Pubbl. Mer, 8 Ago 2018
Infortuni sul lavoro e responsabilità penale del vertice aziendale: la posizione di garanzia del datore di lavoro e la delega di funzioni
Modifica paginaObblighi di salute e sicurezza sul lavoro a carico del datore.
Nell’era attuale caratterizzata dall’affastellarsi di provvedimenti legislativi, figli di una sempre più schizofrenica tecnica di normazione, la disciplina della responsabilità penale del vertice aziendale richiede particolari cautele, al fine di non alimentare tensioni ulteriormente distorsive del principio di colpevolezza, cristallizzato nell’art. 27 della Costituzione.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione suggerisce una distinzione tra due piani di responsabilità, l’uno “astratto”, inerente l’individuazione normativa dei soggetti obbligati, l’altro “concreto”, costituito dall’accertamento di un fatto proprio e colpevole, così fugando ogni timore di ingenerare confusione fra il corollario dell’impossibilità di riconoscere forme di “responsabilità da posizione” e l’esigenza di evitare che l’organizzazione aziendale si converta in “irresponsabilità organizzata”.
Quanto al problema dell’individuazione delle cd. “posizioni di garanzia” nell’ambito delle organizzazioni complesse, il criterio guida consisterebbe nella verifica della corrispondenza tra poteri e doveri, in misura tale da identificare agevolmente l’onerato della posizione di garanzia, sul quale far ricadere la possibilità di assicurare il corretto adempimento di doveri ed obblighi. In altri termini, la “filiera” delle responsabilità funzionali andrebbe articolata in base alla ripartizione interna delle competenze, atte a garantire la tutela degli interessi superindividuali da parte del vertice aziendale. In particolare, nell’ambito della materia antinfortunistica, secondo l’art. 2 del d.lgs. 81/2008, residuerebbero in capo alle singole figure professionali ivi elencate diversi profili di poteri e responsabilità. A tal proposito, viene in rilievo l’importanza assunta, nell’ambito della disciplina degli infortuni sul luogo di lavoro, dall’istituto della delega, strumento di organizzazione dell’attività d’impresa ed allocazione delle competenze trasversali in materia antinfortunistica.
Sulla scorta degli impianti dottrinali antecedenti la riforma del 2008, i quali tendevano a considerare rispettivamente l’uno, quale soggetto responsabile, colui che svolge effettivamente le funzioni aziendali, nel segno dei principi giuridici dettati in materia di obblighi a carico del delegato, con esonero totale del delegante; l’altro, quale onerato di una vera e propria “posizione di garanzia”, il titolare della qualifica extrapenale, si è consolidato poi il discrimen tra il mero “trasferimento” di funzioni e la vera e propria “successione” nella stessa, laddove il primo consisterebbe in un cumulo di responsabilità mentre la seconda sembrerebbe caratterizzata dal passaggio di tutti i poteri ad un unico garante. Di tal che, si sarebbe persino giunti a considerare l’affermazione di un “incarico di funzioni”, implicante il trasferimento ad altri della propria posizione, diversamente da un “incarico di esecuzione”, mediante il quale servirsi di altri per adempiere le proprie funzioni.
Orbene, tali indirizzi sono stati interamente assorbiti dal paradigma nominale dell’art. 16, comma 1, d.lgs. 81/2008 che regolamenta ex novo limiti ed efficacia della delega di funzioni, sancendo in particolare che la stessa risulti da atto scritto recante data certa (lett. a); che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate (lett. b); che attraverso la delega vengano attribuiti al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate (lett. c); che al delegato venga riconosciuta autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate (lett. d); che la delega sia accettata per iscritto dal delegato (lett. e). Il successivo comma, invece, impone che venga data “adeguata e tempestiva pubblicità” alla delega stessa, al fine di delineare una situazione quanto più nitida possibile nel momento dell’accertamento della responsabilità penale. Infine il comma 3, oltre a svolgere funzione di individuazione della natura dei criteri di attribuzione della responsabilità rispetto alla posizione del delegante, fungerebbe da raccordo con la specifica normativa in materia di modelli di organizzazione, gestione e controllo ex d.lgs. 231/2001.
Tuttavia la portata davvero dirompente del summenzionato disposto normativo si sostanzierebbe nella trasformazione dell’originario obbligo di garanzia in un succedaneo obbligo di vigilanza per il delegante, in relazione al corretto espletamento delle funzioni delegate. Operazione che sembra dar luogo ad un’autentica “truffa delle etichette”, considerato che basta provare la violazione di obblighi di sicurezza e controllo di cui all’art. 30, co. 4 T.U.S. per accertare le relative responsabilità, dimostrando la sussistenza di un obbligo di garanzia in capo al delegante, pur sempre garante a titolo originario. Certamente pur ricorrendo in ausilio la lettera dell’art. 17 T.U.S., facente riferimento alle funzioni non delegabili del datore di lavoro, quali la valutazione dei rischi per la salute e sicurezza, con annesso DVR (documenti di valutazione dei rischi), e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, non si può prescindere dal considerare che la delega, sul piano della ripartizione delle posizioni di garanzia, è in grado di costituire figure di “garanti derivati”, ma non di produrre un effetto estintivo in capo al delegante, a causa dello scorretto esercizio delle funzioni trasferite al delegato, del cui inadempimento potrà rispondere il dante incarico solo a titolo di partecipazione commissiva od omissiva per culpa in vigilando. In tal modo, la legge connoterebbe l’obbligo di vigilanza del soggetto apicale come un “aspetto essenziale della garanzia dovuta dal delegante”.
Pertanto la vigilanza del delegante non si esaurirebbe in sé, ma costituirebbe tassello del puzzle di poteri/doveri di alta direzione dell’impresa, non dismessi e sicuramente non dismettibili attraverso una delega. Il dante causa, quale soggetto gerarchicamente sovraordinato, in caso di negligenza del delegato, ha la facoltà di intervenire istruendo il più ampio potere di revoca della delega e riorganizzazione dell’intero sistema di gestione della sicurezza. Inoltre, il meccanismo di controllo sull’adempimento del MOG di cui all’art. 30, comma 4 T.U.S., in materia di compliance prevista dal d. lgs. 231/2001 confermerebbe la discrezionalità del datore di lavoro-delegante in merito alle metodiche organizzative delle funzioni delegate, attestando la permanenza di un obbligo di garanzia e non di mera vigilanza in capo al delegante, con la conseguente astratta possibilità che il delegante venga punito, in caso di delitti colposi o contravvenzioni commesse dal delegato, non solo per la culpa in eligendo, ma anche per la culpa in vigilando. In definitiva, potrebbe non considerarsi esclusa la responsabilità del delegato, il quale risponderà in qualità di extraneus, a titolo di cooperazione colposa con il delegante apparente, per gravi violazioni di obblighi in materia antinfortunistica.