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Pubbl. Mar, 25 Lug 2017

I reati di durata e il tempus commissi delicti

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Giuseppe Mainas


Riguardo i cd. reati di durata che a loro volta si suddividono in tre categorie di reato (reati abituali, reati permanenti e reati a consumazione frazionata o prolungata), la giurisprudenza si è domandata se il reato si consumasse al momento dell’induzione in errore, quando si esegue la prima prestazione, oppure al momento dell’ultima dazione.


I reati di durata sono un istituto giuridico alquanto complesso ed articolato, soprattutto quando viene esaminato l'eventuale rapporto giuridico che intercorre tra quest'ultimo e il cd. tempus commissi delicti. Innanzitutto, occorre evidenziare come l'istituto giuridico de quo si contrapponga ai cd. reati istantanei, ovvero quella categoria di reati in cui il momento comsumativo si verifica in un arco di tempo breve e ben determinato, mentre i reati cd. di durata si manifestano in un periodo di tempo prolungato ed indeterminato (es. sequestro di persona, stalking, ecc.).

Terminata questa breve premessa occorre analizzare nello specifico le varie articolazioni giuridiche derivanti dall' istituto in oggetto, che possono suddividersi in:

  1. i reati abituali
  2. i reati permanenti
  3. i reati a consumazione frazionata o prolungata

Si definiscono reati abituali quei reati per la cui consumazione il legislatore pretende che il soggetto attivo ponga in essere non un unico atto aggressivo del bene giuridico tutelato, ma più atti simili, reiterando la condotta. Solo la reiterazione delle condotte determina quel minimum di offensività al bene giuridico tutelato (es. maltrattamenti in famiglia, stalking, etc.). Con riferimento al reato abituale, il problema successorio non si pone: se, dopo il primo atto, interviene una norma successiva abolitiva essa troverà applicazione anche alle fattispecie in cui l’ultimo atto reiterato sia posto in essere nella vigenza della norma abolitiva.

Il problema non si pone nemmeno in caso di norma modificativa, perché se la modifica in melius retroagisce anche al fatto consumato, a maggior ragione troverà applicazione nel caso di ultimo atto commesso nella vigenza della più favorevole norma.

Il problema si pone invece nel caso in cui ci sia una norma incriminatrice sopravvenuta: in questo caso bisogna verificare a quali condizioni sia applicabile la nuova norma incriminatrice. L’assunto giurisprudenziale ha a più riprese sostenuto che occorre fare attenzione a non fare applicazioni violative del divieto di retroattività sfavorevole, il divieto di applicazione retroattiva sfavorevole (come sarebbe il caso della norma che, per la prima volta, prevede la punibilità di un soggetto che ha posto in essere condotte reiterate prima dell’entrata in vigore della norma o il caso in cui, se quella norma di nuova incriminazione che chiede un minimum di reiterazione fosse applicata al soggetto che ha commesso alcuni atti di questa situazione di reiterazione, ma a tenore della nuova norma incriminatrice bisogna tener conto anche di quelle condotte precedentemente adottate. In tal casi si creerebbe una applicazione retroattivamente sfavorevole della nuova norma, perché si assegnerebbe rilievo – nel verificare quel minimum offensivo richiesto dalla norma incriminatrice – a condotte tenute prima, quando quella norma non c’era e quella condotta non assumeva rilievo penale o quel rilievo penale).

La seconda categoria è quella dei c.d. reati permanenti: quei casi in cui il legislatore richiede che ai fini della consumazione del reato sia posta in essere una condotta di protrazione della situazione offensiva (è il caso del sequestro di persona). Richiede, cioè, il protrarsi del mantenimento della condotta offensiva. Diverso presupposto del reato permanente è la linearità, l’unitarietà della condotta di mantenimento della situazione offensiva; nel reato abituale c’è invece una reiterazione di condotte lesive.

Con riferimento al reato permanente si è posto il problema della applicabilità della norma dopo l’istaurarsi della situazione lesiva del bene giuridico, quando si tratti di norma che ha aggravato il trattamento sanzionatorio. La giurisprudenza è concorde nel ritenere applicabile la norma sopravvenuta che introduce un trattamento più grave, e non quella che prevedeva un trattamento più mite al momento dell’avvio della condotta. Questa impostazione in alcun modo urta con il divieto di retroazione sfavorevole, perché quest’ultimo vieta di applicare una norma sfavorevole ad un fatto commesso prima dell’entrata in vigore della nuova norma. Viceversa in questo caso si applica la norma sfavorevole  sopravvenuta ad un fatto ancora in itinere al momento in cui la nuova disposizione ha trovato applicazione.

Ciò che la giurisprudenza ha mostrato di non condividere è l’orientamento dottrinale che intendeva scomporre le condotte e sottoporre una parte della condotta alla disciplina vigente meno afflittiva e l’altra parte alla disciplina vigente più afflittiva. Una tesi che, per la maggior parte della giurisprudenza, contrasta con l’unitarietà della fattispecie permanente.

La terza categoria dei reati di durata è quella dei reati a consumazione frazionata: trattasi di reati nei quali il legislatore non chiede un minimum di reiterazione, non chiede un minimum di mantenimento della situazione offensiva, ma si tratta di reati che si prestano ad un reiterazione nel tempo del mantenimento o di aggravamento della situazione offensiva. Si tratta di una categoria di natura pretoria. Inizialmente tale categoria è stata adottata con riferimento alla truffa a danno di enti previdenziali, cioè quando con artifizi o raggiri il soggetto induca in errore l’amministrazione facendole credere la spettanza ad avere diritto a prestazioni previdenziali, e una volta indotta in errore l’amministrazione si assicuri le singole mensilità della prestazione non dovuta, ma riconosciuta dall’amministrazione e corrisposta sulla base della condotta dell’agente.

In tal casi, il reato si consuma al momento dell’induzione in errore, quando l’ente esegue la prima prestazione o al momento dell’ultima dazione?

In questo caso la giurisprudenza ha definito il reato de quo come reato a consumazione frazionata, portando in avanti il dies a quo, conseguentemente fissato alla data dell’ultima dazione.

Questo stesso schema viene esteso ad una serie di reati che si caratterizzano per il fatto che il legislatore distingue i momenti della promessa e quello della dazione. In queste ipotesi, il reato è consumato al momento dell’uno o dell’altro?

In riferimento a questi casi è natai la categoria dei reati a duplice schema di realizzazione: uno schema principale e uno schema sussidiario. Lo schema sussidiario è quello, ad esempio, del corrotto che si accorda con un altro soggetto ma poi non riesce ad ottenere l’utilità economica. In questi casi il problema successorio non si pone, perché il reato si perfeziona al momento della promessa.

Il problema si pone quando, invece, v’è uno schema principale che si ha quando la promessa sia seguita dalla dazione . In tali casi il reato si consuma al momento della promessa o alla dazione?

La giurisprudenza, con riferimento al reato di usura, aderisce all’idea che tutti questi reati siano reati di durata nei quali il legislatore per esigenze di anticipazione della tutela penale ha dato rilievo al momento della promessa; il che non toglie, però, che la condotta successiva di dazione aggravi e consolidi l’offesa e protragga la durata consumativa del reato. Perciò il tempus va fissata nel momento in cui l’offesa si caratterizzi per la massima aggressività (cioè con la dazione). In particolare, con riferimento all’usura il legislatore ha chiarito con l’art. 644 ter che la prescrizione inizia a decorre dalla data dell’ultima dazione!

Ciò nonostante, la Cassazione si interroga su quando può dirsi consumata la fattispecie di usura; la giurisprudenza prevalente distingue a seconda che la promessa non seguita da dazione (nulla quaestio) o che la promessa sia seguita da dazione. In tal caso l’usura è ritenuta una fattispecie a consumazione prolungata, e la consumazione si ha nel momento in cui v’è l’ultima dazione. E ciò in base al combinato disposto dell’art. 644 ter e 158 c.p. che prevede che la prescrizione decorre dal momento di consumazione del reato. Con la conseguenza che il reato di usura non si consuma con la promessa, ma con la dazione ultima.

Il problema della individuazione del tempus commissi non si è posto con in relazione al tema della prescrizione, ma con riferimento alla configurabilità del concorso di un soggetto che intervenga in via successiva alla promessa per incarico del promissario per andare a riscuotere i ratei e gli interessi. Il soggetto terzo al momento della promessa e intervenuto dopo, può fornire un contributo concorsuale al reato di usura perché il reato non si consuma con la promessa ma con la dazione.  Questa tesi, oggi prevalente in giurisprudenza, non è l’unica tesi, in quanto in passato si sosteneva che quello dell’usura non fosse un reato di durata a consumazione frazionata, ma istantaneo con effetti permanenti; cioè che si consumasse con la promessa, ma che gli effetti di aggravamento dell’offesa continuassero nel tempo, con la conseguenza che la promessa dovesse configurare il reato di usura e non la mera dazione, con implicazioni inevitabilmente diverse, anche in punto di ipotizzabilità di concorso di persone, come nel caso di specie prima individuato. Questo diverso orientamento poggia su un’alternativa lettura sistematica dell’articolo 644-ter c.p. in combinato disposto con l’art. 158 c.p. La regola generale dell’art. 158 c.p. disciplina che la prescrizione inizia a decorrere con la consumazione del reato; con riferimento all’usura l’art 644-ter c.p. prevede che diversamente la prescrizione inizia a decorrere con la dazione. I fautori della tesi del reato non istantaneo affermano che l’art. 644-ter c.p. esplica con riferimento all’usura la regola generale dell’art. 158 c..p, il quale, prevedendo che la prescrizione decorre dal momento della consumazione, che il momento iniziale deve individuarsi nella dazione. Diversamente i fautori della tesi secondo cui l’usura è un reato a consumazione istantaneo con effetti permanenti ribaltano questa impostazione, sostenendo che, data la regola generale dell’art. 158 c.p., per cui la prescrizione decorre dalla consumazione, il legislatore con l’art. 644-ter c.p. ha voluto derogare alla norma generale, ponendo un diverso momento per il decorso iniziale del computo della prescrizione. Sull’assunto secondo cui la consumazione del reato di usura si ha nel momento della promessa, l’art. 644-ter c.p., in deroga alla regola generale, ha voluto prevedere che per l’usura la prescrizione non decorra dalla promessa,bensì da un momento successivo, dalla dazione. Altrimenti opinando (secondo ancora i fautori della teoria del reato istantaneo ad effetti permanenti) si finirebbe ad attendere un’interpretazione superflua dell’art. 644-ter c.p., intendendolo come una duplicazione della regola sulla prescrizione, in riferimento al reato di usura.