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Pubbl. Sab, 28 Apr 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

La funzione della responsabilità civile alla luce dei recenti arresti giurisprudenziali

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Angela Ricciardi


I recenti arresti giurisprudenziali in tema di compensatio lucri cum damno e di compatibilità con l’ordine pubblico dei danni punitivi sembrano confermare che la principale funzione attribuibile all’illecito aquiliano è di tipo compensativo.


Sommario1. La tradizionale lettura dell’art. 2043: la funzione riparatoria; 2. Il percorso dei danni punitivi: dai dinieghi opposti dalla Cassazione alla compatibilità con l’ordine pubblico. La funzione principale della responsabilità civile resta quella compensativa; 3. Una recente conferma giurisprudenziale della funzione compensativa della responsabilità civile: la compensatio lucri cum damno.

1. La tradizionale lettura dell’art. 2043: la funzione riparatoria.

La responsabilità civile[1] configura la reazione[2] dell’ordinamento giuridico alla lesione di un interesse meritevole di tutela; la conseguenza è che il soggetto agente ha l’obbligo di risarcire il danno provocato.

Nell’ambito dell’art. 2043 c.c.[3] è scolpito il principio generale del neminem laedere, il quale regola il fatto illecito in senso ampio ed atipico. Si tratta, infatti, di una norma che affiancandosi e combinandosi con altre (Costituzione, codice civile, leggi speciali e comunitarie) produce un articolato sistema di tutele[4]. L’istituto della responsabilità civile, infatti, si regge su una clausola generale capace di adeguarsi attraverso l’attività di mediazione accertativa della giurisprudenza[5] ad una moltitudine di esigenze ed interessi nuovi.

Tale rimedio ha assunto significati e ruoli diversi a seconda degli elementi di matrice ideologica o empirica presenti nel contesto di riferimento.

In età arcaica, la responsabilità si “misurava” con il rispetto dei valori morali e religiosi appartenenti alla collettività; dall’inosservanza dei precetti socialmente riconosciuti e condivisi nasceva un giudizio di colpa, che provocava il pentimento e il tormento dell’animo[6].

Nei secoli, la responsabilità aquiliana è stata depurata di quel carattere di «sacralità» di cui era stata permeata per lungo tempo, così da scoprirne il fondamento nella proprietà dei beni e nella difesa del patrimonio[7].

Le azioni dei consociati sono state così valutate non più alla luce del loro significato interiore, bensì per il risultato esterno che generano al quale corrisponde non una semplice disapprovazione, ma un vero e proprio dovere di risarcimento[8].

Sotto il profilo oggettivo è necessario un comportamento umano (fatto), commissivo od omissivo, non giustificato dall’ordinamento giuridico (sine iure), che abbia causato un danno ingiusto (contra ius)[9].  Tra la condotta e l’evento dannoso deve sussistere il nesso di causalità materiale, accertato alla stregua dei principi generali dettati dagli articoli 40 e 42 del codice penale. Il fatto deve essere causa efficiente dell’evento, sicché esso non si sarebbe verificato senza quel dato comportamento. Trova applicazione in questo ambito la teoria della condicio sine qua non[10].

D’altro canto, è necessario che il danno sia collegato in via immediata e diretta alla lesione di un interesse meritevole di tutela ex art. 1223 c.c. [11]

Il danno costituisce l’epicentro della responsabilità civile[12].

Tuttavia, giova precisare che non è risarcibile ogni tipologia di danno.

Ebbene, secondo l’opinione tradizionale[13], il rimedio aquiliano ha la funzione di compensare esclusivamente la perdita provocata in termini di perfetta equivalenza.

In altri termini, il danno è limite strutturale dell’obbligazione risarcitoria in quanto la misura dell’effetto giuridico proprio della responsabilità è determinata dall’entità del fatto che lo produce[14].

In particolare, nell’ambito della struttura dell’art. 2043 c.c. il concetto di «danno» è utilizzato due volte. Nel primo caso, il riferimento è al danno ingiusto, ossia la lesione di un bene e/o interesse giuridicamente rilevante e meritevole di tutela. Si discorre, a tal riguardo, di danno-evento. Nel secondo caso, la norma fa riferimento al danno quale pregiudizio da riparare, ossia la conseguenza dannosa subita dalla vittima. Il riferimento in questo caso è al c.d. danno-conseguenza. I due concetti sono strettamente connessi, in quanto ai fini dell’applicazione del rimedio, non basta il solo danno evento, ma è necessario che il danno ingiusto produca degli effetti negativi nella sfera giuridica della vittima.

La dicotomia sussistente tra danno “evento” e danno “conseguenza” persegue proprio la finalità di chiarire che la lesione in sé del diritto non è risarcibile. Al contrario, è necessario che detta lesione abbia prodotto delle “conseguenze”, ovvero degli effetti apprezzabili sul piano del danno non patrimoniale[15] – in termini di sofferenza - ovvero di quello patrimoniale, in termini di danno emergente e di lucro cessante[16].

D’altro canto, autorevole dottrina osserva che la funzione della responsabilità civile, letta alla luce del principio di solidarietà sociale, perseguirebbe la finalità ultima di tenere indenni i danneggiati dal danno subito ricollocandolo presso il soggetto che dal punto di vista economico e sociale è il più idoneo a sopportarlo. Il rimedio della responsabilità aquiliana costituirebbe, non già una forma di risposta ad illeciti, bensì un meccanismo imparziale di “allocazione del danno”[17].

Più in generale la matrice originaria della funzione compensativa è da rinvenire semplicemente nella constatazione che se da una propria azione deriva un danno ad altri, corrisponde ad un principio di equità[18] far sì che il costo della riparazione sia accollato all’autore del fatto dannoso e non rimanga a carico del danneggiato.

Secondo altra lettura, la funzione puramente compensativa del rimedio aquiliano sarebbe un ineludibile risvolto del principio di causalità delle attribuzioni patrimoniali. Qualora il quantum dovuto a titolo di risarcimento superasse la perdita effettivamente subita da parte del danneggiato si darebbe luogo ad un’attribuzione patrimoniale sine causa, evidentemente illegittima[19].

Del resto, l’elaborazione di modelli di responsabilità alternativi rispetto a quello descritto dal 2043, anche a carattere oggettivo[20], è un ulteriore addentellato normativo atto a testimoniare che la funzione attribuibile alla responsabilità civile è di tipo riparatorio.

Con lo sviluppo industriale la carica etica dell’istituto della responsabilità aquiliana risulta attenuarsi. In coerenza con l’evoluzione dei rapporti giuridici ed economici che ha caratterizzato l’ultimo secolo, la nozione di colpa finisce inevitabilmente per oggettivizzarsi. La colpa - alla luce dell’incremento delle occasioni di danno e della necessità di non interrompere lo sviluppo economico industriale – fu chiamata a registrare la divergenza tra parametri che esprimono il grado di tollerabilità sociale del rischio e il comportamento dell’agente. Si andò così a formare un nuovo concetto di responsabilità fondato su un generale principio di equità alla stregua del quale è giusto che chi trae vantaggi dalla sua particolare posizione risponda anche degli eventuali svantaggi che da essa derivano. In particolare, la responsabilità veniva connessa al rischio di impresa in modo da sottrarre i datori di lavoro da una possibile forma di immunità per i danni provocati ai dipendenti[21].

Conseguentemente, il prevalere di una concezione riparatoria, in luogo di quella sanzionatoria dell’illecito aquiliano, ha definitivamente scardinato la caduta del dogma nullum crimen sine culpa, ed ha così disegnato una struttura multiforme dei possibili criteri di imputazione dell’illecito civile[22], anche a carattere oggettivo.

Il fine è la tutela del danneggiato, a prescindere dalla colpa del danneggiante coerentemente con una prospettiva vittimologica che, ad oggi, innerva l’intero apparato della responsabilità aquiliana.

D’altro canto, è noto che l’entità del quantum dovuto a titolo di risarcimento prescinde dalla riprovevolezza dell’elemento psicologico che connota la condotta. In altri termini, è irrilevante ai fini della quantificazione dell’entità del risarcimento dovuto che la condotta sia stata caratterizzata da colpa ovvero da dolo. Ciò in evidente contrapposizione rispetto a quanto avviene in ambito penale. Ai sensi dell’art. 133 n. 3 c.p. il giudice penale deve tener conto ai fini della determinazione della pena anche dell’intensità del dolo o del grado della colpa.

Il baricentro della responsabilità civile non è la condotta del danneggiante, bensì il danno subito dal danneggiato. Ergo non sussiste un nesso di proporzionalità diretta tra quantum dovuto a titolo di risarcimento e riprovevolezza della condotta.

Del resto, la ratio di tale orientamento va rintracciata da un punto di vista diacronico in quel lungo processo evolutivo che ha portato a distinguere nitidamente la responsabilità civile da quella penale. Questo principio di netta separazione tra le due sfere ha indotto le corti a diffidare da quelle figure di danno che, travalicando i confini descritti dalla funzione riparatoria, finiscono con l’assumere carattere sanzionatorio, considerato tratto tipico ed esclusivo del diritto penale. In questa prospettiva, la punizione sarebbe esclusiva prerogativa del legislatore penale, unico legittimo detentore della potestà sanzionatoria esercitabile a fronte di lesioni di valori fondamentali dell’ordinamento, pena la violazione dell’art. 25 della Cost[23].

L’illecito aquiliano non potrebbe mai avere funzione punitivo – sanzionatoria[24].

D’altro canto, l’ammissibilità di danni ultracompensativi entrerebbe, altresì, in rotta di collisione con il principio di certezza del diritto, in quanto il danneggiante non sarebbe posto a priori nella condizione di prevedere il quantum dovuto a titolo di risarcimento. Al contrario, il principio compensativo, parametrando il danno al pregiudizio effettivamente causato, si porrebbe in perfetta sincronia con pregnanti esigenze di certezza[25] .

Il sistema del risarcimento del danno, sarebbe retto in questa prospettiva da due ineludibili principi.

Il riferimento è al principio di integralità[26] del risarcimento e al contempo di indifferenza[27] dell’illecito.

È necessario quindi porre la vittima in una situazione equivalente a quella che si sarebbe determinata in assenza di illecito. Il risarcimento non deve né arricchire, né impoverire il danneggiato, quindi è necessario che il quantum dovuto dal danneggiante non superi l’entità della perdita subita dal danneggiato.

Per il danneggiato dovrebbe essere indifferente da un punto di vista economico non subire affatto il danno ovvero subire lo stesso, ma ottenere il risarcimento.

D’altro canto, è necessario che il risarcimento sia integrale e quindi che l’entità della riparazione non sia inferiore rispetto al danno subito.

In altri termini, l’attore riceverà nulla di meno, e nulla di più, della perdita da lui subita e imputabile al convenuto.

Tali principi letti in combinato disposto sono l’ulteriore conferma della funzione riparatoria che anima la responsabilità civile.

Quanto detto sembra essere confermato a livello legislativo anche nell’ambito di un settore specifico, ove la necessità di un danno avente valenza sanzionatoria, per la verità, si palesa in modo evidente[28].

Il riferimento è alla direttiva UE 104/2014 nella parte in cui, con riguardo alla quantificazione del danno derivante da illecito antitrust, mantiene fermo il divieto di overcompensation[29].

L’indicazione di principio rimane quindi quella della riparazione integrale del danno volta, da un lato ad ottenere una full compensation, ma dall’altro ad evitare qualsivoglia forma di overcompensation[30]

2. Il percorso dei danni punitivi: dai dinieghi opposti dalla Cassazione alla compatibilità con l’ordine pubblico. La funzione principale della responsabilità civile resta quella compensativa.

Del resto il trend dottrinale di cui si discorre è stato a lungo condiviso dalla giurisprudenza, che solo recentemente sembra aver messo in discussione il principio alla luce del quale la responsabilità civile avrebbe esclusivamente funzione compensativa[31]. La giurisprudenza, specialmente in passato, è stata a tal punto legata all’idea che il risarcimento non possa e non debba avere funzione punitiva tanto da averne fatto uno dei pochi principi d’ordine pubblico di cui si abbia cognizione pratica nel nostro ordinamento. Sovente è stato negato l’exequatur per contrarietà all’ordine pubblico di pronunce provenienti dal common law aventi valenza sanzionatoria[32].

Il sistema sembrerebbe, in tal guisa, essere “sigillato”.

Sull’annosa questione concernete la compatibilità dei danni punitivi[33] con l’ordine pubblico è di recente intervenuta la Cassazione a Sezioni Unite con decisione del 5 luglio 2017 n. 16601[34].

Grande è stato lo stupore nel leggere la pronuncia in questione, la quale si chiede se detti punitive damages possano effettivamente ritenersi contrari all’ordine pubblico alla luce della dinamicità o polifunzionalità del sistema della responsabilità civile, nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso trasnazionale, che invoca la circolazione delle regole giuridiche, non la loro frammentazione tra i diversi ordinamenti nazionali.

La Suprema Corte, infatti, in quest’occasione, nonostante sia stata chiamata a pronunciarsi su un caso analogo a quello precedentemente deciso dalla Cassazione[35], giunge ad una soluzione totalmente opposta optando per la compatibilità di tali decisioni con l’ordine pubblico.

Detta pronuncia è quindi degna di nota in quanto, oltre ad essersi interrogata sulle finalità attribuibili alla responsabilità civile, ha anche offerto una innovativa nozione di ordine pubblico, in accordo con la necessità di garantire la circolazione delle regole giuridiche imposta dalla globalizzazione normativa vissuta dall’ordinamento, soprattutto alla luce dell’evoluzione dello stesso in senso sovranazionale.

In verità, nelle due occasioni in cui il Supremo Consesso[36] aveva affrontato la problematica relativa alla compatibilità con l’ordine pubblico internazionale di decisioni americane di condanna ai danni punitivi, non aveva avuto molte incertezze nel giudicare non delibabili tali decisioni.

La Corte aveva sostenuto la contrarietà all’ordine pubblico di dette sentenze facendo perno sul postulato dell’unicità della funzione attribuibile alla responsabilità civile.

Sul punto basti ricordare la nota massima di Cass., Sez. Un., 19 gennaio 2007, n. 1183 secondo cui «l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, così come è indifferente la condotta del danneggiante: pertanto è contraria all’ordine pubblico interno e dunque non riconoscibile la pronuncia statunitense di condanna al pagamento di danni punitivi, poiché tale istituto si collega alla condotta dell’autore dell’illecito e non al tipo di lesione del danneggiato e si caratterizza per una ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito».

In questa prospettiva, scarso rilievo viene attribuito alla gravità della violazione e all’aspetto soggettivo della condotta lesiva, parametri, invece, tipici della funzione punitiva: pertanto quale che sia il grado di riprovevolezza della condotta, il danno risarcibile sarà sempre e solo rapportabile alla perdita subita.

D’altro canto, di recente[37] la Cassazione è tornata a ribadire che «posta la finalità esclusivamente compensativa riconosciuta alla responsabilità civile, non può essere accolta, per contrarietà all’ordine pubblico, l’istanza di exequatur di una sentenza nordamericana di condanna al pagamento di una somma risarcitoria che, sebbene non dichiaratamente punitiva, supera in modo rilevante la richiesta dell’attore senza che sia dato rinvenire la causa giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale». Con la pronuncia appena citata la Suprema Corte - adita per negare l’exequatur di una sentenza pronunciata dalla Corte Suprema del Massachusset che aveva, invece, trovato il parere favorevole della Corte di Appello di Torino - ha giudicato la soluzione del giudice di merito errata facendo perno su una motivazione fondata principalmente sulla considerazione  che, a prescindere dalla mancanza di qualunque riferimento alla figura dei danni punitivi, la concessione di una somma così elevata tradisse in ogni caso un’inclinazione punitiva estranea all’ordinamento giuridico italiano, senza tralasciare, inoltre, che l’assenza di qualsiasi riferimento relativo ai criteri adottati per la determinazione del risarcimento concesso nella decisione nordamericana impediva di verificare se la sentenza desse, o meno ingresso a voci di danno non ammesse nell’ambito del sistema italiano.

Giova osservare, tuttavia, che un conto è discorrere dell’introduzione dei danni punitivi tout – court nel sistema italiano, ovvero, riconoscerne la validità di un’applicazione diretta, altro, è riconoscere l’efficacia di una singola sentenza straniera[38] . Infatti, in questo secondo caso l’efficacia della decisione è “relegata” nell’ambito di un rapporto privatistico limitato alle parti che pertanto non si riflette sull’ordinamento nel suo insieme.

La clausola di salvaguardia dell’ordine pubblico, inoltre, è sopravvissuta all’evoluzione del giudizio di delibazione ed è applicata, tutt’oggi, nell’ambito del procedimento riguardante il riconoscimento di sentenze straniere nel sistema italiano di diritto internazionale. Al giudice del riconoscimento è richiesto di accertare se gli effetti della pronuncia straniera superino il vaglio di liceità alla luce dei principi di ordine pubblico ex art. 64 lett. g), l. 218/ 1995, secondo il quale, com’è noto, «la sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando […] le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico».

È necessario, quindi, definire il significato e la portata della locuzione “ordine pubblico”. Pertanto, è indispensabile comprendere in che termini tale concetto possa oggi svolgere una funzione di barriera protettiva posta a guarentigia dell’integrità dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.

«Già al suo primo apparire in un testo giuridico (il codice napoleonico) nella storia, l’ordine pubblico si presenta come “una figura enigmatica priva di definizione”. La difficoltà di definire tale nozione trova senza dubbio ragioni ulteriori nella sua natura trasversale alle discipline giuridiche, che ne fa una nozione a “geometria variabile”, capace di attraversare il diritto privato, costituzionale, amministrativo, penale, internazionale, comunitario ecc., mostrando una grande duttilità che però, come altro lato della medaglia, rende continuamente differenziabile il suo contenuto»[39].

Proprio la duttilità di tale contenuto ha spinto la migliore dottrina[40] ad assimilare lo stesso ad una “valvola di sicurezza” dell’ordinamento, la quale si caratterizzerebbe per il grande dinamismo e la capacità di evolversi seguendo il divenire della vita politica e sociale [41].

L’ordine pubblico è quindi una nozione in divenire[42].

Ebbene, l’evoluzione del concetto di ordine pubblico ha dato luogo ad un «progressivo e condivisibile allentamento del livello di guardia trasnazionale opposto dall’ordinamento nazionale all’ingresso di istituti giuridici e valori estranei purché compatibili con i principi fondamentali desumibili, in primo luogo, dalla Costituzione, ma anche dai Trattati fondativi e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e, indirettamente, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo»[43].

In altri termini, il principio dell’ordine pubblico così come recepito nel diritto vivente non ha riguardo tanto alle norme imperative e inderogabili del diritto interno[44], ma è tale da coincidere con i principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento in un dato momento storico, inteso in senso trasnazionale.

Ciò in quanto la clausola di salvaguardia dell’ordine pubblico deve essere interpretata alla luce del fenomeno della “globalizzazione” che richiede una circolazione libera - non solo delle persone, delle merci e dei servizi – ma anche delle regole giuridiche[45].

A tal riguardo, le Sezioni Unite affermano convincentemente che «il rapporto tra l’ordine pubblico dell’Unione e quello di fonte nazionale non è di sostituzione, ma di autonomia e coesistenza»[46]. A conforto di tale affermazione la Suprema Corte rievoca il dettato dell’art.67 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il quale afferma che «l’Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli stati membri».

In altri termini, l’ordine pubblico non si identifica con quello esclusivamente interno, poiché, altrimenti, le norme di conflitto sarebbero operanti solo ove conducessero all’applicazione di istituti giuridici aventi contenuto simile a quelli italiani, cancellando la diversità tra ordinamenti e rendendo inutili le regole di diritto internazionale privato. Conseguentemente, il giudice della delibazione dovrà negare il contrasto in presenza di un istituto giuridico straniero che rappresenti una delle diverse modalità di attuazione del programma costituzionale, quale risulti dall’esercizio della discrezionalità del legislatore in un determinato momento storico[47].

Il concetto di ordine pubblico, specialmente alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia[48], deve essere interpretato restrittivamente. Contrarietà all’ordine pubblico non equivale a mera diversità di disciplina, bensì a contrasto con i principi fondamentali della Costituzione, ovvero, con quel complesso di regole fondanti l’ordinamento e caratterizzanti la struttura sociale della comunità in un dato momento storico[49]. Afferma efficacemente il Supremo Consesso che «la sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall’ordinamento nazionale, quand’anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell’apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l’ordinamento costituzionale […]. Non vi potrà essere perciò arretramento del controllo sui principi essenziali della “lex fori” in materie, come per esempio quella del lavoro che sono presidiate da un insieme di norme che attuano il fondamento della Repubblica. Nel contempo non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani».

Tale affermazione appare pienamente condivisibile, conseguentemente delle due l’una: o si devono ritenere incostituzionali - in quanto contrastanti con i principi fondamentali – tutte le norme (precedentemente analizzate) che in modo diretto o indiretto perseguono funzioni sanzionatorie[50] o, evidentemente, l’orientamento che ostinatamente continua a ritenere contrarie all’ordine pubblico le sentenze comminatorie di punitive damages finisce col travisare le coordinate tracciate al riguardo anche dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, dando luogo a decisioni censurabili anche sotto questo profilo.

Del resto, anche ove si volesse aderire a quella scuola di pensiero che attribuisce alla responsabilità civile esclusivamente funzione riparatoria non può comunque sostenersi che quest’ultima assurga a principio fondamentale idoneo ad integrare il concetto di ordine pubblico alla luce delle coordinate ermeneutiche sin qui tracciate[51].

Molti altri ordinamenti europei hanno riconosciuto i punitive damages non, di per sé, contrari all’ordine pubblico[52]. In questo senso si sono espressi il Tribunale Supremo spagnolo[53], la Corte Suprema slovena[54] , la Corte Costituzionale federale tedesca[55] e, in ben due occasioni, la Cour de cassation[56].

Ebbene, l’introduzione di simili misure in ordinamenti improntati ad una netta distinzione tra diritto penale e diritto civile può esser letta come il riflesso positivo derivante dalla globalizzazione degli ordinamenti. In un’era in cui i modelli non solo giuridici, ma anche economici e sociali circolano ad una velocità sorprendente risulta difficile comprendere come mai una tecnica risarcitoria quale quella rappresentata dai punitive damages dovrebbe essere rigettata da ordinamenti di tradizione non anglosassone.

È evidente, quindi, che negare il riconoscimento di una sentenza straniera solo perché il concetto di sanzione si pone al di là della funzione (presuntamente) unicamente compensativa del rimedio aquiliano entra in rotta di collisione con l’apertura manifestata in senso contrario dal legislatore e, più in generale con il progressivo riconoscimento di tali strumenti nello spazio giuridico europeo.

Su altro crinale, giova rammentare che la valenza polifunzionale della responsabilità civile emerge prepotentemente dal panorama legislativo che si è venuto componendo.

Come evidenziato anche dalle Sezioni Unite la dinamicità dell’ordinamento giuridico ha posto il rimedio della responsabilità di fronte a nuove sfide che hanno indotto il legislatore a prevedere numerose norme settoriali caratterizzate da una manifesta tendenza a colpire il profitto derivante dalla condotta contra legem e che in ogni caso perseguono finalità eminentemente sanzionatorie.

Si pensi, in primo luogo, all’art. 12 l. 8 febbraio 1948, n. 47, all’art. 158 della l. 22 aprile 1941 n. 633[57], all’art. 125 c.p.i. (come modificato dal D.lgs n. 140 del 2006) [58] [59], all’art. 187 undecies, all’art. 96 c.p.c. (dopo la riforma avvenuta con la l. 69/2009)[60], all’art. 709 ter c.p.c.[61], agli artt. 3 - 5 del d.lgs n. 7 del 15 gennaio 2016[62] ,all’art. 129 bis c.c.[63], all’art. 4 del d.l. 22 settembre 2006, n. 259[64], Giova rammentare, inoltre, che già da tempo la dottrina attribuisce al danno non patrimoniale[65] e alla liquidazione equitativa[66] valenza latu sensu sanzionatoria.

Ebbene, questa appare essere una argomentazione baricentrale nell’articolato tessuto motivazionale forgiato dalla Suprema Corte che ha condotto quest’ultima ad affermare la compatibilità dei danni punitivi con l’ordine pubblico.

Giova notare che la decisione in commento si pone, inoltre, in sincronia con le argomentazioni utilizzate dalla Corte di Cassazione per riconoscere l’exequatur di una sentenza di condanna all’astreinte previste da altri ordinamenti, dirette ad attuare una pressione per propiziare l’adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica[67]. Anche in quell’occasione, infatti, la Suprema Corte aveva lanciato «un ulteriore segnale dell’evoluzione verso un sempre maggior riconoscimento della presenza di strumenti aventi funzione deterrente e sanzionatoria nel sistema civilistico»[68]

Le Sezioni Unite, a questo punto, si preoccupano di descrivere con precisione le caratteristiche e i presupposti che deve necessariamente avere la decisione straniera per poter essere recepita nel nostro ordinamento.

Il giudice della delibazione, in primo luogo, sarà chiamato a verificare il rispetto del principio di proporzionalità tra riprovevolezza della condotta[69] e risarcimento sanzionatorio ovvero tra quest’ultimo e risarcimento riparatorio compensativo. In questo modo si garantisce che l’autore del comportamento riprovevole sia in grado di conoscere ex ante quali sono i limiti quantitativi della sanzione che gli sarà irrogata.

Sembra che la Suprema Corte consideri soddisfatto il requisito della prevedibilità a mezzo del positivo accertamento del rispetto del principio di proporzionalità intercorrente tra somma liquidabile a titolo compensativo e quella liquidabile a titolo punitivo, invece che con l’indicazione di una cornice edittale entro cui deve essere contenuta la sanzione (id est il danno punitivo)[70]. Ciò pare confermato dal richiamo effettuato dalle Sezioni Unite alle pronunce delle Corte suprema americana BMW[71] e Exxon[72].

«A quest’ultimo riguardo, le sezioni unite omettono però di specificare: i) se il danno punitivo deve avere un importo minore (i. e. deve costituire un mero incremento percentuale) rispetto a quanto liquidato a titolo di risarcimento compensativo, così come preponderante e prevalente, nel nostro sistema della responsabilità civile, oramai dichiarato polivalente, è la funzione compensativa rispetto a quella sanzionatoria, ovvero; ii) se il requisito della proporzionalità, in questa sua seconda accezione, può considerarsi soddisfatto anche quando la somma liquidata a titolo sanzionatorio eguagli o addirittura superi quella liquidata a titolo compensativo, come è nel caso di condanna in duplum o in triplum. Questione, questa, non di poco conto, che coinvolge complesse considerazioni di politica del diritto, posto che è il danneggiato (e non lo Stato) a beneficiare della somma liquidata per finalità sanzionatorio – preventive. Costui, in caso di prevalenza della lettura sub ii), potrebbe arricchirsi con somme di denaro eccedenti il danno patito, le quali verrebbero sottratte al danneggiante per la riprovevolezza del suo comportamento e affidate al danneggiato in un’ottica di redistribuzione»[73].

In altri termini, affermare la compatibilità costituzionale dei punitive damages non significa sconfessare lo statuto proprio della pena privata.

L’art. 1384 c.c., nel prevedere il potere del giudice di ridurre l’ammontare della penale in caso di manifesta eccessività, consegna all’interprete un principio di carattere generale e inderogabile «immanente a tutti i casi di sanzioni civili di tipo punitivo, volto a sancire un preciso ordine nel rapporto reciproco tra afflizione e riparazione»[74].

Ciò significa che, ferma l’ammissibilità in astratto dei punitive damages, eventualmente il controllo sul quantum potrà essere in concreto motivo legittimo per negare l’exequatur.

Appare, quindi, pienamente condivisibile l’opinione di chi ritiene che «pure i punitive damages, pertanto, potrebbero essere riconosciuti purché, tenuto conto della loro funzione sanzionatoria, siano ragionevoli rispetto al danno subito e alla gravità della condotta: la natura di pena non consente di violare i principi di equità, proporzionalità e ragionevolezza»[75].

E in relazione a questa osservazione può affermarsi che non dovrebbe considerarsi pregiudizialmente contrario all’ordine pubblico l’istituto di origine nordamericana dei danni sanzionatori potendosi negare l’exequatur di una sentenza di condanna al pagamento dei punitive damages unicamente quando la liquidazione sia effettivamente abnorme, in conseguenza di una valutazione effettuata in concreto, in considerazione anche delle circostanze del caso di specie e dell’ordinamento giuridico dello stato membro del giudice adito.

Il ruolo decisivo spettante alla giuria ha, talvolta, condotto a liquidazioni risarcitorie smisurate; tuttavia, tale effetto – come precedentemente osservato - è stato gradualmente limitato dagli interventi della Suprema Corte USA[76] , la quale ha posto in primo piano la necessità di effettuare una valutazione equitativa dei punitive damages che ha spesso condotto ad una netta riduzione del quantum debeatur a titolo di risarcimento.

Sembra, quindi, condivisibile l’opinione di chi afferma che «per questa via, tale strumento rimediale potrebbe divenire, per così dire, meno ostile, aiutando l’interprete italiano a misurarsi – senza alcun tipo di pregiudizio – con la delibabilità di decisioni americane di condanna a danni punitivi di cui si chiede l’esecuzione in Italia»[77].

Su altro crinale la corte precisa che la responsabilità civile può assumere funzione punitiva solo ed esclusivamente nei casi espressamente previsti dalla legge[78], altrimenti opinando sarebbero violati i superiori principi sanciti dall’art. 25 e 23 Cost., nonché dall’art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e dall’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

In altri termini, un solido ancoraggio normativo rappresenta un presidio imprescindibile per garantire i superiori principi di tipicità e prevedibilità della pena (anche) privata, altrimenti si finirebbe per ratificare un inaccettabile sistema di giustizia privata sostitutivo di quello pubblico[79].

Conseguentemente «così come si è detto che ogni prestazione patrimoniale di carattere sanzionatorio o deterrente non può essere imposta dal giudice italiano senza espressa previsione normativa, similmente dovrà essere richiesto per ogni pronuncia straniera»[80], altrimenti, a detta del Supremo Consesso, sarebbero violati i principi fondamentali di tipicità e prevedibilità della pena.

Pertanto, il giudice così come nelle controversie di diritto interno dovrebbe verificare l’esistenza di una specifica base legale al fine di imprimere al risarcimento una curvatura punitiva, similmente dovrebbe appurare l’esistenza di uno specifico fondamento legale nel paese straniero atto a sorreggere la condanna punitiva di cui si chiede l’exequatur[81].

Ebbene, tale precisazione effettuata della Suprema Corte sembra avere, nel ragionamento effettuato in questa sede, una valenza dirompente.

Affermare che la responsabilità aquiliana possa svolgere funzione punitiva solo ed esclusivamente nei casi previsti dalla legge significa a contrario ritenere che di regola essa svolge funzione compensativa.

In altri termini, questo pronunciamento della Suprema Corte ribadisce quanto sostenuto da tempo dalla dottrina: la responsabilità civile ha valenza principalmente compensativa, salvo i casi in cui la legge espressamente attribuisca alla stessa valenza deterrente e sanzionatoria[82].

È evidente che la pronuncia in commento è destinata ad assurgere a pietra miliare nel percorso evolutivo che in questi anni sta vivendo l’illecito aquiliano.

3. Una recente conferma giurisprudenziale della funzione compensativa della responsabilità civile: la compensatio lucri cum damno.

Conferma del fatto che la responsabilità civile ha funzione compensativa e, più specificamente, che il risarcimento non deve essere fonte di vantaggio neanche per il danneggiato sembra provenire dai recenti arresti giurisprudenziali in tema di compensatio lucri cum damno.

Il riferimento è alle due ordinanze di remissione rispettivamente effettuate dalla Cass. III, Sez, Civ. Ord. n. 15536 alle Sezioni Unite e dal Cons. St., sez. IV, ord., n. 2719 all’ Adunanza Plenaria[83].

Ebbene, in talune ipotesi l’illecito dà luogo al tempo stesso ad un danno ed un vantaggio[84]. L’istituto in questione descrive una tecnica di quantificazione del danno ove assume rilevanza, oltre alla perdita patrimoniale subita dal danneggiato, anche l’eventuale vantaggio ottenuto da quest’ultimo[85] [86].

Il fondamento giuridico di questo istituto è da sempre stato particolarmente tormentato.

La compensatio lucri cum damno, infatti, nonostante non fosse ignota ai classici, non ha mai goduto di un riconoscimento esplicito.

Secondo una prima ricostruzione il fondamento andrebbe individuato nel Digesto (specificamente al D.3.5.10[87]) che, però, tratta della negotiorum gestio.

Secondo altra opinione, l’operatività del principio della compensatio lucri cum damno era talmente certa da non richiedere un espresso riconoscimento normativo. Si osservava, inoltre, che in ogni caso quest’ultimo è in realtà applicazione del più generale e pacifico principio secondo cui nemo se locupletiorem facere potest cum alterius detrimento[88].

Le medesime incertezze che incontrava il diritto romano nel rinvenire il fondamento del principio in argomento si rinvengono anche nell’attuale riflessione dottrinale e giurisprudenziale.

L’assenza di una esplicita base normativa ha condotto parte della dottrina[89] a negare ab ovo l’operatività del principio, facendo perno su un immancabile richiamo all’ iniquità di un istituto che ha l’effetto di sollevare l’autore di un fatto illecito dalle conseguenze del suo operato.

Secondo una prima impostazione, alla base del principio in parola vi sono esigenze di carattere equitativo, ciò ha indotto, parte della dottrina a rinvenirne il fondamento nell’ambito del 2041[90].

Tuttavia questa ricostruzione non sembra convincente.

Infatti, il rimedio di cui all’art. 2041 c.c. opera solo nell’ipotesi in cui lo spostamento patrimoniale non sia giustificato. Si osserva, invece, che quando si discorre di cumulabilità di ristori ricollegabili comunque all’illecito (es. indennitario e risarcitorio) gli spostamenti patrimoniali sono - al contrario - certamente giustificati[91].

Invero, il principio della compensatio descrive una tecnica liquidatoria del danno[92], conseguentemente sembra preferibile l’opinione di chi rinviene il suo fondamento direttamente nell’ambito dell’art. 1223 c.c. Non può leggersi il 1223 c.c. in modo asimmetrico, non si può limitare l’operatività dello stesso con riguardo ai danni, escludendo dal suo ambito applicativo anche i profitti. Ciò in quanto sia i danni che i benefici sono conseguenza immediata e diretta dell’illecito.

L’eventuale incremento patrimoniale prodotto nella sfera del soggetto leso dall’illecito -  quale conseguenza immediata e diretta dello stesso – dovrà essere decurtato dall’ammontare del danno risarcibile verificandosi, in caso contrario, una palese violazione dell’art. 1223 c.c. che persegue la finalità di ripristinare la situazione patrimoniale in cui versava il danneggiato prima dell’illecito.

In altri termini, proprio perché le conseguenze di un illecito non sono sempre solo di tipo negativo, ma possono dar luogo anche ad incrementi patrimoniali, necessariamente la liquidazione del danno si basa su un giudizio ipotetico di differenza tra due situazioni, e cioè tra quella attuale e quella che si sarebbe verificata in assenza delle ripercussioni patrimoniali che il fatto dannoso ha prodotto nel patrimonio del danneggiato[93].

In questo solco interpretativo si colloca l’ordinanza di remissione della questione alle Sezioni Unite. In questa sede la Suprema Corte ha affermato espressamente che «la regola tralatiziamente definita con questa espressione altro non è che una perifrasi per definire il principio di integralità della riparazione o “principio di indifferenza”, in virtù del quale il risarcimento deve coprire l’intera perdita subita, ma non deve costituire un arricchimento per il danneggiato. Tale principio è desumibile dall’art. 1223 c.c.»[94].

L’orientamento largamente prevalente[95] in giurisprudenza ha applicato il principio della compensatio al ricorrere congiunto di tre presupposti: 1) pregiudizio ed incremento patrimoniale (id est, vantaggio economico) devono discendere dallo stesso evento[96]; 2) danno e vantaggio devono conseguire con rapporto di causalità diretto ed immediato dall’evento (c.d. unicità del titolo)[97]; 3) le poste compensative devono avere la medesima natura giuridica[98].

Conseguentemente si esclude l’applicazione del citato principio qualora il rapporto tra vantaggio e danno sia di mera occasionalità necessaria, nel senso che semplicemente favorisca il verificarsi del vantaggio o del danno.

In altri termini, se a lenire le conseguenze pregiudizievoli dell’evento dannoso subentra un fattore derivante da un titolo indipendente dal fatto illecito che ha causato il danno, l’eventuale profitto a tale fattore correlato non può essere detratto dall’ammontare dell’intero danno. È evidente, inoltre, che dette indennità non derivano in modo diretto e immediato dall’illecito, ma sono semplicemente occasionate dallo stesso. In realtà queste ultime rinvengono la propria fonte, in senso stretto, nelle normative speciali che le prevedono e non nel fatto dannoso.

Ergo, per potersi matematicamente compensare i vantaggi e gli svantaggi debbono necessariamente condividere la medesima matrice, debbono derivare dal medesimo fatto, indipendentemente da altri rapporti.

Sempre in questa prospettiva, per oltre un trentennio in giurisprudenza, si è ritenuto di escludere l’applicabilità del principio facendo perno su un’ulteriore osservazione. Il riferimento è alla diversità della natura giuridica fra l’indennità, riconosciuta a favore di soggetti beneficiari [99], ed il risarcimento del danno [100] subìto in conseguenza del fatto illecito.

Le vittime, quindi, ricevono il risarcimento del danno che va a cumularsi con un’indennità, quale contributo solidaristico[101].

L’orientamento contrario alla cumulabilità dell’indennizzo e del risarcimento del danno si è iniziato a diffondere in tema di vaccinazioni obbligatorie[102].

Per la prima volta, infatti, il Tribunale di Roma[103], ha sottratto dal quantum dovuto a titolo di risarcimento l’indennizzo già percepito. Anche le Sezioni Unite nel 2008 nell’affrontare la questione concernente il rapporto fra indennizzo e risarcimento del danno hanno affermato che la differente natura giuridica non osta alla compensazione tra le due poste[104].

Ebbene, in questo solco interpretativo si collocano anche le recenti ordinanze di remissione alle Sezioni Unite e all’Adunanza Plenaria di cui si è detto in precedenza.

In particolare, si osserva che alla stregua dell’orientamento prevalente il soggetto danneggiato riceve una doppia locupletazione in virtù dello stesso evento di danno, praticamente sempre. Pretendere il medesimo titolo per il danno e per il lucro, al fine di giustificare l’operatività dello scomputo, finisce sostanzialmente con l’azzerare qualsiasi spazio applicativo del principio in parola.

La Cassazione osserva, inoltre che l’orientamento tradizionale è incoerente con la moderna nozione di causalità giuridica, la quale non distingue tra “causa prossima” e “occasione”. Tali concetti sono stati sostituiti dalla nozione di “regolarità causale”. Una condotta può dirsi causa di un evento se senza la prima, il secondo non si sarebbe verificato[105].

Non può ritenersi “spezzata” la serie causale, e ritenere che il danno derivi dall’illecito e l’incremento patrimoniale dalla legge, infatti senza il primo non vi sarebbe stato il secondo[106].

Opinare diversamente determinerebbe un’interpretatio abrogans delle norme che disciplinano l’azione di surrogazione spettante all’assicuratore e all’ente previdenziale (ex art. 1203 c.c., 1916 c.c. o in virtù delle singole norme previste dalla legislazione speciale). E’ noto che il danneggiante non può mai essere costretto, per effetto della surrogazione, a pagare due volte[107]. Conseguentemente, una volta costretto il responsabile del sinistro a pagare l’intero risarcimento, l’assicurazione vedrà definitivamente pregiudicato il suo diritto di surroga.

Osserva la Corte di Cassazione[108] che questa conclusione non è ammissibile, in quanto priva l’assicuratore (o l’ente previdenziale) di un diritto espressamente riconosciuto dalla legge ed è contraria ad evidenti ragioni di giustizia.

Deve concludersi che, nella stima dei danni civili, l’operazione che il giudice dovrà effettuare è unica e consiste nel sottrarre dal patrimonio della vittima ante sinistro il patrimonio della vittima post sinistro. Pertanto, se in tale operazione ci si imbatte in un profitto che sia conseguenza dell’illecito, dovrà constatarsi che in quella parte il danno non si è affatto prodotto[109].

Dal quantum dovuto a titolo di risarcimento al danneggiato dovrà, quindi, sottrarsi l’aliunde perceptum, così come il danneggiante, a fronte di un danno idoneo a procurargli un profitto maggiore rispetto alla perdita ingiustamente arrecata al danneggiato, potrà trattenere presso di sé il maggior valore.

L’obiettivo è riparare la perdita subita, nulla di più e nulla di meno.

Quanto detto offre l’occasione alla Corte di Cassazione per ribadire che la funzione della responsabilità civile è di tipo riparatorio.

L’ampliamento dell’ambito di operatività di detto principio sembrerebbe ulteriore conferma del fatto che lo scopo della responsabilità civile è quello di riportare la condizione patrimoniale della vittima nello stato in cui si sarebbe trovata in assenza dell’illecito, in coerenza con il principio di indifferenza.

La tutela risarcitoria, quindi, non potrebbe mai avere funzione punitiva in quanto, da un lato, il danneggiato non può arricchirsi in occasione dell’illecito, dall’altro, il danneggiante non è tenuto a versare oltre quanto necessario a riparare il pregiudizio[110].

Volendo tirare le fila del discorso, è evidente che, ai fini della riflessione oggetto di studio, questi recentissimi arresti giurisprudenziali confermano la funzione riparatoria della r.c.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Essere responsabili significa rispondere delle conseguenze derivanti da un determinato evento. Il termine responsabilità deriva dal latino “respondeo”, rispondo. In effetti, la responsabilità è la risposta dell’ordinamento ad un fatto che viola i precetti giuridici posti dallo Stato. In questi termini Franceschetti, La responsabilità civile, Maggioli, 2009, 13 e ss.; Scognamiglio, Illecito (diritto vigente), in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 171 e ss. Sul punto si veda anche Visintini, Cos’è la responsabilità civile. Fondamenti della disciplina dei fatti illeciti e dell’inadempimento contrattuale, Napoli, 2014, 11 e ss., secondo la quale «Nel linguaggio comune il termine responsabilità indica la condizione di chi deve render conto sul piano umano, morale o giuridico, di fatti, attività ed eventi di cui si è reso autore e subirne le conseguenze. Nel linguaggio tecnico giuridico il termine responsabilità civile evoca l’idea di un danno subito da qualcuno con l’obbligo di ripararlo a carico di qualcun altro».
In luogo del termine responsabilità civile vengono indistintamente utilizzate numerose espressioni: responsabilità civile o per danni, responsabilità extracontrattuale o responsabilità aquiliana, responsabilità da risarcimento del danno o per fatto illecito. Per una ricostruzione delle diverse applicazioni dei termini si rinvia a Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964, 40 e ss. Per ulteriori riflessioni sul termine responsabilità civile si v. Alpa, Diritto della responsabilità civile, Roma – Bari, 2003, 67 e ss.
[2] Alla responsabilità extracontrattuale si oppone la responsabilità contrattuale. Questa netta bipartizione trova il suo fondamento nel sistema delle fonti.
Mentre, la responsabilità contrattuale è disciplinata dal Libro IV, Capo III del codice civile – dedicato alle obbligazioni - invece, la responsabilità extracontrattuale o aquiliana è disciplinata dal Libro IV, Titolo IX, Dei fatti illeciti. Il riferimento è rispettivamente al 1218 c.c. e al 2043 c.c. E’ noto che la distinzione è foriera di rilevanti ricadute applicative si pensi: alla ripartizione dell’onere della prova, al termine prescrizionale, alla risarcibilità dei danni imprevedibili e alla modalità di costituzione in mora del debitore.
Nonostante parte della dottrina evidenzi la necessità di distinguere con chiarezza i due paradigmi di responsabilità (Il riferimento è tratto da Di Majo, Profili della responsabilità civile, Torino, 2010, 4.), è opportuno precisare che l’evoluzione del sistema tende sempre più ad avvicinare e, talvolta, a sovrapporre tali due rimedi (sul punto si veda Alpa, Diritto della responsabilità civile, cit., 75).
Il riferimento è all’avvento della teoria del contatto sociale (per l’analisi della quale si rinvia a Rinaldi, Gli obblighi di protezione e la responsabilità da contatto sociale qualificato, in Magistra n. 2/2014, 19 s.s.) che ha condotto ad un ampliamento dell’ambito applicativo del regime della responsabilità contrattuale rendendo i confini tra tali due categorie sempre più incerti e labili (Si veda Busnelli, Verso un possibile riavvicinamento tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Resp. Civ. prev., 1977, 784 e ss.; Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991, 15 e ss.; Visintini, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, voce dell’Enc. Giur. Treccani, XXIV, Roma 1990; Id, Cos’è la responsabilità civile, cit., 17 e Bianca, Diritto civile, vol. V, La responsabilità, Milano, 1993,13 e ss.).
A tal riguardo Cesare Salvi scriveva che «Tale tendenza non può essere sottovalutata perché é frutto di una significativa trasformazione del modo di intendere i fatti costitutivi delle due figure di responsabilità. Incidono qui processi di ampia portata, riassumibili nel passaggio dalla cultura giuridica dello Stato liberale (nel quale obblighi e doveri del privato sono solo quelli rigorosamente riconducibili alla duplice fonte dell’atto di autonomia o della norma di legge generale o astratta) a quella dello Stato sociale, segnata dalle esigenze di protezione dei consociati e dalla più ampia fiducia nelle tecniche giudiziali di controllo sull’attività dei privati. Ne discende un diverso modo di considerare i fatti costitutivi della responsabilità, in entrambi i campi. [...] La tradizionale distinzione tra le figure di responsabilità, fondata sull’alternatività tra il generale divieto dell’alterum non laedere (tutela dei diritti assoluti) e l’esigenza di rispettare un obbligo specifico nei confronti di un soggetto predeterminato (tutela dei diritti relativi), sembra dunque sfumare; e l’estendersi di zone di confine (perché di dubbia attribuzione o perché rette dalle regole del cosiddetto cumulo o concorso, quando lo stesso fatto risulta lesivo tanto di diritti derivanti dal contratto quanto di diritti che non hanno la loro fonte nel contratto: Cass. Sez. Un. 14 maggio 1987, n. 4441) ha indotto a dubitare del valore concettuale, sia dell’opportunità legislativa della distinzione». (In questi termini Salvi, La responsabilità civile, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 2005, 11e ss.).
Si assiste ad un fenomeno di contrattualizzazione della responsabilità extracontrattuale (l’espressione è di Rinaldi, Gli obblighi di protezione e la responsabilità da contatto sociale qualificato, cit.,20).
Giova rilevare, tra l’altro, che recentemente la teorica del contatto sociale ha conquistato anche un settore ove la giurisprudenza aveva sempre manifestato un atteggiamento riluttante, il riferimento è alla responsabilità precontrattuale. La Cass. civ., I sez, 12 luglio 2016, n. 14188 (consultabile in Banca Dati DeJure) ha sancito che la responsabilità precontrattuale (specificatamente quella della P.A.) deve essere collocata nell’ambito del paradigma della responsabilità contrattuale, in quanto trae origine da un «contatto sociale qualificato», quale fatto idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c.
E’ stato così scardinato l’orientamento tradizionale che ha sempre ricondotto tale tipologia di responsabilità nell’ambito del 2043 (Sul punto si veda tra gli altri Zambottoli, La Cassazione sulla natura della responsabilità precontrattuale: aliquid novi?, in Dir. civ. cont., 18 novembre 2016).
D’altro canto, la prospettiva comparata dà conferma del progressivo avvicinamento tra tali due rimedi. «In common law la distinzione tra contract e tort è assai labile e spesso ondivaga […] per ragioni storiche la distinzione tra effetti del tort ed effetti del contract e quindi tra danno contrattuale per inadempimento e danno aquiliano non si è mai radicata. Essa vive una autentica crisi anche in Francia, sì che nei manuali più accreditati si mette in guardia il lettore dalle illusioni di una classificazione tanto precisa quanto praticamente poco utilizzabile. In realtà, da più di un secolo la dottrina francese discute della dualità o dell’unità delle nozioni di responsabilità e molti autori si sono schierati per la tesi intermedia che esprime, si dice, lo stato del diritto positivo. In altri termini, non esisterebbe una differenza per “natura” tra le due obbligazioni, ma solo una differenza di regime. In Francia [...]André Tunc muove dalle incertezze espresse dalla dottrina inglese e nordamericana; ricorda che già all’inizio del secolo Marcel Planiol aveva enunciato in modo pionieristico – l’assurdità e l’inutilità della distinzione; e documenta la tormentata analisi degli autori francesi che nei loro manuali dedicano molto spazio a questo problema», si legge in Alpa, Diritto della responsabilità civile, cit., 60 e ss.
Sul problema del cumulo o del concorso delle responsabilità si rinvia a Castronovo, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa e diritto privato, 2004, 69; De Cupis, Il problema del cumulo della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in Ann. Dir. Comp., 1963, 249 e ss e Monateri, Cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, Padova, 1989.
[3] In particolare l’art. 2043 è una disposizione che rinviene le proprie origini nel diritto romano specificamente nella “Lex Aquilia De Damnum”, tradizionalmente collocata nel 286 a.c., con la quale venne introdotto il “damnum iniuria datum”. (Per ampi riferimenti sul punto v. Guarino, Diritto privato romano, Napoli, 1997, 1017 e Alpa, Diritto delle responsabilità civile, cit., 44 e ss).
[4] Per un approfondimento Cfr. Alpa, Bessone e Zeno-Zencovich, I fatti illeciti, in Tratt. Rescigno, in Obbligazioni e contratti, VI, Torino, 1995, 20 e ss. e Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja, Branca e Galgano, Bologna-Roma, 1993, 24 e ss.
[5] Alpa, La creatività della giurisprudenza, in Vita not., 1995, 1085, scrive che il settore della responsabilità è quello del diritto privato in cui si registra la maggiore creatività della giurisprudenza. In questo senso Monateri, Gianti, Siliquini Cinelli, Danno e risarcimento, Torino, 2013, 17 discorrono della r.c. come il “magnifico giocattolo della dottrina”.
[6] Visintini, Cos’è la responsabilità civile. Fondamenti della disciplina dei fatti illeciti e dell’inadempimento contrattuale, cit., 11, infatti, afferma che «In una concezione originaria la r.c. era legata alla responsabilità morale».
[7] Tale mutamento genetico della responsabilità civile ha avuto delle ricadute applicative anche in punto di disciplina dell’elemento psicologico. In questa fase, l’emancipazione del rimedio dai principi di ordine morale ha condotto all’emersione di forme di responsabilità senza colpa.
[8] Così Kelsen, Società e natura, Torino, 1953, 85 e ss.
[9]Per un approfondimento sul tema: Navaretta, Bilanciamento di interessi costituzionali e regole civilistiche, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 625 e ss; Sacco, L’ingiustizia di cui all’art. 2043, in Foro pad., 1960, I, 1420 ss.; Schilesinger, La «ingiustizia» del danno nell'illecito civile, in Justitia, 1960, 347 e ss. e Monateri, Illecito e responsabilità civile, 1 t., in Tratt. priv. Bessone, Torino, 2005, 40 e ss.
[10] E’ noto che in questa sede sono applicate le coordinate di matrice penalistica alla luce del più morbido criterio della causalità adeguata. Cfr. Ex multis, Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2013, 710 e ss.
[11] Si discorre a tal riguarda di causalità giuridica.
[12] Per approfondimenti sul concetto di danno si rinvia a Alpa, Danno aquiliano, in Contr. Impr., 1990, 792; Busnelli - Patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 2013, 7 e ss., Pacchioni, Dei delitti e dei quasi delitti, Padova, 1940, 3 e ss.  e Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano 2003, 227 e ss., in particolare in questa sede l’autore prende in considerazione il danno come concetto normativo di matrice tedesca. Interessanti anche gli atti tratti dall’Incontro di Studio sul tema “Illecito aquiliano e ingiustizia del danno”, Roma, 29-30 maggio 2008, relatore Prof. Castronovo, consultabile in www.personaedanno.it. ove si afferma che «il danno costituisce la caratteristica della responsabilità civile, che la differenzia da ogni altra forma di responsabilità. Parafrasando una frase di Jhering, secondo il quale senza colpa non si dà responsabilità, possiamo dire: senza danno, nessuna responsabilità. Questo significa che il fatto illecito in diritto civile, diversamente da quanto accade in diritto penale o in diritto amministrativo è essenzialmente connotato dal danno, onde fin quando questo non vi sia, di fatto illecito non è possibile parlare».
[13] Come noto l’opinione tradizionale attribuisce alla responsabilità civile esclusivamente funzione compensativa, a tal riguardo si vedano Barcellona, Trattato della responsabilità civile, Torino, 2011, 890 ss.; Id, Funzione e struttura della responsabilità civile: considerazioni preliminari sul «concetto» di danno aquiliano, in Riv. crit. Dir. priv., 2004, 214 e ss., Di Majo, La tutela civile dei diritti, cit., 171 ss.; Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, Fonti e vicende delle obbligazioni, Milano, 1954, 30 e ss.; Quarta, Risarcimento e sanzione nell’illecito civile, Napoli, 2013, 11 e ss.; Tucci, Il danno ingiusto, Napoli, 1970, 5 e ss.; Franzoni, La funzione della responsabilità civile e del risarcimento, in Commentario del codice civile Scialoja Branca, Bologna, 2001, 666 ss.; Id., L’illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, 10, secondo il quale il risarcimento del danno ha una funzione compensativa o solidaristica, a differenza della funzione punitiva propria, invece, della sanzione penale. In questo senso anche Scognamiglio, in Enc. Giur. Treccani, Danno, I) Teoria generale (voce), Roma, 1995, 8 «è affermazione comunemente accolta che il risarcimento del danno non può considerarsi sanzione l’obbligo del responsabile di risarcire il pregiudizio effettivamente subito dal leso, nei termini della sua rilevanza giuridica prescinde dalla riprovevolezza del suo contegno, in armonia con l’operata distinzione tra illecito e danno». Sul tema, ancora Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa e Dir. Priv., 2008, II, 315 discorre della responsabilità civile in termini di «logica del ristabilimento di un corretto rapporto fra patrimoni».
[14] Sul punto v. Barcellona, Trattato della responsabilità civile, cit., 878.
[15] Questa linea di pensiero è stata apertamente condivisa anche dalle recenti Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350 in tema di danno tanatologico, in relazione alla quale v. Bunselli, Tanto tuonò che… non piovve. Le Sezioni Unite sigillano il “sistema”, in Corr. Giur., 2015, 10, 1026; Palmieri – R. Pardolesi, Danno da morte: l’arrocco delle sezioni unite e le regole (civilistiche) del delitto perfetto, in Foro it., 2015, I, 2682.
Giova ricordare, tuttavia, che precedentemente la giurisprudenza aveva riconosciuto la risarcibilità del danno da morte immediata, in deroga al principio dell’irrisarcibilità del mero danno evento. Ciò in quanto il diritto alla vita, quale diritto assoluto ed irrinunciabile, non può in nessun caso restare sfornito di tutela (il riferimento è a Cass. Civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361, nota come “sentenza Scarano” sulla quale si veda Bianca, La tutela risarcitoria del diritto alla vita: una parola nuova della cassazione attesa da tempo, in Resp. Civ., e prev., fasc. 2, 2014, 493.
Tale orientamento, tuttavia, ha avuto vita breve, in quanto nel 2015 le Sez. Un. hanno espressamente negato la risarcibilità del danno da morte immediata in quanto in questo caso non si configura alcun danno conseguenza. In altri termini, è stato ribadito il principio dell’irrisarcibilità del mero danno evento, in accordo con la funzione riparatoria che assolve nell’ordinamento la rc. Questo orientamento, tra l’altro, era già stato sposato da Cass., sez. un., 22 dicembre 1925, n. 3475, in Foro it., 1926, I, 328.
La questione afferente alla distinzione tra danno evento e danno conseguenza con riferimento ai danni non patrimoniale è vetusta. In particolare, è noto che questa distinzione fu utilizzata dalla giurisprudenza negli anni ottanta, al fine di giustificare la piena risarcibilità del danno arrecato alla salute, anche in mancanza di conseguenze di carattere patrimoniale e quindi anche al di fuori dei limiti previsti dall’art. 2059 c.c. Il riferimento è alla Corte Cost 184 dell’86 in relazione alla quale si veda Ferri, Commento a Corte cost. 14 luglio 1986, n.184 su danno non patrimoniale e danno biologico, in Dir. inf., 1986, 739 ss.; Gambaro Appunti sullo stile della sentenza n. 184/86, in Resp. Civ. prev., 1986, 589; Monateri, La Costituzione ed il diritto privato. Il caso dell’art. 32 e del danno biologico, in Foro it., 1986, I, 2976; Busnelli, In difesa della sentenza n. 184 del 1986 della Corte Costituzionale sul danno biologico e il danno non patrimoniale, in Dir. inf., 1987, 443; Ponzanelli, La Corte costituzionale, il danno non patrimoniale e il danno alla salute, in Foro it., 1986, I, 2, 2053.
[16] L’art. 1223 c.c., infatti, parametra il danno risarcibile esclusivamente alle perdite o ai mancati guadagni, generati nel patrimonio della vittima, risultando irrilevante l’eventuale arricchimento del danneggiante. Cfr. Caringella – Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2013, 1307 ss.
[17] In questi termini v. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, cit., passim. Tuttavia, sembra condivisibile l’opinione di chi osserva che detta lettura finisce col vanificare l’aspetto dell’illecito, al quale pure la responsabilità, intende costituire risposta. Sul punto v. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 21 ss.
[18] Visintini, Cos’è la responsabilità civile. Fondamenti della disciplina dei fatti illeciti e dell’inadempimento contrattuale, cit., 11.
[19] Sul punto v. Castronovo, Dal non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, cit., 315. A tal riguardo, sembra condivisibile l’opinione di chi ritiene che in questi casi la causa dello spostamento patrimoniale «potrebbe anche essere ravvisata nella esigenza di assicurare ad una situazione giuridica soggettiva una tutela effettiva». In questi termini Scognamiglio, I danni punitivi e le funzioni della responsabilità civile, in Corr. Giur., 2016, 7, 918.
[20] L’introduzione di un regime di responsabilità così rigoroso trova il proprio fondamento nelle molteplici fonti di pericolo che caratterizzano l'attuale assetto socio-economico. Talvolta far ricadere sul danneggiato la prova di una specifica colpevolezza dell’agente è sembrato troppo gravoso.
Ebbene, in questa prospettiva le responsabilità c.d. speciali tentano di fornire una risposta adeguata in ipotesi peculiari. Le responsabilità speciali possono essere raggruppate in due categorie: da un lato, vengono in rilievo le ipotesi in cui l’obbligo risarcitorio incombe in capo ad un soggetto diverso dall’autore del fatto (si pensi alle ipotesi descritte dagli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c.), dall’altro, il riferimento è alle responsabilità per danni cagionati da cose, animali o attività comunque riconducibili alla sfera di controllo del soggetto che è chiamato a risponderne (il riferimento è agli artt. 2051, 2052,2053, 2054 c.c.). Rievoca una logica ancora differente la fattispecie prevista dall’art. 2050 c.c. in quanto in questo caso la responsabilità è direttamente correlata allo svolgimento di un’attività pericolosa. Si affiancano, quindi, al paradigma della responsabilità per colpa, criteri di imputazione alternativi, basati sulla responsabilità presunta, oggettiva e per fatto altrui.
Per ampi riferimenti sul punto si rinvia a Bianca, Diritto civile, vol. V, La responsabilità, cit., 690 ss e Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., 718 e ss. Per ulteriori osservazioni sul rapporto tra 2043 e altre fattispecie speciali v. Salvi, La responsabilità civile, cit., 1.
[21] Il contesto è quello degli scambi economici e produttivi, in cui «l’idea del costo sociale delle attività produttive debba essere ricondotto all’interno dei costi economici e non subito dalla collettività, si diffonde, e concorre con l’istanza solidaristica a determinare un consistente ampliamento delle ipotesi di risarcibilità dei danni: funzione individuale e funzione sociale della responsabilità sociale sembrano così trovare un punto di sintesi in visione che privilegia in linea di principio il danneggiato, come parte debole del conflitto sottostante la fattispecie dannosa, e accetta anzi favorisce l’attribuzione alla disciplina giuridica di compiti redistributivi e correttivi dell’allocazione della ricchezza prodotta dal libero sviluppo dei processi economici».Così, Salvi, La Responsabilità civile, cit., 21.
[22] In questo senso Santise, Le coordinate ermeneutiche di diritto civile, Torino, 2017, 900.
[23]A tal riguardo Cass., sez. un., n. 15350 del 2015, in tema di risarcibilità del c.d. danno tanatologico, afferma che «la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria». In relazione a quest’ultima pronuncia si veda Bunselli, Tanto tuonò che…non piovve. Le Sezioni Unite sigillano il “sistema”, cit., 1026; Palmieri – Pardolesi, Danno da morte: l’arrocco delle sezioni unite e le regole (civilistiche) del delitto perfetto, cit., 2682. In questo senso si è espressa anche Cass. Sez. III, 25 maggio 2007 n. 12253 consultabile in Banca Dati DeJure. Sul punto si veda anche Castronovo, Dal non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, cit., 315 ss.
[24] Cfr. Ponzanelli, I danni punitivi, in Nuova giur. civ., 2008, II, 27 - 28.
[25] Cfr. Fava, Funzione sanzionatoria dell’illecito civile? Una decisione costituzionalmente orientata sul principio compensativo conferma il contrasto tra danni punitivi e ordine pubblico, in Corriere Giur., 2009, IV, 523 ss. (Nota ad App. Trento Bolzano, 16 agosto 2008).
[26] Visintini, Cos’è la responsabilità civile, cit., 285 e ss.. osserva che il principio della riparazione integrale del danno – anche detto principio dell’equivalenza tra danno e riparazione - «è sottointeso nella parte descrittiva dell’art. 1223 c.c., laddove si dice sostanzialmente che ogni danno che importa una perdita patrimoniale o un mancato guadagno deve essere risarcito» e si desume anche dall’art. 2058 c.c. che disciplina il risarcimento del danno per equivalente. Ebbene, sempre tale principio fonda la distinzione tra il concetto di danno risarcibile e quello di indennizzo, quest’ultimo, come è noto, dà luogo ad una riparazione non integrale.
Assumono rilevanza in tale prospettiva anche i criteri atti a circoscrivere l’entità del danno risarcibile. In altri termini, ci si chiede se il debitore ovvero il danneggiante debba rispondere di tutte le ripercussioni derivanti dall’inadempimento ovvero dal fatto illecito che si producono sul patrimonio del danneggiato. Si ricorda, infatti, che devono essere risarciti solo i danni che sono conseguenza immediata e diretta dell’illecito (v. art 1223 c.c.). Di tal guisa, si dispone l’irrisarcibilità delle conseguenze che, pur essendo ricollegabili all’inadempimento e non ad altri fattori causali, tuttavia non possono essere imputati al debitore, perché l’inadempimento è stato solo l’occasione del loro verificarsi. La giurisprudenza prevalente, tuttavia, interpreta questo criterio con una cerata elasticità, sì da comprendere quelle conseguenze che si presentano come un effetto normale e tipico, ancorchè non strettamente diretto, dell’inadempimento o del fatto illecito secondo la teoria della regolarità causale.
In ogni caso, non sono risarcibili i danni che il debitore avrebbe potuto evitare utilizzando l’ordinaria diligenza. Detto criterio è codificato nell’ambito dell’art. 1227, comma 2 c.c. ed è interpretato in senso molto estensivo dalla giurisprudenza che include nell’area dei comportamenti esigibili alla stregua dell’art. 1227, comma 2 c.c. non soltanto l’astenersi dall’aggravare le conseguenze dannose, ma anche attività positivamente rivolte a ridurre il danno.
Si ricorda, infine, che devono ritenersi comunque risarcibili i danni non prevedibili, a differenza di quanto accade in ambito contrattuale. Per un approfondimento si veda Ponzanelli, Gli ostacoli alla integralità del risarcimento nella determinazione del danno non patrimoniale in generale ed in particolare in presenza di una colpa medica, in Contr. e impr., 2015, 3, 620; Pinori, Il principio integrale della riparazione dei danni, in Contratto e impresa, 1998, 1148 e ss. e in Cendon, La responsabilità civile, Padova, 2016, 135 e ss. Per un inquadramento generale della disciplina v. Caringella – Buffoni, Manuale di diritto civile, cit., 643 ss.
[27] In proposito, Trimarchi, Causalità e danno, Milano, 1967, 10, osserva «La funzione reintegrativa della responsabilità civile non consente che questa operi in modo da porre l’attore in una posizione migliore di quella in cui si sarebbe trovato in mancanza del fatto del convenuto». L’Autore aggiunge «tale constatazione non implica il rifiuto della tesi secondo la quale l’autore dell’illecito è tenuto a riversare all’offeso tutto l’arricchimento ottenuto anche se superiore al danno cagionato: qui infatti prevale il principio secondo il quale l’illecito non deve essere fonte di arricchimento per chi lo compie». Anche la recentissima ordinanza di remissione alle sezioni unite in tema di compensatio lucri cum damno (Cass. III, Sez, Civ. Ord. n. 15536 consultabile al sito www.iurisprudentia.it) si pronuncia in relazione a detto principio. In particolare, la Corte osserva che lo stesso può desumersi, oltre che dall’art. 1223 c.c., anche dagli artt. 1909 e 1910, i quali assoggettano l’assicurazione contro i danni al c.d. principio indennitario, e di conseguenza escludono che la vittima di un danno possa cumulare il risarcimento e l’indennizzo. Si osserva, inoltre che lo stesso è anche indirettamente espresso dall’art. 1224, co 1, ultima parte, c.c. Detta norma, rende chiaro che ove il legislatore ha inteso derogare al principio dell’indifferenza lo ha fatto in modo espresso nella parte in cui statuisce che nelle obbligazioni pecuniarie sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali «anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno». Il principio dell’indifferenza è rinvenibile anche dagli artt. 1149 (che prevede la compensazione tra diritto del proprietario alla restituzione dei frutti e l’obbligo di rifondere al possessore le spese per produrli), 1479 (che nel caso di vendita di cosa altrui prevede la compensazione tra il minor valore della cosa e il rimborso del prezzo), 1592 (che prevede la compensazione del credito del locatore per i danni alla cosa con il valore dei miglioramenti).
[28] In argomento v. M.S. Spolidoro – F.F. Spolidoro, Profitto illecito e risarcimento del danno antitrust, in Anal.giur.ec., 2, 2017, 411 ss.
[29] Recepita con il Decreto Legislativo 19 gennaio 2017, n. 3. Il riferimento è, in particolare, all’art. 1 co 2 il quale afferma che: «Il risarcimento comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi e non determina sovracompensazioni».
[30] Nondimeno, è stato osservato che quello della quantificazione del danno concorrenziale costituisce un tema particolarmente complicato che viene affrontato dalla direttiva con mezzi non adeguati. In realtà, un’impresa colpita da comportamenti escludenti subisce un danno in termini di perdita di chance di successo in quel mercato. In tali situazioni «parlare di risarcimento come ripristino di una situazione effettiva, che si sarebbe determinata se la violazione non fosse stata commessasignifica formulare un’equazione con molte incognite, perché nessuno è in grado di prevedere esattamente cosa sarebbe avvenuto, in quel complesso gioco “botta e risposta” che caratterizza l’economia di mercato» (Così M. Libertini, La determinazione del danno risarcibile nella proposta di direttiva comunitaria sul risarcimento del danno antitrust. Alcune osservazioni preliminari, in Concorrenza e mercato 2014, diretto da G. Ghidini, P. Marchetti, M. Clarich, F. Di Porto, 267.). L’esigenza più pregnante in tema di illecito antitrust è quella di assicurare una adeguata deterrenza; esigenza, questa, non fronteggiata dalla direttiva UE 104/2012 nella parte in cui nega diritto di cittadinanza ai danni punitivi. In definitiva, la direttiva forgia una lacuna difficilmente colmabile con gli strumenti che di regola presiedono alla liquidazione del danno in un sistema così peculiare qual è quello del danno derivante da illecito antitrust. (Cfr. Id. M. Libertini, La determinazione del danno risarcibile nella proposta di direttiva comunitaria sul risarcimento del danno antitrust. Alcune osservazioni preliminari, cit., 271-272 e Osti, Un approccio programmatico all’attuazione giudiziale delle regole di concorrenza nell’ordinamento italiano, in Concorrenza e mercato, 2014, diretto da G. Ghidini, P. Marchetti, M. Clarich, F. Di Porto, 295).
[31] Il riferimento è alla Cassazione civile a sez. unite, 05/07/2017 n. 16601. In tale occasione la Suprema Corte ha affermato che «Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile.
Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico». Sul punto si veda: R. Maddaluna, Ammissibilità dei danni punitivi: le argomentazioni delle Sezioni Unite consultabile in questa Rivista; G. Sicignano, L’ammissibilità dei danni punitivi nell’ordinamento italiano consultabile in questa rivista all’indirizzo; Palmieri e Pardolesi, I danni punitivi e le molte anime della responsabilità civi­le, in Foro it., 2017, I, 2630; D’Alessandro, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve, in Foro it., 2017, I, 2639; Simone, La responsabilità civile non è solo compensazione: punitive damages e deterrenza, in Foro it., 2017, I, 2644; Monateri, I danni punitivi al vaglio delle sezioni unite, in Foro it., 2017, I, 2648; Viazzi, L’ostracismo ai danni punitivi: ovvero come tenere la stalla chiusa quando i buoi sono scappati, in riv. dir. civ. 2018/1, 328 ss.;  Lamorgese, Luci e ombre nella sentenza delle Sezioni Unite sui danni punitivi, in Riv. dir. civ., 1/2018, 317. Sia consentito rinviare anche a Ricciardi, Finalmente le Sezioni Unite aprono la porta ai punitive damages in corso di pubblicazione in Giur. comm.
[32] Il principio in questione è stato espresso in maniera inequivoca dalla Cass. Sez. Un., 19 gennaio 2007, n. 1183 (Cfr. Oliari, I danni punitivi bussano alla porta: la Cassazione non apre, in Nuova giur. civ., 2007, 9, 983 ss.; Pardolesi, Danni punitivi all’indice?, in Danno e resp., 2007, 1125 ss.; Fava, Punitive damages e ordine pubblico: la cassazione blocca lo sbarco, in Corr. giur., 2007, 497 ss.; Ponzanelli, Danni punitivi: no grazie, in Foro it., 2007, I, 1460 e ss. e, successivamente, dalla Cass., dell’8 febbraio del 2012 n. 1781 (con nota P. Pardolesi La Cassazione, i danni punitivi e la natura polifunzionale della responsabilità civile: il triangolo no! in Corr. giur., 2012, 1068 ss e in Danno e Resp., 2012, 609 e ss. con nota Ponzanelli, La Cassazione bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio).
[33] I danni punitivi nascono nel sistema anglosassone e si ispirano al principio secondo cui a nessuno deve essere data la possibilità di trarre profitto da una propria condotta illecita: il danneggiato, così, ha la possibilità di ottenere una condanna esemplare contro il responsabile di un comportamento contra legem particolarmente grave. Ricorre tale figura «quando la condanna prevede il pagamento di una somma che oltrepassa l’ammontare dei danni effettivamente subiti dal danneggiato, al fine di punire comportamenti caratterizzati da malizia e in genere da un rilevante danno sociale (…) si vuole punire una certa condotta per il suo carattere doloso, oppressivo, oltraggioso, o per la gravità del danno sociale arrecato soprattutto quando mancherebbe altrimenti un’effettiva sanzione, data l’esiguità del risarcimento dovuto in base agli abituali parametri» (così Patti, Pena privata, in Dig. disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 2004, 351). Riveste un ruolo nevralgico l’identificazione dell’elemento psicologico che sorregge la condotta lesiva, ossia il dolo o la colpa grave, evidente indice rivelatore del dispregio dell’autore dell’illecito verso le norme giuridiche e sociali. Non è un caso che il concetto di danno punitivo proviene da un ordinamento giuridico dove la distinzione tra diritto civile e diritto penale è particolarmente sfumata, conseguentemente alla condanna al risarcimento del danno è attribuita anche una funzione punitivo – sanzionatoria (dettata dalla volontà di stigmatizzare la condotta di chi realizza profitti attraverso il compimento di atti illeciti) e preventivo – deterrente (al fine di evitare che altri soggetti siano incentivati a tenere comportamenti analoghi). Sul punto ex multis P. Pardolesi, Danni punitivi, in Dig. Disc.priv., sez. civ., Torino, 2007, 453.
[34] Volendo ripercorrere brevemente l’iter giudiziale che ha condotto a tale pronuncia si ricorda che la Corte d’appello di Venezia, con sentenza 3 gennaio 2014, ha accolto la richiesta concernente la dichiarazione di esecutività nell’ordinamento italiano di tre pronunce, provenienti dagli Stati Uniti d’America, aventi ad oggetto la domanda di reintegrazione patrimoniale relativa ad un danno alla persona derivante da vizio di prodotto.
La società convenuta ha proposto ricorso per cassazione denunciando la contrarietà all’ordine pubblico della decisione presa dalla Corte lagunare in sede di giudizio di delibazione. In particolare, si è osservato che la Corte veneziana ha omesso di verificare i criteri legali applicati dal giudice straniero nella liquidazione del danno al fine di appurare la causa dell’attribuzione patrimoniale e quindi di controllare la proporzionalità e ragionevolezza del risarcimento liquidato in sede estera. Per questa ragione, è stata denunciata la violazione dell’art. 64 lett. g) l. 31 maggio 1995 nella parte in cui non consente di riconoscere nell’ordinamento italiano risarcimenti aventi funzione punitiva ovvero caratterizzati da un quantum abnorme, stante la natura esclusivamente compensatoria del rimedio aquiliano e la conseguente contrarietà di questi ultimi all’ordine pubblico.
Con ordinanza 16 maggio 2016 n. 9978, la Prima Sezione ha rimesso al Primo Presidente la questione concernente l’exequatur delle sentenze straniere di condanna al pagamento di danni punitivi, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Sul punto si veda Palmieri – R. Pardolesi, I danni punitivi e le molte anime della responsabilità civile, cit., 2630; D’Alessandro, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve, cit., 2639; Simone, La responsabilità civile non è solo compensazione: punitive damages e deterrenza, cit., 2644; Monateri, I danni punitivi al vaglio delle sezioni unite, cit. 2648 e Di Majo, Principio di legalità e di proporzionalità nel risarcimento con funzione punitiva, , in Giur. It., 2017, 1792; Viazzi, L’ostracismo ai danni punitivi: ovvero come tenere la stalla chiusa quando i buoi sono scappati, cit., 328; Carrato, Danni punitivi: semaforo verde per il loro riconoscimento nell’ordinamento italiano, cit. e Ponzanelli, Le Sezioni Unite sulla delibazione di sentenze straniere di condanna a danni punitivi, in Quotidiano giuridico 12 luglio 2017.
[35] Il riferimento è alle Sez. Un., 19 gennaio 2007, n. 1183. Anche in questo caso le Sez. Un. sono state chiamate a pronunciarsi su di un caso di responsabilità del produttore italiano di un casco poi rivelatosi difettoso. In particolare, a fronte di una causa intentata dagli eredi del motociclista deceduto contro il rivenditore nordamericano, quest’ultimo effettuava successiva richiesta di manleva nei confronti del produttore italiano, rimasto contumace nel giudizio americano. A tal riguardo, Cfr. Oliari, I danni punitivi bussano alla porta: la Cassazione non apre, cit., 983 ss.; Pardolesi, Danni punitivi all’indice?, cit., 1125 ss.; Fava, Punitive damages e ordine pubblico: la cassazione blocca lo sbarco, cit., 497 ss.; Ponzanelli, Danni punitivi: no grazie, cit., 1460 e ss.
[36] In questo solco si situa, oltre la appena citata Sez. Un. 19 gennaio 2007 n. 1183, anche la sentenza della Cass. 8 febbraio 2012, n. 1781 in relazione alla quale v. Pardolesi La Cassazione, i danni punitivi e la natura polifunzionale della responsabilità civile: il triangolo no!, in Corr. giur., 2012, 1068. e Ponzanelli, La Cassazione bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio, cit. Per un’analisi congiunta di tali pronunce si veda anche De Menech, Il problema della riconoscibilità di sentenze comminatorie di punitive damages: alcuni spunti ricostruttivi, in Riv. dir. civ.,2016, 6, 1651 ss.
[37] Il riferimento è a Cass., Sez., I, 8 febbraio, 2012, n. 1781 sulla quale v. Pardolesi La Cassazione, i danni punitivi e la natura polifunzionale della responsabilità civile: il triangolo no! cit., 1068 e Ponzanelli, La Cassazione bloccata dalla paura di un risarcimento non riparatorio., cit., 609. Con tale decisione la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza emessa dal giudice d’appello di riconoscimento della decisione emessa da un’altra corte statunitense, la quale aveva condannato la società produttrice di un macchinario a pagare la somma di $ 5.000.000,00, oltre interessi, relativamente ai danni subiti da un lavoratore.
[38] In questo senso Oliari, I danni punitivi bussano alla porta: la Cassazione non apre, cit., 983.
[39] In termini. Angelini, Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea, Padova, 2007, 1, la quale ivi richiama anche Guarnieri, Ordine pubblico, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., vol. XIII, Torino, Utet, 1995, 156, che nota fra l’altro come lo stesso c.c. italiano «menzioni l’ordine pubblico senza mai definirlo».
[40] Sul punto si veda Ferri, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del contratto, Milano, 1970, 32 ss.; Lonardo, Ordine pubblico e illiceità del contratto, Napoli, Esi, 1993, 382; Lotti, L’ordine pubblico internazionale, Milano, Giuffrè, 2005, 12 ss.; Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici. Teoria generale e dogmatica, Milano, Giuffrè, 1949, 215 – 216.
[41] Per una pregevole riflessione concernente la differenza sussistente tra il concetto di ordine pubblico e quello di buon costume si veda Rescigno, «In pari causa turpitudinis», in Riv. Dir. civ, 1966, I, 1 ss., spec. 26.
[42] Originariamente l’ordine pubblico s’identificava con il complesso di principi che, tradotti in norme inderogabili, concorrono a caratterizzare la struttura della società in un determinato momento storico. (Cass. sez. I, 5 dicembre del 1969, n. 3881, in Foro it. 1970, I, 1977 ss. e Cass sez. I, 24 aprile del 1962 n. 818, in Foro it., 1962, I, 1712 hanno espressamente escluso che il principio in questione andasse inteso in senso internazionale). A partire degli anni ottanta, invece, la giurisprudenza distingueva il concetto di ordine pubblico a seconda che l’exequatur fosse richiesto da cittadini italiani ovvero stranieri. In particolare, alla stregua di tali coordinate ermeneutiche il giudice doveva aver riguardo all’ordine pubblico interno se la sentenza da riconoscere riguardava cittadini italiani e all’ordine pubblico internazionale se riguardava cittadini stranieri. (Cass. sez. I, 14 gennaio del 1982 n. 228 in Dir. famiglia 1982,452). Tuttavia, nella giurisprudenza assolutamente prevalente più recente l’ordine pubblico è inteso «come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria». In questi termini si esprime l’ordinanza interlocutoria Cass.Civ., Sez. I, 16 maggio 2016 n. 9978, inoltre, tale principio è ribadito anche da Cass. civ. sez. lav. del 21 gennaio 2013 n. 1302 consultabile in Banca Dati De Jure; Cass. civ. sez. III. del 22 agosto 2013 n. 19405 consultabile in Banca Dati De Jure; Cass. civ. sez. I, del 28 dicembre 2006 n. 27592 consultabile in Banca Dati De Jure; Cass. Sez. un. 17 luglio 2014, nn. 16379, in Foro It., 2015, 2, I, 588, con nota Casaburi. In questa sede la Suprema Corte ha affermato che l’ordine pubblico coincide con le regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società. In questo senso Cfr. Cass. civ., 26 novembre 2004, n. 22332, in Riv. Dir. Internaz. Priv. e Process., 2005, 771.
[43] In questi termini si è espressa l’ordinanza interlocutoria Cass. Civ., Sez. I, 16 maggio 2016 n. 9978 alla quale poi le Sezioni Unite hanno sostanzialmente aderito.
[44] Nel senso che le norme espressive dell’ordine pubblico sono quelle fondamentali e non coincidono con quelle, di genere più ampio, imperative e inderogabili v. Cass. civ. sez. lav. del 23 febbraio 2006 n. 4040 consultabile in Banca Dati De Jure.
[45] In tal senso si esprime l’ordinanza di remissione della questione alle Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. I, 16 maggio 2016 n. 9978) e anche Di Majo, Riparazione e punizione nella responsabilità civile, in Giur. It., 2016, 8-9,1857. Sempre in quest’ordine di idee l’ordinanza appena citata fa riferimento all’esclusione del riconoscimento nei soli casi di contrarietà manifesta all’ordine pubblico, così come previsto dall’art. 34 del Reg. CE 22 dicembre 2001, n. 44, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; dall’art. 26 del Reg. CE 11 luglio 2007, n. 864, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali; dall’art. 22 e 23 del Reg CE 27 novembre 2003, n. 2201, in tema di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e della responsabilità genitoriale; dall’art 24 del Reg. CE 18 dicembre 2008, n. 4 / 2009, in materia di obbligazioni alimentari.
[46] Così si esprimono le Sezioni Unite a p.21.
[47] A tal riguardo l’ordinanza di remissione alla Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. I, 16 maggio 2016 n. 9978) precisa che «si tratta di un giudizio simile a quello di costituzionalità, ma preventivo e virtuale, dovendosi ammettere il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui al legislatore ordinario sia precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una ipotetica norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con i valori costituzionali primari». In questo senso si esprimeva già Corte Cost. del 18 luglio 1983 n. 214 consultabile in Banca Dati De Jure.
[48] Nella giurisprudenza comunitaria il ricorso alla nozione di ordine pubblico postula una minaccia grave, attuale e reale nei confronti di un interesse fondamentale della società. (In questo senso si è espressa la Corte giust. UE, 4 ottobre 2012, C – 249/11 consultabile in Banca Dati De Jure). In questi termini la Corte di giustizia dell’Unione Europea si è espressa anche nella nota vicenda Krombach, conclusasi con la pronuncia del 28 marzo 2000, causa C-7/98, Krombach commentata da Nascimbene, Riconoscimento di sentenza straniera e“ordine pubblico europeo”, in Riv. dir. int. priv. proc., 2002, 659 ss. Cfr. anche Corte di giustizia, 6 settembre 2012, C – 619/10, Trade Agency Ltd, punti 48 e 51, in Giustizia civile. com, con nota di Armelli, Le tutele del convenuto contumace volontario. Disciplina processuale comunitaria e diritto italiano a confronto. Per ampi riferimenti sul tema v. Angelini, Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea, cit., 172.
[49] In questo senso si è da ultimo espressa anche la stessa Corte di cassazione nella sentenza precedentemente citata n. 7613/2015.
[50] In altri termini, ritengo si possa osservare che se il concetto di ordine pubblico è posto a guarentigia di principi fondamentali dell’ordinamento, evidentemente negare l’exequatur ai punitive damages significa affermare che questi sono contrari ai principi fondamentali. La logica imporrebbe, a questo punto, di ritenere anche le norme interne che perseguono le medesime finalità sanzionatorie dei punitive damages contrarie ai principi fondamentali, quindi incostituzionali. Tuttavia, in relazione a dette norme mi pare non sia mai stata sollevata o accolta alcuna questione di legittimità costituzionale, almeno sotto questo profilo.
[51] Afferma, a tal riguardo, l’ordinanza di remissione della questione alle Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. I, 16 maggio 2016 n. 9978) che: «non può essere indicativo dell’esistenza di un principio di ordine pubblico il solo fatto che il legislatore ordinario abbia esercitato la propria discrezionalità, in una determinata direzione, con riferimento a materie e istituti giuridici la cui regolamentazione non sia data direttamente dalla Costituzione, ma sia rimessa allo stesso legislatore (in presenza di una riserva di legge o, entro certi limiti, di norme costituzionali programmatiche). Come efficacemente rilevato in dottrina, se il legislatore è libero di atteggiarsi come meglio ritiene, allora potranno avere libero ingresso prodotti giudiziali stranieri applicativi di regole diverse, ma comunque non contrastanti con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate direttamente dalla Costituzione. Non è conforme a questa impostazione, ad esempio, l’orientamento che, in passato negava ingresso alle sentenze straniere di divorzio, solo perché la legislazione ordinaria dell’epoca stabiliva l’indissolubilità del matrimonio (v. Cass. n. 3444/1968), sebbene detta indissolubilità non esprimesse alcun principio o valore costituzionale essenziale».
[52] Per una breve ed efficace rassegna di queste pronunce si veda D’Alessandro, Riconoscimento in Italia dei danni punitivi: la parola alle sezioni unite, in Foro It, 2016, I , 1981 ss. In argomento v. anche Ferrari, Il riconoscimento delle sentenze straniere sui danni punitivi. Brevi cenni comparatistici all’indomani della pronunzia italiana del 5 luglio 2017, in Riv. dir. civ. 1/2018, 276 ss. e Schirripa, I danni punitivi nel panormama internazionale e nella situazione italiana: verso il loro riconoscimento?, rinvenibile a questo Link.
[53] Sala de lo Civil, con decisione del 13 novembre 2001, causa 20139/ 1999, www.poderjudicial.es/ search. La sentenza in questione è commentata da Cordero alvarez, Eficacia de las decisiones judiciales extranjeras y danos punitivos, in Ahlandi, 2013, 241 ss. In questa sede il Tribunale Supremo spagnolo he escluso l’incompatibilità dei punitive damages con l’ordine pubblico facendo perno sul fatto che i danni punitivi rispondono alla regola della residualità della tutela penale, principio proprio anche del sistema spagnolo. Inoltre, il supremo collegio ha osservato anche che nel caso di specie era stato rispettato il principio di proporzionalità.
[54] Sul punto si veda Corte suprema Slovenia, ord. 29 maggio 2013, in Foro it., Rep, 2014, voce Diritto comparato, n. 402 e Sladic, in Danno e resp., 2014, 20 ss.
[55] Corte costituzionale federale tedesca, 24 gennaio 2007, in JZ (Juristen- Zeitung), 2007, n. 1046. In argomento v. Tescaro, I punitive damages nordamericani: il punto di vista del Bundesgerichtshof (e non solo?), in Studium iuris, 2017, 317 ss. e Ferrari, Il riconoscimento delle sentenze straniere sui danni punitivi. Brevi cenni comparatistici all’indomani della pronunzia italiana del 5 luglio 2017, cit., 276 ss. spec. 280.
[56] Sempre facendo perno sul rispetto del principio di proporzionalità la Cour de cassation ha ammesso l’exequatur in due occasioni. Sul punto si v. Cour de cassation, 1 ch. civ., 1 dicembre 2010, n. 0913303, Recueil Dalloz n. 6/2011, 10 febbraio 2011, 423 ss. con nota di Licari, La compatibilitè de principe des punitive damages avec l’ordre public international: une dècision en trompe – l’oeil de la Cour de cassation? 7 novembre, 2012, n. 11 – 23871, Bulletin des arrèts Chambres civiles. Con riguardo alla giurisprudenza di merito v. Cour d’appel de Poitiers 4 marzo 2011 (n. 09/02077), rinvenibile a questo Link.
[57] Cfr. Riccio, I danni punitivi non sono, dunque, in contrasto con l’ordine pubblico interno, in
in Contratto e impresa, 2005, 927 ss. e Mezzetti, Il risarcimento del danno fra vecchio e nuovo diritto della proprietà intellettuale: utili, benefici e meriti come criteri di liquidazione, in Giur. it., 2006, II, 1880 ss.
[58]Cfr. Romanato, Danno, arricchimento ingiustificato, arricchimento ingiusto nell’art. 125 C.P.I., in Riv. Dir. Ind., 2013, 1, 23 ss. Sia consentito rinviare anche a Ricciardi, L’art. 125 c.p.i. e l'ammissibilità dei danni punitivi, in Riv. dir. comm. 2016, n. 4, parte I, 715.
[59] Sul punto v. Vanzetti, La “restituzione degli utili” di cui all’art. 125, n. 3 C.P.I. nel diritto dei marchi, in, Dir. Ind. 2006, 323 ss.; P. Pardolesi, Un’innovazione in cerca d’identità: il nuovo art. 125 C.P.I, in Corr. giur., 2006, 1605 ss.; Id. La retroversione degli utili nel nuovo codice dei diritti di proprietà industriale, cit., 37 ss.; Spolidoro, (nt. 32), 149 ss.; Barbuto, (nt. 32), 173 ss.; Bichi, La liquidazione del danno da contraffazione e le prospettive riconosciute dall’art. 125 del D.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in, Dir. Ind.,2005, 403 ss.; Ferrari, Note a prima lettura sulle norme processuali contenute nel Codice della Proprietà Industriale, in Dir. Ind., 2005, 356 ss.; Franzosi, Il risarcimento del danno da lesione di diritti di proprietà industriale, in Dir. Ind., 2006, 205 ss. e Plaia, Proprietà intellettuale e risarcimento del danno, Torino, 2005, 143 ss.
[60]Giordano, Il litigante temerario paga «in ogni caso». Riflessioni sull’art. 96, comma 3, c.p.c., tra «abuso del processo» e «danni punitivi», in Giur. it., 2012, 10 e Busnelli – Alessandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o «condanna punitiva»?, in Danno e Responsabilità, 2012, 585.
[61] Sul punto si veda Pladini, Misure sanzionatorie e preventive per l’attuazione dei provvedimenti riguardo ai figli, tra responsabilità civile, punitive damages e astreintes, in Famiglia e dir., 2012, 853 ss.; Id., Responsabilità civile nella famiglia, verso i danni punitivi? In Resp. Civ. e prev., 2007, 2005 ss.
[62] Cfr. Palmieri, L’altra faccia della decriminalizzazione: prime impressioni sugli illeciti aquiliani sottoposti a sanzioni pecuniarie civili, in Foro it., 2016, V, 125. Il provvedimento in parola - al fine di deflazionare il sistema penale sostanziale e processuale - ha, in parte, depenalizzato e, in parte, abrogato alcune fattispecie di reato considerate “minori” con contemporanea sottoposizione dei corrispondenti fatti a sanzioni pecuniarie civili che si aggiungono al risarcimento del danno irrogato a favore della parte offesa. Sembra condivisibile l’opinione di chi rileva che «tali sanzioni hanno senza dubbio una funzione sia preventiva che repressiva. Degli importi liquidati a tale titolo, però, beneficia la cassa ammende e non già il danneggiato. Ed è questo il dato che distingue l’istituto sia dai punitive damages che dalla funzione generalpreventiva della responsabilità civile ». Così D’Alessandro, Riconoscimento in Italia dei danni punitivi: la parola alle sezioni unite, cit.,1981.
[63] Sul punto si veda Al Mureden, La responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo conseguente all’invalidità del matrimonio, in La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di Sesta, Torino, 2008, 48 ss.
[64] Convertito in legge 20 novembre 2006 n. 281, recante disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche. In argomento Filippi, Nuove disposizioni in tema di intercettazioni telefoniche, in Dir. pen. proc., 2007, 2. 151.
[65] Qualificano il danno non patrimoniale alla stregua di una vera e propria pena privata Bonilini Il danno non patrimoniale, cit., passim; G.B. Ferri, Il danno alla salute e l’economia del dolore, in Riv. Dir. Comm., 1999, I, 823; Gallo, Pene private e responsabilità civile, Milano, 1996, 9 ss.; Afferri, La riparazione del danno non patrimoniale nella responsabilità oggettiva, in Resp. Civ. prev., 870; Bianca, Il danno da perdita della vita, in Vita not., 2012, 1498 ss.; Castronovo, Il danno alla persona tra essere e avere, in Danno e resp., 2004, p. 237 e ss. In senso contrario v. Patti, Pena privata, cit., 360. Anche la dottrina francese ha inteso enfatizzare il profilo più prettamente afflittivo del danno non patrimoniale qualificandolo come una “pena privata” avente una finalità sanzionatoria “exemplaire”. A tal proposito v. Ripert, La règle morale dans les obligations civiles, cit., 348; Savatier, Traitè de la responsabilitè civile en droit francais, cit., 375 e Carbonnier, Droit civil, 4 - Les Obligations, cit., 375. Cfr. Cass., 24 ottobre 1983, n. 6251, in Mass. Giust. Civ., 1983, fasc. 9.
[66] In argomento Monateri, I danni punitivi al vaglio delle sezioni unite, cit. 2652 afferma che «Nel nostro ordinamento, indipendentemente dall’ammissibilità in via generale delle sanzioni civili, ed a fronte della loro introduzione in ipotesi particolari, è comunque evidente che la loro funzione  può, anzi, deve essere svolta dal combinato disposto degli art. 1223, 1226 e 2056 c.c. come previsione minima del contenuto del risarcimento, e utilizzo dei poteri equitativi del giudice in relazione alle circostanze del caso; non solo alla lesione subita dalla vittima, ma anche alla condotta antigiuridica  tenuta dal danneggiante, al suo grado di colpevolezza, e sicuramente anche in relazione all’arricchimento che egli abbia tratto dal fatto ingiusto». Sul punto v. anche Grisi, La liquidazione equitativa del danno, cit., 2029 e ss. Cfr. Cass., 24 ottobre 1983, n. 6251, in Mass. Giust. Civ., 1983, fasc.9. In questa occasione la Corte ha affermato che non sussistono ragioni per le quali «dovrebbe essere precluso al giudice il potere – dovere di commisurare il danno, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dalla attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo e provocandone quindi il depauperamento». Con decisione dell’11 maggio 2010, n. 11353 (consultabile in Banca Dati de Jure) la Cass. Sez. III ha ragguagliato il risarcimento da illecito sfruttamento dell’immagine agli utili presumibilmente conseguiti dall’autore dell’illecito. Successivamente la Cass., Sez. III, 15 aprile 2011, n. 8730 (sempre consultabile in Banca Dati De Jure) pronunciandosi in tema di violazione del diritto d’autore ha nuovamente optato per un risarcimento avente valenza punitiva. In argomento v. Santise, Le coordinate ermeneutiche di diritto civile, Torino, 2017, 1032. In questo solco si situano anche App. Bologna 22 aprile 1993 in AIDA, 1995, 429; Cass. 7 agosto 1950 n. 2423 in Foro it., 1951, I, 17; App. Roma 18 aprile 2005 in AIDA, 2005, 511; App. Milano 26 marzo 2002, in AIDA, 2003, 799; App. Milano 22 gennaio 2002, in AIDA, 2002, 794; Trib. Vicenza 4 settembre 200, in Giur. ann. dir. Ind., 4235; Trib. Milano, 31 maggio 1999, in AIDA, 2000, 732; Trib. Roma 9 giugno 1993, in Dir. Informazione e informatica, 1993, 972 e Cass. 10 novembre 1979, n. 5790, in Foro It., 1980, I, 81 e ss. In argomento v. P. Pardolesi, Contratto e nuove frontiere rimediali, disgorgement e punitive damages, Bari, 2012, 135 ss. e Monateri, Responsabilità extracontrattuale. Fattispecie, in Riv. Dir. civ., 1994, II, 718. Sull’applicazione della tecnica rimediale del c.d. prezzo del consenso in sede di liquidazione del danno e con particolare riferimento all’illecito sfruttamento dell’immagine di soggetto non noto v.  Cass. civ. Sez. III 16 maggio 2008, n. 12433 con nota Boschi, Il c.d. prezzo del consenso tra risarcimento del danno e restituzione dell’arricchimento, in Danno e Resp., 2008, 12, 1233. In argomento v. Ziviz, Lesione del diritto all’immagine e risarcimento del danno, in Resp. Civ. prev., 2000, 715; Scognamiglio, Il diritto all’utilizzazione economica del ritratto, in Dir. inf., 1988, 32 e Vercellone, Diritti della personalità e“rights of publicity”, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1995, 1171.Ulteriori arresti dal carattere marcatamente sanzionatorio si registrano in tema di violazione del patto di esclusiva in merito ai quali cfr. Cass. 15 giugno 1974, n. 1754, in Giust. civ., 1974, 1383; Cass., 28 marzo 1960, n. 646, in Giust. civ. 1960, I, 891; App. Milano, 30 marzo 1979, in Giur. ann. Dir. Ind., 1979, n. 1177/1; Trib. Milano, 9 luglio 1981, in Foro pad., 1981, I, 152; Trib. Bologna, 4 gennaio 1980, in Giur. ann. dir. ind., 1980, n. 1273/29. La medesima tendenza si rinviene, per altro, nell’ambito dell’ordinamento tedesco ove talvolta la Corte Federale ha riconosciuto al danneggiato in caso di lesione di un diritto della personalità un danno non meramente compensativo. Uno dei casi più famosi in merito è il c.d. caso Caroline di Monaco I. In quest’occasione la stessa chiese il risarcimento del danno per essere stata abusivamente raffigurata sulla copertina di una rivista tedesca con accanto la dicitura non veritiera - inserita al fine unico di aumentare il volume delle vendite - che avesse il cancro. Ebbene, in quest’occasione la Corte Federale stabilì che la somma liquidata a titolo di risarcimento dovesse essere commisurata ai guadagni percepiti dal danneggiante, al fine di assicurare l’effetto deterrente della condanna. In proposito v. Tolani, U.S. Punitive Damages before Germany Courts: A Comparative Analysis with Respect of the Ordre Public, in 17 Annual Survey of International and Comparative Law 2011, 195 e Ferrari, Il riconoscimento delle sentenze straniere sui danni punitivi. Brevi cenni comparatistici all’indomani della pronunzia italiana del 5 luglio 2017, cit., 277.
[67] Si veda Cass., 15 aprile 2015 n. 7613 in BBTC, II, 679 con nota Benatti, Dall’astreinte ai danni punitivi: un passo ormai obbligato. Al riguardo si veda anche Mendola, Astreinte e danni punitivi, cit., in Giur. It., 2016, 566 ss.
[68] Così Benatti, Dall’astreinte ai danni punitivi: un passo ormai obbligato, cit., 687.
[69] In tal senso si veda l’art. 1621 del codice civile del Quebec secondo cui  «lorsque la loi prèvoit l’attribution de dommages – intèrets punitifs, ceux- ci ne peuvent excèder, en valeur, ce qui est suffisant pour assurer leur fonction prèventive. Ils s’apprècient en tenant compte de toutes les circonstances approprièes, notamment de la gravitè de la faute du dèbiteur, de sa situation patrimoniale ou de l’etendue de la rèparation à laquelle il est dèjà tenu envers le crèancier, ainsi que, lecas èchèant, du fait que la prise en charge du paiement rèparateur est, en tout ou en partie, assumèe par un tiers». Richiama l’attenzione sul punto D’Alessandro, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve, cit., 2641.
[70] In termini v. D’Alessandro, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve, cit., 2641. L’A. osserva, inoltre che «Così facendo, la Cassazione sembra ravvisare la prevedibilità non solo in riferimento alle figure di danni punitivi normativamente disciplinati dai legislatori statali americani, per i quali il rapporto è indicato dalla legge, ma anche in riferimento ai punitive damages la cui disciplina sia classicamente rimessa alla common law. Anche in quest’ultimo caso, infatti, l’organo giudicante non sarà libero di determinare arbitrariamente l’ammontare dei danni punitivi, essendo viceversa tenuto al rispetto del rapporto tra le due tipologie di danno indicato ex ante dalla Corte suprema americana».
[71] v. Ponzanelli, L’incostituzionalità dei danni punitivi grossly excessive, in Foro it., 1996, IV, 421.
[72] Corte Suprema degli Stati uniti 25 giugno 2008, con nota di Silvestri, Punitive damages: ultimo atto? La sentenza “Exxon Shipping Co v. Baker”. in Int'l Lis, 2008, 166 ss.
[73]  Così D’Alessandro, Riconoscimento di sentenze di condanna a danni punitivi: tanto tuonò che piovve, cit., 2641.
[74] Così Benazzo, “Le pene civili” nel diritto privato d’impresa, Milano, 2005, 171. In questo senso anche Mazzarese, Clausola penale: art. 1382 – 1384, in Codice Civile. Commentario, Milano, 1999; Moscati, voce Pena (dir. priv.), in Enc. Dir. XXXII, cit., 785. Del resto un principio di proporzionalità fra sanzione e trasgressione vale anche per le pene pubbliche Cfr. Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2009, 516.
[75] In termini Benatti, Dall’astreinte ai danni punitivi: un passo ormai obbligato, cit., 688.
[76] Sul punto si veda: la decisione Philp Morris USA v. Williams resa dalla Suprema Corte USA il 20 febbraio 2007 con nota Ponzanelli, I danni punitivi sempre più controllati: la decisione Philip Morris della Corte suprema americana, in Foro it., 2008, IV, 179 ss. e la sentenza Exxon Shipping Co. Et alii v. Beker at alii, 25 giugno 2008, sulla quale Silvestri, Punitive damages: ultimo atto? La sentenza Exxon Shipping Co. V. Baker, cit., 166 ss.
[77] Così Pardolesi, Danni punitivi: frustrazione da “vorrei, ma non posso”?, in Riv. crit. dir. priv., 2007, 350 ss.
[78] In senso conforme si è espressa Cass. Civ., Sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100, 1077 con nota Cassani, Danno da responsabilità degli amministratori: scritture contabili e c.d. deficit fallimentare, in Danno e resp., 2016, 11, 1077; Spiotta, L’atteso chiarimento delle Sezioni Unite sull’utilizzabilità del criterio del deficit, in Giur. It., 2015, 6, 1413 Di Majo, Azione di responsabilità – la responsabilità degli amministratori di società fallita: cause e conseguenze, in Giur. It., 2015, 7, 1640. La posizione della Suprema Corte in parte qua è stata salutata con favore da Ponzanelli, La decisione delle Sezioni Unite: cambierà qualcosa nel risarcimento del danno?, in Riv. dir. civ., 1/2018, 300 ss. e Franzoni, Danno punitivo e ordine pubblico, in Riv. dir. civ. 1/2018, 283 ss. Quest’ultimo alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite ribadisce che al di fuori delle specifiche ipotesi previste dalla legge «nulla è cambiato nella stima e nella liquidazione del danno risarcibile». Cfr. Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contratto e impr., 1999, 83 ss.; Ponzanelli, Novità per i danni esemplari?, in Contratto e impr., 2015, 1204 e Consolo, Riconoscimento di sentenze, specie Usa e di giurie popolari, aggiudicanti risarcimenti punitivi o comunque sopracompensativi, se in regola con il nostro princpio di legalità (che postula tipicità e financo prevedibilità e non coincide pertanto con il, di norma presente due process of law), in Corr. giur., 2017, 1054 ss. Nelle pagine che seguono, tuttavia, si avrà modo di dissentire a tal riguardo.
[79] Sul punto si veda ex multis Moscati, Pena privata e autonomia privata, in Riv. dir. civ. spec. p. 235.
[80] In senso critico è stato affermato che non sembra rinvenirsi un arigine sufficiente nella circostanza che la condanna oggetto di exequatur rinvenga in altro ordinamento un generico ancoraggio normativo. Si osserva che, in tal guisa, si finirebbe per equiparare la legge interna a quella estera, attribuendo una delega “in bianco” ad un indeterminato legislatore straniero nell’individuazione delle ipotesi in cui possano essere legittimamente comminate condanne dalla valenza sanzionatoria. «Ai fini del riconoscimento delle sentenze di condanna, la normativa richiede che la condotta criminosa, accertata dall’autorità giudiziaria straniera, sia considerata tale anche sul territorio nazionale, non essendo invece richiesta la sussistenza di un identico trattamento sanzionatorio. La doppia incriminabilità risponde all’esigenza di garantire il rispetto del princpio di sovranità e di tipicità in materia penale, insito nella riserva di legge dell’art. 25 co 2 Cost., che, in materia di reciproco riconoscimento delle sentenze definitive di condanna, risulta prevalente, nonostante la rilevanza assunta dagli obblighi di cooperazione internazionale». In questi termini si esprime Sesta, Risarcimenti punitivi e legalità costituzionale, in Riv. dir. civ. 2018/1, 315. Cfr. Fiorio, Il riconoscimento della sentenza penale straniera, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da Spangher, Marandola, Garuti, Kalb, IV, Impugnazioni. Esecuzione penale. Rapporti giurisdizionali con autorità straniere, a cura di Kalb, Torino 2015, 1194 ss. in part. 1220.
[81] In senso critico è stato osservato che: «In tal modo, ad essere rimesso al giudice italiano è un inedito sindacato sulla tipicità e prevedibilità – e quindi, in sostanza, sulla legittimità -  della condanna secondo i parametri normativi del diritto straniero. E’ regola tuttavia che il giudice della delibazione è tenuto a valutare solo gli “effetti” della decisione nel nostro ordinamento, quanto alla loro compatibilità con i principi regolatori della materia, e non la correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o della legge italiana, non essendo consentita un’indagine sul merito del rapporto giuridico dedotto. Una simile valutazione, inoltre, presuppone un accertamento difficilmente praticabile in un giudizio, come quello delibatorio, di tipo sostanzialmente cartolare». In senso critico si esprime Lamorgese, Luci e ombre nella sentenza delle Sezioni Unite sui danni punitivi, cit., 327.
[82] In questo senso si esprime Ponzanelli, La decisione delle Sezioni Unite: cambierà qualcosa nel risarcimento del danno?, cit., 300 ss.; Franzoni, Danno punitivo e ordine pubblico, cit., 283 ss. Quest’ultimo alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite ribadisce che al di fuori delle specifiche ipotesi previste dalla legge «nulla è cambiato nella stima e nella liquidazione del danno risarcibile».
Forniscono una interpretazione differente delle conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite Lamorgese, Luci e ombre nella sentenza delle Sezioni Unite sui danni punitivi, cit., 317 ss.; Di Majo, Principio di legalità e di proporzionalità nel risarcimento con funzione punitiva, cit., 1792 e Monateri, I danni punitivi al vaglio delle sezioni unite, cit., I, 2648.
[83] Consultabili in Banca Dati de Jure. In argomento v. P. Del Gaudio, "Compensatio lucri cum damno: una panoramica prima delle Sezioni Unite", consultabile in questa Rivista.
[84] Si pensi al caso in cui la moglie a seguito dell’uccisione del marito maturi oltre che il diritto al risarcimento del danno, anche quello alla percezione di emolumenti da parte di enti previdenziali o assicurativi (es. pensione di reversibilità).
[85] Per una disamina generale dell’istituto v. Caringella – Buffoni, Manuale di diritto civile, cit., 688. L’istituto oggetto di esame deve essere tenuto distinto da quello della compensazione disciplinata dall’art. 1241 ss. c.c. Quest’ultimo è uno dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, per elisione di reciproci debiti. Ebbene, mentre nella compensazione, quale causa di estinzione dell’obbligazione, la reciprocità di debiti e crediti presuppone l’esistenza di due separati e autonomi patrimoni appartenenti a due soggetti diversi, la “compensatio lucri cum damno” da operarsi tra vantaggio e danno, invece, è riferibile ad un unico assetto patrimoniale. Il fatto illecito, infatti, ha contemporaneamente determinato un danno e corrisposto un beneficio nella sola sfera giuridica del soggetto danneggiato.
[86] La difficoltà che ha incontrato la dottrina tradizionale nel descrivere detto istituto è plasticamente descritta dall’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite, le quali con riguardo alla compensatio hanno affermato che «di essa si discute da secoli senza frutto, e ad essa sono state date di volta in volta le soluzioni più disparate tanto nei presupposti teorici, quanto negli effetti pratici».
[87] Specificamente al D.3.5.10, Pomponius libro 21 ad Quintum Mucium. Si negotia absentis et ignorantis geras, et culpam et dolum praestare debes. Sed Proculus interdum etiam casum praestare debere, veluti si novum negotium, quod non sit solitus absens facere, tu nomine eius geras: veluti venales novicios coemendo vel aliquam negotiationem ineundo. Nam si quid damnum ex ea re secutum fuerit, te sequetur, lucrum vero absentem: quod si in quibusdam lucrum factum fuerit, in quibusdam damnum, absens pensare lucrum cum damno debet. In questi termini si esprime anche l’ordinanza di remissione della questione alle Sezioni Unite.
[88] Sul punto v. Santise, Le coordinate ermeneutiche di diritto civile, cit., 937.
[89] V. Cazzara, Il problema dei vantaggi commessi con l’illecito e la cosiddetta compensatio lucri cum damno, in studi per Zingali, III, 411 ss. e Gallizioli, Note critiche in tema di compensatio lucri cum damno, in Riv. dir. civ., 1977, II, 346 ss.; Bona, Accordi transattivi INAIL – Assicuratore r.c. auto e concorso di colpa: quali interazioni tra tutela risarcitoria e protezione indennitaria? in Resp. Civ. prev., 2013, fasc. 5, 1688 ss., spec. nota 10 ove a seguito di un’ampia rassegna giurisprudenziale, l’A. rievoca in dubbio la stessa esistenza del principio.
[90] In questo senso Cicchitti, Brevi considerazioni sull’orientamento dottrinale e giurisprudenziale in tema di compensatio lucri cum damno, in Arch. Resp. Civ., 1969, 136.
[91] L’indennizzo è giustificato dalla legge speciale che di volta in volta lo prevede, invece, il risarcimento trova la propria giustificazione nel fatto illecito. Sul punto v. Santise, Aliunde  perceptum e compensatio lucri cum damno, in http://www.iurisprudentia.it. e Rescigno, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1973, 369.
[92] In questi termini con chiarezza si esprime Cass. 22 giugno 1990, n. 6278, in Giust. civ., 1990, I, 2265 con nota Santarsiere, secondo cui le questioni inerenti all’eventuale compensatio lucri cum damno possono influire non sulla sussistenza o meno della responsabilità, ma solo sul riconoscimento in concreto di un danno risarcibile e sulla sua liquidazione.
[93] Così Carbone, La compensatio lucri cum damno tra ambito del danno risarcibile e rapporto di causalità, in Danno e Resp., 1996, IV, 430 in nota a Cass. civ., Sez III, 7 maggio 1996, n. 4242. In questo senso anche Santise, Le coordinate ermeneutiche di diritto civile, cit., 795.
[94] Così Cass. III, Sez, Civ. Ord. n. 15536, pagina 13 consultabile in http://www.iurisprudentia.it.
[95] Cfr. Cass., 30 gennaio 1990, n. 632, in Foro it., 1991, I, 571; Cass., 30 gennaio 1990, n. 632, in Foro it., 1991, I, 571; Trib. Milano, 23 settembre 2009, n. 11179 in www.iusexplorer.it; Cass.22 dicembre 1987, n. 9528, in Arch. Giur. Circol e sinistri, 1988, 303; Cass., 27 luglio 2001, n. 10291, in www.iuseplorer.it ; Cass., 30 gennaio 1990, n. 632, in Foro it., 1991, I, 571.
[96] In tema di prestazioni assicurative, l’esclusione dell’applicabilità della compensatio è stata operata per l’indennizzo corrisposto dall’INPS, in quanto questo trova la propria fonte nel contratto di assicurazione e, quindi, nasce da un titolo indipendente dal fatto dannoso. In questo senso Santise, Le coordinate ermeneutiche di diritto civile, cit., 939. A tale stregua, l’operatività del principio è ammessa quando le ripercussioni patrimoniali favorevoli derivano dallo stesso fatto dannoso che ha prodotto quelle negative: si pensi al risarcimento del danno subito dal lavoratore tra licenziamento ed annullamento, il cui l’ammontare va ridotto in funzione dei compensi percepiti dallo stesso per lo svolgimento di altra attività lavorativa (c.d. alunde perceptum). Così Cass., 15 dicembre 1989, n. 5645 in Foro it., 1991, I,885, con nota Cecconi.
[97] Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. Dir. Civ., diretto da Sacco, Torino, 1998, 340; Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1979, sub art. 1223, 310; Cossu, La responsabilità solidale, la valutazione del danno, in La responsabilità civile, a cura di Alpa – Bessone, Torino, 1987, 33.
[98] Franzoni, La compensatio lucri cum damno, in Resp. Civ., 2010, 1, 48.
[99] Si pensi alle vittime di disastri naturali, catastrofi o attacchi (anche terroristici) al sistema o, ancora, vittime di attività eseguite in ottemperanza di leggi a tutela della collettività (ad es., l’esecuzione delle vaccinazioni obbligatorie) ovvero, infine, vittime cadute in servizio (poliziotti o carabinieri o militari dell’Arma).
[100]Si ricordi che la finalità solidaristica che caratterizza l’indennizzo è estranea al risarcimento del danno. In ordine alla diversità tra indennizzo e risarcimento v. Ludovico, La persona del lavoratore tra risarcimento del danno e tutela del bisogno: la questione del danno differenziale, in Dir.rel.ind., fasc., 4, 2013, 1049 ss.
[101] La giurisprudenza ha quindi ammesso il cumulo tra risarcimento del danno e la pensione di reversibilità (sulla quale v. sez. III, sent. n. 5504 del 10/03/2014 consultabile in Banca Dati DeJure) e tra pensione di invalidità e risarcimento (in merito alla quale si v. Batà – Spirito, Danno alla persona, in Danno e Responsabilità, 2001, 1, 102 - nota a Cass. civ. Sez. III, 12 lugio 2000, n. 9228 -  e Fabrizio – Salvatore, La compensatio lucri cum damno nell’ambito del risarcimento a seguito di sinistro stradale, in Danno e Responsabilità, 2002, 7, 754, nota a Cass. civ. Sez. III, 14 giugno, 2001, n. 8062). Nota a tutti è la tragica vicenda del Vajont. Il 9 ottobre 1963 una frana causò il crollo di una diga che provocò la distruzione dei paesi a valle e numerose vittime. La società Enel avanzò un’istanza di compensatio tra il risarcimento del danno ambientale causato ai Comuni interessati e le indennità di solidarietà stanziate dallo Stato.
La Cassazione rigettò la domanda data la diversa natura dei crediti in gioco (da un lato, un danno naturalistico con funzione di risarcimento e, dall’altro, un contributo sociale offerto alle vittime del disastro naturale) e l’assenza dei presupposti richiesti per la sua operatività (nesso di causalità giuridica ed omogeneità dei reciproci vantaggi). Sul punto si veda Cass. civ., 15 aprile 1998 n. 3807, in Giur. It, 1999, I, 2770 s.s. con nota di Suppa, Disastro del Vajont: inapplicabilità della compensatio lucri cum damno e via libera alla risarcibilità dei danni morali all’ente esponenziale.
[102] Sulla problematica v. Locatelli, Danno no fault da vaccinazioni obbligatorie e facoltative e diritto all’indennizzo, in Resp. Civ. prev., 2012, fasc. 6, 1893.
[103] Trib. Roma, 8 gennaio 2003, in Foro. It., 2003, I, 622.
[104] v. Cass., SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 584, in Foro It., 2008, 2, 451. Le Sezioni Unite osservano che «in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverese attribuzioni patrimoniali dovute stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati infetti) cui direttamente si riferisce la responsabilità del soggetto tenuto al pagamento».
[105] Sul punto v. Cass. civ. sez. III, n. 12103 del 13/09/2000 consultabile in Banca Dati DeJure. ove è stato affermato che «tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un evento dannoso non si sarebbe verificato debbono considerarsi sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota». Sulla nozione di nesso di causalità v. ex multis, Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., 710.
[106] In questi termini si esprime l’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite a pagina 19.
[107] Ex plurimis v. Sez. III, sent. n. 4642 del 27/04/1995.
[108] Specificamente a pagina 20.
[109] Specificamente a pagina 25.
[110] Cfr. Santise, Le coordinate ermeneutiche di diritto civile, cit., 970.