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Pubbl. Lun, 24 Lug 2017

Nozione di privata dimora ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione ex art. 624 bis c.p.

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Massimiliano Pace


Intervento risolutivo delle Sezioni Unite con Sentenza depositata il 23 giugno 2017 del contrasto giurisprudenziale sulla nozione di privata dimora, in particolare con riferimento alla estensione dell´applicabilità della fattispecie anche ai luoghi in cui avviene lo svolgimento di attività lavorativa.


Il reato di furto in abitazione, disciplinato all’art. 624 bis primo comma c.p., punisce la condotta avente ad oggetto l’impossessamento della cosa altrui mediante sottrazione della medesima tramite l’ introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o pertinenze di essa. Si tratta di un articolo introdotto nel codice penale dall’art. 2 co. 2 della legge 26 marzo 2001 n. 108 che ha posto, sin dalle prime pronunce giurisprudenziali tanto di merito quanto di legittimità, una serie di problemi interpretativi strettamente collegati alla nozione di privata dimora, che costituisce l’elemento differenziale della fattispecie in esame rispetto al reato di furto ex art. 624 c.p. Il furto in abitazione disciplinato all’art. 624 bis co. 1, infatti, si sostituisce alla circostanza aggravante antecedentemente prevista dall’abrogato numero 1 dell’art. 625, ed in questi termini, quindi, la fattispecie può essere considerata come autonoma figura di reato rispetto al previgente assetto di tutela penale.

La giurisprudenza ha seguito una interpretazione estensiva della nozione  di edificio destinato alla privata dimora, condivisa dalla stessa dottrina maggioritaria, così ritenendo il dato testuale comprensivo sia dei luoghi che costituiscono abitazione strictu sensu –così includendovi anche dei luoghi pertinenziali che ne formano parte integrante- sia di quelli destinati allo svolgimento di attività complementari. In particolare, una risalente pronuncia della Suprema Corte affronta la nozione della privata dimora rilevando che la definizione normativa di luogo “destinato in tutto o in parte a privata dimora” consente di comprende nell’ambito applicativo dell’art. 624 bis co. 1 quei luoghi nei quali “le persone si intrattengono per compiere anche in modo transitorio e contingente atti della loro vita privata” (Cass. Sez. IV n. 43671/2003). Questa interpretazione tendenzialmente estensiva ha trovato puntuale riscontro in dottrina, sulla scorta della evoluzione normativa operata dal legislatore del 2001 rispetto all’abrogato art. 625 che faceva riferimento all’ “edificio o altro luogo destinato ad abitazione”. Ed invero, secondo l’orientamento dominante, la diversa formulazione conferisce alla norma un ambito applicativo più ampio così ricomprendo altresì, nella nozione di luoghi protetti, anche quei locali privati destinati ad uso non abitativo quali in particolare gli esercizi commerciali (per la dottrina Mantovani e Pulitanò). Orbene, nonostante la presenza di un orientamento maggioritario e per certi versi consolidato, l’inquadramento della nozione di privata dimora ha suscitato un contrasto tra Sezioni nella giurisprudenza di legittimità, da ultimo risolto dalle Sezioni Unite con sentenza, pronunciata il 23 marzo 2017, le cui motivazioni sono state rese lo scorso 22 giugno. La vicenda ha ad oggetto un furto commesso all'interno di un ristorante, con danneggiamento di cose in quanto l'agente ha distrutto una finestra, in orario di chiusura e quindi in assenza di avventori nel locale.

La questione rimessa alla valutazione delle Sezione Unite concerne la delimitazione della portata del reato di cui all’art. 624 bis c.p., nelle ipotesi in cui l’azione delittuosa dell’agente venga posta in essere in esercizi commerciali, studi professionali, stabilimenti industriali e, in generale, in luoghi di lavoro, al fine di stabilire in particolare se la stessa fattispecie possa dirsi sussistente allorquando la condotta venga posta in essere in orario di chiusura al pubblico della sede lavorativa, anche e specificamente in assenza di persone esercenti attività all'interno di tali luoghi e orari. Le Sezioni Unite investite della questione hanno rilevato in primo luogo la necessità di ridefinire la portata della nozione di privata dimora, e ciò in quanto dalla condivisione o meno della lettura estensiva di tale elemento discende la soluzione al quesito sottoposto dalla Sezione remittente. La Suprema Corte, pertanto, ripercorre il percorso interpretativo seguito dalla giurisprudenza di legittimità sin dalla entrata in vigore del nuovo art. 624 bis, a proposito del concetto di “privata dimora” inteso in termini più ampi rispetto alla precedente formulazione della “abitazione”. L’orientamento estensivo, si legge nella Sentenza in esame, si fonda su una serie di elementi identificativi del luogo di privata dimora di carattere strutturale e funzionale: così la privata dimora è tale nel momento in cui sussiste l'astratta possibilità di inibire l'accesso al pubblico attraverso dispositivi di sbarramento, quali portoni, saracinesche o altri meccanismi; negli stessi termini, sotto il profilo funzionale, si considera la natura privata dell'attività che vi si svolge, con la specificazione che “atti della vita privata non sono soltanto quelli della vita intima o familiare, ma anche quelli dell'attività professionale o lavorativa, o quelli posti in essere a contatto con altri soggetti, quali l'acquisto di merce in un supermercato, la fruizione di una prestazione professionale, il compimento di operazioni bancarie”. Ed invero tale schema ermeneutico dell’art. 624 bis ha consentito di configurare la fattispecie in una serie di ipotesi rispetto alle quali la privata dimora non riguardava il luogo di svolgimento dell’attività privata, quanto piuttosto quello dell’ attività lavorativa. Da ultimo è stato ritenuto configurabile il reato ex art. 624 bis co. 1 in una fattispecie relativa al furto commesso all’interno di un’edicola (Cass. Sez. V n.7293/2015), all’interno di un esercizio commerciale adibito a tabaccheria durante l’orario di apertura e nella parte concretamente aperta al pubblico “trattandosi di locale nel quale le persone si trattengono per compiere atti della loro vita privata e quindi costituisce luogo adibito a privata dimora” (Sez. V n.32026/2014), all’interno di uno stabilimento nell’area adibita a deposito merci. Ma è proprio con specifico riferimento alla estensione della configurabilità del reato anche a fatti avvenuti il luoghi di lavoro aperti al pubblico che si sono registrati i primi contrasti, da cui poi è dipesa la rimessione alle Sezioni Unite. In particolare, si segnala una pronuncia resa dalla Quarta Sezione nella quale si afferma che il reato di cui all’art. 624bis c.p. può dirsi integrato laddove l’agente si introduca all’interno di una farmacia soltanto allorquando “l’introduzione clandestina avvenga nelle parti dell’immobile destinati a privata dimora, vale a dire quale luogo non pubblico in cui le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti di vita privata” (Cass. Sez. IV n. 51749/2014). 

Le Sezioni Unite, nel rigettare l’interpretazione dell’orientamento comunque maggioritario citato, hanno affrontato le motivazioni della pronuncia in esame, muovendo dalla esatta portata della privata dimora anche alla stregua dei chiarimenti resi dalla Corte Costituzionale a proposito della tutela costituzionale del domicilio privato offerta dall’art. 14 Cost. La Consulta, infatti, con due distinte pronunce di legittimità costituzionale nel 2002 e nel 2008, ha affermato e riconosciuto “una valenza essenzialmente negativa” al principio di libertà domiciliare sancito all’art. 14 Cost., da intendersi correttamente come “diritto di preservare da interferenze esterne, pubbliche o private, determinati luoghi in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo”. Si può quindi agevolmente osservare, che il richiamo a tali insegnamenti del giudice delle leggi è propedeutico ad una lettura restrittiva della portata applicativa della nozione di privata dimora, e ciò anche in relazione a precedenti orientamenti delle stesse Sezioni Unite a proposito della delimitazione dell’elemento del “domicilio” nell’ambito del reato di violazione di domicilio ex art. 614 c.p. (Sentenza Prisco n. 26795/2006). In quella occasione le Sezioni Unite precisarono che, pur risultando più ampia la nozione di domicilio contenuta all’art. 14 Cost. rispetto al reato di cui all’art. 614, Il concetto di domicilio richiede una certa stabilità in quanto lo stesso “può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza”.

Sul piano dell’art. 624 bis, la tesi estensiva si scontra, secondo la Suprema Corte, con la stessa ratio della norma in quanto i luoghi cui si riferisce la formulazione del primo comma, devono avere “le stesse caratteristiche dell'abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell'avente diritto”. La nozione di privata dimora così delineata, pertanto, presuppone che tale luogo sia utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni di vita privata in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne: l’attività lavorativa e professionale si inserisce, quindi, senza particolari forzature nell’ambito di siffatta definizione, purché sussista l’ulteriore elemento della stabilità ovvero della “durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità”. Il luogo, inoltre, non deve essere accessibile, da parte di terzi, senza il consenso del titolare, coerentemente con gli altri due elementi della nozione, e ciò in quanto la chiusura a terzi consente lo svolgimento di atti della vita privata del titolare, in modo riservato e senza possibilità di intrusione da parte di estranei. Orbene, su queste osservazioni si fonda la definizione di privata dimora, secondo una lettura maggiormente in linea con la ratio della norma, anche in relazione all’estensibilità dell’applicazione del reato di furto in abitazione a quelle fattispecie in cui il fatto si è verificato all’interno di luoghi ove avviene lo svolgimento di attività lavorativa. Un’edicola, un bar, una farmacia o uno studio professionale e attività commerciali in genere, sono luoghi “accessibili ad una pluralità di soggetti anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto": ad essi è quindi estraneo ogni carattere di riservatezza, essendo esposti, per definizione, alla "intrusione" altrui” -precisano i giudici di Piazza Cavour- “e quindi a un numero indeterminato di persone, che possono pertanto prendere contatto (e non solo visivo) con il luogo senza alcun filtro o controllo”. La riservatezza e la necessità di tutela della sfera privata dell’individuo mal si conciliano con la accessibilità fisiologica di tali luoghi, fermo restando comunque che queste Sezioni Unite ammettono in generale l’estensibilità ai luoghi di lavoro della fattispecie (in questo caso condividendo il filone giurisprudenziale consolidato sul punto) purchè abbiano le caratteristiche proprie delle abitazioni, prima fra tutte la non accessibilità ai terzi senza il consenso, la stabilità e la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona. A titolo esemplificativo, si rileva in sentenza il riferimento al retrobottega, ai bagni privati, alle aree riservate di uno studio professionale o di un laboratorio o stabilimento. La delimitazione della nozione di privata dimora operata dalla Suprema Corte restituisce, quindi, al dato testuale dell’art. 624 bis c.p. la coerenza con l’ordinamento, anche alla luce della evoluzione normativa dettata dall’abbandono della nozione di “abitazione privata”. Il riferimento alla coerenza interna dell’ordinamento, peraltro, si pone con riguardo alla disciplina della legittima difesa e quindi al comma 3 dell’art. 52 c.p., introdotto nel 2006, stante la limitata portata del comma 2 che fa riferimento, ai fini della presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, ai luoghi previsti dall'art. 614 c.p., restringendo quindi ad essi la nozione di privata dimora, poi ampliata con la novella legislativa che ha inserito il terzo comma (luoghi ove si esercita un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale).

In conclusione, quindi, le Sezioni Unite hanno delimitato la nozione di privata dimora ai sensi dell’art. 624 bis c.p., ritenendo pertanto che i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora “salvo che il fatto sia avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa” nei termini sopra precisati. I luoghi destinati all’attività lavorativa o professionale rientrano nella nozione di privata dimora se all’interno degli stessi vengono svolti “non occasionalmente” atti della vita privata, luoghi quindi –per definizione- non aperti al pubblico né tantomeno accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

A seguito di tale importante arresto della giurisprudenza di legittimità, l’accertamento richiesto al giudice di merito sarà quello di verificare, nello specifico, la presenza di una parte del locale ove si svolge l’attività lavorativa, sia essa commerciale o professionale, riservata e preclusa alla pubblica fruizione, e ciò in quanto solo la sussistenza contestuale degli elementi richiamati nel principio di diritto consente di configurare la fattispecie di furto in abitazione, dovendosi applicare in mancanza la fattispecie ordinaria di furto ex art. 624 eventualmente aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p.