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Pubbl. Mer, 14 Feb 2018

La responsabilità precontrattuale della Banca per illegittima interruzione dalle trattative

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Ida Morelli


Anche gli istituti di credito hanno l´obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede. A sottolinearlo in particolare è una sentenza del Tribunale di Piacenza del 17 Novembre 2015 n. 846, la quale si pronuncia sull´esistenza della responsabilità precontrattuale della Banca a seguito di lesione della legittima aspettativa del cliente


Sommario: 1. Obbligo di buona fede e correttezza. La maggiore diligenza degli Istituti Bancari; 2. In particolare: la responsabilità della Banca per illegittima interruzione dalle trattative col cliente.

1. Obbligo di buona fede e correttezza. La maggiore diligenza degli Istituti Bancari.

I canoni della correttezza e della buona fede sono emblematici durante l’iter della contrattazione, in quanto sono espressione del reciproco affidamento che ambo le parti hanno della rispettiva proposta ed accettazione.
In particolar modo, la clausola generale della buona fede, è inquadrata all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, nell’art. 1337 del codice civile, secondo cui “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”: da tale definizione normativa emerge che il rispetto del canone della buona fede è richiesto durante l’intero cursus vitae dell’attività contrattuale, ossia dal periodo che va dalla fase delle trattative alla conclusione del contratto[1]. Le parti, in sostanza, qualora vogliano dar vita ad un disegno contrattuale, devono essere predisposte ad un comportamento sano e diligente, in modo da ingenerare nella controparte una legittima aspettativa, poi soddisfatta.

Molte sono le pronunce della Corte di Cassazione che tendono ad enucleare la buona fede come canone generale ed indispensabile durante la formazione del negozio: in particolare, facendo seguito alla recente giurisprudenza, nella sentenza n. 5762 del 23 marzo del 2016, i Giudici della Corte hanno statuito che “La regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative ma ha valore di clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Ne consegue che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto”[2].
La violazione della suddetta clausola generale di buona fede genera responsabilità precontrattuale per le parti inadempienti, le quali si ritroveranno a dover risarcire l’eventuale danno da interesse negativo[3] o positivo leso[4]. Infatti la culpa in contrahendo, secondo la nozione adottata da autorevole dottrina[5], indica la responsabilità per lesione dell’altrui libertà negoziale, realizzata mediante un comportamento, difforme dai canoni di lealtà, correttezza e serietà, posto in essere in sede di trattative e formazione del vincolo contrattuale.

Orbene, tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico sono vincolati al rispetto di questi canoni, al fine di poter rispettare una sana sinallagmaticità tra le parti, ciascuna obbligata nei confronti dell’altra.

Tali doveri riguardano anche gli istituti bancari, soggetti a trattative di diritto privato ogni giorno. In particolar modo gli istituti di credito, detenendo un enorme potere economico, ed essendo spesso e volentieri la “parte forte” dell’agere contrattuale, hanno ancor più il dovere di rispettare il canone della buona fede e della correttezza, al fine di non abusare della propria posizione dominante[6]. Avendo la banca un ruolo significativo e preminente nella contrattazione, detiene sicuramente un obbligo di diligenza e buona fede da doversi definire qualificato, ossia maggiore rispetto al livello medio del buon padre di famiglia: la sua omissione genererà responsabilità per culpa in omettendo, ossia dovuta da omissioni circa le condizioni contrattuali[7].

Pertanto, quanto più è forte il potere del contraente, tanto più sono forti i doveri al quale questo è soggetto: in questo caso, l’istituto bancario ha non solo un dovere generale di buona fede e correttezza, ma anche un sottostante obbligo di informazione, in quanto deve render edotto il cliente degli aspetti, pratici e legali, che fanno seguito alla sottoscrizione del contratto. La chiarezza dell’istituto bancario è, infatti, la condicio sine qua non di una valida contrattazione: il cliente in qualsiasi operazione bancaria, come può essere quella della semplice apertura di un conto corrente o della richiesta di una somma a titolo di mutuo, deve conoscere perfettamente tutte le condizioni ivi sottese, come ad esempio il tasso di interesse applicato al proprio credito. Infatti, tra i più generali doveri di buona fede rientra quello di consegnare al cliente la documentazione relativa al rapporto concluso, dovere che trova la sua corrispondenza anche nell’ articolo 119 TUB il quale sancisce un vero e proprio diritto soggettivo del cliente a farsi consegnare tutta la documentazione a lui inerente periodicamente[8].

Ergo, la banca è tenuta ad osservare un maggior grado di diligenza, commisurato alla natura dell'attività esercitata e può incorrere in responsabilità anche laddove il funzionario incaricato non abbia usato la dovuta diligenza nella contrattazione, ossia sine buona fede o sine obbligo di informazione. Come la stessa Corte di Cassazione ci ricorda,la c.d. diligenza del Bonus argentarius qualifica il maggior grado di prudenza ed attenzione che la connotazione professionale dell’agente richiede. Essa deve trovare applicazione non solo in riferimento ai contratti bancari in senso stretto ma anche ad ogni tipo di atto o di operazione posta in essere, nell’esercizio della sua attività, dalla banca la quale deve predisporre qualsiasi mezzo idoneo onde evitare il verificarsi di eventi pregiudizievoli comunque prevedibili”[9].

2. In particolare: la responsabilità della Banca per illegittima interruzione dalle trattative col cliente

Preliminarmente vi è da osservare che sussiste una libertà degli istituti di credito circa la possibilità di concessione di un finanziamento, o in generale per qualsiasi operazione riguardi la mobilità del credito a favore del cliente.
Infatti, “la libertà di iniziativa economica privata degli intermediari, la quale è tutelata dall’art. 41 Cost., esclude infatti che essi siano obbligati all’erogazione del credito, e pertanto che siano obbligati alla stipulazione dei relativi contratti[10]. Tale libertà è vincolata all’affidabilità del cliente: quanto più il cliente è affidabile, tanto più vi è la possibilità che lo stesso possa ricevere una qualche forma di finanziamento. Lo strumento utilizzato al fine di misurare la diligenza del cliente è il così detto rating bancario, meglio definito “merito creditizio”, da intendersi come il giudizio dell’istituto di credito sull’affidabilità del cliente, ossia sulla sua capacità di ripagare il debito contratto. Attraverso tale attività istruttoria l’istituto di credito riesce a valutare se il cliente, con il quale sta per concludere il contratto, sia un “buon debitore”, ovvero sia capace di tener fede agli impegni assunti. Infatti, lo stesso Arbitro Bancario Finanziario ha affermato che “la valutazione del c.d. merito creditizio costituisce prerogativa dell’istituto erogante ove una conclusione diversa finirebbe per violare la libertà negoziale dell’intermediario[11]”.

L'Arbitrato Bancario Finanziario si è pronunciato sul punto, osservando all’interno della decisione n. 2248/2014, due punti cardine: 1) la decisione della banca sulla concessione o meno del credito è insindacabile, in quanto dipende dal grado di solvibilità ed affidamento del cliente; 2) vi sono, tuttavia, casi di responsabilità dell’istituto bancario qualora vi sia:
a) un lungo e ingiustificato protrarsi dell’istruttoria oltre protrattasi per i 6 mesi dalla richiesta;
b) valide rassicurazioni fornite dalla Banca al cliente;
c) motivazione succinta ed inadeguata addotta a giustificazione del diniego di credito;
d) silenzio della Banca circa l’esito della richiesta da parte del cliente.

Orbene, pertanto, pur essendovi una piena libertà della Banca circa la concessione o meno del credito, vi sono forme di responsabilità della stessa, le quali emergono qualora l’istituto di credito non sia celere nelle risposte al cliente, facendo perdere allo stesso la chance di concludere l’affare, od anche quando lo stesso abbia dato legittima aspettativa all’altra parte circa la valida conclusione del contratto di finanziamento, che poi non si conclude.
In quest’ultimo caso si parla dell’esistenza di una vera e propria responsabilità precontrattuale dell’istituto bancario ex art. 1337 del codice civile, in quanto trattasi di un atteggiamento contrario ai canoni di correttezza e buona fede, lesivi della legittima aspettativa del cliente circa la valida conclusione del contratto di finanziamento.

Tale forma di responsabilità precontrattuale degli istituti di credito è stata da poco riconosciuta ed effettivamente acclarata: in tal senso, il case study di riferimento è quello del Tribunale di Piacenza, il quale con sentenza n. 846 del 17 novembre 2015, ha statuito che “Sussiste responsabilità precontrattuale della banca per ingiustificata interruzione delle trattative finalizzate alla concessione di un finanziamento qualora il cliente abbia formulato una proposta concordata con i funzionari coerente con le indicazioni della banca risultanti da precedenti dinieghi relativi ad analogo finanziamento in differente forma, e qualora nell'imminenza della auspicata delibera la banca abbia autorizzato una serie di attività prodromiche alla ritenuta imminente concessione del finanziamento, mediante apertura di un conto corrente sul quale sia stata versata la provvista per l'acquisto subito dopo effettuato di Titoli destinati ad essere costituiti in pegno a garanzia del finanziamento stesso poi negato senza specifica motivazione”.
Pertanto, qualora l’istituto di credito abbia interrotto le trattative senza giustificato motivo, e le trattative suddette erano già in uno stadio “idoneo a far sorgere nella parte che invoca l'altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto”[12], esso stesso incorre in responsabilità precontrattuale, in quanto prima ancora della conclusione del contratto di finanziamento la banca ha omesso di comportarsi secondo diligenza e buona fede, lasciando il cliente praticamente insoddisfatto.

Nel caso analizzato dal Tribunale di Piacenza, il richiedente il finanziamento bancario sosteneva di aver inutilmente confidato nella erogazione di un finanziamento, poi non concesso, avendo la banca tenuto un comportamento contrario ai principi di buona fede e di correttezza, dapprima facendogli ragionevolmente credere fondata la possibilità della conclusione del finanziamento, sino al punto di richiedergli, quale controparte del futuro contratto, una serie di iniziative univocamente finalizzate all'erogazione del mutuo (la banca aveva richiesto ed ottenuto il versamento di un rilevante importo da vincolare a garanzia del mutuo richiesto), per poi, invece, decidere in maniera repentina e non giustificata di rifiutare il finanziamento. 
Orbene, il Tribunale di Piacenza, considerando che, nel caso ad esso sottoposto, le trattative erano giunte ad uno stadio tale da far legittimamente ritenere concluso il contratto, di cui le parti conoscevano e volevano (almeno apparentemente) la conclusione, ed anche che il recesso repentino dalle trattative da parte della banca fosse da ritenersi ingiustificato, ha affermato che il comportamento della banca non fosse stato conforme ai principi di buona fede ad essa imposti, i quali devono essere sempre garantiti anche nella fase delle trattative.

A favore dei cittadini, in caso di diniego ricevuto circa la concessione di un finanziamento, è garantita la possibilità di ricorrere all’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), al fine di poter analizzare lo status del cliente e ricevere ristoro in caso di rifiuto immotivato. Anche nelle sue decisioni, l’Arbitro ha chiarito che la mancata concessione del credito, senza alcun plausibile motivo, dopo aver ingenerato nel cliente il ragionevole affidamento sull’esito positivo della trattativa, espone la banca a responsabilità precontrattuale ed al conseguente risarcimento del danno.

Emblematica in tal senso è una pronuncia di detto organo risalente al 2013, la quale riassume tutti i punti qui esaminati, ossia: “È pacifico che, se il rifiuto della banca di accordare il finanziamento richiesto dal cliente non è, in quanto tale, atto a fondare alcuna pretesa risarcitoria di quest’ultimo nei confronti della prima, fonte di responsabilità, ai sensi della citata disposizione, potrebbe essere il comportamento tenuto dalla banca nel corso dell’istruttoria preliminare alla concessione del mutuo o del fido: per esempio allorquando la banca, senza alcuna plausibile motivazione, disattenda l’affidamento che l’aspirante contraente ragionevolmente nutriva, sulla base del pregresso comportamento della banca, sulla conclusione del contratto; oppure induca l’altra parte ad un dispendio di risorse e di tempo eccessivo o palesemente inutile, stanti le incertezze e le riserve che, nella prospettiva della banca, ancora circondano l’erogazione del finanziamento. Il cardine del discorso è dunque costituito dal principio di affidamento: la lesione dell’affidamento nella conclusione positiva dell’istruttoria preliminare compiuta dalla banca, nel caso in cui quest’ultima si tiri indietro senza un giustificato motivo, legittima il cliente a pretendere il risarcimento del danno patito, che – secondo l’opinione prevalente – andrebbe commisurato al c.d. interesse negativo, trattandosi di danno che deriva dalla mancata conclusione di un contratto (in termini, Coll. Roma, n. 529/2013). I presupposti della responsabilità di cui si discorre sono dunque i seguenti: che sia in corso fra le parti una trattativa prenegoziale; che le trattative siano giunte ad uno stadio tale da far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, a cui si addebita la responsabilità, abbia interrotto le trattative in difetto di giustificato motivo; che non sussistano fatti obiettivamente idonei ad escludere la ragionevolezza dell’affidamento che l’aspirante contraente nutriva in merito alla conclusione del contratto. In tal senso si è autorevolmente espressa la Corte di Cassazione, sez. III civile, 29 marzo 2007, n. 7768; conforme Cass., sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11438[13]”.

Orbene, ad oggi, sia nella risoluzione delle controversie giudiziale che stragiudiziale, è pacifico il riconoscimento della responsabilità precontrattuale degli istituti Bancari a seguito di lesione della legittima aspettativa del cliente durante il cursus delle trattative.

 

Note

[1] “Il duplice riferimento della formula normativa alle trattative ed alla formazione del contratto induce la dottrina a distinguere i due concetti: le trattative, precisamente, sono il contatto sociale instaurato tra le parti in vista della possibile conclusione del contratto. Le trattative comprendono anche la fase di formazione del negozio, ma possono considerarsi aperte già con l’invito ad offrire. Le trattative attengono necessariamente ad una fase anteriore all’inizio della formazione del contratto” in FRANCESCO MESSINEO, Il contratto in genere, Milano 1973, ed. Giuffré.
[2] Cass. Civile, sez. I, sent. n. 5762/2016.
[3] Il danno da interesse negativo è quello derivante dal pregiudizio subito dalla parte per essere stata coinvolta in trattative inutili ed aver confidato nella conclusione di un contratto mai stipulato, ovvero per l'aver impiegato risorse ed energie nella conclusione di un contratto invalido o inefficace. In GAZZONI FRANCESCO, Manuale di diritto privato, Napoli 2013, Edizioni scientifiche italiane.
[4] Basti fare riferimento proprio all’art. 1338 codice civile, il quale così recita “la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”.
[5] BIANCA C.M., Diritto civile, III, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2000, p. 157.
[6] In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 2058 del  23.02.2000, il quale ha statuito che “nel nostro ordinamento l’attività bancaria nel suo complesso, quale comprensiva dell’esercizio del credito e della raccolta di risparmio  risulta disciplinata in modo tale da configurare non solo una delle forme di esercizio d’impresa, già di per sé sottoposta a particolari forme di controllo, ma soprattutto, proprio in quanto riservata in via esclusiva agli istituti di credito ed in conformità al dato della tutela costituzionale del risparmio di cui all’art. 47 Cost. predisposta in favore della collettività, un servizio per il pubblico con tipiche forme di autorizzazione, vigilanza e trasparenza. Da ciò deriva che i profili di responsabilità nell’espletamento di tale attività vanno individuati e, ove sussistenti, sanzionati in conformità dell’elevato grado di professionalità”.
[7] Cass. Civ. n. 343, 13.01.1993.
[8] Infatti, l’articolo 119 TUB, rubricato “Comunicazioni periodiche alla clientela” così recita “1. Nei contratti di durata i soggetti indicati nell’articolo 115 forniscono al cliente, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all’anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Il CICR indica il contenuto e le modalità; 2. Per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile; 3. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento; 4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”.
[9] Cass. Civ. n. 5421, 7.05.1992.
[10] Decisione ABF, Collegio di Roma, n. 590 del 2011.
[11] Decisione ABF, Collegio di Roma, n. 2159 del 2011.
[12] Cass. Civ., n. 11438/2004.
[13] Decisione ABF, Collegio di Roma, n. 6362 del 2013.