Pubbl. Gio, 20 Lug 2017
La ”vittima” del processo penale: l´indagato archiviato, l´imputato assolto e l´ingiustamente detenuto
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Giuseppe Ferlisi
Riflessioni sui danni derivanti dall´attività giudiziaria penale nei confronti di imputati assolti, indagati archiviati o ingiustamente detenuti. Proposte di possibili soluzioni rispetto ai rischi del singolo di sopportare economicamente e socialmente i costi del sistema giudiziario.
Uno dei problemi da affrontare per un sistema giudiziario che vuole definirsi penal-garantista è sicuramente quello che riguarda il conflitto fra doverosità dell'accertamento penale ed il costo di tale necessità per il singolo consociato che si vede assolto, prosciolto o comunque destinatario di un provvedimento di archiviazione; egli, per arrivare a tali pronunce, ha comunque subito le conseguenze che la pendenza del procedimento penale comporta.
La questione ruota intorno ad un interrogativo: il costo di una assoluzione va distribuito su tutti o va accentrato solo su chi sia stato assolto, per il bene di tutti?
Già Zagrebelski, nel 19921, si interrogava sul punto, aprendo il dibattito sui costi immediati sostenuti dal singolo per l'obbligatorietà dell'azione penale.
Tale questione, ovviamente, non riguarda solo principi processual-penalisti, ma anche questioni che attengono all'ideologia, pertanto intorno tale tema si registrano varie correnti, tra chi propone una redistribuzione dei danni e chi, invece, sostiene convintamente che alcuni pesi vadano affrontanti dal singolo in nome dell'amministrazione della giustizia.
Sia chiaro, si sta parlando di attività giudiziaria lecita, valida e legittima, ma che lede comunque situazioni giuridiche soggettive senza che nessuno dei soggetti in campo ne sia responsabile a titolo di colpa, dolo od errore.
Uno dei primi provvedimenti per cominciare a prendere cognizione del problema nel suo complesso ed poter discutere serenamente rispetto a possibili soluzioni, risiede sicuramentre in una mappatura dei danni da processo.
Una banca dati o una raccolta rispetto al numero di archiviazioni, assoluzioni e ingiuste detenzioni, corroborate magari dalla loro collocazione territoriale e dalle norme del codice penale ipotizzate, ma non suffragate dalla raccolta istruttoria.
Oggi, affrontare tale problema, è una questione assai importante; basta pensare a quanto l'informazione sia oggi capillare ed invasiva nella sfera dei soggetti, attraverso l'uso dei social network, dei portali di informazione territoriale e di una piazza virtuale che è sempre più grande, ma allo stesso tempo vicina al soggetto colpito dal procedimento penale.
Molti studiosi ed operatori del diritto hanno evidenziato come un soggetto "vittima" di un processo subito, subisca poi danni sia nell'ambito lavorativo e sociale, che in quello affettivo e relazione, oltre che nella reputazione.
Lorusso2 ha utilizzato il termine "stress da processo", per evidenziare quello stato di alterazione emotiva determinata dal tempo, dalla preoccupazione e della concentrazione necessaria per difendersi, anche per far fronte dal lato economico per assumere un difensore; per non parlare poi delle esperienze di sofferenza, quali perquisizioni, ispezioni personali o esami.
Vero è che il nostro sistema già prevede molti strumenti per far fronte agli "errori" del sistema giudiziario, tuttavia spesso si configura un danno diverso e non previsto: quello dell'alterazione del quotidiano vissuto.
Si possono immaginare azioni correttive o di salvaguardia; a tal proposito anche la Corte Cedu ha emanato pronunce emblematiche in tal senso. Fra tutte la sentenza Torreggiani3, che ha imposto misure di salvaguardia per evitare che l'esecuzione della pena si risolva in trattamenti disumani e degradanti, così come può essere fatto ancora molto in fase di esecuzione della pena.
Si pensi ad esempio alle carcerazioni subite in base a norme poi dichiarate incostituzionali: in tale caso sarebbe opportuno prevedere un indennizzo per la porzione di pena già subita o scontata?
Certo, nessuna norma potrà mai salvaguardare i risvolti sociali di un processo o di un'indagine ingiusta, niente di normativo può proteggere il consociato dall'essere minato nella fiducia lavorativa o familiare; tali situazioni possono essere mitigate da iniziative più culturali che sociali, volti a far capire quanto sia importante la presunzione di innocenza ed il significato di un processo.
Si tratta di discutere dei cd. bilanciamenti, ossia delle norme, buone pratiche o protocolli di comportamento che potrebbero attenuare i danni, rispetto ai singoli provvedimenti che vengono adottati.
Il nostro ordinamento potrebbe ad esempio scegliere di prevedere un indennizzo fisso ed obbligatorio per tutti gli assolti da fatto leciso dannoso, in maniera forfettaria, oppure scegliere un sistema più complesso che sia costituito sia da norme di salvaguardia e prevenzione, affiancato da strumenti di riparazione in concreto.
Certo, tale tema vede contrapposti tra loro molteplici interessi in gioco: dall'amministrazione della giustizia ed all'interesse al risparmio delle casse erariali da una parte, e la tutela della singola posizione giuridica soggettiva dall'altro.
Il nostro ordinamento, invero, ha previsto già alcune condotte riparative (ingiusta detenzione, errore giudiziario, irragionevole durata, trattamento carcerario disumano) in nome del principio di solidarietà costituzionale, operando per un bilanciamento classico: laddove si riscontra una condotta di danno da parte del sistema giudiziario, si prevede un corrispondente strumento riparativo dello Stato.
Tuttavia, tale approccio, non guarda alla complessità del problema, quanto piuttosto alla sua specificità, soffermandosi sulle singole situazioni di disparità del nostro sistema penale.
Ad esempio non è ancora prevista una condotta riparatoria da archiviazione, nè di una forma di risarcimento a carico del denunciante di un fatto rivelatosi infondato e pretenzioso.
La soluzione, come proposto da Sprangher nel libro "La vittima del processo", potrebbe essere quella di un "bilanciamento a graduatoria", nella quale venga instaurata una gerarchia fra tutti i valori lesi e fra tutti scegliere quali siano meritevoli di una forma ristorativa ovvero ancora un "bilanciamento a fasce", in cui catalogare i danni prodotti attraverso la fissazione di una media (la fascia appunto) da ristorare in maniera indiferrenziata.
Insomma, il problema di tutela delle persone coinvolge nel processo penale (o nell'indagine, o nelle perquisizioni) e poi "scagionate" esiste e merita la propria ontologica considerazione in un sistema che vuole definirsi progressista, moderno e garantista.
Certo, molti passi sono stati fatti negli ultimi anni sotto questo aspetto, ma ciò non può e deve significare adagiarsi; la giurisprudenza ed il diritto pretendono un dibattito continuo, alla ricerca di una "perfezione" forse utopica, ma che sicuramente deve costituire l'aspirazione di un sistema, come quello penale, che costruisce la propria esistenza sulla libertà delle persone, sulle loro vite, sui loro affetti e sul loro stesso esistere.
Non solo, stabilire tutte le riparazioni, con magari uno studio analitico delle possibili cause, consentirebbe al nostro sistema penale e giudiziario di progredire, capendo i propri errori o perfino permettere di comprendere le fattispecie di reato poco sostenibili in giudizio e quindi da correggere.
A tal fine questo scritto, scevro da aspirazioni di complettezza, vuole stimolare, in maniera sommessa, questo dibattito.
Note e riferimenti bibliografici
1) G. Zagrebelsky, Il Diritto Mite, Torino, 1992, pag. 198 e ss.
2) S. Lorusso in G. Spangher (a cura di ) La vittima del processo, Torino, 2017, pag. 137 e ss.
3) Corte Europea dei Diritti Umani, sez. II, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e a. c. Italia, http://www.echr.coe.int.