Pubbl. Sab, 29 Lug 2017
Affermare che una persona si sia sposata per soldi configura il reato di diffamazione
Modifica paginaInsinuare che un soggetto abbia contratto matrimonio “per soldi” può configurare il reato di diffamazione? La Cassazione penale con la recente pronuncia n. 31434 del 23 giugno 2017 ha ritenuto che comunicare a terzi che un soggetto si sia sposato per denaro costituisca un’offensiva alla reputazione del soggetto, considerato anche l’opinione comune
Il Tribunale di Locri aveva condannato l’imputato per il reato di diffamazione, che ai sensi dell’articolo 594 del codice penale si configura quando “chiunque (..) comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione”, in quanto aveva asserito che la persona offesa avesse contratto matrimonio solo per ottenere l’eredità dei beni del marito, essendo a conoscenza della sua condizione di malato quasi terminale. Avverso tale decisione, proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, adducendo che tali affermazioni non configurassero il reato di diffamazione ma rientrassero invece nel diritto di critica, considerazione supportata anche dalla Procura Generale che aveva formulato richiesta di annullamento senza rinvio per insussistenza del fatto.
La Cassazione, intervenuta sul punto, ha rigettato il ricorso ritenendo che le affermazioni dell’imputato (ossia che la persona offesa avesse espresso la volontà di sposarsi al solo scopo di interesse) rientrassero nella fattispecie prevista dal codice penale in quanto lesive della reputazione della persona offesa, “intesa come il senso della propria dignità personale nella opinione degli altri ed in sostanza nella considerazione sociale”. La Suprema Corte ha infatti ritenuto, sulla base anche di una precedente pronuncia, che “l'attribuzione alla persona offesa della deliberata volontà di sposare un uomo di cui conosceva la condizione di malato quasi terminale, allo scopo di ereditarne i beni, avendo in precedenza ottenuto lo status di moglie, è significativa di un comportamento contrario al comune sentire ed ai canoni etici condivisi dalla generalità dei consociati” (Cass. Sez. V, sentenza n. 18982 del 31/01/2014).
I giudici hanno infatti evidenziato che la gravità delle affermazioni va valutata anche tenuto conto de “l'importanza che il matrimonio riveste dal punto di vista religioso, culturale, sociale e morale per la maggior parte dei cittadini italiani, nè sottovalutarsi il suo riconoscimento nella Costituzione quale fondamento della società naturale costituita dalla famiglia”. Alla luce di ciò, non si può ignorare la lesività delle affermazioni che vanno ad intaccare non solo la dignità della persona offesa ma anche la considerazione da parte della comunità che disapprova tali comportamenti.
In merito alla sentenza di cui in oggetto, la Corte si è però limitata a pronunciarsi sul “valore” delle affermazioni ma va osservato come sarebbe stato necessario porre gli strumenti per cogliere quale sia il confine tra la libertà di espressione previsto dall’articolo 21 della Costituzione e la configurazione del reato di diffamazione. La problematica del rapporto tra libertà di espressione, diritto di critica e diffamazione risulta quanto mai attuale, anche tenuto conto del ruolo rivestito dai social network (infatti, la Cass. pen. Sez. I con la pronuncia n. 50, 02.12.2016 e la Sez. V, con la pronuncia n. 8482 del 23.01.2017, ha ritenuto configurabile l’aggravante del mezzo stampa anche al caso di diffamazione a mezzo di blog e bacheche di Facebook “in quanto trattasi di condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione”).
Premesso che la norma penale prevede che il reato di diffamazione si fondi su tre elementi: l’offesa all’altrui reputazione; l’assenza della persona offesa nonché la comunicazione con più persone. Tuttavia tale reato non si configura nei casi in cui si abbia il legittimo esercizio del diritto di cronaca e di libertà di espressione. Ma quali sono i confini? Va detto che la Cassazione ha più volte ribadito che i limiti entro cui il diritto di cronaca è considerato legittimo riguarda la verità oggettiva dei fatti narrati, l’interesse pubblico e sociale della notizia ed anche il linguaggio adoperato (è sì consentito un tono pungente purché non si traduca in offesa gratuita). Infatti, si è ritenuto che il limite immanente all'esercizio del diritto di critica è il rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire l'occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale. (Cass. pen. Sez. V, n. 11087, 31.01.2017).
E per quanto riguarda la libertà di espressione? Seppur sia pacifico il riconoscimento della libertà di espressione, la quale però non deve ledere l’altrui riservatezza, onore e reputazione, risulta assai complesso porre un confine tra opinione personale e discriminazione. Fino ad ora la giurisprudenza hanno ritenuto lecito l’espressione del proprio pensiero purché con un linguaggio che non risultasse denigratorio od offensivo.
Tutto ciò considerato, si rende necessario, con riferimento al caso concreto, indagare al fine di valutare non solo il contenuto della frase ma soprattutto valutare tutte le circostanze: nel caso di specie sarebbe stato corretto anche verificare se l’imputato aveva intenzione di screditare e diffamare la persona offesa ovvero solo esprimere la propria personale opinione. La stessa Cassazione con la pronuncia n. 4672 del 24.11.2016 aveva sottolineato come “posto che la tipicità della condotta di diffamazione consiste nell'offesa della reputazione, è dunque necessario, nel caso della comunicazione scritta od orale, che i termini dispiegati od il concetto veicolato attraverso di essi siano oggettivamente idonei a ledere la reputazione del soggetto passivo. In tal senso la divulgazione di fatti non veritieri concernenti la vita di quest'ultimo può non determinare automaticamente tale lesione, giacché quelli attribuiti possono risultare indifferenti per l'integrità della sua reputazione. Ciò però non dipende esclusivamente dall'oggettiva natura del fatto divulgato, ma altresì delle implicazioni che la sua divulgazione assume in ragione delle qualifiche soggettive della persona cui viene accostato.”
Sarebbe stato opportuno, pertanto, che la Corte non si fosse limitata ad analizzare il contenuto delle parole ma anche le intenzioni con cui erano state pronunciate, al fine di ottenere una pronuncia che aiutasse nel delineare la linea (sottile) di confine tra la manifestazione del proprio pensiero e la configurazione del reato di diffamazione.