Assegno di divorzio: il punto sulla recente giurisprudenza e i possibili sviluppi legislativi
Modifica paginaCome si determina la misura dell´assegno di divorzio? Il giudice deve fare riferimento al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio o al raggiungimento dell´indipendenza economica da parte dell´ex coniuge richiedente? Il punto sulla recente giurisprudenza di legittimità e sui possibili sviluppi legislativi.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Gli effetti dello scioglimento del matrimonio - 3. Natura e funzione dell'assegno divorzile secondo la precedente giurisprudenza di legittimità - 4. Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017, n. 11504 "Grilli": il principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi - 4.1 L'inadeguatezza del criterio del "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio" - 4.2 Il criterio dell' "indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno - 5. Il regime della prova della mancata "indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno divorzile - 6. L'impatto di Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017, n. 11504 sui giudizi in corso - 7. Osservazioni critiche - 8. Il Tribunale di Udine si discosta dai principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte - 9. I criteri di determinazione dell'assegno di divorzio nel nuovo d.d.l. Ferranti e l'assegno a tempo
1. Introduzione
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 10 maggio 2017 n. 11504, ponendosi in consapevole contrasto con quasi trent'anni di giurisprudenza monolitica sul punto, ha enunciato innovativi principi di diritto in tema di determinazione dell'assegno di divorzio.
In particolare, la Corte ha osservato che, alla luce della natura dell'istituto del divorzio e della mutata concezione del matrimonio, inteso ormai come atto di libertà e di autoresponsabilità, non appare più pertinente ancorare la misura dell'assegno di divorzio al parametro del "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio".
Le osservazioni critiche verso il suddetto parametro hanno portato il Collegio ad individuare un nuovo metro cui ancorare il giudizio sulla "adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio": tale misura è stata riconosciuta nell' "indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno. Sulla base di ciò, qualora fosse accertato che l'ex coniuge è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, il giudice non potrà riconoscergli il diritto all'assegno divorzile.
Per comprendere appieno la portata innovativa e l’impatto che il nuovo orientamento ha già avuto sui giudizi in corso e avrà, presumibilmente, sui futuri giudizi, occorre ripercorrere brevemente i principi che hanno regolato la materia in questi anni.
2. Gli effetti dello scioglimento del matrimonio
Preliminarmente, va rilevato che allo scioglimento del matrimonio, che avviene con efficacia ex nunc mediante la pronuncia del divorzio, conseguono due tipologie di effetti: quelli di carattere personale e quelli di carattere patrimoniale. Gli effetti di carattere personale consistono nel venir meno degli obblighi di cui all'art. 143 c.c. e, segnatamente, di fedeltà reciproca, di coabitazione, di collaborazione nell'interesse della famiglia e di assistenza morale e materiale. Inoltre, per effetto della pronuncia giudiziale di divorzio, viene meno l'impedimento a contrarre nuove nozze di cui all'art. 86 c.c., in quanto gli ex coniugi riacquistano il loro stato libero.
Quanto agli effetti di carattere patrimoniale, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, l'ex coniuge perde i diritti successori nei confronti dell'altro e acquista, in presenza di determinate condizioni, il diritto all'assegno divorzile (art. 5 co. 6 l. 898/1970)[1].
3. Natura e funzione dell'assegno divorzile secondo la precedente giurisprudenza di legittimità
Per lungo tempo la giurisprudenza dominante ha attribuito all' "obbligo per un coniuge di somministrare un assegno periodico in favore dell'altro, quando quest'ultimo non abbia i mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive" una triplice funzione: assistenziale -solidaristica, risarcitoria e compensativa. Siffatta impostazione aveva quale conseguenza pratica, una volta accertato il diritto dell'ex coniuge all'assegno divorzile (an debeatur), che il parametro di commisurazione (quantum debeatur) consistesse nell' "analogo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio". Pertanto, l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio si articolava tramite un giudizio bifasico in cui si operava, dapprima, una valutazione in ordine all'inadeguatezza dei mezzi di sostentamento dell'ex coniuge e, successivamente, si prendevano in esame i criteri indicati dall'art. 5 co. 6 l. 898/1970.
Ed invero, configurato il diritto all’assegno come strumento volto ad assicurare al coniuge richiedente la disponibilità di quanto necessario per godere di un tenore di vita adeguato alla pregressa situazione economico-sociale, il giudice avrebbe dovuto procedere ad una valutazione comparativa della situazione delle parti: al momento della richiesta dell'ex coniuge, l’attuale posizione reddituale e patrimoniale dell’obbligato avrebbe dovuto essere raffrontata con le aspettative maturate durante il matrimonio. Il necessario parametro di riferimento costituito dall’inadeguatezza dei mezzi, da paragonare con un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, comportava che, nell’individuazione di tali aspettative, dovesse tenersi conto anche di eventuali miglioramenti economici avvenuti nel corso del matrimonio[2].
4. Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017, n. 11504 "Grilli": il principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi.
Di recente i giudici della Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 10 maggio 2017, n. 11504, ponendosi in consapevole contrasto con l'orientamento ormai consolidato a partire dalle storiche pronunce delle Sezioni Unite n. 11490/1990 e 11870/2015, hanno chiarito che l'assegno divorzile ha natura esclusivamente assistenziale, cosicché il relativo diritto rinviene il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 23 Cost. La natura esclusivamente assistenziale dell'assegno in parola fonda il suo adempimento in favore della persona dell'ex coniuge economicamente più debole nell'ottica della solidarietà post coniugale.
La verifica giudiziale in ordine al diritto all'assegno di divorzio si compone necessariamente di due fasi tra loro nettamente distinte, cosicché solo in caso di esito positivo della prima, relativa all' an debeatur, potrà procedersi alla seconda, inerente al quantum debeatur.
La prima fase di tale accertamento bifasico ha ad oggetto esclusivamente la sussistenza o meno del diritto all'assegno di divorzio e consiste nella verifica del difetto dei "mezzi adeguati" dell'ex coniuge richiedente ovvero dell' "impossibilità dello stesso di procurarseli per ragioni oggettive". Sul punto, la sentenza in commento, accantonando il vecchio criterio dell' "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio", ha introdotto il criterio dell' "indipendenza economica" dell'ex coniuge ancorandolo normativamente all'art. 337- septies, co 1 c.c. che fa riferimento all'indipendenza economica del figlio maggiorenne non autosufficiente come criterio che esclude il diritto all'assegno di mantenimento.
La Corte ha, inoltre, individuato gli indici della predetta indipendenza economica nel possesso di redditi di qualsiasi specie, di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, nella capacità e nelle possibilità effettive di lavoro personale e nella stabile disponibilità di una casa di abitazione.
In tale quadro, si è affermato, quindi, il principio dell'autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi[3] quali persone singole, a nulla rilevando la valutazione comparativa delle loro posizioni personali e patrimoniali.
Quanto alla seconda fase della determinazione dell'importo dell'assegno divorzile, essa risente della natura esclusivamente assistenziale di tale assegno predicata dalla Suprema Corte. Secondo i dettami dell'innovativa pronuncia in commento, la determinazione in concreto dell'assegno di divorzio impone che esso, lungi dall'essere parametrato al rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, si limiti solo a prenderlo in considerazione, affinché la percezione dell'assegno di divorzio non si risolva in una indebita locupletazione da parte dell'ex coniuge, illegittima in quanto fondata esclusivamente sul fatto della mera preesistenza di un rapporto coniugale ormai definitivamente esaurito per effetto della pronuncia della sentenza di divorzio.
4.1 L'inadeguatezza del criterio del "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio"
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte ha, quindi, ritenuto non più attuale il criterio del "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio" nell'accertamento, nella singola fattispecie, dell'"adeguatezza-inadeguatezza" dei mezzi e della "possibilità-impossibilità" di procurarseli. Secondo i giudici di legittimità, possono darsi unicamente due ipotesi: 1) se l'ex coniuge richiedente l'assegno possiede mezzi adeguati o è effettivamente in grado di procurarseli, il diritto all'assegno divorzile deve essergli negato tout court; 2) se, invece, lo stesso dimostra di non possedere mezzi adeguati e che non può procurarseli per ragioni oggettive, il diritto all'assegno divorzile dovrà essergli, senz'altro, riconosciuto.
Il parametro del "tenore di vita" cui la giurisprudenza in precedenza si rifaceva nella determinazione dell'assegno di divorzio non appare più attuale per quattro ordini di ragioni. Innanzitutto, detto parametro collide radicalmente con la natura dell'istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici[4]; in secondo luogo, il giudice del divorzio dovrà necessariamente considerare il preesistente rapporto matrimoniale anche nella sua dimensione economico-patrimoniale soltanto dopo l'esito positivo della fase precedente, relativa all'an debeatur[5]; in terzo luogo, il parametro del "tenore di vita" conduce ad una indebita commistione tra le predette fasi del giudizio di cui all'art. 5 l. 898/1970; infine, una interpretazione delle norme sull'assegno divorzile che produca l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della cessazione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale può tradursi "in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell'individuo che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9)"[6].
Si deve quindi ritenere che non sia tutelabile giuridicamente un interesse dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio una volta estinto il relativo rapporto in seguito alla pronuncia della sentenza di divorzio[7].
4.2 Il criterio dell' "indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno
Il Collegio ha, così, ritenuto che il parametro cui rapportare il giudizio sulla "adeguatezza-inadeguatezza" dei mezzi dell'ex coniuge e sulla "possibilità-impossibilità" "per ragioni oggettive" dello stesso di procurarseli vada individuato nel raggiungimento dell' "indipendenza economica" da parte dell' ex coniuge richiedente: se è accertato che questi è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non può essergli riconosciuto il diritto all'assegno di divorzio.
Il parametro dell' "indipendenza economica" così enucleato ha, secondo la Corte, una espressa base normativa nell'art. 337-septies co 1 c.c., richiamato per analogia legis tra la disciplina dell'assegno periodico che il giudice può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti e la disciplina dell'assegno di divorzio[8]. Del resto, secondo i giudici di legittimità, la ratio sia dell'art. 337-septies, comma 1 c.c. sia dell'art. 5 comma 6 l. 898/1970 è ispirata al principio dell' "autoresponsabilità economica", principio che, affermato dalla stessa Corte con riferimento al mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti, può trovare, senz'altro, applicazione anche in relazione all'istituto del divorzio. Il principio dell'autoresponsabilità economica è, inoltre, un principio che appartiene al contesto giuridico Europeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell'Unione Europea.
Pertanto, mentre la precedente giurisprudenza poneva quale parametro di riferimento cui rapportare l'adeguatezza o inadeguatezza dei mezzi del richiedente il tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, il nuovo indirizzo ritiene, invece, che il criterio di riferimento debba essere un altro e, precisamente, quello dell'indipendenza economica del richiedente.
5. Il regime della prova della mancata "indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno divorzile
A giudizio della Corte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere probatorio (art. 2697 c.c.), all'ex coniuge richiedente l'assegno spetta allegare e dimostrare di non avere mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni oggettive. Tale onere probatorio ha ad oggetto alcuni indici ossia: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie, 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza, 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione all'età, al sesso, alla salute e al mercato del lavoro dipendente o autonomo, 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
6. L'impatto di Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017, n. 11504 sui giudizi in corso
Il descritto revirement della Corte potrà avere significativi effetti non solo sui giudizi aventi ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio successivi agli innovativi principi di diritto sin qui enunciati, ma anche sulle domande di revisione proposte ai sensi dell'art. 9 l. 898/1970. Tale norma prevede infatti che i provvedimenti aventi ad oggetto i coniugi siano insuscettibili di passare in giudicato, cosicché, a seguito della sentenza che sancisce la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può essere richiesta, tra le altre cose, la revisione delle disposizioni relative alla misura dei contributi economici in favore dell'ex coniuge, ove sussistano giustificati motivi. La domanda di revisione non consente una nuova valutazione dei presupposti e della misura dell'assegno, ma postula l'allegazione di fatti nuovi e di circostanze sopravvenute tali da aver alterato la situazione posta alla base dell'attribuzione dell'assegno di divorzio[9].
Occorrerà, allora, chiedersi se l'onerato della prestazione possa chiedere al giudice la revisione sul presupposto del parametro, recentemente enunciato dalla Cassazione, della sopravvenuta indipendenza economica dell'ex coniuge beneficiario.
7. Osservazioni critiche
Per imporre in via nomofilattica la nuova interpretazione delle norme relative all’assegno divorzile, sarebbe stata forse opportuna la rimessione della questione alle Sezioni Unite ex art. 374, comma 3, c.p.c., non essendosi limitato il Collegio della Prima Sezione a delle mere enunciazioni di carattere concettuale, ma avendo pronunciato un vero e proprio principio nuovo di diritto, in grado, com'è facilmente intuibile, di condizionare non solo i futuri giudizi ma anche le sorti dei ricorsi pendenti. In particolare, la decisione della Cassazione n. 11504/2017 è stata emessa da una sezione semplice che si è posta in contrasto con la già menzionata pronuncia a Sezioni Unite 11490/1990, vulnerando, in tal modo, la lettera e lo spirito dell’art. 374 comma 3 c.p.c. In altri termini, la prima sezione, per contraddire la monolitica pronuncia delle Sezioni Unite, avrebbe dovuto più correttamente rimettere a queste ultime l'esame della quaestio iuris.
Al di là di personali considerazioni sulla bontà dell'orientamento in esame, non si può fare a meno di rilevare che sarebbe, dunque, certamente auspicabile l'intervento delle Sezioni Unite, onde scongiurare il pericolo di pronunce ondivaghe e contrastanti in materia di determinazione dell'assegno divorzile. Come è noto, infatti, i principi espressi dalle sezioni semplici della Corte di Cassazione non sono vincolanti per l'interprete che ben può da essi discostarsi, argomentando e motivando adeguatamente sul punto.
Pertanto, se l'orientamento in commento può, senz'altro, considerarsi rivoluzionario, è anche vero che tale decisione dovrà essere suffragata e supportata da altre sentenze e, probabilmente, sarà se non necessario quantomeno auspicabile un intervento delle Sezioni Unite per mettere un punto fermo sulla questione.
Peraltro, l'orientamento espresso da Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017, n. 11504, se fornisce la corretta risposta a fattispecie ricorrenti di matrimonio fra persone anche redditualmente omogenee e comunque autosufficienti, rischia di non prendere fino in fondo in considerazione i diritti del soggetto che ha posposto la propria dimensione individuale alla cura della famiglia. Accade, infatti, spesso che, in costanza di matrimonio, per scelta condivisa, uno dei due coniugi rinunci a svolgere un’attività lavorativa per dedicarsi interamente alla casa ed alla famiglia; questa decisione, però, rischia, con l’avanzare del tempo, di rendere la persona meno interessante per il mercato del lavoro, riducendo drasticamente, quindi, le sue probabilità di essere economicamente indipendente. Vincolare il giudizio di spettanza dell’assegno di divorzio ad un criterio così rigido quale quello recentemente predicato dalla sentenza in esame potrebbe indirettamente comportare un vulnus per il coniuge debole, ormai, di fatto, estromesso dal mercato del lavoro per aver deciso di seguire la famiglia.
Né possono essere escluse le conseguenze che dall’indirizzo della Prima Sezione, se verrà confermato, potranno derivare sulla determinazione dell’assegno di separazione. La brevità del tempo che, ormai, per legge deve ora intercorrere tra separazione e divorzio (art. 3, co 2, l. 898/70 come modificato dalla l. 55/2015) non potrà non giustificare una osmosi tra la qualificazione dell’assegno di separazione e quello di divorzio e correlativamente comportare un’accentuazione della litigiosità nella prima fase.
Le perplessità suesposte si acuiscono, peraltro, se si pensa all’introduzione del cosiddetto divorzio breve, avvenuta nel 2015: l'ex coniuge potrebbe avere diritto all'assegno di mantenimento parametrato al tenore di vita solo per un brevissimo lasso di tempo; una volta intervenuto il divorzio, scatterebbe la maggior rigidità imposta dal parametro dell'indipendenza economica che potrebbe porre nel nulla l’assegno.
Una ulteriore e non meno importante questione si pone rispetto all’assegno stabilito in sede di separazione: con sentenza del 16 maggio 2017 n. 12196, la Cassazione ha, infatti, affrontato il tema dell’assegno di mantenimento in sede di separazione. In tale circostanza, viene ripreso il concetto del tenore di vita, abbandonato in sede di divorzio solo qualche giorno prima con la sentenza n. 11504/2017. E’ vero che l’assegno di mantenimento svolge una funzione ulteriore rispetto a quello del divorzio: l’art. 156 c.c. evoca, infatti, la permanenza del dovere di assistenza morale e materiale di cui all’art. 143 c.c. mentre l’assegno divorzile ha una ragione meramente assistenziale. I due istituti, tuttavia, seppur diversi, hanno sempre avuto il medesimo criterio base di determinazione, ossia il tenore di vita, e le interferenze tra loro pongono oggi problemi, proprio in relazione alla loro diversa ratio[10].
8. Il Tribunale di Udine si discosta dai principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte
In tale quadro, se alcuni Tribunali si sono immediatamente adeguati ai nuovi principi espressi dalla sentenza in commento[11], altre pronunce dei giudici di merito si sono, invece, già discostate dalla stessa.
In particolare, il Tribunale di Udine, sez. I Civile, sentenza 11 maggio – 1 giugno 2017 (pronuncia allegata sulla destra dell'articolo), dissentendo dal recente orientamento della Cassazione, ha riconosciuto il diritto a percepire l'assegno di divorzio in capo all'ex moglie convenuta, tenendo conto del tenore di vita goduto nel corso del matrimonio. Il Tribunale ha ritenuto preferibile seguire l’orientamento definito maggioritario secondo cui l’accertamento del diritto all’assegno divorzile si articola in una prima fase in cui il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’adeguatezza o meno dei mezzi del richiedente, raffrontati con un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio, e in una seconda fase in cui procede alla determinazione in concreto dell’ammontare dell’assegno, compiuta tenendo conto degli elementi indicati nell’art. 5, co 6, l. n. 898/1970. Secondo il Tribunale, l’orientamento seguito di recente dalla Cassazione identifica quale parametro della valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l’assegno divorzile il “raggiungimento dell’indipendenza economica” "senza ancorarlo ad alcun parametro effettivo, rendendo quindi del tutto astratto e non calcolabile in concreto questo metro di giudizio".
Una lettura logico-sistematica dell’art. 5 l. n. 898/1970 (in particolare co 5 e 9) consente, invece, di pervenire alla conclusione secondo cui il legislatore abbia inteso ancorare l’assegno divorzile a tutti i criteri indicati nella norma e, quindi, anche al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio o a quello che era ragionevole aspettarsi in futuro.
9. I criteri di determinazione dell'assegno di divorzio nel nuovo d.d.l. Ferranti e l'assegno a tempo
In seguito alla sentenza della Cassazione, come detto, alcuni provvedimenti giudiziali si sono adeguati alla nuova lettura dell'art. 5 l. 898/1970, altre pronunce, invece, hanno valorizzato l'idea secondo cui resta fondamentale l'apporto che il coniuge ha dato alla vita matrimoniale. Si è, così, registrata un'oscillazione tra due estremi giurisprudenziali. Si è detto, dunque, dell'auspicabilità di un intervento della Corte di Cassazione, nel suo supremo consesso, affinché possa individuare un criterio certo ed univoco cui ancorare la determinazione dell'assegno divorzile da parte dei giudici di merito.
Per riportare la questione ad un punto di sintesi e così rispondere ad esigenze di giustizia, ragionevolezza e prevedibilità delle decisioni, il nuovo disegno di legge di Donatella Ferranti intende modificare l’art.5 co 6 della legge sul divorzio[12]. Tale nuova normativa darebbe sostanza a quanto espresso dalla sentenza della Cassazione "Grilli" e, allo stesso tempo, potrebbe evitare il sorgere di applicazioni troppo stringenti della disciplina sia in un senso che nell’altro.
Tale disegno di legge intende, dunque, rispondere, da un lato, ad un'esigenza di certezza, dall'altro, ad un bisogno di equità. Per far questo è ovviamente necessario che vengano stabiliti nuovi parametri chiari, tenendo conto di quella che è stata l'evoluzione culturale, economica e sociale nella materia del matrimonio di questi anni.
Eliminato il criterio del tenore di vita in costanza di matrimonio, conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione, il disegno di legge introduce nuovi parametri e, in particolare, quello delle condizioni economiche in cui i due coniugi vengono a trovarsi in seguito al divorzio, quello del contributo personale dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio nonché altri basati sul reddito e sulla formazione professionale[13].
Con il disegno di legge in commento s'intende, inoltre, introdurre un'altra importante novità e cioè quella dell'assegno, per così dire, a tempo, ispirato ai modelli di alcuni Paesi europei. Ciò comporterebbe l'introduzione di un assegno di divorzio con durata predeterminata e a scadenza, nel caso in cui il coniuge richiedente si trovi in una situazione di reddito ridotto per ragioni contingenti o superabili.
La novella legislativa, allo stato, è incardinata in commissione giustizia[14]; essa potrebbe portare ad unità le pronunce giudiziali, assicurando a tutti i cittadini la prevedibilità e la ragionevolezza delle decisioni sul tema. In considerazione del fatto che sono prossime le elezioni politiche e che quindi sono stretti i tempi di fine legislatura, bisognerà attendere i futuri sviluppi.
Note e riferimenti bibliografici
[1] "Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".
[2] In qualche decisione la Suprema Corte era giunta anche ad affermare che "non è necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, che può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando invece l’apprezzabile deterioramento - a seguito e per effetto del divorzio - delle condizioni economiche del medesimo, che in via di massima devono essere ripristinate" (Cass., 2 luglio 1998, n. 6468; Cass., 27 novembre 2013, n. 26491).
[3] Il principio dell'autoresponsabilità economica era già stato evidenziato dalla recente giurisprudenza di legittimità in materia di mantenimento del figlio maggiorenne, laddove è stato escluso il diritto all'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne che, sia pur disoccupato, rifiuti ingiustificatamente l'impegno lavorativo (Cass. n. 12952/2016).
[4] Si legge, infatti, in Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017 n. 11504: "con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale- a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all'art. 143 c.c.- sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo sia pure limitatamente alla dimensione economica del "tenore di vita matrimoniale" ivi condotto- in una indebita prospettiva, per così dire, di "ultrattività" del vincolo matrimoniale".
[5] Si legge, infatti, in Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017 n. 11504: "il diritto all'assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all'ex coniuge richiedente, nella fase dell'an debeatur, esclusivamente come "persona singola" e non già come (ancora) "parte" di un rapporto matrimoniale ormai estinto [...] avendo il legislatore della riforma del 1987 informato la disciplina dell'assegno di divorzio, sia pure per implicito ma in modo inequivoco, al principio di "autoresponsabilità" economica degli ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio".
[6] Si legge, infatti, in Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017 n. 11504: "Le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell'esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come "sistemazione definitiva" [...]. Quest'esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che -oggi - è possibile "sciogliere", previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all'ufficiale dello stato civile, a norma del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 12, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, art. 1, comma 1".
[7] Invero, già prima di questa importante pronuncia della Corte di Cassazione, il Tribunale di Bari, sentenza del 21 marzo 2017 n. 1528 pres. e rel. De Simone, aveva affermato che solo i legami riguardanti i figli sono destinati a rimanere in vita tra gli ex coniugi dopo il divorzio, mentre la regolamentazione dei rapporti patrimoniali deve tener conto della loro necessaria temporaneità. Pertanto, a seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale, gli ex coniugi hanno "il dovere morale, prima ancora che legale, di rendersi autosufficienti"; occorre, quindi, "evitare di collegare conseguenze economiche a situazioni i cui effetti giuridici siano ormai definitivamente venuti meno".
[8] Si legge, infatti, in Cass., Sez. I civ., 10 maggio 2017 n. 11504: "il parametro dell'indipendenza economica - se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione ("assegno periodico") dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 c.c.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30, comma 1) che riconosce anche allo stesso figlio maggiorenne il diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione, - a maggior ragione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all'assegno di divorzio, in una situazione giuridica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge- quindi dalla piena riacquisizione dello status individuale di "persona singola".
[9] Cass., Sez. I civ., 787/2017.
[10] In argomento, pare opportuno segnalare una recente pronuncia della Corte d'appello di Roma del 5 dicembre 2017 che porta un contributo alla tesi secondo cui i tempi sono ormai maturi per abbandonare il riferimento al tenore di vita vissuto in costanza di matrimonio non solo per la determinazione della misura dell'assegno divorzile, ma anche di quello di separazione. La Corte d'appello di Roma, nel revocare l'assegno di mantenimento in favore dell'ex coniuge, aspirante beneficiaria, in quanto in grado, per la capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, di provvedere con i propri mezzi a se stessa, ha, in sostanza, effettuato una diretta analisi della capacità di sostentamento dell'aspirante beneficiaria. La sezione famiglia dell'appello, dunque, con tale decreto, nell'esaminare la sussistenza dei presupposti per concedere l'assegno di separazione, ha aderito alla sentenza "Grilli" (Cass. 11504/2017), accogliendo il reclamo di un marito e disponendo così la revoca del mensile disposto a seguito del primo giudizio incentrato sulla mera comparazione tra la situazione economica dei coniugi al momento in cui si sono divisi. Per la Corte, viceversa, vanno considerate "le rilevanti peculiarità della vicenda coniugale e personale di vita delle parti che non possono non avere riflesso nella disciplina dei diritti/doveri nascenti dalla separazione".
[11] Il Tribunale, Milano, sez. IX civile, ordinanza 22 maggio 2017, ha subito applicato i nuovi principi specificando che: “Per indipendenza economica deve intendersi la capacità per una persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)”. “Un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato, consente (ove non superato) a un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato".
[12] PROPOSTA DI LEGGE n. 4605 d'iniziativa dei deputati FERRANTI, VERINI, DAMBRUOSO, ROSSOMANDO, MATTIELLO, GIULIANI, IORI, AMODDIO, GIUSEPPE GUERINI, TARTAGLIONE, ZAN: "Modifiche all'articolo 5 della legge 898/1970, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile" presentata il 27 luglio 2017. Tale proposta di legge è volta ad introdurre anche nel nostro ordinamento, come già in altri Paesi europei, una soluzione di equità tanto attesa dalla società civile in materia di assegno post-matrimoniale. La proposta di legge prende infatti avvio dal recente revirement della Corte di Cassazione in materia di determinazione dell'assegno divorzile. Secondo i sostenitori della proposta in esame, il contrastante quadro giurisprudenziale che si è venuto a creare richiede un urgente intervento legislativo, volto a fissare precise linee normative rispondenti all'esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento e, dall'altro, che sia causa di degrado esistenziale del coniuge economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia rinunciando in tal modo a sviluppare una buona formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa.
[13] Il testo della summenzionata proposta di legge è il seguente:
Art. 1.
1. Il sesto comma dell'articolo 5 della legge dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente:
«Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale dispone l'attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a compensare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita dei coniugi».
2. Dopo il sesto comma dell'articolo 5 della legge dicembre 1970, n. 898, sono inseriti i seguenti:
«Nella determinazione dell'assegno il tribunale valuta le condizioni economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio; le ragioni dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; la durata del matrimonio; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune; il reddito di entrambi, l'impegno di cura personale di figli comuni minori o disabili, assunto dall'uno o dall'altro coniuge; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive; la mancanza di un'adeguata formazione professionale quale conseguenza dell'adempimento di doveri coniugali.
Tenuto conto di tutte le circostanze il tribunale può predeterminare la durata dell'assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili.
L'assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l'assegno, degli obblighi coniugali».
3. Ai sensi dell'articolo 1, comma 25, della legge 20 maggio 2016, n. 76, le disposizioni introdotte dal comma 1 del presente articolo si applicano anche nei casi di scioglimento delle unioni civili.
4. Al comma 25 dell'articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, le parole: «dal quinto all'undicesimo comma» sono sostituite dalle seguenti: «dal quinto al quindicesimo comma».
[14] Il 27/12/2017 è stato concluso l'esame della proposta da parte della commissione giustizia.