Atti persecutori: evoluzione del reato e condotte riparatorie nei confronti della vittima.
Modifica paginaL´evoluzione normativa e giurisprudenziale del reato comunemente definito ”stalking”, con particolare riguardo alla discussa pronuncia del GUP di Torino in tema di estinzione del reato in conseguenza di offerta economica alla persona offesa.
Sommario: 1. Premessa 2. Storia dell’istituto ed evoluzione normativa 3. Conseguenze e condotte riparatorie (in particolare, pronuncia GUP Torino n. 1299 del 02 ottobre 2017) 4. Conclusioni.
1. Premessa
La problematica relativa alla riparazione delle conseguenze del reato di atti persecutori è recentemente tornata alla ribalta delle cronache per la pronuncia del G.U.P. di Torino, Dott.ssa Rosanna La Rosa, dello scorso 2 ottobre[1], la quale ha stabilito il non doversi procedere a carico di un imputato di stalking il quale, ai sensi della norma di nuovo conio di cui all’art. 162 ter c.p.[2], consente di fare un’offerta reale ai sensi dell’art. 1208 c.c. alla vittima, offerta che, ritenuta congrua dal giudice, pur in presenza di rifiuto della persona offesa, comporta l’estinzione del reato, quale condotta riparatoria dello stesso.
Evidenti le reazioni da più parti che hanno gridato allo scandalo, in virtù del fatto che un reato così grave, e con ripercussioni sia fisiche che psicologiche sulla vittima come quello di cui all’art. 612 bis c.p.[3], possa essere “riparato” attraverso un pugno di soldi, come da taluno sostenuto.
Ma prima di addentrarci nella tematica strettamente connessa ai vari rimedi utilizzabili al fine di eliminare o, quantomeno, ridurre i danni provocati da un simile reato, occorre accennare alla storia che ha portato all’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del fenomeno dello stalking, rimasto privo di tipizzazione legislativa fino al 2009.
2. Storia dell’istituto ed evoluzione normativa
In primo luogo, bisogna far presente che in Italia l’introduzione del reato è stata tardiva rispetto ad altri ordinamenti (Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Australia), dove la regolamentazione dell’istituto risale agli anni ’90. Il fenomeno, tuttavia, non era affatto sconosciuto. Si può dire che già negli anni ’80 si parlava di molestie assillanti le quali, però, riguardavano principalmente personaggi dello spettacolo e dello sport. Negli ultimi tempi, invece, il problema si è esteso, coinvolgendo chiunque.
Lo stalking è entrato a far parte del nostro ordinamento con il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11, convertito nella Legge 23 aprile 2009 n. 38[4], che ha inserito nel Capo III Titolo XII Parte II del c.p. l’art. 612 bis c.p., intitolato “atti persecutori”.
Prima della summenzionata disciplina, le condotte persecutorie non potevano che essere ricondotte in altri reati previsti dal c.p., come la molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), la violazione di domicilio (art. 614 c.p.), norme che tuttavia non erano in grado di cogliere esattamente la peculiarità della condotta in questione. Infatti, il reato di minaccia non sempre è idoneo a coprire i comportamenti degli stalkers che, pur comportando un fondato timore per la propria incolumità in capo alla vittima, non sono posti in essere tramite la prospettazione di un male futuro qual è la minaccia. O ancora, nel caso della violenza privata, occorre che la violenza o minaccia sia posta in essere in danno della vittima, mentre nel caso dello stalking, non sempre l’agente ricorre a modalità violente o minacciose.
La nuova fattispecie, dunque, serve proprio a colmare quel vuoto di tutela penale determinato dall’impossibilità di incriminare, se non attraverso l’istituto della continuazione, forme di minaccia, violenza, molestia, poste in essere in maniera seriale.
Ecco che emerge l’elemento costitutivo del reato di atti persecutori: la reiterazione delle condotte e la loro protrazione nel tempo. È necessario, per integrare il reato de quo, la realizzazione entro un certo lasso temporale di condotte omogenee, configurandosi l’art. 612 bis c.p. quale reato abituale, al pari dei maltrattamenti in famiglia. A tal riguardo, la Suprema Corte di Cassazione[5] ha statuito che anche solo due condotte di minaccia o molestia integrano il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., in quanto idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice. Con la conseguenza che, in assenza di reiterazione, i singoli atti posti in essere in un’unica occasione non integrano il delitto di atti persecutori ma, come già accennato, altre fattispecie conosciute dall’ordinamento, eventualmente avvinte dal vincolo della continuazione (ad esempio, nel caso di interruzione fra una serie e l’altra di episodi lesivi)[6].
La mancanza di una disciplina transitoria sulle condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore del decreto legge che ha introdotto l’art. 612 bis c.p. ha fatto sorgere contrasti in dottrina e giurisprudenza con riguardo al problema dell’individuazione del tempus commissi delicti. Una parte maggioritaria della dottrina e giurisprudenza fa riferimento alla teoria della condotta, secondo la quale occorre considerare il momento di realizzazione della condotta descritta dalla fattispecie, a nulla rilevando il momento di verificazione dell’evento.
Inoltre, per i reati abituali in particolare, come è quello di atti persecutori, deve tenersi distinto il momento del perfezionamento da quello della consumazione del reato. Il reato è perfetto quando l’agente ha realizzato tutti gli elementi del fatto tipico, ma ciò non sempre coincide col momento consumativo. Nel reato di atti persecutori l’agente è in condizione di orientare le proprie azioni per il futuro solo dalla data di entrata in vigore della nuova norma, sicchè una condanna ex art. 612 bis c.p. fondata su condotte commesse prima dell’entrata in vigore della suddetta norma violerebbe palesemente il principio di irretroattività della norma penale, in quanto la nuova norma penale non avrebbe potuto svolgere alcuna funzione di orientamento della condotta dell’individuo. Sul versante opposto, invece, si violerebbe il principio di legalità se si condannasse un soggetto con la nuova norma per aver posto in essere, dopo l’introduzione della stessa, solamente una condotta di molestia o minaccia, mancando l’elemento costitutivo della reiterazione.
In giurisprudenza si è registrato un contrasto interpretativo. Un primo orientamento, basandosi su un’interpretazione stringente del principio di irretroattività della norma penale sfavorevole al reo, ha escluso che gli atti persecutori commessi prima dell’entrata in vigore del decreto legge possano ritenersi rilevanti ai fini dell’integrazione del reato de quo[7], la nuova norma applicandosi solo alle condotte commesse dopo la sua entrata in vigore. Per converso, altra impostazione ha attribuito rilievo anche alle condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore del decreto legge[8].
Il reato in esame tutela il bene giuridico della libertà morale e consiste in una forma di aggressione psicologica e fisica finalizzata a sopraffare la volontà della vittima e la sua capacità di resistenza, attraverso un’incessante condotta persecutoria.
I comportamenti dello stalker devono determinare nella persona offesa uno dei tre eventi alternativamente previsti dall’art. 612 bis c.p. : 1) perdurante e grave stato di ansia o di paura; 2) fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone vicine; 3) costrizione all’alterazione delle proprie abitudini di vita[9]. Si tratta, quindi, di reato di danno e di evento[10], a forma libera, in quanto le condotte di minaccia o molestia possono concretarsi in una molteplicità di forme non aprioristicamente individuabili.
Da notare, inoltre, l’utilizzo dell’espressione “cagionare” nell’art. 612 bis c.p., che implica un rapporto di causalità tra la condotta e uno dei tre possibili ambiti di aggressione della vittima: 1) il piano psicologico (“il perdurante e grave stato di ansia e di paura”); 2) il piano fisico-biologico (“il fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone a lei vicine”); 3) il piano del danno alla libertà di autodeterminazione (“costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita”).
Per quanto concerne l’elemento soggettivo, esso consiste nel dolo generico, ossia nella coscienza e volontà della condotta ma, essendo un reato di evento, l’agente deve anche rappresentarsi e volere uno degli eventi descritti dalla norma.
Al fine di anticipare la soglia di intervento penale, il legislatore ha configurato la fattispecie in forma “elastica”, scontando un’evidente indeterminatezza di fondo. Si pensi al concetto dell’alterazione delle abitudini di vita o al grave stato di ansia o di paura, elementi normativi di carattere extra giuridico che possono dipendere da una molteplicità di fattori variabili e non preventivamente identificabili. Vi possono essere disturbi legati alla depressione, ansia, angoscia, insonnia, depressione del tono dell’umore, disturbo acuto da stress, disturbo di somatizzazione, i quali possono portare a trattamenti farmacologici o psicoterapeutici. Ovviamente, l’operatore del diritto, per orientarsi in relazione a tale fattispecie di reato, dovrà far riferimento alla scienza medica e ai parametri forniti dalla medicina legale.
3. Conseguenze e condotte riparatorie (in particolare, pronuncia GUP Torino n. 1299 del 02 ottobre 2017)
Il reato di atti persecutori coinvolge due soggetti: lo stalker e la vittima.
Per quanto concerne le condotte dell’agente, esse possono essere le più disparate: aspettare, inseguire, sorvegliare la persona, raccogliere informazioni sui movimenti della vittima, appostamenti sotto casa o nel luogo di lavoro, pedinamenti, invio di lettere, email, telefonate, messaggi, graffiti o murales, furto della corrispondenza, danneggiamento delle proprietà della vittima ecc., anche attraverso il mondo virtuale e dei social network cd. cyberstalking.
Con riferimento specifico, invece, alla vittima, occorre, prima di tutto, evidenziare che le condotte persecutorie possono essere indirizzate sia a donne che uomini, ma che colpiscono per lo più le donne (circa l’86%). Le persone più a rischio sono quelle che svolgono le cd. “professioni di aiuto”, come nel caso di avvocati molestati per aver perso una causa o di giudici per aver emesso una sentenza di condanna o di chirurghi per aver sbagliato l’operazione.
In alcuni casi, la gravità della situazione impone alla vittima scelte radicali, come lo stravolgimento delle proprie abitudini di vita, il cambiamento del numero di telefono, del lavoro, della casa, della città, il trasferimento all’estero, l’acquisto di un’arma, la frequentazione di corsi di autodifesa, l’uso del cognome da nubile, l’installazione di sistemi di allarme, la sostituzione della serratura della porta.
È da premettere che proprio la paura di ritorsioni, il timore di pregiudizi, la vergogna derivante da convenzioni sociali o familiari, comportano una difficoltà per la vittima nel denunciare tali fatti. Una ricerca dell’Associazione italiana di psicologia e criminologia ha, infatti, fatto emergere che i casi denunciati alle forze dell’ordine sono solamente il 20%.
La vittima di atti persecutori, oltre a dover denunciare tempestivamente simili episodi, viene tutelata in vario modo dall’ordinamento giuridico.
In primo luogo, è prevista una tutela cautelare. L’art. 282 ter c.p.p., infatti, prevede la possibilità per il giudice di prescrivere all’imputato il divieto di avvicinamento a determinati luoghi frequentati abitualmente dalla persona offesa o da persone comunque legate alla stessa da vincoli di parentela o conviventi o legate da qualsiasi relazione affettiva. È inoltre possibile anche imporre all’imputato il divieto di comunicare in qualsiasi modo con le suddette persone.
Sono previste, inoltre, particolari tutele nell’ambito del processo penale relativo a tale tipologia di reato. È ampliata la possibilità di ricorso all’incidente probatorio quale strumento di acquisizione anticipata della prova prima del dibattimento o il suo svolgimento con modalità peculiari qualora la persona offesa è minore d’età, disabile o maggiorenne con particolare vulnerabilità, prevedendo che l’udienza si svolga presso l’abitazione della vittima del reato.
Il reato di atti persecutori, poi, comporta danni oggetto di pretesa risarcitoria, configurandosi anche quale illecito civile di natura aquiliana. In particolare, vi è un danno “esistenziale”, in quanto, a causa degli atti persecutori, si verifica una modificazione peggiorativa della sfera personale della vittima, relativamente ai rapporti affettivi, sociali ecc. Tale danno ovviamente va provato mediante le ripercussioni che il comportamento dello stalker ha esercitato sul soggetto passivo. Altra linea interpretativa considera, invece, tale danno come “biologico”, legato alle varie patologie che possono insorgere, da valutare attraverso consulenza medico-legale. La vittima, dunque, avrà diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non, costituendosi parte civile nel processo penale o attivando un’autonoma azione civile.
Altra caratteristica di questo reato è che, in genere, la procedibilità è a querela della persona offesa. Però, si procede d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o con minacce gravi o quando è connesso con altro reato per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio.
Ma vi è di più. Ai sensi dell’art. 612 ter c.p., la vittima che ha già subito o denunciato condotte persecutorie e che abbia fondato motivo di temere che si ripetano in futuro, può presentare una diffida formale dal compiere ulteriori atti persecutori, all’Autorità di Polizia di Stato, previa autorizzazione del Pubblico Ministero procedente. Tale disposizione, quindi, prevede un ulteriore strumento cautelare che consente di intervenire tempestivamente e preventivamente per evitare la reiterazione dei comportamenti persecutori. Se poi, nonostante la diffida formale, lo stalker continua nella condotta persecutoria, il reato diventa perseguibile d’ufficio e la pena viene aumentata.
È proprio con riferimento alle varie modalità che consentono di riparare in qualche modo alle conseguenze dannose subite dalla vittima di stalking che è intervenuto recentemente il legislatore con l’introduzione dell’art. 162 ter c.p. ad opera dell’art. 1, comma 1, della Legge 103/2017, entrata in vigore il 4 agosto scorso.
La disposizione di nuovo conio prevede una causa di estinzione del reato nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, qualora l’imputato abbia riparato interamente il danno cagionato dal reato attraverso le restituzioni o il risarcimento, ed eliminato per quanto possibile le conseguenze dannose o pericolose dello stesso. Si stabilisce, altresì, che il risarcimento può essere concesso anche a seguito di un’offerta reale ex artt. 1208 e ss. c.c., formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, qualora il giudice ritenga comunque congrua la somma offerta. La riparazione deve avvenire entro il termine massimo di apertura del dibattimento in primo grado. Il giudice, però, ha la facoltà di concedere più tempo all’imputato per il pagamento di quanto dovuto, anche a rate, se quest’ultimo dimostra di non aver potuto adempiere nel termine originariamente concesso, col limite massimo di sei mesi.
Una delle primissime applicazioni di questa nuova norma è stata fatta proprio nella pronuncia che qui si commenta e che tante critiche ha sollevato, portando all’impugnazione della stessa da parte della Procura Generale del Piemonte. La sentenza del G.U.P. di Torino (Dott.ssa Rosanna La Rosa) del 2 ottobre scorso, infatti, stabilisce il non doversi procedere ex art. 531 c.p.p. per estinzione del reato nei confronti di un imputato di stalking[11] che aveva chiesto il rito abbreviato ed offerto 1.500 euro quale risarcimento alla parte lesa, che aveva rifiutato il denaro. Nonostante il diniego, però, il giudice ha ritenuto congrua la somma offerta rispetto all’entità dei fatti, considerando riparata la condotta criminosa. Ha, dunque, imposto alla vittima di accettare la cifra offertale e disposto il deposito della somma su un libretto di deposito intestato alla donna.
La sentenza in esame è stata da subito criticata da più parti, ritenendo assurdo e inaccettabile che la vittima del reato non abbia voce in capitolo nella decisione del giudice di accogliere o meno la somma proposta dallo stalker per riparare al danno subito e che tutto possa finire con un pugno di soldi[12]. Si è anche palesato il rischio che tale pronuncia costituisca un precedente pericoloso per incentivare episodi di stalking lanciando un messaggio sbagliato, che non si commette reato se dopo aver compiuto atti persecutori, si offre alla vittima denaro quale risarcimento, monetizzando l’offesa al bene giuridico e la sofferenza subita dalla persona offesa, quantificandola in una somma davvero irrisoria rispetto alle ripercussioni che la vittima di tali reati si porta dietro per tutta la vita[13].
Proprio la grande indignazione diffusa da tale sentenza ha portato la Procura Generale del Piemonte ad impugnarla e il legislatore a porre in essere una riforma per eliminare il reato di atti persecutori dalla lista dei reati che è possibile estinguere con una condotta riparatoria. L’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, infatti, su indicazione dello stesso Ministro Orlando, ha dato parere favorevole all’emendamento presentato dalla senatrice del PD, Francesca Puglisi, al disegno di legge di tutela degli orfani degli omicidi domestici, prevedendo che il giudice non possa prosciogliere l’imputato di stalking che paga, senza il consenso espresso della vittima. In tal modo, al nuovo art. 162 ter c.p., introdotto dalla stessa Riforma Orlando con Legge n. 103 del 2017, andrà aggiunta la frase: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all’articolo 612 bis”.
A tal riguardo, la Commissione bilancio del Senato, col decreto legge fiscale[14] collegato alla manovra 2018, ha approvato l’emendamento che stabilisce l’esclusione del reato di atti persecutori dai reati estinguibili attraverso un semplice risarcimento. Ora la parola passa alla Commissione Giustizia della Camera per l’approvazione definitiva, che dovrebbe arrivare a giorni.
4. Conclusioni
Alla luce di quanto detto finora, è sicuramente da apprezzare la scelta legislativa volta a rendere il reato di atti persecutori “non riparabile” attraverso una mera monetizzazione che rischia solamente di dare adito alla perpetrazione di simili episodi, sicuri poi gli stalkers della possibilità di rimediare a tutto attraverso il dio denaro.
È per questo che tale riforma cerca di recuperare il valore fondamentale dell’effettività della tutela giustiziale, quale principio generale dell’ordinamento giuridico sia interno che internazionale, e l’importanza dell’interesse giuridico primario in gioco, quello della libertà morale della vittima del reato.
Note e riferimenti bibliografici
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• VALENTI R., “Delitto di atti persecutori (stalking)”in “Diritto.net”, Milano, 2011.
[1] Sentenza n. 1299 del 02.10.2017, Tribunale di Torino, Sezione dei Giudici per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare.
[2] Recita l’art. 162 ter c.p. (Estinzione del reato per condotte riparatorie), introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, cd. Riforma Orlando: “Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l'imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall'imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.
Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l'imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l'articolo 240, secondo comma.
Il giudice dichiara l'estinzione del reato, di cui al primo comma, all'esito positivo delle condotte riparatorie”.
[3]Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.
[4] “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”
[5] Cass. 21 gennaio 2010 n. 6417, depositata il 17 febbraio 2010, una delle prime pronunce di legittimità in tema di atti persecutori.
[6] A tal fine, si ha riguardo al significato letterale del termine “reiterare”, inteso quale ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza.
[7] G.I.P. Reggio Emilia 10 aprile 2009.
[8] G.I.P. Tribunale di Grosseto 23 aprile 2009 n. 7-8; Tribunale di Lucera, 30 giugno 2009.
[9] A tal riguardo, preme sottolineare la scelta del legislatore di sostituire la formulazione originaria che utilizzava l’espressione “scelte di vita” con quella attuale di “abitudini di vita”, che pare più corretta, in quanto indica comportamenti esteriori più facilmente apprezzabili rispetto a proiezioni più intime e difficili da provare.
[10] Tribunale di Bari 6 aprile 2009.
[11] Nella specie, l’uomo era accusato di aver seguito in auto in molte occasioni la donna, in varie località del circondario di Torino.
[12] E’ quanto affermato dal Presidente di Telefono Rosa, Gabriella Carnieri Moscatelli.
[13] Questo anche il pensiero del Presidente del Codacons, Carlo Rienzi.
[14] D.L. 16/10/2017 n. 148 (G.U. 17/10/2017) recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili”.