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Pubbl. Lun, 25 Giu 2018

La messa alla prova del minore al vaglio della Corte Costituzionale

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Simona Rossi


Con ordinanza n. 16358 del 2018, la Corte di Cassazione ha sottoposto al vaglio della Corte costituzionale la disciplina dell´istituto della messa alla prova del minore nella parte in cui non prevede, in caso di esito negativo, la determinazione della pena da eseguire avuto riguardo della consistenza delle limitazioni e del comportamento tenuto


Sommario: 1. Panoramica generale; 2. Analisi dell'istituto della messa alla prova del minore; 3. Raffronti tra la messa alla prova prevista per il minore e per il maggiorenne; 4. Art. 29 del D.P.R. 488/88 e Art. 657 bis c.p.p. al vaglio della Corte Costituzionale.

1. Panoramica generale.

Il rito minorile si basa su una serie di principi, come il principio della finalità educativa, e principi a questo correlati ovvero il principio di minima offensività, di adeguatezza, di celerità e di personalizzazione, che mirano alla salvaguardia della posizione del minore e che si attuano con la predisposizione di un sistema di tutele espressamente previste per l’imputato minorenne.

Fra i principi cardine, vi è il principio della minima offensività che prevede, sempre allo scopo del raggiungimento del fine educativo, che il processo penale non comprometta la crescita psicologica del minore, nel senso che si deve garantire la minore offensività ma soprattutto che il processo penale abbia luogo solo laddove risulti indispensabile[1].

Conformemente a quanto affermato dalla Corte Costituzionale, per il perseguimento della finalità rieducativa del minore è necessario che questo sia sottratto al sistema del processo penale nei tempi più rapidi.[2] Non a caso, per il minore sono previste delle formule che agevolano la conclusione del processo addirittura senza l’irrogazione di una pena, come l’irrilevanza del fatto; e inoltre il perdono giudiziale ovvero l'estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova.

Infatti, la finalità del processo è pur sempre quella di accertare il compimento di un fatto considerato reato ed irrogare una sentenza e, pertanto, nell’ambito del “giusto processo minorile” sono riconosciuti al giudice dei poteri discrezionali (un esempio lampante è fornito proprio dall’applicazione della sospensione del processo con messa alla prova, come si avrà modo di illustrare) in virtù delle peculiari finalità che si propone di conseguire il processo penale minorile.

Tuttavia, è doveroso osservare che la sospensione del processo non può essere disposta quando si è in presenza di una causa di proscioglimento immediato ai sensi dell'art. 129 c.p.p o dei presupposti per emettere una sentenza conclusiva ai sensi degli artt. 425 (sentenza di non luogo a procedere) e 529 (sentenza di non doversi procedere) c.p.p.: difatti, qualora vi siano cause estintive del reato, ovvero il proscioglimento, è preclusa la possibilità di comminare la sospensione ex art. 28. Allo stesso modo la messa alla prova è preclusa ogni qual volta sussistano i presupposti per l'emanazione di un provvedimento di archiviazione ovvero quando sussistano cause di non punibilità.

L’istituto della “messa alla prova”, in ogni caso, non rappresenta una “novità” tanto è vero che era stato sperimentato fin dagli arbori dell’istituzione del tribunale per i minori. Difatti nella città di Chicago, sotto la spinta dovuta della Scuola di Chicago che si occupò di sociologia della devianza, venne istituito nel 1899 il Tribunale per i Minorenni che si caratterizzava per la presenza di un giudice specializzato che affrontava il minore deviato con un atteggiamento di tipo” paternalistico” che applicava la disciplina del codice di rito (venne istituto un giudice ad hoc ma non era ancora prevista una disciplina specifica). Il compito del giudice era di giudicare e “studiare” il comportamento del ragazzo deviato così da poter elaborare il modo più adeguato per procedere alla correzione di tale devianza, ed era prevista la probation (ossia la messa alla prova) del minore che poteva essere affidato ad un ufficiale di prova il quale poteva essere sia volontario che stipendiato.

Successivamente tale istituto è entrato a far parte dei vari ordinamenti e la sua importanza risulta “consacrata” anche dalla “Convenzione dei diritti del fanciullo”[3] -sottoscritta a New York nel 1989- che, riaffermando i principi già affermati nelle Regole di Pechino e nella successiva Raccomandazione n. R(80)20, all’art. 40 si occupa della previsione della presunzione d’innocenza e del diritto alla difesa del minore. La stessa Convenzione prevede un trattamento processuale che consenta all’imputato, in ragione soprattutto dell’età, di facilitare il suo reinserimento nel tessuto della società; l’articolo citato continua con la previsione di provvedimenti che consentano l’interruzione del procedimento penale, laddove possibile, in favore della risoluzione extragiudiziaria mediante istituti basati, per l’appunto, sulla messa alla prova[4].

2. Analisi dell’istituto della messa alla prova del minore.

L’istituto della sospensione del processo con messa alla prova rappresenta senz’altro uno degli istituti più importanti previsti dalla giustizia minorile, e ciò in quanto consente al giudice di disporre la sospensione del processo per offrire al minore la possibilità di dimostrare che si sia ravveduto, rappresentando quindi un ipotesi di probation processuale[5].

Quest’istituto attua i principi cardine del rito minorile, eppure si caratterizza rispetto agli altri istituti in quanto vi è la previsione per cui il minore è tenuto a dar prova del suo ravvedimento per fuoriuscire dal circuito penale, anche a discapito della rapidità che pure costituisce uno dei capisaldi della giustizia minorile.

La ratio è che la rinuncia punitiva da parte dell’ordinamento sia supportata dalla dimostrazione della maturazione del reo, considerato che talora il ricorso ad altri istituti potrebbe mostrarsi deleterio nell’ottica del conseguimento di tali obiettivi.

Va osservato però, che questo istituto comporta indubbiamente l'attribuzione di ampi poteri discrezionali al giudice che potrebbero comportare il rischio di un trattamento disomogeneo dal punto di vista territoriale[6].Tuttavia questo spazio di discrezionalità risulta essere d’obbligo proprio in considerazione della necessità di personalizzazione.

I presupposti applicativi della sospensione per messa alla prova sono sia di natura oggettiva che soggettiva. Con riguardo ai presupposti oggettivi va osservato che non sono previste preclusioni sulla base della gravità del reato, che incide soltanto sulla durata della messa alla prova che può durare nel massimo fino a tre anni; a ciò va considerato, comunque, che per taluni delitti estremamente gravi va ritenuto che il periodo massimo previsto per la messa alla prova non sia sufficiente e per cui la misura risulterebbe inapplicabile[7]  Resta fermo, tuttavia, che si è avuta l’applicazione anche per reati quali l’omicidio o l’associazione di stampo mafioso.

Un requisito non espressamente previsto, e a cui si è già fatto cenno, è l’accertamento della sussistenza del fatto e della colpevolezza del reato, in quanto in mancanza di questi presupposti non avrebbe alcun senso l’impiego di un processo di risocializzazione. Pertanto, nelle ipotesi in cui sia possibile procedere alla pronuncia di immediato proscioglimento o sentenza di non luogo a procedere nell’ambito dell’udienza preliminare -ovvero di non doversi procedere o di assoluzione nell’ambito di quella dibattimentale- non può aversi l’applicazione dell’istituto previsto dall’art. 28 del D.P.R. 448/88[8].

Altro presupposto implicito, per le medesime ragioni, è la necessità della sussistenza della capacità di intendere e di volere del reo[9].

Va ricordato, inoltre, che, stante la necessità di accertamento della responsabilità del minore, nel caso di concessione di questa misura al di fuori del dibattimento, si impone la necessità del consenso dell’imputato.

Per quanto concerne, invece, i presupposti soggettivi di applicabilità, questi poggiano sugli accertamenti, previsti ex articolo 9 del DPR n. 488 del 1988, della personalità del minore. Anche in assenza di un’espressa previsione bisogna considerare che gli elementi emergenti da tali accertamenti hanno un ruolo preponderante nella decisione della messa alla prova[10].

Venendo ora all’analisi del procedimento, questo ha avvio con la disposizione, su iniziativa delle parti ovvero d’ufficio, per la sospensione nell’ambito dell’udienza preliminare o dibattimentale (essendo necessario l’esercizio dell’azione penale, non può aversi nel corso delle indagini preliminari) nel contraddittorio tra le parti che hanno diritto ad essere sentite al riguardo.

Emanata l’ordinanza di sospensione, il minore viene affidato ai servizi minorili[11] che predispongono il progetto[12] che si determina sulla base delle peculiarità del caso specifico. Il progetto deve quindi essere adeguato alla personalità del minore ed al reato commesso ma deve anche risultare praticabile e flessibile[13], mentre al giudice viene rimessa la possibilità di prevedere prescrizioni al fine di consentire l’eventuale mediazione.

L’ordinanza che ammette la prova può essere impugnata con ricorso per cassazione, sia dal pubblico ministero che dal minore o dall’esercente la potestà genitoriale. Tuttavia, si badi, il ricorso risulta ammissibile solo se viene impugnata anche la sentenza che definisce il giudizio[14].

Per quanto concerne lo svolgimento della messa alla prova, il ruolo dei servizi minorili risulta essenziale in quanto consentono al giudice, mediante la redazione di relazioni, di essere informato. Il progetto, che si connota per una certa flessibilità, può essere anche abbreviato qualora si ritenga raggiunto l’esito della prova, mentre si pongono perplessità circa la possibilità di provvedere ad una proroga nel caso contrario[15].

Se non sorgono dubbi circa la possibilità di revoca della misura qualora vi siano violazioni gravi e reiterate delle prescrizioni previste (potendosi in questo caso ritenere fallita la prova), si pongono invece, nel silenzio del legislatore, per il caso in cui minore commetta nuovi reati. Per tale ipotesi è lasciata discrezionalità al giudice il quale può valutare se considerare la messa alla prova fallita o meno, tenuto conto dell’entità del nuovo reato e se si tratti di un evento dettato da una situazione eccezionale[16].

Decorso il periodo di sospensione, il giudice provvede ad una nuova udienza in cui verrà valutato l’esito della prova sulla base delle relazioni dei servizi minorili e dell’audizione del minore, in quanto bisogna tener conto dell’impegno complessivo piuttosto che del risultato[17].

Se l’esito risulterà positivo, il reato verrà dichiarato estinto; diversamente il processo riprenderà da dove era stato sospeso, tenuto conto che il fallimento della messa alla prova non preclude l’adozione di provvedimento quali il perdono giudiziale, l’irrilevanza del fatto (che però andrebbe preferita alla messa alla prova), il proscioglimento od anche l'assoluzione e non si pongono problematiche neanche per la concessione della sospensione condizionale della pena[18].

Infine, si pongono dubbi circa la coesistenza dell’istituto in esame con la declaratoria di estinzione del reato per condotte riparatorie previste dal d.lgs. n. 274 del 2000: tale istituto mostra somiglianze con la sospensione per la messa alla prova, tuttavia risulta difficile prevederne l’applicazione nel rito minorile in quanto la ratio della previsione dell’articolo 34 del d.lgs. n. 274 del 2000 punta su condotte riparative al fine di garantire l’economicità processuale, e ciò sembra inconciliabile con il sistema cui è imperniato il processo penale minorile, stante l’inammissibilità dell’azione civile ed il perseguimento del fine di salvaguardia della formazione del minore[19].

3. Raffronti tra la messa alla prova prevista per il minore e per il maggiorenne.

Come si è già avuto modo di evidenziare, l’istituto della “probation” minorile trova i natali nella città di Boston dove per la prima volta fu prevista la possibilità di sospensione della pena detentiva condizionata dal superamento di un “periodo in prova” durante il quale era previsto l’affidamento ad un soggetto determinato incaricato di controllare il soggetto durante tale periodo.

Tale istituto è stato applicato nell’ambito della giustizia minorile, tuttavia la sua applicazione non si limita soltanto a tale aspetto bensì, finanche una volta approdato nel “vecchio Continente”, se n’è avuta l’applicazione anche nei confronti degli adulti.

Nel nostro ordinamento, tuttavia, inizialmente la “probazione” era prevista unicamente e specificamente per i minori (ai sensi degli artt. 28 e 29 del D.P.R. 448/88) e solo in tempi piuttosto recenti, il legislatore si è adoperato per prevederne l’applicazione anche nei confronti degli adulti con l’entrata in vigore della L. 67/2014 con cui è stata istituita “la messa alla prova per i maggiorenni”, seppur con delle difformità rispetto a quanto previsto in tema di giustizia minorile.

La fattispecie introdotta dalla L. 67/2014 rappresenta una “novità” indubbiamente importante consentendo una nuova modalità di applicazione della sanzione ma, ancor più importante, un istituto applicabile prima (ed indipendentemente) dalla condanna.

Si è avuto modo di illustrare quali siano le finalità che caratterizzano la giustizia minorile e, di conseguenza, l’istituto della messa alla prova previsto per i minori; ebbene, nel caso dei minori si può desumere come il legislatore abbia voluto bilanciare l’esigenza impositiva di sanzionare l’autore del fatto, e quella “risarcitoria” in favore non solo della persona offesa ma dell’intera collettività.

E’ per questo che vi sono aspetti caratteristici della mera sanzione come l’imposizione di obblighi e prescrizioni ma anche, tuttavia, aspetti affini alla giustizia riparativa (come nella giustizia minorile od anche negli ordinamenti di matrice anglosassone dove si ravvisano alcune norme che si rivolgono alla persona offesa, spesso dimenticata dal legislatore, e che quindi consentono di accentuare anche la predetta finalità riparativa).

In ogni caso è doveroso evidenziare che, come già accennato, vi siano limiti e preclusioni che invece non sussistono nella giustizia minorile: difatti ai sensi dell’art. 168 bis c.p., tale beneficio è previsto soltanto per “procedimenti per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale”.

Vi è, quindi, una differenza sostanziale per quanto concerne l'ambito applicativo rispetto alla fattispecie prevista per i minori ai sensi degli artt. 28 e ss. del D.P.R. 448/88. Difatti, per i minori non è previsto alcun limite applicativo in relazione alla gravità della pena (tanto è vero che, come si è già avuto modo di evidenziare, l'istituto trova applicazione anche per reati come l'omicidio e l'associazione a delinquere di stato mafioso). Per i maggiorenni, invece, la l. 67/2014 ha previsto preclusioni legati alla gravità della pena nonché al tipo di reato, sancendo inoltre l'impossibilità di applicazione di tale istituto qualora l'imputato sia stato dichiarato delinquente abituale; ovviamente, differenze riguardano anche la “durata” della messa alla prova in quanto per gli adulti è fissato soltanto il “minimo”.

Oltretutto, è necessario porre in evidenzia come l'istituto della messa alla prova previsto per i maggiorenni possa essere applicato soltanto una volta: questa rappresenta un’altra sostanziale differenziazione di non poco conto. Mentre per i minorenni, infatti, neanche in tale ottica sono previste limitazione di sorta (il minore può essere ammesso alla prova anche se ne abbia già beneficiato altre volte), per i maggiorenni si tratta di una “occasione” irripetibile[20].

Altra peculiarità della messa alla prova per gli adulti è rappresentata dalla previsione ex art. 657 bis c.p.p. ai sensi del quale è previsto che “in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Ai fini della detrazione, tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda.”. Questa previsione, introdotta dall’art. 4, comma 1, lett. b), della l. 28 aprile 2014, n. 67, è di non poco rilievo in quanto prevede il computo del periodo di “messa alla prova” nella determinazione della pena da eseguire: si tratta comunque di una applicazione limitata in quanto concerne soltanto la messa alla prova per gli adulti e non anche quella prevista per i minori ai sensi del D.P.R. 448/1988.

4. Art. 29 del D.P.R. 488/88 e Art. 657 bis c.p.p. al vaglio della Corte Costituzionale.

Con la recente ordinanza n. 16358 del 2018, la Cassazione penale ha sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale l´istituto della messa alla prova del minore, con particolare attenzione alle statuizioni, appena accennate, di cui all´art. 29 del D.P.R. n. 448/1988 e all´art. 657 bis c.p.p. nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determini la pena da eseguire tenuto conto delle limitazioni patite dal minorenne e del comportamento da questo tenuto durante il periodo di messa alla prova.

Nel caso de quo sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, il minore B.A.P. aveva beneficiato della sospensione del processo con messa alla prova per concorso in ricettazione conclusasi, tuttavia, con esito negativo e con conseguente condanna alla pena di sette mesi e quattro giorni di reclusione. Successivamente, era stato nuovamente ammesso alla messa alla prova per concorso formale nel reato continuato di violenza sessuale di gruppo ed anche in tale occasione il G.U.P. di Milano aveva ritenuto che la messa alla prova avesse dato esito negativo in quanto il soggetto “si era sottratto ad una presa in carico psicologica, avesse interrotto e ripreso i rapporti con gli operatori a proprio piacimento” ed un'altra serie di circostanze. Alla luce di tutto ciò, tenuto conto dell’esito negativo, vi era stata la condanna alla pena di due anni e sei mesi.

Orbene, il minore B.A.P. presentava, a mezzo del suo difensore, la richiesta di applicazione dell’art. 657 bis c.p.p. che prevede il computo del periodo di messa alla prova al fine della determinazione della pena detentiva da eseguire. Tuttavia il Tribunale per i minorenni di Milano, quale giudice dell’esecuzione, si pronunciava negativamente evidenziando come, invero, tale norma fosse prevista per la messa alla prova per gli adulti ex l. 67/2014, che presentava sostanziali differenze con quella invece prevista ai sensi del D.P.R. 448/1988 e che, inoltre, non essendo ravvisabile alcuna lacuna normativa non si potesse neanche applicare alla luce del rinvio previsto dall’art. 1 del già citato D.P.R..[21]

Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, veniva allora proposto ricordo per Cassazione deducendo “l’erronea applicazione della legge penale e processuale”.

La Suprema Corte ha evidenziato come sussistono notevoli differenze tra i due istituti della messa alla prova riguardanti i presupposti applicativi, lo svolgimento della messa alla prova e le sue prescrizioni, la durata e la valutazione del suo esito. Si può, difatti, evidenziare come la messa alla prova prevista per gli adulti risulti “maggiormente afflittiva” e, di conseguenza, il Collegio ha ritenuto l’impossibilità di estendere automaticamente l’applicazione di cui all’art. 657 bis c.p.p. anche al rito minorile.

Tuttavia, la Suprema Corte ha altresì osservato come, nonostante le differenze strutturali e funzionali tra i due istituti, nel caso concreto si possa verificare che anche la messa alla prova per i minori presenti significativi profili di afflittività.

In particolare viene posta l’attenzione sui casi in cui la messa alla prova si estrinseca nella previsione dell’inserimento comunitario obbligatorio con obbligo di permanenza all’interno di strutture, così come in prescrizioni consistenti nell’obbligo di fare (o non fare) che si configurano, a tutti gli effetti, come limitazioni della libertà personale aventi carattere afflittivo, indipendentemente “della finalizzazione verso un obiettivo di natura prettamente educativa”.

Alla luce di tale premesse, i Supremi Giudici hanno sottolineato come, per tali evenienze, l’esclusione della rilevanza del percorso seguito, seppur con esito negativo, risulti un trattamento differenziato ed ingiustificato rispetto a quanto previsto per gli adulti e di conseguenza una violazione del principio di uguaglianza previsto dalla nostra Carta Costituzionale (art. 3) nonché un’inosservanza dell’art. 31 comma 2 secondo il quale la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo” e che rappresenta, chiaramente, la volontà di riconoscere un “deciso favor” nei confronti degli imputati minorenni.

Ragion per cui, il Collegio ha evidenziato che, stante l’impraticabilità di un’estensione automatica dell’art. 657 bis c.p.p. al rito minorile, si pone un dubbio di legittimità costituzionale di tale disposizione, e dell’art. 29 del D.P.R. n. 448/88, “nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova” ed ha, quindi, disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del processo.

Pertanto, alla luce delle considerazioni mosse dalla Suprema Corte, è palese che non si possa ritenere “sic et simpliciter” applicabile l’art. 657 bis c.p.c. al minore: tuttavia tale valutazione andrebbe svolta tenendo conto del caso concreto ed in considerazione della natura afflittiva o meno della messa alla prova cui il minore era stato sottoposto.

In attesa della decisione della Corte Costituzionale, è modesta opinione di chi scrive che, stante il criterio di adeguatezza applicativo cui è imperniata la giustizia minorile, escludere aprioristicamente l’estensione di tale norma costituisca una violazione del dettato costituzionale e degli obiettivi del rito minorile; è indubbio, nonché assai più ragionevole, che la valutazione sul possibile computo della messa alla prova, che abbia avuto esito negativo, ai fini della determinazione della pena sia svolto in considerazione della natura (e, specificamente, all’effettiva afflittività della messa alla prova sostenuta della stessa) concedendo una certa discrezionalità al giudice con riferimento al caso concreto. Discrezionalità che, del resto, risulta essere una delle caratteristiche della messa alla prova prevista del minore in considerazione dell’esigenza di “personalizzazione”.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Coste Costituzionale, sentenza 16-25 marzo 1992, n. 125, in www.dejure.giuffrè.it.
[2] Corte Costituzionale, ordinanza 7-18 aprile 1997, n. 103, in www.dejure.giuffrè.it.
[3] La Convenzione dei diritti del fanciullo sottoscritta a New York e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991.
[4] AA. VV., Il processo penale minorile, Maggioli, II ed., 2013, p. 20.
[5] Per probation si intende riferirsi a quegli istituti con cui l’ordinamento prevede che, perché vi sia una rinuncia alla pretesa punitiva, venga dimostrato il ravvidamento da parte del reo. Può aversi sia probation processuale, ossia che ha luogo nel processo di cui sospende lo svolgimento, ovvero probation penitenziaria, che ha luogo nella fase dell’esecuzione della condanna e di cui consente la riduzione in termini quantitiativi. AA.VV., La giustizia penale minorile. Formazione, deviazione, diritto e processo, Giuffrè, 2012, p. 389.
[6] Si può osservare come taluni tribunali abbiano fatto un ricorso limitato a quest’istituto mentre altri vi abbiano fatto un ricorso notevole. Ad esempio, il maggior numero di provvedimenti si sono avuti a Genova, Milano nord, Roma e Napoli mentre nei tribunali di Trieste e Reggio Calabria si è avuto un ricorso assai limitato (161 e 109 casi dal 1999 al 2009). C. BARTOLINI, La messa alla prova. Art. 28 DPR 48871998, Exco edizioni, 2011, pp. 69-70.
[7] Cass.Pen., 9 aprile 2003, n. 19532, De Nardo, in www.cortedicassazione.it.
[8] C.Cost., 5 aprile 1995, n. 125, Pres. Baldassare, Rel. Ferri, in www.giurcost.org.
[9]Cass.Pen., sez. IV, 12 aprile 2013, n. 23355, Pres. Brusco, Rel. Grasso, in www.giurisprudenzapenale.com.
[10] M. COLAMUSSI, La messa alla prova, CEDAM, 2010, pp. 97-98.
[11] E’ d’uopo evidenziare che i servizi minorili, la cui struttura si compone dei centri per la giustizia minorile del Ministero della giustizia possono essere distinti in: a) servizi minorili giudiziari che si snodano negli uffici minorili e svolgono una funzione attuativa di quanto disposto dal giudice e non solo in quanto intervengono nei confronti del minore, prospettandogli le alternative al comportamento deviato e mirando al recupero ed all’educazione del soggetto soprattutto nel caso in cui venga disposta la sospensione del processo per dare attuazione all’istituto della messa alla prova; b) in servizi minorili locali che di solito operano in ambito extra-processuale e che, in collaborazione con quelli giudiziari, promuovono l’instaurazione ed il proseguimento di processi educativi.
[12] Il progetto si pone quale elemento essenziale della messa alla prova per cui l’ordinanza che sia carente del progetto o della preventiva audizione delle parti va considerato soggetto a nullità di regime intermedio. Cass. Pen., 15 gennaio 2004, n. 7576, Pantano, in Centro Elettronico Documentazione della Cassazione, n. 227949.
[13] M. COLAMUSSI, La messa alla prova, CEDAM, 2010, pp. 144-146.
[14] Cass. Pen., sez. IV, 18 giugno 2002, n. 34169, Tenerelli, in www.penalecontemporaneo.it.
[15] La Cassazione Penale (Cass. Pen., sez. V, 25 febbraio 2010, n. 22587, in Link) si è espressa in senso negativo sulla possibilità di prorogare la mesa alla prova anche se sarebbe opportuno suppore che tale proroga sia possibile qualora non sia scaduto ancora il termine della sospensione ma, in tal caso, si porrebbe la necessità di ottenere il consenso dell’imputato.
[16] L. GUARDO, Revoca della sospensione del processo e messa alla prova nel processo penale minorile ed inammissibilità della richiesta di riammissione al beneficio, 14.06.2016, in www.legislazionepenale.eu.
[17] AA.VV., La giurisdizione specializzata nella giustizia penale minorile, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 178-199.
[18] Istituto previsto dall’articolo 163 del codice penale che consente per taluni casi la sospensione della pena per un determinato numero di tempo, durante il quale se il reo non avrà commessi altri reati, il reato commesso viene considerato estinto. Fermo restante la possibilità per il giudice di prevedere obblighi quali, ad esempio, quelli del risarcimento. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, 2014, pp. 800 ss.
[19] AA. VV., Il processo penale minorile. Commento al DPR 488/1988, Giuffrè, 2009, pp. 144-146.
[20] Si osservi come non vi sia alcuna norma che preveda l’esclusione di tale beneficio per il maggiorenne che sia stato ammesso alla prova quand’era minorenne: pertanto, un soggetto può essere ammesso alla prova da maggiorenne anche qualora ne abbia già beneficiato da minorenne (“Messa alla prova, a poco più di un anno: quali, ancora, le criticità?” di Valeria Bove in www.scuolamagistratura.it).
[21] L’art. 1 del D.P.R. 448/88 prevede infatti che “nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale”. Difatti, poiché il decreto del 1988 non si presenta come autosufficiente dal punto di vista normativo ma si limita soltanto a delineare gli istituti processuali che vanno rimodulati e ripensati nell’ottica dell’applicazione nei confronti del minore imputato; conseguentemente vige un principio di sussidiarietà per cui nel caso in cui non vi sia una regolamentazione specifica si fa riferimento a quanto previsto dal codice di rito; tuttavia, si badi bene, vi è anche un principio di adeguatezza applicativa o sussidiarietà logica per cui l’adattamento della norma non dovrà essere un semplice rinvio bensì bisognerà valutare nel senso di adeguatezza alle esigenze del minore e quindi di personalizzazione. (L. FADIGA, Le origini del processo penale minorile: i lavori preparatori del dpr 448/1988, in Diritto Minorile (www.dirittominorile.it), n. 1, 2009, p. 2.).