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Pubbl. Gio, 16 Ago 2018

Violenza sessuale e assunzione volontaria di alcolici da parte della vittima

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Mauro Giuseppe Cilardi
AvvocatoUniversità degli Studi di Bari


La violenza sessuale è un reato a schema duplice e alternativo, integrabile per costrizione o per induzione. In questa seconda ipotesi, in omaggio al principio di legalità, l´inferiorità psico-fisica della persona offesa può valere soltanto come elemento costitutivo della fattispecie e non come circostanza aggravante.


Sommario: 1. Importanza della questione nell'attuale panorama giuridico e sociale; 2. Violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo: ratio e differenza; 3. La violenza sessuale e le due condotte incriminate: la costrizione e l'induzione; 4. Osservazioni conclusive alla luce del principio di legalità.

1. Importanza della questione nell'attuale panorama giuridico e sociale

Con la sentenza n. 32462 del 16 luglio 2018, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d'Appello di Torino, che aveva condannato due soggetti per violenza sessuale di gruppo, aggravata dall'uso di sostanze alcoliche ex art. 609-ter, comma 1, n. 2, del codice penale. Nel dettaglio, la Corte ha ritenuto insussistente l'aggravante de quo, poiché gli aggressori avevano abusato sessualmente di una donna, che prima del riprovevole atto aveva assunto volontariamente alcol e dunque si era posta consapevolmente in una situazione di inferiorità fisica e psichica ai sensi dell'art. 609-bis c.p.

Il ragionamento seguito dai giudici è giuridicamente e logicamente ineccepibile. Ciononostante, su alcuni organi di stampa, sono apparsi titoli altisonanti e sui social network si sono sollevate diverse voci indignate per l'orientamento espresso dal collegio giudicante, che avrebbe così azzerato tutte le conquiste femminili faticosamente ottenute negli anni.

Si rende, pertanto, necessario approfondire la natura e la struttura oggettiva della violenza sessuale, considerata negli autonomi titoli di reato semplice e di gruppo, in modo da appurare la correttezza della posizione assunta dal Giudice di terzo grado.

2. Violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo: ratio e differenza

I reati di violenza sessuale ex art. 609-bis e di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p. fanno parte di un'architettura normativa introdotta nel codice penale ad opera della legge n. 66 del 15 febbraio 2006, che ha operato un mutamento del bene giuridico tutelato dalle fattispecie penali in questione, in passato preordinate a difendere la morale pubblica ed oggi poste a presidio della libertà personale dell'individuo.

Invero, il reato di violenza sessuale attenta alla libera autodeterminazione della persona nell'ambito della dimensione sessuale, ossia alla capacità di ciascuno di scegliere liberamente di compiere atti sessuali dove, quando e con chi vuole, senza subire costrizioni o indebite interferenze dall'esterno. Il diritto a vivere spontaneamente la propria sessualità, dunque, costituisce una delle molteplici manifestazioni della personalità umana e trova implicito riconoscimento tanto nell'art. 2 della Costituzione quanto negli artt. 3 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

In particolare, la Carta costituzionale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali l'orientamento granitico della giurisprudenza enuclea il diritto a condurre la propria vita sessuale secondo la propria volontà; inoltre, la CEDU sancisce il rispetto dell'integrità fisica e della riservatezza e, quindi, il diritto di ogni essere umano a non patire coartazioni nella propria sfera sessuale.

Precisamente, la violenza sessuale può essere perpetrata dal singolo o da parte di un gruppo di persone riunite nel medesimo luogo. Il primo caso determinerà il perfezionamento della violenza sessuale nella forma monosoggettiva, punita ai sensi dell'art. 809-bis; nel secondo caso verrà integrata la fattispecie autonoma di violenza sessuale di gruppo, sanzionata dall'art. 809-octies. Se il concetto di violenza sessuale non può che essere unitario, la differenza tra i due titoli delittuosi attiene, allora, alla componente numerica degli agenti. Considerato, infatti, il maggior disvalore penale della violenza posta in essere da più soggetti che agiscono nel medesimo contesto spazio-temporale in danno di una sola vittima, il legislatore ha ritenuto opportuno prevedere un'autonomia ipotesi di delitto, piuttosto che statuire l'aggravamento della pena rispetto all'ipotesi monosoggettiva.

Sul punto, inoltre, è doveroso evidenziare che secondo gli ultimi approdi giurisprudenziali e dottrinali non è necessario che ciascun agente ponga in essere la condotta tipica di violenza sessuale, né tantomeno un segmento della medesima. Ciò che rileva, invece, ai fini dell'integrazione del reato nella manifestazione plurisoggettiva è che ognuno di essi abbia fornito un apporto eziologico alla commissione dell'illecito, sia morale che materiale, purché egli sia effettivamente presente nel luogo in cui si consuma il reato. 

Lo stesso art. 809-octies richiama, da una parte, l'art. 809-bis nel definire l'ubi consistam della violenza e, dall'altra, l'art. 609-ter per l'applicazione delle circostanze aggravanti, nel caso in cui il giudice ne ravvisi la sussistenza nell'ipotesi posta al suo vaglio.

3. La violenza sessuale e le due condotte incriminate: la costrizione e l'induzione

Giova, a questo punto, porre l'attenzione all'elemento oggettivo del reato. Nel dettaglio, l'art. 809-bis stabilisce che la violenza sessuale può essere realizzata con due modalità differenti: per costrizione con violenza e minaccia in virtù del primo comma; per induzione attraverso l'abuso dello stato di inferiorità psichica o fisica in cui si trovi la vittima ai sensi del secondo comma. Vengono in rilievo, pertanto, due meccanismi comportamentali alternativi, ciascuno dei quali è idoneo in pari misura a configurare il reato di violenza sessuale, senza che tra i due schemi intercorra alcuna differenza d'intensità o di maggior riprovevolezza dell'uno rispetto all'altro. Sia che venga commessa per costrizione e sia che sia posta in essere per induzione, la violenza resta tale e nessuna forma può essere ritenuta più grave dell'altra dal punto di vista giuridico e penale.

Pertanto da una parte, vi è la costrizione, attuata mediante violenza o minaccia: la giurisprudenza è costante nel ritenere che, data la preminenza del bene giuridico normativamente tutelato, la coercizione vada valutata in base alle circostanze oggettive e soggettive sussistenti in concreto e, dunque, anche un'intimidazione posta in essere in determinate situazioni può essere considerata atta ad annullare la capacità volitiva della vittima e ad obbligarla a compiere o subire l'atto sessuale.

Sul secondo versante, la violenza può essere perpetrata mediante abuso dell'inferiorità fisica o psichica della persona offesa. In questo caso può assumere importanza l'assunzione volontaria di sostanze stupefacenti o alcoliche da parte della vittima nel momento immediatamente precedente all'atto sessuale coatto.

Invero, la previsione legislativa di tale modalità di realizzazione della violenza è sorretta dall'intenzione di tutelare la libertà di autodeterminazione, anche di carattere sessuale, dei soggetti più deboli, come ad esempio i malati di mente. Tale spirito solidaristico, tuttavia, impone di estendere la tutela de qua non soltanto alle persone che soffrono di una patologia mentale o fisica clinicamente accertabile, ma altresì a tutti i soggetti che si trovino in una situazione, anche temporanea, di considerevole indebolimento o di menomazione delle proprie capacità cognitive e volitive, come per l'appunto accade nel caso di ingestione di alcolici o assunzione di stupefacenti su base volontaria.

È questo il punto focale della questione, sulla quale si sono recentemente espressi gli Ermellini con una sentenza che ha suscitato un ingiustificato clamore mediatico. Laddove, infatti, la vittima abbia dapprima scelto autonomamente di ingerire alcol o droghe e successivamente sia stata indotta, con un'opera di persuasione da parte dell'agente, a compiere o a subire un atto sessuale, tale fattispecie integrerà il reato di violenza sessuale per induzione ai sensi dell'art. 609-bis, comma 2, c.p.

Diverso è il caso in cui il colpevole abbia determinato la vittima ad assumere sostanze alcoliche o stupefacenti, per poi abusarne sessualmente. In questo caso alla violenza sessuale il giudice potrà pacificamente applicare la circostanza aggravante di cui all'art. 609-ter, comma 1, n. 2, c.p., la quale si riferisce espressamente al caso di violenza consumata "con l'uso di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti".

Quindi, dall'analisi codicistica emerge che il legislatore ha ritenuto di dover aggravare la pena soltanto se è stato l'autore della violenza a causare la perdita della capacità di autodeterminazione della persona offesa, perché solo così egli manifesta un maggiore allontamento dai principi e dai valori dell'ordinamento giuridico, ponendo in essere una condotta significativamente lesiva della libertà sessuale. Invece, nel caso in cui in piena lucidità e indipendenza il soggetto abbia scelto di ingerire alcol o droga e in un momento successivo abbia subito violenza, il reo potrà essere accusato di aver indotto la vittima a compiere l'atto sessuale con abuso della sua inferiorità fisica e psichica e, di conseguenza, di aver posto in essere il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., senza che possa venire in rilievo la circostanza aggravante ricordata.

Nel reato di violenza sessuale, pertanto, assume importanza dirimente l'assenza del valido consenso della vittima. 

Nella costrizione, il soggetto passivo esprime un vero e proprio dissenso al rapporto fisico; nell'induzione, egli non si oppone, ma al tempo stesso non manifesta adesione all'atto e, quindi, anche in questo caso il consenso difetta. Di conseguenza, le due ipotesi non possono che collocarsi sullo stesso piano dal punto di vista sanzionatorio, non rilevando l'eventuale stato di ubriachezza della vittima, a patto ovviamente che tale condizione non sia stata procurata dall'autore della violenza.

4. Osservazioni conclusive alla luce del principio di legalità

Alla luce delle coordinate tracciate, è evidente la correttezza logico-giuridica del ragionamento espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 32462 depositata il 16 luglio 2018.

Va sottolineato che con tale pronuncia la Suprema Corte non fa altro che uniformarsi all'orientamento costantemente sostenuto in giurisprudenza in merito alla distinzione, ai fini strutturali e sanzionatori, tra il volontario e il procurato stato di ubriachezza o di assunzione di droghe da parte della vittima dello stupro.

Sul punto, inoltre, giova precisare che uno dei canoni fondamentali del diritto penale è il principio di legalità, in omaggio al quale è solo la legge che può prevedere le singole ipotesi di reato e le relative pene. Tale dogma, consacrato nell'art. 25, comma 2 della Costituzione e nell'art. 7 della Convenzione europea dei Diritti umani, è posto a presidio della libertà individuale, valore supremo a cui si conforma l'intero ordinamento giuridico penalistico.

Il rispetto del favor libertatis impone al giudice di interpretare la norma penale nei limiti del suo tenore letterale e di non estenderne l'operatività ai casi esorbitanti dalla formulazione testuale, sulla base di una asserita comunanza di ratio, qualora ciò comporti un inasprimento del trattamento sanzionatorio. Sull'autorità giudiziaria, quindi, grava il divieto di applicazione analogica della legge penale, in virtù sia dell'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile e sia dell'accezione unanimemente accolta dell'art. 25, comma 2 della Costituzione.

In conclusione, lo scrivente si augura di aver favorito una maggiore comprensione della materia, che proprio per la sua attinenza ai diritti umani e alla dignità della persona è suscettibile di creare dibattito nella società civile. È bene, tuttavia, che le proprie opinioni siano formulate ed espresse sulla base di un'accurata lettura delle fonti e di un attento approfondimento della notizia, al fine di maturare una reale consapevolezza di ciò di cui si discute.

Per quanto, secondo il personale punto di vista di ciascuno, possa considerarsi eticamente non condivisibile, la Cassazione ha tuttavia mostrato di fare buon governo dei principi e delle norme del diritto penale, distinguendo le fattispecie di assunzione volontaria e di ingestione indotta di sostanze alcoliche e droganti. La prima configura un'ipotesi di inferiorità psicofisica, che l'art. 609-bis, comma 2, c.p. ritiene idonea a fondare un rimprovero per violenza sessuale. La seconda, invece, integra la circostanza aggravante dell'uso di alcolici e stupefacenti ai sensi dell'art. 609-ter, comma 1, n. 2, c.p.

Eventuali doglianze per il sistema ricostruito non possono trovare come destinatario il giudice, che del diritto è un applicatore o, nei limiti evidenziati, un interprete, ma l'organo deputato alla creazione della legge, che nell'ordinamento costituzionale italiano è il Parlamento.

Riferimenti bibliografici

F. Caringella, F. Della Valle, M. De Palma, Manuale di diritto penale - Parte speciale, Roma, Dike Giuridica Editrice, 2017.
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F. Mantovani, Diritto penale - Parte speciale, Vol. I, Delitti contro la persona, Padova, Cedam, 2016.
G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale - Parte speciale, Vol. II, Tomo I, I delitti contro la persona, Torino, Zanichelli, 2013.
S. R. Palumbieri, Violenza sessuale, in (a cura di) A. Cadoppi, S. Canestrari, M. Papa, I reati contro la persona, Vol. III. Reati contro la libertà sessuale e lo sviluppo psico-fisico dei minori, Torino, Utet, 2011.