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Pubbl. Ven, 10 Nov 2017

Il diritto all´oblio nella giurisprudenza italiana ed europea

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Chiara Anna Pia Giordano


Le prime posizioni delle Corti italiana dopo il caso Google Spain in tema di diritto all´oblio.


Il presupposto di questo nuovo diritto, che va raccordato con il diritto di cronaca, va ravvisato nel principio per cui un determinato accadimento, reso di dominio pubblico dal web o dalla stampa, dovrebbe tornare ad essere esclusivamente privato quando perde di qualsiasi utilità per l'interesse pubblico, essendo stato già stato conosciuto e assimilato dalla comunità.

Nel momento in cui, insomma, l'interesse pubblico alla conoscenza di un determinato fatto viene meno, il nostro ordinamento deve tornare a garantire pienamente il diritto alla riservatezza e la reputazione dei soggetti che ne sono stati coinvolti.

È il c.d. “diritto all’oblio” che, a ben vedere, si declina in tre accezioni. Tradizionalmente è il diritto di un soggetto a non rendere noti dati attinenti la propria persona per accadimenti legittimamente pubblicati e rispetto a quali è trascorso un notevole lasso di tempo. Nel secondo significato non si fa più riferimento al periodo che intercorre tra la pubblicazione dell’informazione e la sua ripubblicazione bensì a quello di permanenza della stessa on-line. La terza accezione è quella che si riferisce al diritto alla rettifica e alla cancellazione dei dati personali o all’opposizione al trattamento degli stessi come previsto dall’art. 12 della direttiva 95/46/CE le cui disposizioni hanno dato vita al D.Lgs. n.196/03 “Codice in materia di protezione dei dati personali”.

È proprio tale ultima accezione quella utilizzata dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 13 maggio 2014, nella quale la Grande Sezione è intervenuta sugli obblighi dei gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali delle persone che non desiderano l’indicizzazione e pubblicazione in modo indefinito di alcune informazioni.

All’origine della vicenda vi è una richiesta con la quale un cittadino spagnolo aveva cercato di ottenere, prima dal gestore del sito e poi da Google, la rimozione di alcuni dati personali pubblicati su un articolo di giornale ritenuti non più attuali. Su ricorso dell’interessato, l’Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) aveva ordinato a Google di rimuovere i dati in questione dai risultati generati attraverso il motore di ricerca. Google aveva rifiutato di ottemperare alla richiesta rilevando, tra l’altro, come l’intervento imposto dall’AEPD potesse configurare un’indebita compromissione della libertà di espressione dei gestori di siti Internet. La Corte suprema spagnola, investita dell’appello contro il provvedimento dell’AEPD, sollevava, pertanto, di fronte alla Corte di Giustizia alcune questioni pregiudiziali relative all’applicabilità della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati personali a fornitori di servizi come Google e al suddetto “diritto all’oblio” dei soggetti cui i dati personali si riferiscono.

Con la sentenza in esame la Corte di Giustizia, afferma che costituisce “trattamento di dati personali” l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, qualora tali informazioni contengano dati personali.
Tuttavia, la Corte sostiene che il gestore del motore di ricerca deve essere considerato titolare del menzionato trattamento, in quanto ne determina le finalità e gli strumenti.

Con riferimento all’ambito di applicazione territoriale della normativa sulla protezione dei dati personali, la Corte osserva che Google Spain costituisce una filiale di Google nel territorio spagnolo e, pertanto, uno “stabilimento” ai sensi della Direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati. Al riguardo, la Corte considera che, quando dati siffatti vengono trattati per le esigenze di un motore di ricerca gestito da un’impresa che, sebbene situata in uno Stato terzo, dispone di uno stabilimento in uno Stato membro, il trattamento viene effettuato “nel contesto delle attività” di tale stabilimento, ai sensi della Direttiva, qualora quest’ultimo sia destinato ad assicurare, nello Stato membro in questione, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti sul motore di ricerca al fine di rendere redditizio il servizio offerto da quest’ultimo.

Inoltre, la Corte afferma che il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, alcuni link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò anche nel caso in cui la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita.

Infine, interrogata sulla questione relativa alla portata del diritto all’oblio degli interessati, la Corte afferma che occorre verificare, in particolare, se l’interessato abbia diritto a che informazioni riguardanti la sua persona non vengano più, allo stato attuale, collegate al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome.
Qualora si verifichi un’ipotesi siffatta, i link verso pagine web contenenti tali informazioni devono essere cancellati dall’elenco dei risultati di ricerca, a meno che sussistano ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, giustificanti un interesse preminente del pubblico ad avere accesso a dette informazioni.
La Corte precisa che la persona interessata può rivolgere domande siffatte direttamente al gestore del motore di ricerca (anche quando nessun ordine di rimozione sia stato formulato nei confronti del gestore del sito) che deve in tal caso procedere ad un debito esame della loro fondatezza. In caso di mancato riscontro a tali richieste, l’interessato può adire l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino al suddetto gestore l’adozione di misure precise conseguenti.

Dunque, in particolare, si è affermato che ogni interessato, in virtù di quanto sancito dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, può richiedere che una determinata informazione presente sul web non venga più resa nota: la prevalenza del diritto all'oblio del singolo individuo rispetto all'interesse economico del gestore del motore di ricerca e a quello del grande pubblico, infatti, viene meno solo dinanzi a un evidente interesse pubblico alla conoscenza del fatto.

La pronuncia della Corte di giustizia non ha esitato a superare i confini nazionali: in Italia, ad esempio, essa è stata recepita sin da subito. Tra le prime rilevanti sentenze in argomento si segnala la numero 23771/2015, del 3 dicembre di quell'anno, emessa dal Tribunale di Roma con la precisazione che il diritto all'oblio non è altro che una peculiare espressione del diritto alla riservatezza. Esso, di conseguenza, rende ogni cittadino legittimato a chiedere al singolo motore di ricerca che siano rimossi i contenuti delle pagine web che lo dipingono in maniera non attuale e che sono idonei a ledere la propria reputazione e la propria riservatezza.
Tale sentenza del Tribunale di Roma rileva anche per aver chiarito quali sono i presupposti al ricorrere dei quali è possibile ottenere l'attuazione del diritto all'oblio: innanzitutto si è sancito che il fatto che si intende "dimenticare" non sia recente ma, piuttosto, sia risalente nel tempo; in secondo luogo, si è precisato che tale fatto, in aggiunta, deve avere uno scarso interesse pubblico.

Del resto è fondamentale procedere a un bilanciamento del diritto all'oblio sia con il diritto di cronaca che con l'interesse pubblico a conoscere le informazioni che possono essere acquisite attraverso la rete internet.  A tenerlo in debito conto, innanzitutto, è il Testo unico dei doveri del giornalista, entrati in vigore il 3 febbraio 2016, il cui articolo 3 sancisce che tutti i giornalisti devono evitare di fare riferimento a particolari del passato a meno che essi non risultino essenziali per la completezza dell'informazione resa.

Infine, il diritto all'oblio ha trovato recentemente una prima forma di regolamentazione, a livello comunitario, nel regolamento entrato in vigore il 25 maggio 2016.

In tale testo, sostanzialmente, si sancisce che ogni interessato ha diritto ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Dal canto suo, il titolare del trattamento ha l'obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali di chi lo richiede.
Tale diritto, tuttavia, viene meno quando la diffusione di determinate informazioni sia necessaria per l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, per l'adempimento di un obbligo legale o per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o nell'esercizio di pubblici poteri, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici o per l'accertamento, l'esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.