Pubbl. Mer, 16 Mag 2018
Clausole claims made: autonomia contrattuale e profili di meritevolezza. Uno sguardo dopo l´ordinanza di rimessione.
Modifica paginaL´inserzione di clausole ”a richiesta fatta” nel corpo dei contratti assicurativi, determinando taluni profili di atipicità, ha posto molteplici nodi interpretativi, con particolare riferimento alla meritevolezza degli interessi perseguiti. Commento alla recente sentenza n. 10506 del 28 aprile 2017 della Corte di Cassazione.
Con ordinanza n. 1456 del 19 gennaio 2018, le Sezioni Unite sono state investite di questioni interpretative afferenti ai contratti assicurativi.
In particolare, l'ordinanza della terza Sezione Civile ha rimesso al Supremo Collegio la soluzione di due quesiti: da un lato, quello relativo all'ammissibilità di una definizione pattizia di sinistro e, dall'altro, quello riguardante la meritevolezza della clausola che esclude la risarcibilità delle richieste postume rispetto alla scadenza del contratto.
In particolare, per effetto della finestra di dialogo aperta dall'ordinanza di rimessione, le S.U. dovranno chiarire se sia corretto il principio secondo cui nell'assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., la clausola secondo cui la spettanza, la misura ed i limiti dell'indennizzo non avviene in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l'assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti nel momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all'assicurato di essere risarcito.
Lasciando in disparte la trattazione della prima problematica -riconducibile ad un piano di valutazione differente-, l'ultimo quesito impone di tracciare il perimetro normativo e giurisprudenziale approdato al vaglio dei giudici di legittimità.
In ambito assicurativo, l'articolo 1917 c.c. prevede che la responsabilità dell'assicurato è coperta dal contratto per tutti i sinistri avvenuti sotto la vigenza dello stesso, sebbene la richiesta di risarcimento sia formulata successivamente.
In proposito, con termine anglosassone, si parla di "loss occurrence" cioè di clausola ad insorgenza del danno. Per contro, con l'espressione "claim made", cioè a richiesta fatta, si identificano quelle clausole volte a coprire i danni denunciati durante la vigenza del regolamento negoziale, indipendentemente dalla data della loro verificazione. Ne deriva che l'inserzione di una clausola c.d. claim made in un contratto assicurativo determina una traslazione dell'alea -cioè del rischio contrattuale- dall'evento di danno alla denuncia del danno da parte del terzo danneggiato.
Orbene, l'evoluzione commerciale ha registrato il passaggio delle polizze stipulate per la responsabilità civile dei professionisti -in particolare di quelli operanti nel settore sanitario- dal regime del c.d. loss occurrence a quello del c.d. claims made, tipico dei mercati nordamericani.
Invero, il modello loss occurance è risultato falloso per taluni aspetti. In primo luogo, vi era, talvolta, difficoltà di individuare il momento in cui il fatto si era verificato al fine di stabilire l'efficacia della polizza. Inoltre, e soprattutto, il massimale di copertura indicato nel contratto a suo tempo stipulato spesso si rivelava, poi, essere insufficiente, in ragione dei mutamenti economici o della previsione di nuove ed ulteriori ipotesi risarcitorie.
Nella prassi sono ricorrenti due species di clausole c.d. claims made: le clausole claims made c.d. pure e le claims made c.d. impure o miste.
Con le clausole del primo tipo l'assicuratore assume l'obbligo di garantire l'assicurato per tutte le richieste di risarcimento avanzate durante la vigenza del contratto, indipendentemente dal periodo in cui si è verificato il fatto da cui ha origine la richiesta di risarcimento.
Le clausole c.d. impure o miste sono, invece, caratterizzate da una maggiore restrizione del rischio assicurato. Esse fanno dipendere l'operatività della garanzia dalla ricorrenza sia del fatto illecito che della richiesta di risarcimento durante il periodo di vigenza del contratto.
L'innesto di clausole di ascendenza extraordinamentale in una fattispecie contrattuale tipica ha prestato il fianco a una serie di rilievi critici, evidenziatisi negli orientamenti giurisprudenziali che in materia si sono stratificati.
Innanzitutto, si è posto il problema della liceità di tali clausole sotto il profilo della vessatorietà.
Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 9140/2016, le quali hanno analizzato la natura giuridica delle clausole claims made al fine di chiarire se le stesse abbiano l'effetto di determinare una limitazione della responsabilità a favore delle Compagnie di assicurazione ovvero se, al contrario, si tratta di clausole volte legittimamente ad individuare il rischio assicurato, incidendo sull'oggetto del contratto e, quindi, sulla prestazione. Le S.U. evidenziano come la clausola claim made, nel limitare la garanzia assicurativa, non circoscrive la responsabilità dell'assicuratore, ma solo l'oggetto del contratto.
Sulla scorta di tale assunto, giungono ad enunciare il principio di diritto secondo cui, nel contratto di assicurazione della responsabilità civile, la clausola c.d. claims made mista o impura, che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto o, comunque, entro determinati periodi di tempo, preventivamente individuati, non è vessatoria.
Tuttavia, la clausola claims made impura può essere considerata vessatoria e, quindi, dichiarata nulla in due ipotesi. La prima ipotesi è quella in cui la clausola in discorso sia dedotta in un contratto stipulato tra professionista e consumatore. In tal caso, ove il contenuto della stessa determini, a carico del contraente debole, uno squilibrio significativo dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, può essere dichiarata nulla ai sensi dell'art. 36 del d. lgs. n. 206/2005.
La seconda ipotesi si determina allorquando il giudice rilevi un difetto di meritevolezza ai sensi dell'art. 1322, comma secondo, c.c. In proposito le Sezioni Unite hanno affermato che "la prospettazione dell'immeritevolezza è, in via di principio, infondata con riferimento alle clausole c.d. pure che, non prevedendo limitazioni temporali alla loro retroattività, svalutano del tutto la rilevanza dell'epoca di commissione del fatto illecito, mentre l'esito dello scrutinio sembra assai più problematico con riferimento alle clausole c.d. impure, a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limita la copertura alla sola ipotesi in cui durante il tempo dell'assicurazione intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento".
Sostanzialmente il Giudice di legittimità ha affermato che le clausole claims made c.d. impure sono tendenzialmente immeritevoli di tutela. Viceversa, quelle pure, coprendo anche eventi verificatisi al di fuori della vigenza del contratto, sono tendenzialmente meritevoli di tutela poichè tendono a riequilibrare il rapporto assicurativo tra il periodo finale di copertura della polizza e quello iniziale. Tuttavia, non è escluso che, rispetto a queste ultime, il giudice di merito possa, comunque, operare un giudizio di meritevolezza sulla singola clausola oggetto di controversia.
Ciò posto, la giurisprudenza si è interrogata circa il significato da ascrivere al principio di meritevolezza degli interessi e, quindi, sulla portata del sindacato giudiziale sulla meritevolezza.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10506 del 28 aprile 2017, nel pronunciarsi in un giudizio relativo alla validità di una clausola claims made c.d. pura, ha chiarito i confini della questione. Lo ha fatto individuando tre ipotesi in cui un contratto deve ritenersi immeritevole di tutela. La prima ipotesi è quella in cui un contratto attribuisce un vantaggio ingiusto o sproporzionato ad una delle parti. La seconda si materializza quando il regolamento pattizio pone una delle parti in posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra. Infine, l'immeritevolezza è ravvisabile quando il contratto costringe uno dei contraenti a tenere condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.
La Cassazione aggiunge che la meritevolezza non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa, ma costituisce un giudizio autonomo relativo non al contratto in sè, ma al risultato da esso perseguito, alla luce della teoria economico-individuale del contratto. Il risultato perseguito è immeritevole quando è contrario alla coscienza civile, all'economia, all'ordine pubblico o al buon costume. Detto altrimenti, il contratto è immeritevole di tutela quando la sintesi dei suoi effetti contrasta con i principi di solidarietà, di parità e di non prevaricazione che l'ordinamento giuridico pone a fondamento dei rapporti tra privati. In tal modo, attraverso il sindacato sul meritevolezza, i principi costituzionali ricevono diretta applicazione al regolamento contrattuale.
Sulla scorta dei criteri enunciati, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, discostandosi dal solco tracciato dalla precedente del 2016, ha affermato che la clausole claims made, anche se pura, ma priva di copertura ultrattiva rispetto alla scadenza della polizza, è sempre immeritevole di tutela e, pertanto, nulla.
La divergenza si radica su una diversa linea interpretativa dell'art. 1322, comma secondo, c.c. Infatti, le S.U. del 2016 hanno ricondotto il giudizio di meritevolezza all'esigenza di verificare l'esistenza di un equilibrio sinallagmatico tra le parti contrattuali. Così finendo, a valle, per ascrivere la meritevolezza tra gli elementi -o requisiti, come taluna parte della dottrina anche ha sostenuto- strutturali del contratto. Al contrario, la Cassazione del 2017, identifica il sindacato giudiziale sulla meritevolezza con una valutazione di conformità tra il patto negoziale ed i principi costituzionali. Pertanto, la meritevolezza non è un elemento del contratto, ma un giudizio sullo stesso, che si identifica in una valutazione di aderenza o di contrasto del patto negoziale ai principi ordinamentali.
Ciò posto, spetterà, dunque, ai giudici a quibus, all'esito di un percorso argomentativo approfondito ed analitico, risolvere il contrasto, aderendo all'una o all'altra delle soluzioni prospettabili.
In tema di clausole claims made, leggi anche gli altri approfondimenti già pubblicati in questa Rivista:
"Le Sezioni Unite fanno il punto sulle clausole claims made: via al vaglio di meritevolezza" di Rosa Mugavero.
"Assicurazioni professionali e clausole claims made" di Rosa Mugavero.