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Pubbl. Sab, 8 Set 2018

Maltrattamento di animali: configurabile nel caso in cui il cane sia lasciato reiteratamente solo in giardino

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Barbara Druda


Con la sentenza n. 29894 del 16.03.2018 la Cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un cane che era stato reiteratamente lasciato solo in giardino da parte della proprietaria, infatti, la condotta de qua integra il delitto di maltrattamento di animali di cui all’art. 544 ter c.p.


Sommario: 1. Il caso concreto; 2. Il delitto di maltrattamento di animali; 2.1 Elemento oggettivo; 2.2 Elemento soggettivo; 2.3 Circostanze aggravanti; 2.4 Procedibilità; 3. Confisca; 4. Conclusioni.

1. Il caso concreto

La vicenda trae origine dal caso che ha visto protagonista un cane lasciato da solo in giardino per due settimane; gli Agenti di P.G. avevano effettuato molteplici sopralluoghi e la proprietaria dell’animale era sempre risultata assente. Il cane versava in precarie condizioni di salute, inoltre, i vicini avevano testimoniato che a dare acqua e cibo all’animale erano stati i passanti, impietositi dalle condizioni in cui lo stesso versava.

Alla luce di quanto sopra, gli Agenti avevano proceduto al sequestro del cane avverso il quale la proprietaria aveva presentato richiesta di riesame, puntualmente respinta dal Tribunale. La donna, quindi, ricorreva per Cassazione ma la Corte riconosceva la legittimità del sequestro.

2.Il delitto di maltrattamento di animali

Con la legge n. 189 del 20 luglio 2004 il legislatore, recependo la Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia[1], ha introdotto un’importante novità all’interno del codice penale mediante l’aggiunta del Titolo IX bis concernente i «delitti contro il sentimento per gli animali». La ratio sottesa alla novità legislativa è rappresentata dalla necessità di apprestare una tutela più incisiva agli animali, infatti, prima della sua introduzione l’unica disposizione normativa utile a tal fine era il reato contravvenzionale di cui all’art. 727 c.p.

Il nuovo titolo comprende al suo interno molteplici figure delittuose e, grazie ad esso, ciò che viene ad essere tutelato è il sentimento verso gli animali, inteso come sentimento di pietà. Questo, a fronte di una lacuna normativa sulla nozione di animale, ha portato la dottrina maggioritaria ad individuare l’oggetto materiale del reato “nei soli animali verso cui l’uomo provi un sentimento di pietà e di compassione; si è detto «una mosca, un grillo, o una cavalletta non sono nel sentire comune la stessa cosa di un cane, di un gatto, di un cavallo, di un leone»”[2]. Tuttavia, la nozione così individuata non si connota certo per staticità ben potendo, nel corso del tempo, subire degli ampliamenti in guisa da ricomprendere anche quelle specie che ad oggi “occupano gradini più bassi della scala zoologica[3].

Tra i vari delitti introdotti all’interno del Titolo de quo quello che interessa nella presente trattazione è il maltrattamento di animali di cui all’art. 544 ter c.p. La norma in esame, al primo comma, dispone che «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro». Altre condotte penalmente rilevanti sono poi indicate al comma due ove si dispone che «la stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi».

Analizzando la struttura della fattispecie emerge anzitutto che si tratta di un reato comune, ossia un reato che può essere commesso da «chiunque» non essendo richiesta la sussistenza di una particolare qualifica in capo al soggetto attivo.

2.1 Elemento oggettivo

Con particolare riguardo all’elemento oggettivo il legislatore ha strutturato il delitto de quo in parte come reato di condotta ed in parte come reato d’evento, infatti, da un lato tipizza specifici comportamenti, dall’altro individua eventi -come ad esempio la causazione di lesioni-.

In particolare, l’art. 544 ter c.p. dispone che il soggetto attivo debba tenere lo specifico contegno consistente nel sottoporre l’animale a sevizie oppure a comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Sul punto la Cassazione ha precisato che «i comportamenti insopportabili imposti all’animale idonei ad integrare il reato sono quelli incompatibili con il comportamento proprio della specie di riferimento dello stesso così come ricostruito dalle scienze naturali»[4]. Per accertare se l’animale sia stato sottoposto a lavori o fatiche insopportabili, il Giudice dovrà tener conto sia della comune esperienza che degli studi effettuati dalle scienze naturali, inoltre, prenderà in considerazione la specie cui appartiene l’animale.

Alternativamente, il reato è configurato quando dalla condotta del soggetto deriva la causazione di lesioni all’animale; peraltro, sul significato da attribuire al termine de quo è intervenuta più volte la giurisprudenza specificando che non è necessaria la causazione di lesioni fisiche all’animale ma è sufficiente che gli si provochi una sofferenza. Infatti, il legislatore, introducendo la norma in esame, ha inteso tutelare l’animale in quanto essere vivente capace di percepire dolore. La giurisprudenza ha altresì precisato che per aversi maltrattamento non serva necessariamente una condotta attiva ma sia sufficiente una condotta omissiva consistente nel lasciar soffrire l’animale, ad esempio per mancanza di cure, inedia, ecc[5].

Andando ad esaminare qualche caso concreto si può osservare come la giurisprudenza, nel corso del tempo, abbia individuato molteplici ipotesi sussumibili all’interno della fattispecie di cui all’art. 544 ter c.p. Ad esempio, ha applicato detta disposizione nei confronti dei proprietari di un allevamento di cani destinati alla vivisezione in cui gli animali erano maltenuti e sottoposti senza alcuna necessità a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche[6], oppure nei confronti di un soggetto che aveva applicato al cane un collare elettrico specificando però che in detta ipotesi, ai fini della applicabilità della fattispecie de qua, è necessario che il collare produca un danno alla salute dell’animale[7].

2.2 Elemento soggettivo

Sul piano soggettivo è necessario il coefficiente psicologico del dolo, quindi, il soggetto per essere punito deve aver agito con la specifica volontà di cagionare lesioni all’animale o comunque di tenere una delle condotte tipizzate; irrilevanti, invece, le lesioni cagionate per colpa.

Vi è da precisare che il reato è a dolo generico nel caso in cui la condotta sia tenuta «senza necessità», invece, è a dolo specifico quando il soggetto agisce «per crudeltà». Si è espressa in tal senso anche la giurisprudenza che, a più riprese, ha statuito che il delitto de quo «configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale è tenuta “per crudeltà” mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta, senza necessità»[8]. La crudeltà ricorre in tutti quei casi in cui gli atti posti in essere dal soggetto agente infliggano gravi sofferenze fisiche all’animale senza un giustificato motivo ma che, al contrario, siano perpetrati dietro la spinta di motivazioni futili o abbiette[9]. Tuttavia, come sopra specificato, per l’integrazione del reato è sufficiente il dolo generico ricavabile dal secondo requisito soggettivo, vale a dire la mancanza di necessità.

Invece, il reato è da escludersi nell’ipotesi in cui il soggetto agente abbia arrecato un pregiudizio all’animale per necessità. Nella nozione di necessità ivi richiamata rientra sia lo stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. (il cui primo comma dispone che «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo») sia ogni altra situazione che induca al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni. Ecco allora che l’applicazione dell’art. 544 ter c.p. va esclusa quando la lesione è stata inferta da parte di una persona al fine di salvare la propria o l’altrui incolumità, oppure per salvare dei propri beni, sempreché l’offesa arrecata all’animale fosse inevitabile. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un cane aggredisca ferocemente un bambino ed il genitore lo uccida per salvare il minore.

2.3 Circostanze aggravanti

Il legislatore ha previsto anche delle specifiche circostanze aggravanti, infatti, il terzo comma dell'art. 544-ter c.p. introduce una speciale circostanza aggravante che importa un aumento della pena della metà per il caso in cui alle condotte di maltrattamento disciplinate dal primo comma consegua la morte dell'animale. Ovviamente dal punto di vista psicologico l’evento infausto (id est la morte dell'animale) deve essere colposo e non doloso, infatti, se fosse una conseguenza voluta del maltrattamento allora il soggetto agente sarebbe chiamato a rispondere del delitto di uccisione di animali di cui all’art. 544-bis c.p.

2.4 Procedibilità

Il delitto di cui all'art. 544 ter c.p. è procedibile d'ufficio, ciò significa che per l’instaurazione del procedimento penale non è necessaria la presentazione della querela.

La denuncia può essere presentata anche da associazioni animaliste alle quali, l’art. 7 della legge n. 189/2004 ha addirittura riconosciuto la possibilità di essere qualificate “persona offesa” laddove siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 91 c.p.p. Di conseguenza, gli enti e le associazioni senza scopo di lucro che, prima della commissione del fatto per cui si procede, siano state riconosciute in forza di legge come portatrici di finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le facoltà attribuiti dal codice di procedura penale alla persona offesa dal reato.

3. Confisca

Un’ulteriore novità di particolare rilievo apportata dalla legge 189/2004 è rappresentata dall’introduzione della doverosità della confisca degli animali vittime di maltrattamento. Infatti, l’art. 544 sexies c.p. dispone che «nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per i delitti previsti dagli articoli 544-ter, 544-quater e 544-quinquies, è sempre ordinata la confisca dell'animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato. (…) ». Prima della novella legislativa, invece, gli animali erano restituiti ai colpevoli con conseguente rischio di reiterazione delle condotte pregiudizievoli.

4. Conclusioni

In conclusione, il delitto di maltrattamento di animali di cui all’art. 544 c.p. si integra ogniqualvolta il soggetto agente abbia, senza necessità o con crudeltà, cagionato lesioni ad un animale oppure lo abbia sottoposto a sevizie o a comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. La fattispecie, come ritenuto dalla Cassazione con la sentenza in commento, sussiste anche nel caso in cui l’animale sia stato lasciato da solo in giardino per un considerevole lasso di tempo con conseguente pregiudizio per la sua salute; in tal caso, il sequestro dell’animale è legittimo.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Convenzione sottoscritta a Strasburgo il 13 novembre 1987.
[2] Claudia CHINELLATO, “La tutela penale degli animali”, 2013, Link.
[3] Claudia CHINELLATO, “La tutela penale degli animali”, cit.
[4] Cass., sent. n. 5979/2013.
[5] Ex pluribus Cass., sent. n. 46291/2003.
[6] Trib. Brescia Ord. del 01.08.2012.
[7] Trib. Verona, sent. del 24.05.2012.
[8] Così, Cass., sent. n. 44822/2007 ma, tra le altre, si citano Cass., sent. n. 24734/2010 e Cass., sent. n. 38789/2015.
[9] Cass., sent. n. 9668/1999; Cass., sent. n. 601/1996.
[10] Per la disamina dell’ipotesi in cui il fatto sia stato cagionato per necessità si rinvia al paragrafo 2.6.