La rappresentanza diplomatica della Santa Sede. Dalle origini ad oggi.
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Ilaria Valentino
In occasione della ricorrenza del centenario della promulgazione del primo Codice di Diritto Canonico (1917), attraverso una breve disamina delle origini storiche del legato pontificio, delle sue funzioni e della sua evoluzione, si affronta il tema della Diplomazia Pontificia e del rapporto che all´attualità la Santa Sede intrattiene con gli Stati.
Fin dalle origini della Chiesa, e ancor prima dell’uso del potere temporale, il Papa ha sempre inviato suoi rappresentanti per mantenere rapporti duraturi con le varie e diverse realtà ecclesiastiche geograficamente lontane da Roma e nelle quali egli non poteva essere fisicamente presente.
Caratteristica principale della politica papale era quella di mantenere l’unità cristiana sotto la sovranità spirituale ed il primato della Santa Sede.
Le prime tracce della formazione di un corpo diplomatico della Santa Sede possono essere rinvenute già agli albori della storia della Chiesa, quando i rappresentanti papali erano inviati nei primi Concili Ecumenici. La presenza di questi inviati era estremamente importante perché la loro funzione principale era garantire l´unità della Chiesa nascente.
Nella metà del secolo V, comincia a sorgere la figura degli Apocrisari (dal greco ἀποκρισιάριος, da ἀποκρίνω attraverso ἀπόκρισις, "risposta"), cioè i rappresentanti del Papa presso le autorità civili alle quali erano inviati. In origine l’Apocrisario era un funzionario inviato dall’Imperatore per rappresentarlo nelle questioni amministrative e di vigilanza. Il loro compito era vegliare sull’integrità della fede nelle province dell’Impero orientale ed informarne il Pontefice.[1
Vi è anche un’altra categoria di rappresentanti diplomatici del papa, costituita dal Legato, che risale agli albori delle Chiesa stessa, periodo nel quale i Pontefici romani erano soliti inviare i legati nei concili e in altre occasioni importanti. Nei territori dello Stato Pontificio, invece, i legati erano gli unici detentori del potere temporale e ne rispondevano direttamente al Papa. Nel contempo, aumentando il potere temporale della Chiesa e formandosi anche uno Stato territoriale, il Papa fu costretto ad occuparsi necessariamente di politica.
Tuttavia, nel corso del XV secolo, per lo sviluppo delle attività politiche tra paesi europei e la critica situazione italiana, la Santa Sede sentirà la necessità di riorganizzare il sistema della rappresentanza diplomatica, riunendo in un'unica persona le funzioni di carattere religioso, politico ed economico, assicurandosi una adeguata unità d’azione dei suoi inviati.
Pertanto, «nella diplomazia pontificia si assisterà alla prevalenza di inviati fiduciari del Pontefice, alla stabilizzazione, dunque, dell’istituto della nunziatura, prodromo della rappresentanza stabile di età moderna, a discapito del tradizionale ruolo del legato a latere».[2]
Nel passaggio dall’era medievale all’era moderna, con la progressiva modernizzazione della società e delle sue istituzioni, inevitabilmente insorge la pressante necessità di intraprendere relazioni diplomatiche più stabili.
Anche la Santa Sede, pur disponendo di notevoli mezzi per difendere gli interessi della Chiesa, si adatterà agli sviluppi internazionali creando l’istituto della nunziatura, assicurandosi così la continuità e la centralità negli affari diplomatici europei.
Con la riforma cattolica, o Controriforma, approvata dal Concilio di Trento (1545), le nunziature subirono un vero e proprio declino durante il pontificato di Paolo IV (1555-1559).
Il compito di rendere l’istituto della rappresentanza diplomatica pontificia un organismo stabile e ben definito fu assunto da Gregorio XIII (1572-1585), quando, nel 1573, iniziò la ristrutturazione delle nunziature e la classificazione delle principali cariche: il legato, cardinale inviato come ambasciatore straordinario; il nunzio, inviato come rappresentante permanente presso l’imperatore e i principi di sangue reale; l’internunzio, inviato diplomatico secondario.[3]
Dalla breve rassegna storica finora effettuata, emerge la circostanza che la comunità internazionale ha sempre guardato al papato, secondo le affermazioni di alcuni autori, come ad una potenza morale sui generis.[4]
Dopo il Congresso di Vienna del 1815, con il Regolamento sulle Relazioni internazionali, completato con il Protocollo di Aix-la-Chapelle del 1818 (nel quale le potenze europee dichiararono di mantenere una intima unione cementata dai legami della fratellanza cristiana), si assiste ad una ridefinizione della posizione giuridica dei rappresentanti pontifici, di fatto riconoscendo la Santa Sede «il più antico soggetto di diritto diplomatico[...] che già esisteva [...] quando gli Stati più potenti, che oggi occupano e dominano la scena politica, ancora non si erano affacciati alla storia».[5]
Tale riconoscimento non muterà anche dopo la debellatio (è noto che con tale termine si indica la totale cancellazione di uno Stato e la estinzione della sua sovranità) dello Stato Pontificio nel 1870 (la presa di Roma dopo la breccia di Porta Pia), quando il papa Pio IX, chiusosi nei palazzi vaticani dichiarandosi prigioniero politico, fu privato definitivamente e del tutto del suo potere temporale.
Ciò nonostante e malgrado tra lo Stato Italiano e la Santa Sede non intercorressero rapporti bilaterali, la Santa Sede continuò ad esercitare il diritto di legazione attivo e passivo, come altresì la stipula dei trattati con gli Stati, tramite i concordati.[6] Tali prerogative vennero riconosciute dalla Stato Italiano con l’art. 11 della L. 13 maggio 1871, detta “delle guarentigie”.[7]
Fino alla Grande Guerra, la Santa Sede assume una posizione neutrale ed un forte impegno internazionale pacifista, fortemente propugnato da Papa Benedetto XV (che definì il conflitto “una inutile strage”), in contrasto con le politiche nazionaliste degli Stati.
Dopo la prima Guerra Mondiale furono stabilite nunziature apostoliche in America Latina e nei nuovi Stati europei.
Ma il successo più importante della diplomazia della Curia Romana, dopo la perdita della sovranità territoriale, fu indubbiamente la conclusione dei Patti Lateranensi del 1929, i quali risolsero definitivamente la questione romana.
La fine della Seconda guerra mondiale segna l’insorgenza di un periodo florido e di espansione per la diplomazia pontificia durante il quale la Chiesa ha accentuato le tematiche relative alla pace, allo sviluppo e ai diritti umani in una visione ecumenica nella quale poco resta del progetto e dei principi di una Res publica Christiana.[8]
Al Legato pontificio è stato dato in primis un ruolo ecclesiale e, in aggiunta, quello politico-diplomatico; egli è un discepolo di Cristo, chiamato ad essere strumento di comunione tra Papa, Vescovi e fedeli nelle realtà in cui è inviato, comprese le Conferenze internazionali.
Essere Diplomatici della Santa Sede è una specifica vocazione sacerdotale e un servizio pastorale.
Il Codice Canonico vigente affronta il tema dei Legati pontifici nel Libro II dal canone 362 al canone 367. Si distinguono diverse categorie di Legati: i Delegati Apostolici e i Nunzi a seconda se sono inviati solo presso le Chiese particolari o anche presso i Governi; i Delegati e gli Osservatori permanenti presso gli Organismi internazionali, se la Santa Sede è membro o meno dei medesimi.
Ai Legati è affidato il compito di rendere saldi ed efficaci i vincoli di unità tra la Santa Sede e le Chiese particolari. Essi godono oltre che di privilegi e facoltà concessigli dal diritto internazionale, anche di quelli propriamente ecclesiastici.
L’attività diplomatica che la Santa Sede realizzerà durante il XX e XXI secolo sarà permeata di una vivace attività sia bilaterale che multilaterale.
In un contesto di crisi e di cambiamenti generali, Papa Giovanni XXIII ha dato grande impulso indicendo il Concilio Vaticano II, affinché la Chiesa potesse riflettere e meditare su se stessa, riprendendo il dialogo con il mondo moderno, aggiornandosi, rimettendosi al passo con i tempi e rendendosi intellegibile agli uomini.
Paolo VI ha portato avanti il Concilio, nonostante le tensioni che si erano venute a creare al suo interno. La Costituzione pastorale "Gaudium et spes" mostra che la Chiesa non è legata ad alcun sistema politico, tuttavia interviene nelle realtà temporali in cui l’uomo agisce. Da ciò consegue la necessità della stretta collaborazione tra la Chiesa, lo Stato e la Comunità internazionale, nel rispetto delle competenze di ciascuno.
Con la caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, la diplomazia della Santa Sede ha subìto una trasformazione e si è avvantaggiata dell’ampliamento del suo raggio di azione.
L’era della globalizzazione ha contribuito a far venir meno gli assetti geopolitici dell’Europa, come fissati dopo la Seconda Guerra Mondiale, e alla caduta dei due blocchi contrapposti: Est-Ovest. Ciò ha permesso alla Chiesa di iniziare la sua missione in quegli Stati in cui prima vigeva un regime comunista. Con Giovanni Paolo II, infatti, si è avuto un ampliamento delle relazioni diplomatiche della Santa Sede.
Va sempre tenuto presente che la Santa Sede non ha una propria “politica estera” da perseguire, per cui il termine “politica estera della Santa Sede” non va inteso nella accezione sua propria poiché la diplomazia pontificia è e deve essere concepita nel senso pastorale, il cui unico fine è quello di arricchire e ravvivare spiritualmente l’ordine temporale nazionale ed internazionale. Uno degli strumenti che la Chiesa ha per intervenire nella realtà internazionale è, quindi, proprio la diplomazia - e quella vaticana è espressione della Santa Sede – di natura ecclesiale, dato il carattere sacerdotale o episcopale dei Nunzi Apostolici, segno del collegamento tra il Papa e i Vescovi delle Chiese locali.
In epoca attuale la diplomazia pontificia individua l’insieme dei comportamenti attuati, secondo le norme del Diritto Canonico, a servizio delle Chiese particolari. Lo scopo è di garantire il libero esercizio dell’attività della Chiesa cattolica, nell’osservanza delle norme internazionali per testimoniare l’impegno a favore della pace, del progresso morale e civile e le buone relazioni tra gli Stati, sia in ambito bilaterale che multilaterale.
Ecco perché Papa Francesco nel viaggio in Corea del 2014 ha parlato della “diplomazia come arte del possibile”.
La rappresentanza diplomatica viene considerata dalla Chiesa cattolica come un ufficio ecclesiastico, cioè un incarico stabilmente costituito per un fine spirituale (can. 145, CIC 1983). Il settore in cui oggi si realizza l’azione multilaterale della Santa Sede è molto ampio: la pace, la sicurezza, il terrorismo, il disarmo nucleare, la tutela dell’ambiente, le diseguaglianze, la difesa dei diritti dei minori e della donna, il dialogo con le altre religioni. Essa costituisce un’azione diplomatica evidente, descritta analiticamente dal Curti Gialdino.
Ad oggi (2017), la Santa Sede intrattiene rapporti diplomatici bilaterali con 182 Paesi (ultima ad allacciare relazioni ufficiali, il 22 febbraio 2013, è stata la Repubblica del Sud Sudan). Intrattiene altresì relazioni diplomatiche con il Sovrano Militare dell’Ordine di Malta (dal febbraio 1930) e con la Comunità/Unione europea (dal 10 novembre 1970). Inoltre, intrattiene relazioni “di natura speciale” con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina – OLP (dal 25 ottobre 1994). Infine, la Santa Sede è presente come osservatore in molte organizzazioni internazionali, fra cui le Nazioni Unite, la FAO, l’ILO, la WHO, l’UNESCO, la WTO, l’OSA, il Consiglio d’Europa. Essa è Osservatrice Permanente dell’ONU e non membro dello stesso perché non rappresenta uno Stato sovrano (mancando degli elementi della popolazione e del territorio bensì un ente religioso: la Chiesa Cattolica). È, invece, membro di alcune organizzazioni internazionali, fra cui la WIPO, la IAEA, l’OSCE, l’UNIDROIT.
Lo Stato della Città del Vaticano, a sua volta, è membro di varie organizzazioni internazionali, fra cui l’UPU, l’UIT, l’ITSO, l’EUTELSAT, il CEPT. Circa la metà dei Paesi che hanno rapporti diplomatici con la Santa Sede hanno una propria ambasciata a Roma (distinta da quella presso l’Italia, in quanto la Santa Sede rifiuta di accreditare presso di sé personale che risulti già in missione presso il governo italiano e non consente neppure che la sede della missione diplomatica e la residenza del capo missione coincidano con quelle presso l’Italia); gli altri Paesi, invece, sono rappresentati da diplomatici addetti ad ambasciate site in altri Paesi europei (accreditamento multiplo). Decano del Corpo diplomatico è l’ambasciatore residente a Roma con maggiore anzianità di accreditamento.[9]
Ai diplomatici della Santa Sede sono accordati tutti i privilegi del diritto internazionale ma, in quanto presbiteri, saranno personae Christy, rappresentando il Pontefice all’estero.
A termini dell’art. 118 n.17 dell’Atto Generale di Vienna del 1815, i Legati Pontifici ed i Nunzi Apostolici appartengono alla prima classe e sono equiparati agli ambasciatori, in funzione della loro rappresentanza, mentre gli Internunzi, sono equiparati ai ministri.
I futuri Nunzi sono tutti sacerdoti di età non superiore ai trentacinque anni che vengono formati, quali addetti, e per la durata di due anni, presso l’Accademia Ecclesiastica della Santa Sede laddove studieranno le principali lingue parlate nel mondo (inglese, spagnolo, francese), gli verranno impartite lezioni di diritto, apprenderanno l’arte della mediazione e del saper parlare e tacere. Al termine degli studi, dovranno sostenere un esame presso la Segreteria Vaticana e, intrapresa la carriera diplomatica, diventeranno Nunzi Apostolici con la consacrazione episcopale dell’eletto e la conseguente assegnazione di una sede.
La Nunziatura, oggi, è un organo periferico della Segreteria di Stato (che è l’ufficio diretto dal Cardinale Segretario di Stato detto anche Segretarius Papae o intimus, che rappresenta l’insieme dei dicasteri attraverso cui è esercitata l’amministrazione periferica degli Affari politico-religiosi della Santa Sede, spettando l’amministrazione Centrale solo al Papa) retto dal Nunzio e dal suo Segretario (ovvero il Capo-Missione e Consigliere di Prima Classe). Essa coincide con l’edificio ove risiedono ed operano tali figure (e molto spesso può anche fisicamente mancare per cui il Nunzio si “appoggerà” alla residenza del Vescovo locale) e funziona come una comune ambasciata.
Prerogativa della Diplomazia vaticana è l’attenzione all’essere umano, ai suoi diritti naturali, ed alla vita della Chiesa locale: oggi i Nunzi non lavorano solo a livello politico, ma anche immergendosi nelle situazioni problematiche della società e compenetrandosi con esse ed hanno come loro precipuo compito questa dimensione pastorale, su cui vigilano e riferiscono, entrando in contatto con le autorità degli Stati in cui operano -calandosi appieno nelle realtà locali-, per instaurare o mantenere con essi i migliori rapporti di coesistenza, di collaborazione e di amicizia.
L’attività diplomatica della Santa Sede risponde, quindi, in maniera molto appropriata agli odierni sviluppi della vita internazionale ed alle odierne ragioni ed esigenze della missione che la Chiesa deve compiere nel mondo contemporaneo, perché da sempre agisce in tutti i luoghi della Terra, per un fine che non è di questo mondo, per il perseguimento di valori eterni.
Note e riferimenti bibliografici
[1] A. MARESCA, Teoria e tecnica del diritto diplomatico, Milano, 1986, p.128.
[2] J. TOURAN, La presenza della Santa Sede negli organismi internazionali, in O. FUMAGALLI CARULLI, Il governo universale della Chiesa e i diritti della persona, Milano, 2003, p. 370.
[3] H.E. CARDINALE, The Holy See and Internationl Order, London,1976, p. 32.
[4] C.CURTI GIALDINO, Lineamenti di diritto diplomatico., p. 18.
[5] Lo status diplomatico dell’inviato pontificio è alquanto controverso, avendo più una funzione di carattere religioso (come quella svolta dai Patriarchi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme prima dell’invasione dell’Islam) v. C. CURTI GIALDINO, Lineamenti di Diritto Diplomatico e Consolare, 3° ed., Giappichelli, Torino, 2015 p. 18.
[6] MONACO – C. CURTI GIALDINO, Diritto internazionale pubblico,Torino, 2009, pp. 412-414.
[7] M. TEDESCHI, Manuale di diritto ecclesiastico, G. Giappichelli Editore, Torino 2010.
[8] M. TEDESCHI, La respublica christiana e l'idea d'Europa (sec. XII-XIV) in M. TEDESCHI, Quasi un bilancio, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2011, pp. 55 – 66.
[9] C. CURTI GIALDINO, Lineamenti di diritto diplomatico, p. 62.