Pubbl. Mar, 24 Ott 2017
Il segreto professionale vale solo per le circostanze inerenti al mandato ricevuto
Modifica paginaLa Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 25 settembre 2017, n. 22253 resa a Sezioni Unite ha affermato il principio secondo cui ”Il segreto professionale dell´avvocato vale solo ed esclusivamente con riferimento alle circostanze di fatto apprese nell´esercizio della propria attività professionale ed inerenti al mandato ricevuto.”
Nel nostro ordinamento il segreto professionale dell’avvocato è disciplinato sia dal codice di procedura penale che in quello di procedura civile nonché nel codice deontologico che ogni avvocato è tenuto ad osservare.
Nel dettaglio, il codice di procedura penale prevede dapprima una sorta di norma generale (art. 200 c.p.p.) che contiene un elenco dei professionisti che sono tenuti al rispetto del “segreto professionale” e che possono astenersi dal testimoniare e poi disciplina la facoltà di eccepire il segreto professionale in caso di richiesta di esibizione documentale o consegna di atti da parte dell’autorità giudiziaria (art. 256 c.p.p.) nonché la facoltà di astenersi dall’assunzione di informazioni da parte del PM (art. 362 c.p.p.). Orbene, anche il codice di procedura civile prevede la facoltà di astenersi dal rendere testimonianza (art. 249 c.p.c.) e che si rifà a quanto disposto ex art. 200 del codice di procedura penale.
Questo assetto normativo fa sì che sia riconosciuto in capo all’avvocato la possibilità di astenersi dalla testimonianza nonché di esibire documenti così da tutelare i segreti attinenti al cliente: correttamente si parla di “possibilità” in quanto la decisione viene assunta liberamente sulla base di una valutazione che deve tener conto della propria coscienza ma anche del rispetto dell’etica professionale.
Difatti anche il Codice Deontologico forense disciplina il dovere di riservatezza (cfr. art. 13 e 28) in quanto questo rappresenta il presupposto imprescindibile per l’instaurazione di un rapporto di fiducia. La segretezza fa riferimento a qualsiasi tipo di attività venga svolta (sia essa di natura stragiudiziale, processuale o meramente consultiva). Premettendo che la rivelazione di segreti professionali non solo viene punito con la sospensione da uno a tre anni ma costituisce anche un reato punito dall’art. 622 del codice penale, va rammentato che il dovere di riservatezza e l’obbligo del segreto sussistono anche qualora il mandato sia terminato ovvero rinunciato e che l’avvocato è tenuto non solo ad osservare egli stesso la segretezza ma deve far mantenere il segreto anche dai collaboratori e dai praticanti.
Vi sono tuttavia dei casi in cui è consentito derogare a tale obbligo ossia quando sia necessario per lo svolgimento dell’attività di difesa, per impedire la consumazione di un reato di particolare gravità, per allegare fatti in controversie tra avvocato e cliente o parte assistita ovvero nell’ambito di una procedura disciplinare.
Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, il soggetto veniva difeso dall’avvocato in un processo per l’uso di sostanze stupefacenti, concluso il quale veniva meno il rapporto professionale ma iniziava una frequentazione amicale. Durante suddetta frequentazione, il soggetto iniziava ad ingiuriare un avvocato con cui il predetto ex-difensore divideva lo studio: a seguito di tali reiterate ingiurie e minacce, veniva presentata querela e ne scaturiva un processo in cui l’ex difensore veniva citato come testimone. In tale occasione, l’ex difensore del soggetto riferiva che questo appariva talora affetto da "compulsività maniacale" e "mania di persecuzione" e che era stato condannato in precedenza per oltraggio ad un agente di custodia. Sul punto il Collegio rilevava come gli apprezzamenti dell’ex-difensore sulla personalità del soggetto (il riferimento alla "compulsività maniacale" e alla "mania di persecuzione") non costituiscano fatti o circostanze empiriche che ricadono nel divieto del difensore di rendere testimonianza, trattandosi invece di opinioni ed apprezzamenti circa la personalità dell'imputata, per nulla collegati al rapporto di mandato difensivo intercorso tra i due e non si può escludere che tali apprezzamenti possano essere maturati nel successivo rapporto di amicizia e frequentazione instauratosi tra i due (quale risulta dai verbali processuali allegati al ricorso), dopo la cessazione del mandato difensivo. Anche la condanna per oltraggio pronunciata nei confronti del soggetto non risulta in alcun modo collegata al mandato difensivo svolto dall’ex difensore che risaliva a diversi anni prima e che era cessato da tempo. Alla luce di tutto ciò, rileva che non vi fossero le condizioni per cui l’ex-difensore potesse opporre il segreto professionale e potesse astenersi dal deporre.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno avuto modo di evidenziare, con la pronuncia n. 22253/2017 che il segreto professionale ricomprende soltanto quanto appreso nell’esercizio dell’attività professionale. Difatti, gli ermellini hanno osservato come “L'art. 200 c.p.p. prevede, tuttavia, che alcuni soggetti che ricoprono particolari uffici o esercitano particolari professioni, tra i quali gli avvocati, non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ufficio o professione, riconoscendo così ad essi la facoltà di opporre il "segreto professionale" e di essere esentati dall'obbligo di deporre; pur spettando al giudice il potere di sindacare l'opposizione del segreto professionale da parte del testimone e, ove tale opposizione risulti infondata, di ordinare allo stesso di deporre (Cass. pen., Sez. 6, n. 7440 del 10 gennaio 2017; Cass. pen., Sez. 2, n. 13369 del 7 gennaio 2011). Sia l'art. 200 del codice di rito penale che la richiamata disposizione del codice deontologico stabiliscono, dunque, che il segreto professionale dell'avvocato vale solo ed esclusivamente con riferimento alle "circostanze di fatto apprese nell'esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto".
Pertanto viene chiarito quale sia il “limite” del segreto professionale che, dunque, attiene tutto ciò che viene appreso nell’esercizio del propria attività e avuto riguardo col mandato ricevuto e, conseguentemente, non è suscettibile di sanzione disciplinare l’avvocato che testimoni (anche esprimendo apprezzamenti circa la personalità del soggetto) quando le affermazioni non siano collegate al rapporto professionali e non risultino essere appresi nell’esercizio dell’attività professionale o inerenti al mandato ricevuto.