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Pubbl. Gio, 17 Ago 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

La crisi bancaria: quale futuro?

Giusy Tuzza


Manifestazione patologica dell’incapacità del management di gestire rischi impliciti nell’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria, la crisi di una banca è in genere determinata da errori gestionali in termini strategici ed operativi nonché da situazioni di frode che impediscono di fatto di rimborsare integralmente i creditori.


Sommario: 1. Premessa;  2. Le determinazioni aziendali;  3. Gli interventi di soluzione ex ante e ex post;  4. Orientamenti di gestione e/o prevenzione della crisi e critiche al principio del “too big to fail”;  5. Il consumatore bancario, quale tutela? 6. Il futuro delle banche.

Sommario: 1. Premessa;  2. Le determinazioni aziendali;  3. Gli interventi di soluzione ex ante e ex post;  4. Orientamenti di gestione e/o prevenzione della crisi e critiche al principio del “too big to fail”;  5. Il consumatore bancario, quale tutela? 6. Il futuro delle banche.

1. Premessa

Le varie difficoltà incontrate dalla banca nella quotidiana routine inducono le autorità di vigilanza ad affrontare le crisi incontro alle quali vanno gli istituti di credito, con il duplice obiettivo, da un lato, di evitare che situazioni di illiquidità si trasformino in vera e propria insolvenza (1) e, dall’altro, che situazioni di insolvenza limitate ad una banca si propaghino al resto del sistema bancario. In effetti ciò che è liquido per le singole banche in situazioni ordinarie, non lo è necessariamente e contemporaneamente per l’intero sistema bancario, motivo per cui senza un intervento ad hoc anche l’equilibrio delle singole banche in situazione di liquidità può essere trascinato e fatto vacillare. Non solo, ma la crisi di una singola banca può coinvolgere le componenti sane del sistema bancario attraverso la partecipazione al sistema dei pagamenti e la corsa dei risparmiatori agli sportelli. Vediamoli nello specifico.

In relazione alla partecipazione al sistema dei pagamenti il rischio di una crisi bancaria è data dall’incapacità di un partecipante di far fronte ai propri impegni impedendo alle società creditrici della banca di onorare a loro volta i propri debiti, in un circolo effetto domino. Ciò significa che il potenziale destabilizzante della crisi di una banca sul sistema dei pagamenti deve essere considerato come il principale elemento nella valutazione dei costi/benefici connessi al suo salvataggio.

La corsa dei risparmiatori agli sportelli, invece, ha una valenza di certo meno rilevante, ma pur sempre determinante. Infatti la corsa agli sportelli da parte dei risparmiatori che temono di non ricevere il rimborso dalla banca in difficoltà spinge di fatto la banca verso un inevitabile fallimento che, senza il loro tempestivo timore che ne accelera la disfatta, si potrebbe talvolta evitare. Tuttavia questa situazione non può prescindere dall’esistenza di asimmetrie informative e dall’assenza di vincoli solidaristici tra depositari che vanno ad aggravare il fenomeno di panico finanziario. È quanto di recente accaduto alle banche di Cipro che ha messo in luce come si tratti di fenomeni in un certo senso limitati, seppur non sistemici.

Dunque la situazione di crisi altro non è che una manifestazione patologica di incapacità dei management di gestire i rischi impliciti nell’esercizio di attività finanziarie ovvero di anticipare i cambiamenti di scenario competitivo in atto nel sistema finanziario.        

2. Le determinazioni aziendali

Individuare le determinazioni aziendali delle crisi bancarie non può prescindere da una sintetica ricognizione di principali fattori di rischio legate alla attività di intermediazione finanziaria. Infatti una crisi della banca deriva tipicamente dall’assunzione volontaria o involontaria di rischi eccessivi rispetto alla capacità di assorbimento delle eventuali perdite. Ne divano sia rischi economici che finanziari. Ai primi appartengono il rischio di credito, i rischi di mercato e di variazione dei tassi di interessi e di prezzi, il rischio operativo e quello reputazionale. Tra i secondi si possono, invece, annoverare tutte le conseguenze determinate dalla incapacità della banca di far fronte ai propri impegni di pagamento, tenendo sempre presente i concetti di insolvenza e di illiquidità (2).

È evidente che state alle numerose fattispecie di rischio alle quali le banche sono esposte non è possibile affermare che una banca è solida quando sono solidi i suoi prestiti. Molti casi di dissesto sono stati registrati a causa di focolai non riguardanti la tradizionale attività bancaria, cosi come l’accelerazione di innovazioni finanziarie e l’accresciuta mutabilità delle variabili finanziarie consentono di attribuire a fattori esogeni la nascita della crisi (3). A questo punto, dunque, si ritiene opportuna una dettagliata analisi delle cause endogene ed esogene (4) volendo, per una migliore intelligibilità, distinguere le prime in due categorie:

  1. Cause di natura strategica: esse sono legate alle direttrici di sviluppo individuate dal management della banca su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, con riferimento agli assetti proprietari, di operatività e alla struttura dell’attivo e del passivo. Le divergenze esistenti nella propensione al risparmio e nel livello di indebitamento contestuale sono alla base della sovraesposizione di alcune banche, in funzione di decisioni strategiche adottate dal management;
  2. Cause di carattere gestionale: possono riguardare casi di errate decisioni gestionali, in termini di previsioni sbagliate sul futuro andamento dei flussi finanziari e dei flussi di reddito, oppure casi di comportamenti fraudolenti, dovute a carenze di carattere organizzativo e alla debolezza dei controlli interni.

Rispetto alle cause esterne c’è da dire che, a prescindere dagli shock connessi all’eccessiva offerta di moneta, all’andamento dei tassi di interesse e di cambio e al ciclico verificarsi di periodi recessivi, un ruolo rilevante è dato dalla regolamentazione del sistema finanziario. Infatti una regolamentazione strutturale può limitare le opportunità di diversificazione operativa impedendo standard di efficienza, mentre quella di natura prudenziale può determinare spostamenti artificiali di quote di intermediazione sottoposti a vincoli gestionali più blandi ma comunque sempre portatori di rischi. Si pensi, ad esempio, ai sempre più numerosi mutui ipotecari erogati in conseguenza della minore ponderazione prevista, ai fini del calcolo del coefficiente di solvibilità, per questa categoria di prestiti rispetto a quelli concessi a clienti ordinari. 

3. Gli interventi di soluzione ex ante e ex post

Dal momento in cui la crisi si manifesta è necessario correre ai ripari e mettere in atto una serie di interventi finalizzati a minimizzare le esternalità negative prodotte dai dissesti finanziari. Il nostro ordinamento prevede una fase di accertamento dello stato di insolenza e una fase di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa. A tal proposito si è soliti discutere di interventi di soluzione ex ante e ex post, riguardanti rispettivamente provvedimenti sulla banca e sui creditori.

3.1. Le soluzioni ex ante

Sono interventi attivati nei confronti della banca in difficoltà quando il oro costo è inferiore rispetto a quello che la collettività dovrebbe sopportare se il mancato salvataggio rendesse irreversibile la crisi.

La forma più diffusa è la procedura di amministrazione straordinaria, avviata dalle autorità creditizie quando accertano gravi violazioni legislative, regolamentari e statuarie o registrano ingenti perdite patrimoniali, tali da richiedere la rimozione degli organi della banca e la conseguente sostituzione con commissari straordinari. Questi altro non sono che soggetti preposti alla rimozione delle irregolarità dello stato di crisi e alla promozione delle soluzioni a tutela dei depositanti. Previa autorizzazione della Banca d’Italia, e per un periodo non superiore a tre mesi, i commissari straordinari possono sospendere perfino i pagamenti. Tale procedura, come è evidente, rappresenta un passaggio amministrativo necessario per evitare che il permanere della precedente dirigenza possa pregiudicare gli effetti della nuova soluzione finanziaria.

Un altro strumento è dato dal credito di ultima istanza (CUI), ossia il rifinanziamento erogato dalla banca centrale al sistema bancario, che può essere ordinario, quando è necessario finanziare fisiologiche esigenze di liquidità connesse alla partecipazione al sistema dei pagamenti o a quello delle transazioni su titoli di Stato, oppure straordinario, quando è giustificato da situazioni di eccezionalità che, in assenza di rifinanziamento, determinerebbe rischi di degenerazione verso l’insolvenza. Il CUI può essere erogato in modo incondizionato a tutto il sistema bancario quando lo stesso non sia in grado di frenare fenomeni di corsa agli sportelli oppure essere indirizzato verso le singole banche che soffrono di scarsa liquidità.

Vediamo nello specifico l’atteggiamento della Banca d’Italia (5) i quanto parte integrante del Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC). È necessario focalizzare l’obiettivo dell’intervento. Nel caso in cui l’obiettivo sia quello di fornire liquidità in maniera indifferenziata è irragionevole attendersi che venga fatto ricorso alle operazioni di mercato aperto. Nel diverso caso in cui l’intervento debba essere selettivo per risolvere questioni di illiquidità di una singola banca, allora è  ragionevole l’utilizzo delle operazioni su iniziativa delle controparti che consentano alla banca in difficoltà di utilizzare il conto aperto presso la banca centrale previa presentazione di idonee garanzie.

Un’ulteriore fonte di liquidità per le banche in crisi è rappresentata dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. È possibile, infatti, che vengano attuati interventi di sostegno delle consorziate in amministrazione straordinaria tutte le volte in cui sussistono prospettive di risanamento e ove sia possibile un minor onere rispetto a quello determinato in caso di liquidazione (art. 1 Statuto).

Infine un cenno può essere dato alla bad bank, fenomeno che è stato utilizzato nella gestione della crisi bancaria in Italia e che ha costituito il tentativo di scorporare dalla banca in crisi la componente ritenuta responsabile dello stato di difficoltà. Questa forma di intervento si propone di riportare a condizioni di normalità la banca in crisi dando vita ad una realtà cd. cattiva, incaricata della gestione dei crediti problematici, e una c.d. sana, incaricata della ripresa dell’attività senza il fardello delle perdite.

3.2 Le soluzioni ex post

Parallelamente alla liquidazione della banca possono essere avviate le soluzioni ex post che si propongono di garantire parità di trattamento a tutti i creditori i quali, a prescindere dalla propria natura di risparmiatori, vantino un legittimo titolo di risarcimento del danno patrimoniale subito (6). La particolare tutela prestata ai risparmiatori inconsapevoli ha portato all’istituzione, nel 1987, del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (7). Con il successivo recepimento della Direttiva comunitaria nel 1997 l’adesione al sistema di garanzia dei depositi è divenuta obbligatoria sia per le banche italiane che per le succursali extracomunitarie, mentre per le banche comunitarie vige il principio della possibilità di aderire, ma non obbligatoriamente, al sistema di garanzia nazionale. Altre innovazioni sono, poi, state apportate sul destinatario della protezione che non è più il fondo, ma il titolare dello stesso, cosi da evitare  che il rischio di frazionamento delle disponibilità patrimoniali su più conti consentisse di raggirare le regole sul rimborso; e, a tal proposito, si evince che è stata rimossa la prassi di rimborso graduato in funzione della dimensione del deposito ed è stto fissato l’importo massimo rimborsabile.

La natura del fondo continua ad essere mutualistica e non assicurativa, mentre è stata innovata la modalità di calcolo del contributo a carico delle banche aderenti. Non solo, ma le banche sono anche chiamate a versare una quota di contribuzione calcolata in funzione dell’ammontare dei fondi acquisiti con l’obbligo di restituzione con un meccanismo che ridimensiona l’onere per le banche di maggior dimensioni e lo aumenta per quelle di minori dimensioni. Ciò trova sostegno nella teoria del too big to fall, secondo cui le banche di maggiori dimensioni sarebbero meno esposte a rischio di sottomissione alla procedura coattiva amministrativa. Tuttavia fenomeni di malversazione e di confusione patrimoniale devono essere evitati prevedendo dei presidi di tutela degli investitori danneggiati. Questo obiettivo ha portato alla istituzione nel 1991 del Fondo nazionale di garanzia, cui compete la responsabilità di tutelare i crediti vantati dai clienti nei confronti degli intermediari (8).

4. Orientamenti di gestione e/o prevenzione della crisi e critiche al principio del “too big to fail”

La recente esperienza del nostro paese ha mostrato come, i Italia, le crisi bancarie siano state un fenomeno marginale, e per lo più affrontate in via preventiva, mediante interventi di tipo solidaristico e poco incidenti sul bilancio statale. Atteggiamento, questo, che ha ottenuto il plauso della comunità europea, la quale ha additato questo nostro modello come il migliore da seguire e il più efficace.  Senza entrare nel merito delle questioni connesse,volendo evitare valutazioni poco obiettive o di tipo politico, c’è da dire che qualcuno ha ritenuto il diverso atteggiamento dello Stato non in termini di cambiamento politico e di soluzione con quello del capitalismo più tradizionale, bensì come un doveroso intervento tecnico per rimediare ad errori del mercato bancario, che lo Stato, peraltro, non sarebbe stato capace di risolvere da solo.

Fino ad ora abbiamo accennato alla situazione italiana, ma quali caratteristiche hanno avuto le crisi di cui ha sofferto il mondo occidentale nell’ultimo decennio? Certamente sono crisi drammatiche, che hanno travolto non solo centinaia di banche di piccole dimensioni, ma soprattutto decine di decine di grandi banche tali da spingere i vari governi a evitarne il fallimento. Pertanto vari sono stati i motivi determinanti delle crisi.

Innanzitutto la violazione sistematica di alcuni principi fondamentali, come l’oculata selezione del credito, l’equilibro tra scadenze dell’attivo e del passivo, un buon rapporto tra patrimonio e rischi dell’attività svolta; poi i colossali investimenti in attività a rischio elevato, come per esempio i titoli collegati alla cartolarizzazione dei mutui ipotecari o prodotti derivati; e di certo i comportamenti fraudolenti dei management che spesso, ingannando i terzi, occultano situazioni pericolose. Soprattutto le frodi sono state meno frequenti nelle banche vere e proprie e determinanti, piuttosto, fra gli intermediari finanziari non bancari (9).

L’esperienza ha mostrato che la crisi bancaria è un fenomeno di rilevanza internazionale, che non può essere trattato “entro le mura” della sede in difficoltà tanto da mettere in discussione il principio tradizionale del too big to fail. La critica a questo vecchio espediente muove da diverse premesse (10):

  1. Il pericolo che la convinzione di essere troppo grandi per fallire esasperi l’azzardo delle banche;
  2. La alterazione della parità concorrenziale fra banche che no possono e che possono fallire;
  3. L’insostenibilità del salvataggio da parte dei bilanci statali e delle organizzazioni della solidarietà bancacria;
  4. L’ingiustizia di mettere a carico del contribuente l’onere di danni causati dagli errori del management che spesso con manovre anomale hanno rischiato di portare le banche sull’orlo del fallimento.

Il problema non è di facile soluzione, in quanto nonostante tutte le precauzioni e le opere di vigilanza, la crisi potrebbe riproporsi più efferata e imprevedibile di prima. Infatti fino a quando le banche opereranno come tali, saranno sempre il perno del finanziamento delle economie e finanziate da risparmiatori la cui tutela assume rilevanza notevole di tipo prevalentemente sociale. Inoltre le banche sono enti particolari che, specie se grandi, in caso di fallimento creerebbero difficoltà determinanti non solo nel sistema bancario quanto nell’intera economia. Per questo motivo tutti i paesi sono dotati di procedure di gestione delle crisi bancarie diverse da quelle previste per i fallimenti delle altre imprese, seppure tali procedure di gestione si rivelino poi nella pratica incapaci di affrontare ogni aspetto delle conseguenze determinate.

Per capire perché è bene salvare un banca è possibile fare riferimento al caso di Lehman Brothers che solleva il fenomeno delle banche too entangled to fail, cioè di banche che contengono importanti rischi per i legami che intrattengono con altre banche e il cui fallimento comporterebbe la catastrofe a trascinamento delle altre. Ebbene nel caso citato bisogna subito segnalare che la stessa non era una banca molto grande, ma era cosi interconnessa con le banche di quasi tutto il mondo che ha prodotto una crisi anche sulle altre allo stesso modo degli effetti che avrebbe prodotto una banca di notevoli dimensioni.

5. Il consumatore bancario, quale tutela?

Le insidie preoccupanti sono legate ad una insufficienza dei meccanismi di garanzia dei depositi, alla complessità delle regole che presiedono la gestione delle banche e, in particolare, alla presenza di intermediari finanziari con attività simili a quelle bancarie a privi delle tutele e norme previste per le bancarie. Dunque urge un progetto di garanzia a favore del consumatore bancario. Per fare ciò è opportuno tener conto del fatto che la tutela degli stakeholders è importante dal unto di vista economico e sociale tanto da rendere fondamentale la stabilità delle banche. È necessario predisporre regole di svolgimento delle relative attività senza mai dimenticare che le crisi sono cicliche e che si ripresenteranno sempre. Non solo, ma occorre gestirle in modo che non sia necessario intervenire per salvare le banche e che i rischi maggiori saranno supportati dagli azionisti con una parte delle perdite scaricate sugli obbligazionisti. Nella gestione, quindi, non dovrà intervenire solo lo Stato, perché la banca da parte sua si farà carico della liquidità ed in ogni caso tali interventi dovranno poter essere effettuati celermente. Ne deriva che, un progetto cosi costruito, necessiterebbe di fondi specifici ed adeguati, che agiscano in comune accordo con quelli di garanzia già esistenti e che andrebbero potenziati siano essi di natura privata oppure pubblica (11).   

 6. Il futuro delle banche

Il sistema bancario non è affatto omogeneo, poiché si compone di banche estremamente diverse tanto per funzioni svolte che per attività prodotte che per dimensioni ecc. Ciò significa che il futuro delle singole banche è legato alle caratteristiche peculiari di ciascuna specie. La situazione a livello mondiale è caratterizzata da grandi banche internazionali che hanno dominato la scena dell’attività bancaria globale e che sono passate alla cronaca della crisi del dopo 2007.

Pertanto è quasi certamente evidente che le banche internazionali dovranno, in futuro, ridimensionare o tendere verso una minore espansione, ridurre l’internazionalizzazione cosi come l’attività di cross border ritornando alla specializzazione con particolare concentrazione all’attività di core business. Il tutto sarà seguito con maggiore attenzione dalle autorità di vigilanza a fine di far applicare anche i regolamenti nei limiti normativi previsti.

Se questo è vero per le banche internazionali, lo stesso non può dirsi per le banche italiane (12), che strutturalmente sono diverse e presentano problemi connessi a tre diverse categorie, ossia le banche di grandi dimensioni, quelle di dimensioni più modeste fortemente ancorate al territorio in cui sono dislocati i loro sportelli e banche specializzate i leasing, factoring credito al consumo e via dicendo.

Le prospettive sono, perciò, assolutamente diverse. Infatti le grandi banche, dopo massicce fusioni e acquisizioni, hanno puntato sull’intermediazione mobiliare abbandonando quella tradizionale. L’allontanamento con il territorio che ne è conseguito li ha spinti a voler ritornare alle origini con inevitabili effetti e difficoltà. Le banche di minore dimensioni hanno indotto a politiche aziendali in linea con il mercato e la buona gestione, tuttavia dovranno fare i conti con la prova del tempo e alle crisi traumatiche che solitamente nascono a seguito dell’ingresso delle nuove banche e alla perdita dell’autonomia giuridica e patrimoniale. Probabilmente la terza categoria continuerà ad essere di nicchia e ricoprire un ruolo marginale nell’economia.

In conclusione in Italia, per lo meno, si registra un coinvolgimento nell’economia reale più intenso, un’inferiore propensione alla innovazione e alla finanza fine a se stessa, una corporate governance relativamente semplice e, certamente, un legame mai spezzato con il mondo politico. Tutti fattori di cui non si può ignorare l’esistenza nella valutazione di possibili prospettive.

 

Bibliografia e note

  1. Per illiquidità di intende l’incapacità temporanea della banca di far fronte ai propri impegni correnti; per insolenza si intende la sua incapacità definitiva di rimborsare i propri creditori, a causa della discesa del valore di mercato dell’attivo al di sotto di quello passivo e della conseguente riduzione del patrimonio.       
  2. Banca Centrale Europea, Banking structures report, Frankfurt, 2014.
  3. Sub nota (2).
  4. G. N. Gregoriou, The banking crisis handbook, Boca Raton (FL), CRC Press, 2010.
  5. Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 1, Roma, maggio 2014.
  6. Jeon B.N., Global banking, financial markets and crises, Bingley, Emerald, 2013.
  7. Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi, Relazione annuale, Roma, anni vari.
  8. Sub nota (7).
  9. Sub nota (4).
  10.  Mediobanca, Dati cumulativi delle principali banche internazionali e piani di stabilizzazione finanziaria. Indagine biennale sulle principali banche in Europa, Giappone, Cina e Usa, Milano, luglio 2014 / 2016.
  11.  Banca dei regolamenti internazionali, L’evoluzione del settore bancario a seguito della crisi, BRI 82TH, Annual Report, Basel 2014 e 2016;
  12.  Profumo, Banche italiane quali soluzioni per il futuro? Bnacaria, 12, 2012, pagg. 20/28.