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Pubbl. Lun, 19 Mar 2018

Testamento falso: l´accertamento in sede penale rileva nel giudizio civile

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Carlo Giaquinta


Per la Corte di Cassazione deve necessariamente tenersi conto del giudicato formatosi in sede penale con riferimento alle medesime parti e circostanze fattuali.


Sommario: 1. Le forme testamentarie previste dal codice civile; 2. La falsità del testamento olografo; 3. Il rapporto tra querela di falso civile e penale ed il caso esaminato dalla Corte.

1. Le forme testamentarie previste dal codice civile

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 4318, depositata il 22 Febbraio 2018, ha affrontato un tema di vivace interesse per ciò che riguarda la materia delle successioni, vale a dire quello della falsità del testamento olografo.

Come è noto, quest’ultimo rappresenta una delle forme stabilite dall’ordinamento per consentire al de cuius di rendere manifeste le sue ultime volontà patrimoniali.

Il testamento infatti, è un negozio solenne, per la validità del quale occorre il rispetto delle forme espressamente previste dal legislatore.

L’art. 601 cod. civ., per quanto riguarda le forme del testamento, ne suddivide essenzialmente due categorie : il testamento olografo (art. 602 c.c.), e il testamento per atto del notaio, quest’ultimo, a sua volta, può essere redatto in forma pubblica (603 c.c.) o segreta (art. 604 c.c.)

Quando non vi è l’intervento del notaio, il testamento, dunque, si definisce olografo, cioè scritto per intero, datato e sottoscritto dal testatore.

Il testamento notarile invece è pubblico quando il testatore, in presenza di almeno due testimoni, dichiara le proprie ultime volontà al pubblico ufficiale, che lo redige per iscritto, né da lettura al testatore e ai testimoni, dopodiché esso viene sottoscritto dallo stesso testatore, dai testimoni e dal notaio.

Il testamento segreto (art 604 c.c.), sottoscritto dal testatore, è sigillato e dal testatore consegnato al notaio, in presenza dei testimoni. A differenza di quello pubblico il testamento viene quindi conservato dal notaio, dal quale il testatore potrà in ogni tempo ritirarlo.

2. La falsità del testamento olografo.

Prima di scendere nel dettaglio del caso esaminato dalla Suprema Corte, è opportuno evidenziare come solo di recente, con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 12307/2015, la giurisprudenza di legittimità abbia risolto il contrasto formatosi in riferimento alle modalità di contestazione del testamento olografo.

Con tale decisione, i Giudici delle SS.UU. hanno infatti chiarito che “la parte che contesti l'autenticità di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l''onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo”.

Inadeguati, invece, ai fini della contestazione della falsità, gli istituti del disconoscimento e della querela di falso, in quanto tali istituti mal si conciliano con la posizione delle parti nel giudizio civile nel quale del testamento si controverte.

Ora, l’aver riconosciuto alla parte che contesti l’autenticità del testamento di disporre unicamente dell’azione di accertamento negativo consente di mantenere il testamento olografo nell’alveo della categoria delle scritture private e di evitare, da un lato, che la valenza probatoria del testamento possa assumere intensità così elevata da poter essere superata solamente attraverso la proposizione della querela di falso, dall’altro, di evitare che il semplice disconoscimento renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professi erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo su di un atto “ innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa” (Cass. Civ. sent. n. 1995/2016). 

In conclusione, chi intenda contestare la falsità di un testamento ha l’onere di agire in giudizio con una domanda di accertamento negativo, secondo le regole sul riparto dell’onere della prova tipiche di quel giudizio.

3. Il rapporto tra querela di falso civile e penale ed il caso esaminato dalla Corte.

Fatte queste premesse, la fattispecie sottoposta al vaglio della Cassazione prende spunto dalla domanda di accertamento, in sede civile, della falsità del testamento che alcuni eredi avevano proposto nei confronti di altra coerede, accusata di aver falsificato il documento.

Parallelamente all’azione civile di accertamento negativo, gli attori sporgevano querela in sede penale contro la stessa coerede per il reato di falsità in scrittura privata, punito, proprio in relazione al testamento, dall’ art. 491 c.p.

All’uopo è necessario evidenziare le differenze ontologiche che intercorrono tra il procedimento, incidentale, che si apre a seguito della presentazione della querela di falso in sede civile (le cui modalità e termini di presentazione sono disciplinate dall’art. 221 c.p.c.) e il procedimento penale per il perseguimento del reato di falso.

Se il giudizio civile, dove è sempre obbligatoria la presenza del Pubblico Ministero, è finalizzato all’accertamento autonomo della falsità o meno del documento avente fede privilegiata (qual è, appunto, il testamento) l’analogo processo penale è finalizzato invece all’individuazione del soggetto che di quella falsità si è reso autore, assoggettandolo alle sanzioni stabilite dal codice penale.

In astratto, comunque, i due procedimenti godono di piena autonomia, non ricorrendo infatti nessuna ipotesi di pregiudizialità tra il giudizio di accertamento di falsità dell’atto e quello penale di falsificazione, e ciò costituisce un approdo pacifico nella giurisprudenza di legittimità (si cita, ex multis, Cass. 12399/2007)

Epperò, come statuisce la pronuncia in commento,è innegabile una stretta correlazione tra le due azioni qualora si controverta essenzialmente sugli stessi fatti.

Tornando alla vicenda dei coeredi, era accaduto che in sede penale fosse stata accertata, con sentenza poi passata in giudicato, ed attraverso una perizia grafologica, la responsabilità dell’incolpata coerede per la falsificazione materiale del testamento olografo.

Tuttavia, nel giudizio civile di secondo grado, la Corte d’Appello di Catania, muovendo proprio dall’autonomia dei due giudizi, aveva invece concluso per il rigetto della domanda sull’accertamento della falsità dell’atto, ciò in quanto veniva rilevata una non tempestiva proposizione della querela di falso nel giudizio civile, e soprattutto veniva rigettata l’eccezione di giudicato, a nulla rilevando il giudicato formatosi in sede penale e che al contrario aveva acclarato la responsabilità penale della coerede per la falsificazione del testamento.

L’assunto, tuttavia, non superò il vaglio dei Giudici di Cassazione.

In maniera netta, con l’ordinanza n. 4318/18, i Supremi Giudici ritengono che erronea è la tesi dell’irrilevanza in sede civile – in cui si controverta della falsità di un atto, opponibile solo con la querela di falso – della sentenza penale di condanna per la falsificazione del medesimo atto, facente leva sulla differenza ontologica tra querela di falso civile e per querela per il reato di falsità in scrittura privata.

Ciò in quanto, continua la Corte, “la relativa autonomia tra giudizio civile e quelle penale non arriva al punto da far negare rilevanza in sede civile agli accertamenti effettuati in sede penale sui medesimi fatti materiali e coinvolgenti le medesime parti”.

Alla stregua di tale ragionamento, la Cassazione provvedeva a cassare senza rinvio la statuizione dei giudici di merito , accogliendo la domanda dei ricorrenti e dichiarando la nullità del testamento da questi impugnato.

In conclusione, proviene dalla Suprema Corte il principio secondo cui l’autonomia dei giudizi civile e penale non può in ogni caso tradursi in un illogico contrasto di giudicati qualora, come nel caso di specie, i procedimenti riguardino gli stessi fatti e le stesse parti.

Nell’ipotesi di falsità del testamento olografo, dunque, la sentenza penale passata in giudicato non può che far stato anche nel parallelo giudizio civile.