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Pubbl. Gio, 10 Ago 2017

L´usura sopravvenuta tra abuso del diritto e nullità. Rimessa la questione alle Sezioni Unite.

Marcella Ricciardi


Controversa la sorte dei contratti viziati da usura sopravvenuta. La Cassazione rimette gli atti al primo presidente per l´eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite.


Sommario: 1. Il caso; 2. I termini della questione; 3. Il contrasto giurisprudenziale; 4. Le soluzioni prospettabili in via ermeneutica.

Sommario: 1. Il caso; 2. I termini della questione; 3. Il contrasto giurisprudenziale; 4. Le soluzioni prospettabili in via ermeneutica.

1. Il caso

Con l’ordinanza n. 2482/2017, la Prima Sezione Civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente – per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite Civili – concernenti la questione attinente la sorte dei contratti di mutuo pendenti all’entrata in vigore della l. 108/1998.

La nuova disciplina antiusura - fissando nuovi criteri per la determinazione dell’usurarietà dei tassi di interesse -  ha reso non conformi alla legge una serie di pattuizioni che, invece, lo erano al momento della stipula.

Per queste ragioni nel caso in oggetto, Eurofinanziaria ha convenuto in giudizio Monte dei Paschi di Siena chiedendo la ripetizione degli importi pagati in violazione della l. 108 del 1998, in virtù di un contratto di mutuo fondiario stipulato antecedentemente all’entrata in vigore di detta disciplina.

La Suprema Corte ha rilevato il netto contrasto tra quanti concludono per la debenza degli interessi convenuti in modo legittimo e quanti optano, invece, per l’inefficacia ex nunc di dette pattuizioni dopo l’entrata in vigore della l. 108/1998.

2. I termini della questione

A ben guardare la tematica di cui si discorre involge due profili distinti sotto il profilo temporale, ma ontologicamente collegati sotto il profilo sostanziale.

Da un lato, viene in rilievo il profilo di diritto intertemporale concernente le pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della disciplina antiusura. A tal riguardo, giova rilevare che il trattamento dell’usura sopravvenuta  non riguarda i rapporti esauriti prima dell’entrata in vigore della l. 108/ 1998, in questo caso la pattuizione di interessi ultralegali sarà da considerarsi rescindibile ovvero nulla[1] solo ove sussistano gli estremi del reato di usura ex 644 c.p.

Su altro crinale, è opportuno rilevare che la questione in oggetto ha rilevanti ricadute applicative anche sotto il profilo di diritto attuale relativamente ai contratti stipulati dopo la l. 108/96 i cui interessi risultino  successivamente superiori al tasso soglia trimestralmente rilevato[2].

E’ noto che a seguito della riforma l’art. 1815 c.c. ha sancito la nullità parziale della pattuizione usuraria e la conseguente trasformazione del mutuo da feneratizio in gratuito. L’intento sanzionatorio[3] della disposizione è evidente, soprattutto ove la si confronti con la versione precedente della stessa, la quale prevedeva che a fronte di stipulazione usuraria gli interessi erano comunque dovuti pur se nella misura legale. La giurisprudenza ha fornito una lettura estensiva della nuova disciplina ritenendo la stessa applicabile, non solo ai contratti di mutuo strictu sensu intesi, ma anche ai contratti a quest’ultimo assimilabili. Inoltre, nonostante l’art. 1815 non preveda espressamente la sua applicazione retroattiva ai fatti ante – riforma, all’indomani di quest’ultima, parte consistente della giurisprudenza ha ritenuto applicabile la stessa anche alle stipulazioni concluse ante 96 con conseguente obbligo delle banche di dar luogo alla restituzione degli interessi.

Tale orientamento giurisprudenziale ha da subito destato grande allarme nel settore creditizio, tanto da indurre il legislatore ad intervenire con una legge di interpretazione autentica. Il d.l. 2000 n. 394 all’art. 1 stabilisce che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal loro pagamento”.

In tal guisa, il legislatore è intervenuto sancendo che il momento rilevante al fine di determinare l’usurarietà del tasso è quello della pattuizione e non quello della corresponsione degli interessi.

E’ opportuno sin da subito rilevare che tale disposizione ha - nel 2002 con sentenza n. 29 - ricevuto l’avallo della Corte Costituzionale la quale ha affermato che << la norma denunciata trova giustificazione, sotto il profilo della ragionevolezza, nell’esistenza di tale obiettivo dubbio ermeneutico sul significato delle espressioni “si fa dare […] interessi […] usurari” e “facendo dare […] un compenso usurario ” di cui all’art. 644 cod. pen., in rapporto al tenore dell’art. 1815 , secondo comma, cod. civ. (“se sono convenuti interessi usurari”) ed agli effetti correlativi sul rapporto di mutuo. In questa prospettiva l’art. 1, comma 1, del decreto – legge n. 394 del 2000, nel precisare che le sanzioni penali e civili di cui agli artt. 644 cod. pen. e 1815, secondo comma, cod. civ. trovano applicazione con riguardo alle sole ipotesi di pattuizioni originariamente usurarie, impone – tra le tante astrattamente possibili – un’interpretazione chiara e lineare delle suddette norme codicistiche, come modificate dalla legge n. 108 del 1996, che non è soltanto pienamente compatibile con il tenore e la ratio della suddetta legge, ma è altresì del tutto coerente con il generale principio di ragionevolezza >>.

3. Il contrasto giurisprudenziale

A seguito dell’art. 1 del d.l. 2000 n. 394 e dell’intervento della Corte Costituzionale, parte della giurisprudenza ha proceduto a disapplicare sistematicamente l’art. 108 ai contratti stipulati anteriormente al 96. In questa prospettiva, il dato testuale dell’art. 1 del d.l. n. 394 del 2000 letto alla luce dell’autorevole avallo della Corte Costituzionale ha condotto ad affermare che << la legittimità iniziale del tasso convenzionalmente pattuito spiega la sua efficacia durante tutta la durata del contratto nonostante l’eventuale sopravvenuta disposizione imperativa che per una frazione o per tutta la durata del contratto successiva al suo sorgere ne rilevi la natura usuraria a partire da quel momento in poi >>[4].

E’ evidente, tuttavia, che in tal guisa si creerebbe una usura legale, autorizzata dal legislatore[5] .

Altra parte della giurisprudenza, invece, non ha smesso di occuparsi di usura sopravvenuta, non solo con riferimento ai contratti stipulati dopo la l. 108/96 i cui interessi risultino successivamente superiori al tasso soglia trimestralmente rilevato, ma anche con riguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigore della disciplina antiusura[6].

Tale orientamento ritiene che la norma di interpretazione autentica si riferisca solo ai risvolti penalistici dell’usura e, d’altro canto, rivela un’insofferenza per il d.l. 394/2000 perché incoerente con il 644 ter che nel disciplinare la decorrenza della prescrizione del reato di usura identifica il momento consumativo nell’ultima riscossione degli interessi e del capitale e non nel momento della pattuizione[7].

D’altro conto, questa impostazione si pone in sincronia con la sempre più consolidata tendenza che conduce ad attribuire rilevanza giuridica alle sopravvenienze, anche al di fuori dei casi stabiliti dalla legge. Il fenomeno dell’usura sopravvenuta, infatti, è l’effetto di una sopravvenienza di diritto qual è la rilevazione trimestrale del tasso soglia.

4. Le soluzioni prospettabili in via ermeneutica

La problematica non è di poco momento ed anzi costituisce la cartina di tornasole per la verifica della tenuta di molteplici principi generali del diritto civile. In particolare, la vicenda in esame impone, in primo luogo, di verificare quali conseguenze produca una norma imperativa sopravvenuta su un rapporto contrattuale in corso di esecuzione.

La dottrina si è chiesta se un contratto possa essere reso successivamente nullo da una norma sopravvenuta dopo la sua conclusione.

Ebbene è stato osservato che un giudizio di nullità sopravvenuta non potrebbe ritenersi ragionevolmente precluso ogniqualvolta la conclusione del contratto non realizzi completamente i suoi effetti[8].  Ciò accade nei contratti ad effetti non istantanei ovvero in quei contratti ad effetti differiti relativi a rapporti di durata. In questo ambito la sopravvenienza di una circostanza[9] idonea a privare l’atto della sua validità consentirebbe una declaratoria di nullità successiva dello stesso, anche ove originariamente conforme all’ordito normativo.

D’altro canto, la frantumazione della categoria della nullità con la conseguente emersione di svariate ipotesi di nullità speciali ha confermato la possibilità che un atto invalido possa comunque produrre taluni effetti, revocando in dubbio l’affermazione di romanistica memoria secondo cui quod nullum est nullum effectum producit.

In chiave critica[10] si osserva che in virtù del principio di contemporaneità dell’invalidità al negozio il giudizio di nullità del contratto si svolge in base a norme vigenti al momento della conclusione dello stesso. In altri termini, la nullità è tradizionalmente ritenuta un vizio genetico dell’atto, proprio in ragione di una netta scissione tra atto e rapporto, tra fattispecie ed effetti. A tale stregua, sarebbe inammissibile uno stato patologico del contratto causato da fatti sopravvenuti, in quanto lo ius superveniens incide solo sul rapporto e non sull’atto.

Facendo tesoro di tale rilievo critico alcuni fautori della teorica della nullità sopravvenuta hanno attribuito alla stessa efficacia non retroattiva, trovando la giustificazione logica di ciò nel fatto che in tali ipotesi non sarebbe riscontrabile sin dall’inizio una situazione patologica. Tale contratto sarà dunque assoggettato ad una disciplina ‘’bifronte’’ e dovrà quindi ritenersi valido ed efficace per il periodo antecedente la sopravvenienza e, invece, invalido e privo di effetti per il periodo successivo[11].

Deve soggiungersi che la migliore dottrina[12], in modo ancor più convincente, ha sostenuto che la categoria della nullità sopravvenuta sarebbe configurabile solo ed esclusivamente con riguardo a quegli atti che non abbiano prodotto, nemmeno in parte, alcun effetto. Ciò al fine di non confondere il versante dell’efficacia con quello della validità e restituire coerenza al cosmo dell’invalidità. In tale prospettiva, la scure della nullità sopravvenuta potrebbe colpire solo i negozi con effetti differiti che non abbiano prodotto nemmeno in parte i propri effetti, quali a titolo esemplificativo la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli (art. 687 c.c.) e la nullità del testamento a seguito della condanna all’ergastolo (art. 32 c.p.)

Nonostante l’apporto di tali correttivi la figura della nullità sopravvenuta è stata comunque osteggiata dalla dottrina[13] e dalla giurisprudenza maggioritaria per svariate ragioni.

In primo luogo, si evidenzia l’intrinseca contraddittorietà e ambiguità di tale categoria giuridica. Ritenere ammissibile la categoria della nullità sopravvenuta vuol dire, da un lato, negare che la nullità sia un vizio genetico dell’atto, e dall’altro, affermare che un atto possa al contempo essere valido e invalido, produrre e non produrre effetti.

D’altro canto, si osserva che il regime di invalidità degli atti abbisogna di un grado di certezza necessario per garantire e incentivare i traffici economici che verrebbe inevitabilmente pregiudicato dalla possibilità che la nullità dell’atto possa intervenire in qualsiasi momento per effetto di una sopravvenienza legislativa.

La concezione sin qui esposta, per quanto non priva di capacità di fascinazione nella parte in cui coglie la naturale interazione tra atto (statico) e ordinamento (dinamico), appare evidentemente non sincronizzabile con le coordinate positive.

Per queste ragioni, altra parte della dottrina[14] ritiene più opportuno discorrere in questi casi di inefficacia sopravvenuta o successiva. La legge sopravvenuta, secondo questo angolo visuale, non sarebbe in grado di incidere in alcun modo sull’atto, ma solo ed esclusivamente sugli effetti dello stesso. Conseguentemente difettando in radice qualsiasi riflesso di tale inefficacia sull’atto, devono ritenersi salvi gli effetti già prodotti dallo stesso e le prestazioni già eseguite. In altri termini, l’inefficacia sopravvenuta sarebbe ontologicamente non retroattiva ed impedirà esclusivamente la produzione di ulteriori effetti dell’atto.

Tale affermazione, d’altro canto si pone in sincronia l’opinione maggioritaria secondo cui lo ius superveniens è destinato ad incidere sul contratto inteso come rapporto e non come atto.

Questa ricostruzione rievoca quelle teorie che non considerano il negozio giuridico come una monade isolata, statica, conchiusa ma dotata di un momento ulteriore di rilevanza qual è quello funzionale, a tal riguardo si discorre di ‘’ciclo vitale’’ del negozio tale da abbracciare anche gli effetti ulteriori non  direttamente collegati all’atto [15].

Tuttavia, non v’è chi non veda come questa ricostruzione risulta priva di un’autonomo valore euristico. L’inefficacia non si pone in rapporto di alternatività rispetto all’invalidità, bensì << persegue e produce >>[16] quest’ultima. Nel sistema normativo la categoria dell’invalidità si definisce in relazione alla categoria dell’inefficacia.

<< Si coglie una connessione funzionale tra invalidità e inefficacia: l’invalidità persegue e produce l’inefficacia del contratto, perché è attraverso l’inefficacia che l’invalidità può svolgere la sua funzione rimediale>>[17].

Si discorre a tal riguardo di “inefficacia in senso lato” [18] la quale non costituisce secondo la migliore dottrina una categoria autonoma, bensì un modo di essere del negozio invalido.

Appare dunque opportuno accantonare tanto la categoria dell’invalidità, quanto quella dell’inefficacia per fronteggiare il fenomeno dell’usurarietà sopravvenuta.

I vizi riguardanti il funzionamento del negozio possono trovare una più coerente regolamentazione non già facendo capo alle regole di validità, bensì a quelle di comportamento.

Il riferimento è alla regola di buona fede e al divieto di abuso del diritto.

La buona fede in senso oggettivo[19] può definirsi come obbligo di lealtà e di salvaguardia dell’altrui affidamento, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio. Essa rinviene il proprio fondamento direttamente nell’ambito dell’art. 2 della Carta Costituzionale ed è canone generale di condotta che opera già nella fase precontrattuale (1337 c.c.), fino a quella esecutiva (1375 c.c.) ed è in grado di integrare il negozio giuridico in via cogente, imponendo in capo alle parti obblighi specifici ed ulteriori rispetto a quelli previsti in via espressa dalla tavola contrattuale.

In tale prospettiva, si pone il dibattito volto a verificare l’esistenza di un principio generale che imporrebbe in capo alle parti l’obbligo di rinegoziare il contratto in presenza di sopravvenienze, figlio del principio generale di buona fede. L’obbligo di rinegoziare si sostanzia nell’obbligo di riattivare le trattative al fine di adeguare il contenuto del contratto a sopravvenienze non previste dalle parti[20]. Ovviamente l’ambito elettivo di tale dibattito si pone nei contratti di durata, laddove le parti non abbiano predisposto clausole di hardship[21].

Arresto significativo di tale innovativo orientamento è pervenuto dal Tribunale di Bari[22] secondo cui << in base alla clausola generale di buona fede sussiste l’obbligo di rinegoziare il contenuto del contratto, in presenza di un mutamento rilevante della situazione di fatto o di diritto, rispetto a quella contemplata dal regolamento originario>> potendo il giudice in caso di inadempimento di tale obbligo emettere una sentenza che tenga luogo degli effetti del contratto rinegoziato ex 2932 c.c..

L’opinione prevalente, tuttavia, nega fermamente l’esistenza di un obbligo di tal fatta al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal legislatore[23] o regolate dalle parti[24]. Ciò in quanto opinare diversamente vorrebbe dire superare il limite dell’apprezzabile sacrificio[25] e dunque imporre in capo alle parti uno sforzo eccessivo.

Secondo altra prospettazione[26], infine, esigere il pagamento di un credito di interessi oltre la soglia legale prevista dalla l. 108/1996 costituisce abuso del diritto.

E’ noto che qui suo iure utitur neminem laedit, tuttavia, il potere in cui si sostanzia il diritto soggettivo è sottoposto a limiti interni desumibili da diverse disposizioni codicistiche tra le quali rilevano l’art. 833 c.c. che vieta gli atti emulativi, nonché la clausola generale di buona fede e correttezza (1175 c.c.) che secondo l’opinione preferibile avrebbe tra l’altro la funzione di estendere o restringere una determinata subordinazione d’interesse, quando non paia conforme alla solidarietà[27] .

Infatti, se è vero che l’usura va valutata ab origine con riguardo al tasso soglia vigente al momento della conclusione del contratto, è altresì vero che richiedere il pagamento di interessi che successivamente superano la soglia del tasso di ususrarietà costituisce una modalità censurabile alla luce del principio del divieto di abuso del diritto, ancorché apparentemente la richiesta di tale pagamento possa apparire rispettosa da un punto di vista formale della cornice attributiva del diritto.

Verrebbe in rilievo, di tal guisa, l’esercizio di un diritto abusivo che << pur essendo apparentemente conforme al suo contenuto, sia in realtà funzionale al conseguimento di un’utilità inaccettabile secondo la comune coscienza sociale>>[28].

Sposando questo orientamento si ritiene non tutelabile dall’ordinamento e quindi inesigibile la richiesta del creditore avente ad oggetto il pagamento di interessi che nel momento in cui vengano a maturare siano divenuti oggettivamente usurari.

Questa sembra essere la soluzione più lineare che facendo applicazione dei principi generali riesce, senza troppe forzature, a realizzare l’equo contemperamento tra l’interesse del debitore e quello del creditore e che si spera adotteranno le Sezioni Unite.

In attesa del pronunciamento delle Sezioni Unite può osservarsi che lo stesso avrà comunque un impatto dirompente ponendo (forse?) la parola fine all’annosa querelle relativa all’ammissibilità della tanto contestata categoria della nullità sopravvenuta.

Note e riferimenti bibliografici
[1] V. GAZZONI, Istituzioni di Diritto Privato, CEDAM, 2010, 1008.
[2] In questo senso si veda Obiettivo Magistrato nella sezione dedicata ai temi svolti il seguente: Il candidato delinei i caratteri dell’usura nel diritto civile, distinguendo tra usura originaria ed usura sopravvenuta ed individuando gli strumenti di tutela del debitore, febbraio 2011, 29.
[3] L’art. 1815 svolge una funzione sostanzialmente sanzionatoria nella misura in cui punisce il mutuante con l’imposizione di un obbligo << a contenuto obiettivamente afflittivo, ma privo di alcuna finalità compensativa: quello di rimanere comunque vincolato a un rapporto ex lege novato in mutuo gratuito >>. Così Benazzo, “Le pene civili” nel diritto privato d’impresa, Milano, 2005, 189.
[4] In questi termini si esprime l’ordinanza in questione a pag. 10 e 11. Di tale impostazione sono epigoni significativi le seguenti pronunce: 29/1/2016 n. 801; 19/3/2007 n. 6514 e 27/9/2013 n. 22204.
[5] Così L’usura sopravvenuta al cospetto delle Sezioni Unite di Renata Russo in Iurisprudentia.it
[6] Cfr. 17/8/2016 n. 17150, 14/3/2013 n. 6550, n. 602 del 2013; 17854 del 2007.
[7] In questo senso si veda Obiettivo Magistrato nella sezione dedicata ai temi svolti il seguente: Il candidato delinei i caratteri dell’usura nel diritto civile, distinguendo tra usura originaria ed usura sopravvenuta ed individuando gli strumenti di tutela del debitore, cit., 29
[8] BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ., diretto da Vassalli, XV, Torino, 307 ss. e 488 ss., DONISI, In tema di nullità sopravvenuta, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, 755 ss.; STOLFI, Teoria del negozio, Padova,1947, 63.
[9] Tali condizioni sopravvenute idonee ad incidere sulla originaria validità dell’atto consisterebbero nel venir meno di un elemento essenziale ovvero nel mutamento di una legge che lo disciplina. Sul punto si veda CARRESI, Il contratto, Milano, 1987, 623 ss. e CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1950, 374.
[10] La figura della nullità sopravvenuta è stata sottoposta a revisione critica da parte di molti autori tra i quali si veda: ALPA e BESSONE, Contratti in generale, Torino, 1992; GENTILI, Le invalidità, in Tratt. dei contratti diretto da Rescigno; GIOIA, Interessi ususrari: rapporti in corso e ius superveniens, in Corr. giur. 1998, 192 e A. DIMAJO, G.B. FERRI, M.FRANZONI, L’invalidità del contratto, Giappichelli editore, Torino, 2002, pp. 456. Anche larga parte della giurisprudenza ha negato diritto di cittadinanza a tale categoria giuridica ex multis si veda Cass., 28 gennaio 1998, n. 831, in Foro it., 1998, I, c. 770.
[11] GUARINA, L’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite in tema di << usura sopravvenuta>>, in Dir. civ. cont., 15 marzo 2017, afferma che: << L’effetto ex nunc troverebbe piena giustificazione anche da un punto di vista sistematico. Nei rapporti di durata, infatti, il legislatore ha escluso l’effetto retroattivo in tutta quella serie di ipotesi in cui gli eventi sopravvenuti incidono sugli effetti del contratto, ad esempio: nella disciplina della condizione risolutiva (art. 1360,  co. 2 c.c.), in quella del recesso unilaterale (art. 1373, co.2 c.c.); in quella della risoluzione per inadempimento (art. 1458 c.c.) e per eccessiva onerosità sopravvenuta (art.1467 c.c.)>>.
[12] In questi termini SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1983, 250 – 251.
[13] Sul punto si veda in dottrina: ALPA e BESSONE, Contratti in generale, cit.; GENTILI, Le invalidità, cit.; GIOIA, Interessi ususrari: rapporti in corso e ius superveniens, cit. e A. DIMAJO, G.B. FERRI, M. FRANZONI, L’invalidità del contratto, cit.. In giurisprudenza ex multis si veda Cass., 28 gennaio 1998, n. 831, in Foro it., 1998, I, c. 770.
[14]Sul punto si veda GENTILI, Le invalidità, cit. e I contratti in generale, a cura di Gabrielli, tomo II, Torino, 1999, 1289.
[15] DIMAJO, G.B. FERRI, M. FRANZONI, L’invalidità del contratto, cit.
[16] In questi termini ROPPO, Il contratto, Giuffrè, 2011, 689.
[17] In questi termini ROPPO, Il contratto, cit., 689.
[18] V. GAZZONI, Istituzioni di Diritto Privato, cit., 987.
[19] Essa si distingue dalla buona fede in senso soggettivo che deve essere intesa, invece, come stato di coscienza che esclude la mala fede ovvero come ignoranza di ledere l’altrui diritto (a tal riguardo si vedano gli artt. 128, 1153, 1994, 1189 c.c.).
[20] Sul punto si veda GAMBINO, Problemi del rinegoziare, Giuffrè, Milano, 2004, SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contratto e impresa, 2002, 774. A tal riguardo, giova notare che l’art. 6.2.2. dei Principi Unidroit prevede che quando si verificano eventi che alterano l’equilibrio negoziale <>.
[21] Sono quelle clausole con le quali le parti si obbligano a rimodulare il contenuto del contratto in presenza di determinate sopravvenienze. Si badi che in questo caso non si pongono particolare problemi giuridici, essendo del tutto ammissibile e meritevole di tutela una previsione contrattuale con la quale le parti si obblighino a rinegoziare il contenuto del contratto a fronte di sopravvenienze non previste. Giova quindi ribadire che il dibattito giuridico si è concentrato su di un versante diverso. In particolare, in giurisprudenza e dottrina, si ci è interrogati circa l’esistenza di un principio generale che obblighi le parti a rinegoziare, anche ove non previsto dalle stesse nell’ambito del contratto, alla stregua del principio generale di buona fede.
[22] Trib. Bari, ord. 14 giugno 2011, in I Contratti, 2012, 7, 571, con nota PATTI.
[23] Si vedano sul punto gli artt. 1467,1664,1623,1384 ecc.
[24] Il riferimento è alle clausole di hardship.
[25] Cfr. Cons. Stato Ad. Pl. N. 3/2011 che cerca di offrire una lettura evolutiva del requisito dell’apprezzabile sacrificio
[26] A tal riguardo si veda GUARINA, L’ordinanza di remissione alle Sezioni Unite in tema di << usura sopravvenuta>>, cit., 15 marzo 2017, 7 e L’usura sopravvenuta al cospetto delle Sezioni Unite di Renata Russo, cit., 8 – 9.
[27] V. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, cit.
[28] Così, Francesco Caringella e Luca Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma,2014,162