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Pubbl. Ven, 16 Feb 2018

Il furto è tentato se la cosa non è uscita definitivamente dalla sfera di vigilanza dell´offeso

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Alessandro Brogioni


La Cassazione conferma l´indirizzo già inaugurato con la sentenza cd. Prevete (SS. UU. n. 52117 del 2014): il furto è solo tentato se il bene, oggetto dell´impossessamento, rimane nella sfera di vigilanza e controllo della persona offesa.


Con la sentenza n. 54311 del 2017 la V Sez. della Cassazione conferma l’orientamento affermato dalle Sezioni Unite con la sent. n. 52117 del 2014, cd. Prevede, in materia di furto, che il reato sia solo tentato se il bene, oggetto dell’impossessamento, rimane nella sfera di vigilanza e di controllo della persona offesa (ovvero degli addetti alla sicurezza o delle forze dell’ordine presenti in loco), non acquisendo il soggetto agente alcuna autonoma signoria su tale bene.

Il fatto riguardava il furto di tre bottiglie di champagne esposte su uno scaffale, di cui l’imputato si era impossessato, occultandole in una borsa e non pagandone il corrispettivo. L’addetto alla vigilanza aveva controllato e monitorato l’intera condotta furtiva (così da poterla interrompere in ogni momento) ed era intervenuto solo dopo che l’imputato aveva superato la barriera delle casse e dei dispositivi antitaccheggio, senza pagare la merce.

Sia il Tribunale che la Corte d’appello di Roma, disattendendo la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, avevano qualificato l’intera condotta in termini di reato consumato e non tentato, sul presupposto che la consumazione si fosse realizzata nel momento in cui l’agente aveva superato le casse, senza pagare la merce, in quanto in quel momento si sarebbe compiuta la condotta dell’impossessamento, acquisendo il soggetto agente piena autonomia e disponibilità della res oggetto di furto.

La Sez. V della Cassazione, con la sentenza n. 54311 dell’1.12.2017, ha ribaltato le pronunce di primo e secondo grado, riconoscendo la forma del tentativo nella condotta attribuita all’imputato. I giudici di Piazza Cavour hanno infatti confermato il principio di diritto affermato nella Cass. SS. UU. n. 52117 del 2014, secondo cui “il monitoraggio dell’azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza, ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonomia ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo”.

L’argomento, secondo cui, prima del passaggio alle casse, l’addetto alla sicurezza, pur avendo osservato e monitorato l’intera condotta del cliente, non sarebbe potuto intervenire, in quanto non poteva avere la piena e certa consapevolezza dell’impossessamento da parte del soggetto agente, non appare condivisibile.
Non vi è, infatti, come sottolineato dagli Ermellini, alcun ostacolo giuridico che impedisca al personale addetto alla sorveglianza di intervenire di fronte a comportamenti non corretti della clientela (nel caso di specie l’occultamento della merce nella borsa e la rimozione dei dispositivi antitaccheggio), anche laddove non si ravvisi in essi i due elementi dell’idoneità e della direzione non equivoca verso la commissione di un reato.

Sulla questione relativa al momento consumativo del furto di prodotti dal supermercato, si erano fronteggiati due distinti orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo, affermato da pronunce più risalenti nel tempo (Sez. II n. 938 del 1966; Sez. II n. 2088 del 1973), ma anche recenti (Sez. II, n. 48206 del 2011; Sez. V, n. 41327 del 2013; Sez. IV, n. 7062 del 2014), la condotta dell’impossessamento della refurtiva si perfeziona per effetto del prelievo della merce, senza il successivo pagamento dovuto all’atto del passaggio davanti alla cassa, non rilevando che il fatto sia avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato addetto alla sorveglianza. E questo sul presupposto che condizione «necessaria e sufficiente perché […] il reato possa dirsi consumato è che la persona offesa sia stata privata della detenzione e, per ciò stesso, sia stata posta nella condizione di doversi attivare, se vuole recuperarla, nei confronti del soggetto che l’ha acquisita» e che l’agente, posto che abbia «oltrepassato la barriera delle casse senza pagare la merce», consegue «da quel momento la detenzione esclusiva e illecita» della refurtiva, «mentre, in precedenza, salvo il caso dell’occultamento, detta detenzione non poteva dirsi, né esclusiva, né illecita» (cfr. Cass. Sez. V, n. 25555 del 2012).

L’altro orientamento (Cass, Sez. V, n. 398 del 1992; Cass. Sez. V, n. 3642 del 1999; Cass. Sez. V, n. 21937 del 2010; Cass. Sez. V, n. 7042 del 2010) ritiene, invece, che la continua osservazione dell’azione delittuosa da parte della persona offesa, ovvero del personale dipendente del supermercato addetto alla sicurezza, con la conseguente possibilità d’intervento, in qualsiasi momento, per interrompere l’iter criminoso, impedisca il perfezionarsi della fattispecie tipizzata – l’impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui – in quanto il soggetto agente non ha ancora conseguito piena ed autonoma disponibilità della res, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e controllo del soggetto passivo, che continua, pertanto, ad esercitare la propria signoria sulla cosa.

Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto, con la sent. n. 52117 del 2014, hanno abbracciato la tesi della qualificazione della condotta in termini di tentativo. L’impossessamento della res da parte del soggetto agente – momento consumativo del reato – presuppone, infatti, il conseguimento della signoria sul bene sottratto, intesa come «piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva».  Ciò, però, non si verifica laddove l’azione si svolga sotto l’osservazione e la vigilanza della persona offesa, che, intervenendo in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, dimostra che quest’ultimo ancora non è uscito dalla sua sfera di controllo e signoria. Il delitto, pertanto, si ferma alla forma tentata e non consumata.

E a questo principio si ricollega anche la sentenza in commento.

Interessante, da ultimo, notare che in tale pronuncia si fa una delle prime applicazioni del novellato art. 620 c.p.p. ad opera della l. 23 giugno 2017, n. 103. La Corte, infatti, ai sensi del neo art. 620, comma 1 lett. l), non ritenendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e ritenendo di poter rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito, annulla senza rinvio. E così, riqualificato il fatto come reato di furto tentato, si limita a riformulare il trattamento sanzionatorio (riducendo di due terzi la pena irrogata dal Tribunale di Roma e confermata dalla Corte d’appello di Roma).