Pubbl. Ven, 22 Giu 2018
Legittima difesa: la nascita e le idee di riforma in Italia e in Francia
Modifica paginaDalla teoria generale del reato alla recente proposta di riforma, la legittima difesa negli ordinamenti di Italia e Francia.
Sommario: 1. Le cause di esclusione dell’antigiuridicità; 2. La legittima difesa in Italia: elementi e requisiti essenziali; 3. La novella dell’art. 52 cp.: L. n. 59 del 2006; 4. Verso una nuova riforma; 5. La legittima difesa in Francia.
1. Le cause di esclusione dell’antigiuridicità.
Secondo lo schema della cd. teoria generale del reato, necessari per la configurabilità del reato sono l’individuazione di un fatto tipico, la antigiuridicità della condotta e la colpevolezza rinvenibile attraverso la sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento. Il concetto di antigiuridicità, secondo elemento costitutivo del reato, era stato elaborato da R.V. Jhering, per quanto attiene al diritto privato; soltanto successivamente, da Beling in poi, questo troverà il significato ancora oggi valido: un fatto tipico può, infatti, risultare non antigiuridico, se esiste una norma dell’ordinamento che lo autorizzi o, addirittura, lo imponga.
L’individuazione dell’antigiuridicità presuppone che si sia già accertata l’esistenza di un fatto che configuri tutti i requisiti, soggettivi ed oggettivi, descritti nella fattispecie astratta di un reato. L'accertamento dell'antigiuridicità di un fatto penalmente rilevante, presuppone, quindi, in primo luogo l'esistenza di un fatto tipico, in secondo luogo richiede, l'inesistenza di situazioni o circostanze, a cui l'ordinamento giuridico attribuisca una giustificazione in presenza delle quali, al contrario, verrebbe meno il valore indiziante del fatto tipico.
L’espressione tecnica “cause di giustificazione” è estranea al linguaggio del codice e costituisce una categoria di matrice dottrinale. La mancata utilizzazione di essa da parte del legislatore si spiega con la circostanza che si è preferito parlare più genericamente di “circostanze che escludono la punibilità”, senza prendere posizione sulla loro specifica qualificazione dogmatica all'interno della teoria del reato. Tuttavia, la generica ed ampia formula delle circostanze o cause che escludono la punibilità ha finito con il trasformarsi in un contenitore che ricomprende tutte le situazioni in presenza delle quali il codice dichiara un determinato soggetto non punibile.
Tali cause di esclusione dell’antigiuridicità non sono, tuttavia, senza limiti. Il nostro codice, infatti, subordina l’applicabilità delle stesse ad alcune regole comuni previste dagli artt. 55 e 59.
A norma dell’art. 55, “Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”[1].
A norma dell’art.59, “Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”[2].
2. La legittima difesa in Italia: elementi e requisiti essenziali
La legittima difesa rappresenta una delle possibili circostanze in cui al cittadino è concessa una forma di autotutela. Tale opportunità viene offerta al consociato stante la situazione di attuale pericolo in cui si trova e la concreta impossibilità o intempestività di un intervento dello Stato, mediante le forze dell’ordine o qualunque altra autorità pubblica idonea a scongiurare il realizzarsi del presumibile evento lesivo.
L’articolo 52 del codice penale sancisce la non punibilità di “chiunque abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Il primo comma di tale articolo, che originariamente costituiva l’unico comma previsto, riesce ad esporre tutti i requisiti necessari e sufficienti all’applicazione della scriminante, che escluderebbe la antigiuridicità di una condotta illecita per il sol fatto che sia realizzata conseguentemente ad una offesa patita.
Ai sensi di tale comma, i presupposti per la configurabilità dell’istituto sono l’esistenza di un pericolo attuale, ovverosia una minaccia di una lesione incombente, l’apprezzabile probabilità del verificarsi di un evento dannoso ingiusto, contra jus, che possa ledere un diritto proprio o altrui, un interesse giuridicamente protetto. Altro requisito indispensabile è, anche, la necessarietà dell’intervento, la costrizione di difendersi contro il pericolo, ma, soprattutto, la sussistenza di un rapporto di proporzionalità tra la difesa e l’offesa. L’eguaglianza della proporzione rappresenta la moderazione nell’eseguire l’azione da parte di chi patisce l’aggressione, va intesa nel senso che la reazione deve essere, in quella circostanza, l’unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto leso.
La questio iuris più spinosa affidata all’esegesi dell’interprete è la valutazione della proporzione tra difesa ed offesa.
Tra le diverse soluzioni richiamate in dottrina spiccano in particolare due tesi.
Per alcuni dovrebbe effettuarsi una valutazione della situazione concreta in relazione ai mezzi di difesa ed offesa[3]; soluzione criticata perché eccessivamente eterogenea, slegata ad una valutazione normativa e suscettibile di variazioni esegetiche in relazione al fatto concreto.
Secondo altra interpretazione la comparazione andrebbe fatta tra i beni in conflitto, in particolare analizzando il grado del pericolo o della lesione[4] ed utilizzando il criterio del cd. Bilanciamento tra i beni, il quale risulta agevole quando si ha a che fare con beni omogenei, più complesso, invece, con beni eterogenei, nel qual caso si dovrà fare riferimento ad altri indicatori.
Più di recente si è parlato di comparazione tra intere situazioni sì da coinvolgere i beni e le offese, ma anche i mezzi a disposizione dell’aggredito e tutte le circostanze della situazione concreta.
Tenendo, però, sempre a mente che l’apprezzamento della proporzione tra offesa e difesa, che postula un rapporto di corrispondenza valutativa fra due termini, formulato con giudizio ex ante in riferimento sia ai mezzi usati, ed a quelli a disposizione dell’aggredito, che ai beni giuridici in conflitto, non può che essere qualitativo e relativistico.
3. La novella dell’art. 52 cp.: L. n. 59/2006
Le suindicate riflessioni sulla disposizione di cui all’art 52, sulla grande discrezionalità lasciata all’esegesi dell’interprete, in uno al diffuso senso di inquietudine conseguente i fatti di cronaca che riportano un aumento quantitativo statistico della criminalità, hanno condotto all’elaborazione di numerosi progetti di riforma, spesso, però, rispondenti ad esigenze politiche più che giuridiche.
Le istanze di riforma si sono concretamente tradotte nella promulgazione della L. 59 del 13 febbraio 2006, nella previsione della cosiddetta legittima difesa domiciliare, la quale aggiunge all’art. 52 due ulteriori commi con l’intento annunciato di rendere più preciso e definito l’ambito di applicabilità della scriminante in questione e di tutelare ancor di più il cittadino all’interno del proprio domicilio o in ogni altro luogo in cui si eserciti un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale, ma con il rischio enorme, in realtà, di ampliare le maglie della legittima difesa, e, di fondo, autorizzare qualsiasi uso, anche mortale, di un’arma, per difendere qualunque bene, anche di tenue valore[5].
La legge n°59 del 2006 sancisce “la sussistenza, nei casi previsti dall’art 614, primo e secondo comma, del rapporto di proporzione tra difesa e offesa se tal uno, legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati, usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o l’altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
La volontà di garantire un ampliamento delle maglie della legittima difesa all’interno delle mura domestiche sino a spingersi ad una vera e propria autotutela emergeva già nei lavori preparatori, dove nell’originario Ddl 1899/S (poi 5982/C) si fa espresso riferimento al “diritto di all’autotutela in un privato domicilio”[6].
Con l’introduzione dei due nuovi commi si intende presunta, e dunque senza il necessario accertamento da parte del giudice, l’esistenza della proporzione nei casi di violazione di domicilio, ex art.614 co°1 e 2, qualora si agisca, anche con l’utilizzo di un’arma o altro mezzo idoneo (purché legittimamente detenuti), al fine di difendere la propria o l’altrui incolumità o, ancora, beni propri o altrui.
Applicando letteralmente tale disposizione, si potrebbe incorrere nel rischio, dunque, di considerare presuntivamente proporzionato l’uso di un’arma, non solo per la difesa di beni di natura non solo personale ma anche patrimoniale, a condizione che non vi sia, da parte dell’aggressore, una desistenza e continui a permanere il pericolo di aggressione.
La legittima difesa viene modificata proprio in quell’elemento, la proporzione, che negli ultimi settant’anni ha sempre costituito un esempio di saggezza giuridica per il nostro ordinamento, e che era stato introdotto proprio per arginare la possibile deriva verso una poco auspicabile offesa-difesa tra beni ampiamente eterogenei data dall’introduzione nell’ambito dei diritti difendibili anche dei diritti patrimoniali. Il legislatore del ’30 – dimostrando nel caso ampia lungimiranza – aveva dotato l’art. 52 di un requisito che a ragione viene considerato oggi un principio generale del sistema penale e dell’intero ordinamento, un valore politico fondamentale ed una presenza fissa in molteplici punti del sistema tanto da impedirne una riducibilità a semplice regola di giudizio.
In vero, la giurisprudenza pronunciatasi, dal 2006 ad oggi, si è espressa rispettando sempre i requisiti in primis delineati dal primo comma, e poi, in via subordinata, quelli della legittima difesa domiciliare, senza, quindi, sposare quell’orientamento espansivo, ampliativo della autotutela, che aveva dato vita alle modifiche introdotte nel 2006, che miravano ad un’acquisizione di consensi, ancora una volta, politici più che giuridici.
4. Verso una nuova riforma
Il 4 maggio 2017, la Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge n. 3785 che introduce importanti modifiche in materia di legittima difesa.
La novella legislativa prevede l’introduzione di un nuovo secondo comma all’art. 52 del codice penale così formulato: «Fermo quanto previsto dal primo comma, si considera legittima difesa, nei casi di cui all’articolo 614, primo e secondo comma, la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte ovvero la reazione a seguito dell’introduzione nei luoghi ivi indicati con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno».
Si specifica poi che la disciplina contenuta negli attuali secondo e terzo comma dell’art. 52 c.p. (che prevedono la c.d. legittima difesa domiciliare introdotta con la legge 13 febbraio 2006 n. 59, e che diverrebbero nella versione novellata terzo e quarto comma) trovi applicazione «nei casi previsti dal [nuovo] secondo comma», vale a dire nei casi di violazione di domicilio «in tempo di notte» ovvero «realizzata con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno»[7].
Ad una prima lettura, non è agevole stabilire quale sia la reale portata innovativa della norma che si vuole introdurre nell’art. 52 c.p., stante il tenore letterale ambiguo della formula «fermo quanto previsto dal primo comma» con la quale la disposizione esordisce.
Secondo quanto riportato dalla maggior parte degli organi di stampa, l’intento del legislatore sarebbe quello di “allargare i confini” della legittima difesa e di dare “licenza di sparare ai ladri di notte”, in particolare introducendo una “presunzione” di sussistenza della legittima difesa nei casi in cui il cittadino reagisca a un’aggressione commessa nei luoghi e con le modalità descritte dalla nuova disposizione (nel domicilio in ore notturne; in caso di violazione di domicilio mediante violenza alle persone o alle cose, minaccia o inganno) .
Se questo è l’intento che il legislatore vuole perseguire, la formula «fermo quanto previsto dal primo comma» andrebbe intesa nel senso che, fatte salve le ipotesi già scriminate ai sensi del primo comma, sono scriminate anche le ulteriori ipotesi di seguito previste, nelle quali l’agente reagisce a un’aggressione notturna nel domicilio (o avvenuta con le modalità descritte dalla norma), senza però che in questo caso siano richiesti i requisiti dell’attualità del pericolo, della necessità e della proporzionalità all’offesa.
Così interpretata, però, la disposizione condurrebbe a esiti francamente assurdi (si potrebbe ritenere legittima, ad esempio, la reazione a un’aggressione non più attuale, avvenuta nel domicilio la notte precedente) e si esporrebbe a gravi e insuperabili censure di legittimità costituzionale e convenzionale. L’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che tutela il diritto alla vita consente di ritenere legittima l'uccisione dell’aggressore da parte del soggetto aggredito soltanto quando tale comportamento risulti «assolutamente necessario» per respingere una «violenza illegittima» (evidentemente già in atto, o quanto meno imminente) e tale situazione non si realizza, ad esempio, nei casi di mera aggressione al patrimonio.
Pertanto, l’espressione «fermo quanto previsto dal primo comma» con la quale la nuova disposizione esordisce, non può che essere interpretata nel senso che anche nel quadro di questa nuova disciplina restano comunque applicabili i presupposti e i requisiti previsti per la legittima difesa dal primo comma dell’art. 52 c.p. Dunque, anche nell’ipotesi di reazione a un’aggressione commessa nel domicilio in ore notturne o con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno, la condotta difensiva potrà essere scriminata dall’art. 52 c.p. sempre che ricorrano il pericolo attuale di un’offesa ingiusta a un diritto proprio o altrui, e la condotta difensiva risulti necessaria e proporzionata all’offesa.
Così interpretato, peraltro, il nuovo secondo comma avrebbe una portata innovativa pari a zero: dovendo essere riscontrati nel caso concreto tutti i requisiti già indicati nel primo comma, il fatto risulterebbe già scriminato ai sensi del primo comma, e nulla cambierebbe rispetto al passato.
L’ulteriore precisazione secondo cui gli attuali commi secondo e terzo dell’art. 52 c.p. troverebbero applicazione «nei casi previsti dal [nuovo] secondo comma» finisce poi – a ben vedere – per restringere l’ambito di operatività della peculiare (e assai discussa) disciplina della c.d. legittima difesa domiciliare. Infatti, se oggi tale disciplina trova applicazione in tutti i casi in cui vi sia stata una violazione di domicilio ex art 614, per effetto della riforma legislativa in esame, troverebbe applicazione nei soli casi in cui la violazione di domicilio avvenga «in tempo di notte» oppure sia realizzata «con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno».
Una riforma, figlia delle grandi pressioni mediatiche conseguenti a fatti di cronaca che hanno avvicinato il tema della legittima difesa a tutta la società, stimolando, dunque, un intervento in tal senso anche se non strettamente necessario. È singolare, peraltro, scorgere come il nuovo riferimento “a un’aggressione compiuta in tempo di notte” possa, a mio avviso, ricordare un estratto dell’Antico Testamento,
Esodo 22:2-3 "Se il ladro, colto nell'atto di fare uno scasso, viene percosso e muore, non vi è delitto di omicidio. Se il sole è già sorto quando avviene il fatto, vi sarà delitto di omicidio. Il ladro dovrà risarcire il furto. Se non può farlo, sarà venduto per pagare ciò che ha rubato".
Qui, si riconosce la difesa legittima e, quindi, l’impunità all’uccisione del ladro notturno, ma non a quello del ladro diurno.
5. La legittima difesa in Francia
In Francia la legittima difesa viene definita come una “causa di non responsabilità penale”, è disciplinata dall'articolo 122-5 del codice penale, che recita: «Non è penalmente responsabile chi, di fronte a una minaccia ingiusta per la propria o altrui incolumità, produca, nel medesimo tempo, un atto comandato dalla necessità di autodifesa, a meno che non ci sia una sproporzione tra le modalità della difesa e la gravità dell'offesa»[8].
Il secondo comma aggiunge: «Non è penalmente responsabile chi, per interrompere l'esecuzione di un crimine o di un reato contro il patrimonio, compia un atto di difesa, eccezion fatta per l'omicidio, strettamente necessario a conseguire il fine perseguito, a condizione che i mezzi utilizzati siano proporzionati alla gravità del reato» da sventare[9].
In sostanza, la legge francese pone tre limiti al diritto di legittima difesa: la reazione dev'essere compiuta nell'imminenza della minaccia (ciò significa che, per esempio, se l'aggressore è in fuga non può essere legittimamente colpito); deve sussistere una condizione di pericolo per l'incolumità personale; la difesa dev'essere proporzionata all'offesa.
Il secondo comma si riferisce in particolare al caso di chi voglia fermare un reato contro il patrimonio. Anche qui valgono per il cittadino francese gli stessi tre vincoli, con in più, l'esplicito divieto di ricorrere all'omicidio.
I requisiti necessari, in Francia, per l’esistenza di tale istituto riguardano sia l’offesa che la difesa.
Per quanto riguarda l’aggressione, è necessario che questa sia reale, il pericolo deve essere reale e probabile; attuale, se il pericolo è passato o già verificato, la difesa risulta inutile, si tratterebbe non più di un atto di difesa ma di una vendetta privata, inidonea alla riconducibilità a tale scriminante; ingiusta, ovvero contro un diritto giuridicamente protetto. La difesa, invece, deve essere necessaria; misurata ovvero proporzionata rispetto all’offesa; volontaria, secondo la Corte di Cassazione francese, infatti, la difesa legittima è inconciliabile con il carattere della non volontarietà[10].
Spetta al giudice, come in Italia, valutare, caso per caso, la sussistenza o meno dei requisiti idonei ad applicare la scriminante in questione.
La sussistenza, a seguito della valutazione del giudice, della legittima difesa esclude ovviamente la responsabilità penale dell’agente ma anche la sua responsabilità civile e, dunque, anche eventuali risarcimenti del danno dal fatto conseguenti.
Il punto di partenza di questa causa di esclusione dell’antigiuridicità è che la sicurezza non possa essere garantita, a causa di particolari circostanze, dalle istituzioni con doveri di polizia e giustizia. Viene, dunque, concesso a coloro i quali si trovino in una situazione di pericolo di sostituirsi all’autorità pubblica, per tali motivi assente e, così, tutelare i propri diritti.
Da un punto di vista processuale, spetta a colui il quale invoca la legittima difesa provare l’esistenza di tutti i requisiti e, dunque, la applicabilità della scriminante. Tuttavia, al fine di alleggerire l’aggredito dal fardello dell’onere della prova, esistono dei casi particolari previsti all’art. 122-6 del Code Pénal francese nelle quali la legittima difesa è presunta come ad esempio nel caso in cui un individuo costretto a difendersi per la presenza di un ladro nel proprio domicilio.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Sull’argomento molteplici gli interventi della giurisprudenza: Cassazione penale sez. I 05 novembre 2014 n. 51070; Cassazione penale sez. I 14 febbraio 2014 n. 1574; Cassazione penale sez. V 13 febbraio 2014 n. 11806.
[2] A tal riguardo, Cass. n. 51424/2013; Cass. n. 41306/2010.
[3] V. MANZINI, Trattato; E. ALTAVILLA, Difesa legittima; MAGGIORE, Diritto penale; BERTONI, La difesa legittima.
[4] È l'orientamento accolto dalla dottrina oggi dominante. Per tutti C.F. GROSSO, voce Legittima difesa; G. BETTIOL- PETIOELLO- F. MANTOVANI, Diritto penale; V. ZAGREBELSKY, La proporzione tra difesa e offesa nell'art. 52 c.p., in Giur. it.; F. MANTOVANI, Diritto penale.
[5] G. MARRA, Legittima difesa: troppa discrezionalità. Non chiamiamola licenza di uccidere, in Diritto e Giustizia, 2006.
[6] GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Parte generale, 2005, Milano; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale (parte speciale), 1999, Milano; FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale parte speciale, 2001, Bologna; MANTOVANI, Diritto Penale, 2001, Padova.
[7] A tal proposito, vedi DPC.
[8] « N’est pas pénalement responsable la personne qui, devant une atteinte injustifiée envers elle-même ou autrui, effectue dans le même temps, un acte commandé par la nécessité de la légitime défense d'elle-même ou d'autrui, sauf s'il y a disproportion entre les moyens de défense employés et la gravité de l'atteinte ». Art 122-5 Code Pénal
[9] "N'est pas pénalement responsable la personne qui, pour interrompre l'exécution d'un crime ou d'un délit contre un bien, accomplit un acte de défense, autre qu'un homicide volontaire, lorsque cet acte est strictement nécessaire au but poursuivi dès lors que les moyens employés sont proportionnés à la gravité de l'infraction". Art 122-5 Code Pénal
[10] Cass. 16 febbraio 1967