleatorie.[12]         
La pronuncia di Cassazione appena vista, al contrario, compie il passo ulteriore di separare nettamente la valutazione probabilistico-statistica da quella percentuale di idoneità all’ottenimento del risultato utile. Infatti, la prima viene associata alla  determinazione del nesso causale, mentre la seconda viene relegata al solo ambito della quantificazione del risarcimento.              
A siffatta posizione si associa l’arresto del Tribunale di Livorno oggetto della nostra analisi. Come si è visto, esso ha infatti riconosciuto la possibilità di indennizzo per la perdita di chances di miglior vita che erano state stimate dai periti attorno al 25-30%.        
Anche la dottrina più recente[13] ha accolto tale ipotesi, argomentando che l’elemento possibilistico-probabilistico è connotato all’idea stessa di perdita della chance: ciò ne implica la risarcibilità in ogni caso in cui l’occasione di risultato vantaggioso sia dimostrabile, indipendentemente dalla sua probabilità di riuscita. Quest’ultima atterrà unicamente alla quantificazione del danno, senza poter mai comportare la sua esclusione.
Tale argomentazione non rischia affatto di sguarnire il concetto di “chance” di ogni connotato distintivo, così da garantire risarcibilità anche a vaghe ipotesi di vantaggio futuro. Piuttosto, essa impone che l’identità di concreto bene giuridico rinvenibile nel patrimonio del soggetto sia attribuibile solo se venga rispettata una condizione fondamentale: l’entità della chance deve essere “dimostrabile”. Essa non deve cioè sostanziarsi in una astratta possibilità di un beneficio futuro, ma deve poggiare su un solido quadro probatorio che ne dimostri l’effettiva natura di occasione favorevole di conseguire un determinato risultato.[14]         

Questa minima analisi della giurisprudenza da cui ha attinto il Tribunale di Livorno ci consente di comprendere perché alcuna dottrina[15]associ tale visione della perdita di chance al modello del danno emergente, essendo la chance configurata come bene già immediatamente disponibile nel patrimonio del soggetto, la sua perdita costituisce un danno da lesione del patrimonio. La certezza della riuscita è inconferente alla determinazione del nesso causale, essendo rilevante al solo fine di stabilire “la consistenza (percentuale) del bene nel patrimonio del soggetto.[16]
A ciò è affine la posizione secondo cui il danno da perdita di chance sia ontologicamente distinto dalla perdita del risultato utile, con evidenti conseguenze processuali. La già citata sentenza di Cassazione n. 4400/04, ad esempio, chiarisce che qualora l’attore abbia domandato il solo risarcimento del risultato sperato (nel caso concreto, la perdita del bene vita) sia impossibile per il Giudice liquidare anche il danno da perdita di chance.[17]
Le fa eco la sentenza n.21245 del 29.11.2012, in cui si ribadisce che la domanda di risarcimento per perdita di chance “trattasi invece di domanda tutt'affatto diversa [da quella per perdita del risultato sperato], sulla quale, ove non proposta, il giudice non può pronunciare”.[18]

La teoria della perdita di chance come danno emergente si contrappone a quella che la riconduce al lucro cessante, comportando – come è stato fatto notare[19] – una probatio diabolica implicante l’obbligo di dimostrare che il risultato auspicato con la chance si sarebbe sicuramente verificato se non fosse stato per la condotta (o la mancata condotta) del responsabile.            
Siffatta posizione nega alla chance la natura di diritto o bene autonomo e la riduce ad una mera situazione di fatto, un vantaggio comunque collegato ad un bene giuridico concettualmente distinto. Non manca, infatti, dottrina secondo cui “il danno da perdita di chance rientra nel lucro cessante perché il lucro cessante non è né un bene autonomo, né un’entità, bensì soltanto un vantaggio derivante dal bene oggetto delle situazioni soggettive tutelate dal diritto [20]. Ancora, è stato affermato che: “la cosiddetta perdita di chance non è che una particolare ipotesi di soppressione di un fattore causale necessario per il conseguimento di una utilità, e quindi rientra nel genus del lucro cessante futuro.[21]     
Al contrario, il filone giurisprudenziale di cui fa parte l’arresto del Tribunale di Livorno si basa sul già visto presupposto che il nesso causale vada determinato con criteri probabilistici e statistici, essendo addirittura negata la possibilità di dimostrare la certezza di ottenere il risultato migliore.  
 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Trib. Livorno, 19/03/2018 n. 332, para. 1
[2] Trib. Livorno, 19/03/2018 n. 332, para. 2.2
[3] Trib. Livorno, 19/03/2018 n. 332, para. 2.5
[4] Corte dei Conti, Sez. Lombardia, 13 marzo 1998, n. 436.
[5] Cass. Civ. sez. 3, 24/03/2004 n. 4400, “svolgimento del processo.”
[6] Cass. Civ. sez. 3, 24/03/2004 n. 4400 para. 4.2
[7] Cass. Civ. sez. 3, 24/03/2004 n. 4400 para. 3.2
[8] Cass. Civ. sez. 2, 27/03/2014 n. 7195 para. 4.1
[9] Cfr. Cass. Civ. nn . 23846 del 18/09/2008; 12243 del 25/05/2007; 1752 del 28.01.2005
[10] Corsivo e grassetti dell'autore.
[11] Cass. Civ. sez. 2, 27/03/2014 n. 7195 para. 5
[12] Vedi ad esempio Cass. civ., sez. 3, 29/11/2012, n. 21245, para. 8: “Venendo al caso di specie, il giudice di merito, con argomentazioni immuni da errori logici, esenti da aporie e da contrasti disarticolanti con il contesto fattuale di riferimento, ha affermato, sulla base dei rilievi del consulente tecnico, che il giudizio controfattuale in ordine alla incidenza eziologica del comportamento dei sanitari sulla morte del paziente non dava possibilità di salvezza dello stesso superiori al 10%, di talché, anche a volere ipotizzare una immediata, corretta diagnosi della patologia che lo aveva colpito, mancava una soglia di probabilità di sopravvivenza apprezzabile in termini tali da consentire di addebitare all'ente ospedaliero la responsabilità della morte del B.”
[13]M. Azzalini, Il carattere probabilistico del danno da perdita di chance tra istanze di rigore ed esigenze di tutela della persona, in Rivista responsabilità medica, 2017, pp. 154-156
[14] M. Azzalini, op. cit., p.149.
[15] M.C. Iezzi, La chance: nella morsa del danno emergente e del lucro cessante. Il danno da perdita di chance quale tecnica risarcitoria applicabile alla responsabilità contrattuale, alla luce delle più recenti elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, in R. Garofoli-P. Bortone-R. VaccaroTracce di civile, Neldiritto editore, 2008
[16] M.C. Iezzi, op. cit., para. 2.1.2
[17] Cass. Civ. sez. 3, 24/03/2004 n. 4400 para. 4.5
[18] Cass. civ., sez. 3, 29/11/2012, n. 21245 para. 6
[19] M. C. Iezzi, op. cit., para. 2.1.1
[20] F. Mastropaolo, voce Risarcimento del danno, Enciclopedia del Diritto Treccani p. 12
[21] M. Rossetti, il danno da perdita di chance, in Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti, 2000, p. 677.