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Pubbl. Ven, 7 Lug 2017

Il reato di molestia

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Pierluigi Grassi


Analisi del reato di molestia ex art. 660c.p. secondo le ultime sentenze della Corte di Cassazione. Poiché la tecnologia è in continua evoluzione in tempi brevi ed offre svariati e sorprendenti mezzi di comunicazione, sarebbe opportuno sempre contestualizzare il reato e adottare nei suoi confronti atteggiamenti adeguatamente critici.


Il reato di molestia, anche detto reato di disturbo alle persone, è disciplinato dall’art. 660 c.p., il quale punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, rechi a qualcuno molestia o disturbo per petulanza o per un qualsiasi biasimevole motivo.

Secondo la Corte di Cassazione tale reato ( art. 660 cod. pen.) realizzato con telefonate e SMS si configura laddove il comportamento sia connotato dalla caratteristica della petulanza, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nella sfera della quiete e della libertà delle persone "o per altro biasimevole motivo", ovvero qualsiasi altra motivazione che sia da considerare riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza.(Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 28 giugno 2016, n.26776).

Visto il progressivo svilupparsi del reato in questione,  si ritiene possa essere proficuo soffermarsi a riflettere sui principali elementi costitutivi.

L’elemento caratterizzante il reato in questione consiste nel molestare taluna persona. Per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all’ipotesi del reato continuato”1.Pertanto per ritenersi integrato il reato di molestia è necessario che il comportamento tenuto sia caratterizzato da insistenza ed invadenza, ovvero la condotta deve essere idonea ad alterare il normale equilibrio psichico della vittima ed a determinarne una modifica delle normali condizioni di vita.Il reato di cui all’art. 660 c.p. sarà dunque integrato quando un soggetto disturbi l’altrui sfera privata con ripetute chiamate o continui sms, i quali non devono lasciare la vittima indifferente.

(Nella contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen. l’illiceità penale dei fatto è subordinata alla petulanza o altro biasimevole motivo e alla volontà dell’agente di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà. La petulanza si sostanzia in un atteggiamento di insistenza fastidiosa, arrogante invadenza, intromissione inopportuna e continua; il biasimevole motivo, pur diverso dalla petulanza, è ugualmente riprovevole in se stesso o in relazione alla persona molestata.  La sussistenza di detti presupposti va verificata in concreto con riferimento all’elemento costitutivo che connota la condotta del reo che deve essere, appunto, realizzata per petulanza o altro biasimevole motivo, condizione esclusa nel caso di reciprocità ovvero di ritorsione delle molestie. Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13 maggio 2016, n. 19767)

Non integra il reato di molestia o disturbo alle persone previsto dall’articolo 660 Cod. Pen. il fatto di chi, mediante posta elettronica, invii molti messaggi ad un’altra persona laddove la comunicazione sia avvenuta tramite computer.

Inoltre la Corte di Cassazione , sez. I penale con la sentenza 12/09/2014 n° 37596  ha osservato che non vi fosse, negli atti processuali, sufficiente chiarezza sul se gli apprezzamenti veicolati attraverso il social network più diffuso al mondo Facebook, fossero stati inseriti sulla pagina (cd. diario) leggibile da parte di tutti coloro che l’avessero aperta e, comunque, a tutti i cd. “amici”, o piuttosto nella parte della messaggeria, che resta riservata alla lettura della sola destinataria. Soltanto nella prima ipotesi, infatti, secondo la Suprema Corte, si sarebbe in condizioni di ritenere pubbliche le molestie perpetrate ai danni della vittima, dovendo invece, nell’altra ipotesi, queste ultime considerarsi private.Il reato in parola può essere commesso in qualunque modo  e quindi tramite telefono, cellulare, ecc. ecc. però tra le varie modalità non vi rientra quella della comunicazione via email, laddove l’invio di messaggi sia avvenuto tramite computer.Nei messaggi di posta elettronica tramite computer i destinatari non ricevono un disturbo immediato, ma semmai lo ricevono nel momento in cui decidono di aprire la relativa casella.
Il reato di molestie può scattare nel caso di conversazione avvenuta tramite il servizio MSN, in quanto tale sistema permette di conversare in modo istantaneo, a differenza di quanto avviene nel circuito di posta elettronica. Il reato in questione non è considerato un delitto, ma una contravvenzione e con il pagamento dell’ammenda, il reato si estingue.

È importante sottolineare come la molestia o il disturbo debbano essere valutati con riferimento alla psicologia normale media, in relazione cioè al modo di sentire e di vivere comune (Cass. n. 7355/1984).

Il reato contravvenzionale ex art. 660 c.p. non ha natura di reato necessariamente abituale, sicché può essere realizzato anche con una sola azione (Cass. n. 43439/2010).

La testimonianza della persona offesa dovrebbe essere non solo presa in considerazione di per sé ma anche, alla luce di altre testimonianze che possono confermare quanto rappresentato.

A questo scopo, circostanza ancora più utile potrebbe essere resa dal fatto che testimoni terzi, oltre ad essere stati messi a conoscenza delle chiamate, possono anche riferire di aver sentito le telefonate o letto i messaggi di testo. La prova così sarebbe ancora più schiacciante.

Quanto ai messaggi o ai video questi possono oltretutto essere salvati e mostrati alle forze dell’ordine al momento della denuncia-querela o al momento del processo.

Può essere, inoltre, estrapolato il tabulato telefonico da cui si ricava che dal cellulare dell’imputato effettivamente sono state effettuate chiamate verso il cellulare della persona offesa. In questo caso, seppur non verificando direttamente il contenuto delle chiamate/messaggi, quanto meno può essere provata l’effettiva presenza delle telefonate sul tabulato telefonico.

A differenza della legislazione statunitense, per la quale la molestia è punibile solamente se è presente il duplice requisito “comportamento ostinato, assillante e continuo” e “minaccia credibile”, in Italia non è richiesto il primo di tali requisisti; è sufficiente infatti un’unica azione di molestia o disturbo.

Le molestie assillanti negli U.S.A vengano viste con maggiore preoccupazione e giudicate con diversi livelli di gravità, con pene detentive fino a due anni, mentre in Italia, non essendo considerate un delitto, ma una contravvenzione, sono punite in maniera molto lieve. Infatti, quando il comportamento di un molestatore va al di là del disturbo telefonico e del pedinamento e costringe la vittima a cambiare le proprie abitudini, si ipotizza un reato più grave, quello della violenza privata (art. 610 c.p.).

Il reato di molestia può essere generalmente collegato ad altri reati come minaccia (art. 612 c.p.), ingiuria (art. 594 c.p.), lesioni personali (art. 582 c.p.), violazione di domicilio (art. 614 c.p.) etc. In questi casi però il reato contravvenzionale della molestia (art. 660 c.p.) non viene assorbito dall’ipotesi delittuosa più grave, in quanto il bene giuridico che viene tutelato è diverso.

Difficilmente a un molestatore vengono imposte dal giudice misure cautelari. Le vittime quindi si sentono poco tutelate dalla legislazione, per cui si potrebbero ipotizzare proposte di legge finalizzate al recupero e al reinserimento sociale dei molestatori, ma anche misure cautelari specifiche per quest’ultimi, affinché le vittime si possano sentire più protette. Le vittime maggiormente ossessionate e spaventate sono quelle più vulnerabili.

Tale  reato è analizzato sulla base della denuncia della vittima, la quale rappresenta l’unica testimonianza su cui il Giudice si trova a basare le motivazioni di una sentenza di condanna o di assoluzione.

Inoltre la Corte di Cassazione, aveva affermato, sul  reato di molestie,  che "il carattere invasivo, senza possibilità di sottrarsi al suono molesto, dell'avvertimento dell'arrivo della posta elettronica non può dirsi realizzato perché gli imputati comunicavano con le persone offese tramite computer ed in tanto la posta elettronica con questo mezzo inviata poteva essere letta in quanto i destinatari di essa, per nulla avvertiti dell'arrivo, avessero deciso di "aprire" la posta elettronica pervenuta. Situazione del tutto simile alla recezione della posta per lettera, che viene riposta nella cassetta, per l'appunto, delle lettere ed alla quale il destinatario accede per sua volontà, senza peraltro essere stato condizionato da segni o rumori premonitori".

La Corte di Cassazione, sempre con riferimento al reato di molestie ex art. 660 c.p., ha escluso la sussistenza del reato nell'ipotesi di utilizzo della posta elettronica considerata un "mezzo di comunicazione asincrono" che non comporterebbe "un'interazione immediata, o quasi, tra il mittente ed il destinatario" non permettendo pertanto un'intrusione diretta nella sfera del destinatario a differenza del telefono o degli sms.[1]

Tali profili andrebbero ulteriormente esaminati dalla Corte di Cassazione, poiché occorre evidenziare il fastidio, inteso in termini di costi e tempo per scaricare ed eliminare la posta indesiderata nonché di difficoltà nella leggibilità della posta desiderata e legittima spesso sepolta fra cumuli di messaggi invadenti, filtro anti "intrusi" potrebbe non funzionare sia perché potrebbe generare "falsi positivi" ovvero messaggi desiderati trasmessi direttamente ed automaticamente nel cestino per errore sia perché potrebbe essere facilmente utilizzati da un eventuale malintenzionato, modificando di volta in volta il mittente.

Il riconoscimento d'invasività delle e-mail risulterebbe in una sentenza della Cassazione dove viene affermato che “l'attuale tecnologia è in grado di veicolare, in entrata ed in uscita, tramite apparecchi telefonici, sia fissi che mobili, anche di non ultimissima generazione, sia sms (short messages system) sia e-mail. Il carattere sincronico o a-sincronico del contenuto della comunicazione, elemento distintivo secondo una tesi più restrittiva dal quale si dovrebbe ricavare il criterio per espungere dalla previsione dell'art. 660 c.p. per l'appunto, la comunicazione asincrona, non è affatto dirimente. Invero entrambe le comunicazioni sono sempre segnalate da un avvertimento acustico che ne indica l'arrivo, e che può, specie nel caso di spamming, costituito dall'affollamento indesiderato del servizio di posta elettronica con petulanti e-mail, recare quella molestia e quel disturbo alla persona che di questa lede con pari intensità la libertà di comunicazione costituzionalmente garantita. In tal caso è palese l'invasività dell'avvertimento al quale il destinatario non può sottrarsi se non dismettendo l'uso del telefono, con conseguente lesione, per la forzata privazione, della propria tranquillità e privacy, da un lato, con la compromissione della propria libertà di comunicazione dall'altro".

La circostanza che l'indirizzo e-mail sia conoscibile di fatto, anche momentaneamente, da una pluralità di soggetti non lo rende, infatti, liberamente utilizzabile e non autorizza comunque l'invio di informazioni, di qualunque genere, anche se non specificamente a carattere commerciale o promozionale, senza un preventivo consenso, infatti, " integra il reato di trattamento illecito di dati personali (art. 167 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196) l'indebito utilizzo di un 'data-base' contenente l'elenco di utenti iscritti ad una 'newsletter' ai quali venivano inviati messaggi pubblicitari non autorizzati provenienti da altro operatore (cosiddetto 'spamming'), che traeva profitto dalla percezione di introiti commerciali e pubblicitari, con corrispondente nocumento per l'immagine del titolare della banca dati abusivamente consultata e per gli stessi utenti, costretti a cancellare i messaggi di posta indesiderata, a predisporre accorgimenti per impedire ulteriori invii e a tutelare la privacy dalla circolazione non autorizzata delle informazioni personali".

La direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002 (in tema di trattamento dei dati personali e tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche) afferma che "occorre prevedere misure per tutelare gli abbonati da interferenze nella loro vita privata mediante comunicazioni indesiderate a scopo di commercializzazione diretta, in particolare mediante dispositivi automatici di chiamata, telefax o posta elettronica, compresi i messaggi sms. Tali forme di comunicazioni commerciali indesiderate possono da un lato essere relativamente facili ed economiche da inviare e dall'altro imporre un onere e/o un costo al destinatario. Inoltre, in taluni casi, il loro volume può causare difficoltà per le reti di comunicazione elettronica e le apparecchiature terminali, mentre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea distingue tra il  "diritto al rispetto della propria vita privata e familiare" (art. 7) e il "diritto alla protezione dei dati di carattere personale" (art. 8) che parrebbe così configurarsi come diritto nuovo ed autonomo. [2]

Per quest'ultimo diritto, la protezione dei dati fissa regole ineludibili sulle modalità del trattamento dei dati e si concretizza in poteri d'intervento: la tutela è dinamica, segue i dati nella loro circolazione.

 I poteri di controllo ed intervento, inoltre, non sono attribuiti soltanto ai diretti interessati, ma vengono affidati anche ad una Autorità indipendente (art. 8, c. 3): la tutela non è più soltanto individualistica, ma coinvolge una specifica responsabilità pubblica.

Il diritto alla privacy, nel nostro ordinamento, fu riconosciuto dalla Corte di Cassazione con la sentenza, 27 maggio 1975 n. 2129, dove veniva affermato che “deve ritenersi esistente nel nostro ordinamento un generale diritto della persona alla riservatezza, inteso alla tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non siano giustificate da interessi pubblici preminenti”.

A mio avviso, la necessità di maggior tutela nasce proprio dall'avvento dell'era digitale e soprattutto dell'era di internet, infatti, prima un dato era destinato a rimanere circoscritto mentre oggi, qualsiasi dato che abbia un aggancio in rete può essere richiamato, dal computer di chiunque, in qualsiasi parte del mondo, in tempo reale e questo pone problemi di tutela che prima non erano neanche pensabili.

Inviare insistentemente delle e-mail non gradite dal destinatario potrebbe essere rilevante anche sotto il profilo dello stalking.

Non può escludersi a priori che ripetute mail, magari di contenuto non idilliaco, possano determinare nel destinatario uno stato di ansia e/o di paura ovvero di cambiamento delle proprie abitudini, così come previsto dall'art. 612-bis c.p.

La Cassazione ha escluso che un ossessivo inoltro di messaggi di posta elettronica all’ex compagna, come nel caso in oggetto, possa configurare il reato di molestie di cui all’art. 660 c.p., poiché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

La Corte, non si discosta dal dato letterale di cui all’art. 660 c.p. che sanziona la condotta di chi, “in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”.

Premesso che l’oggetto giuridico della  norma è rappresentato dalla tranquillità individuale, essendo un reato contro  la persona, compiuto in luogo pubblico o aperto al pubblico, sono tuttavia esclusi dal reato i  fatti di molestia circoscritti in luoghi privati.

Petulante è il modo di agire pressante, vessatorio, incivile, che interferisce nell’altri sfera di libertà.

Motivo biasimevole è ogni movente che risulti riprovevole, in se stesso o in relazione alle qualità e condizioni della vittima.

Non si configura nel caso di specie, il reato di molestie anche  per difetto del principio di tassatività, in quanto lo strumento del telefono, indicato nell’art. 660 c.p., rappresenta la tassativa modalità di trasmissione della molestia, alternativa a quella del luogo pubblico o aperto al pubblico in cui si svolge la condotta costitutiva del reato. Infatti la Corte di Cassazione si discosta dalla precisazione del Giudice di merito che nella dizione "telefono" ricomprende gli altri analoghi mezzi di comunicazione a distanza.

La posta elettronica utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, nè costituisce applicazione della telefonia, che consiste, invece, nella teletrasmissione in modalità sincrona, di voci o di suoni.

 La modalità della comunicazione via mail,  è invece «asincrona»  e l'invio di un messaggio di posta elettronica, esattamente proprio come una lettera spedita tramite il servizio postale, non comporta, a differenza della telefonata, nessuna immediata interazione tra il mittente e il destinatario, nè veruna intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo.

Il mezzo telefonico assume rilievo proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita.

Ciò che in pratica differenzia la molestia arrecata tramite l’uso del telefono e la molestia tramite l’uso della mail sta nel fatto che nella seconda manca l’elemento della sincronia e della interattività immediata fra mittente e destinatario, elemento indispensabile per ritenersi violato il reato di cui all’art. 660 c.p.

Stesso discorso del telefono, va fatto per gli sms, dato che, ricorda la Cassazione, il destinatario «è costretto a percepirli» prima di poterne individuare il mittente.

Sfuggono invece alla tipizzazione della condotta come descritta dall'art. 660 c.p. le molestie recate con il mezzo della posta elettronica, perché in tal caso non si verifica nessuna immediata interazione tra il mittente ed il destinatario né veruna intrusione diretta del primo nella sfera delle attività del secondo.

La Corte di Cassazione ribadisce la propria linea interpretativa  e le motivazioni che la inducono  ad escludere la posta elettronica dall’applicabilità dell’art. 660 del c.p., non si limitano al mero dato testale della norma, ma si fondano sull’esame specifico delle caratteristiche dei diversi mezzi di comunicazione.

Difatti, mentre la molestia telefonica comporta una continua interazione tra chi telefona e chi riceve la telefonata, che può essere eliminata solo con la disattivazione dell’apparecchio, invece il continuo uso della posta elettronica non determina un’effettiva e continua intrusione nella sfera di libertà del destinatario, che solo quando andrà a controllare i messaggi si troverà le comunicazioni indesiderate, alla stessa stregua della corrispondenza cartacea.

Tale interpretazione, come già si è avuto modo di sostenere, non tiene conto, però, dei notevoli passi avanti fatti dal progresso tecnologico in quanto ormai già esistono telefoni di nuova generazione in grado di annunciare con modalità sonora l’arrivo di messaggi (sms) e delle stesse e-mail. A questo punto sarà possibile la configurazione dell’art. 660 c.p., anche se deve sempre essere tenuto presente il limite tassativo della norma, ormai da rivedere, rappresentato dall’uso della linea telefonica.

Il reato di molestie o disturbo alle persone, previsto dal libro III del c.p. quale contravvenzione, è finalizzato alla prevenzione e alla repressione, in ultima analisi, del turbamento della tranquillità pubblica in riferimento a possibili ripercussioni sull’ordine pubblico che potrebbero originarsi a seguito di reazioni innescate dal turbamento della quiete e della tranquillità del privato cittadino da parte di terzi.

L’elemento materiale del reato consiste nella commissione di fatti che arrechino molestia, fastidio o disturbo.

Va inoltre ricordato che per la punibilità è richiesto che il fatto sia compiuto per petulanza o per altro biasimevole motivo:è richiesto il dolo specifico.[3]

L’elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, senza che possa rilevare l’eventuale convinzione dell’agente di operare per un fine non biasimevole  o per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto.[4]

 La condotta del reato può consistere in qualsiasi contegno idoneo ad arrecare molestia o disturbo a terze persone, di modo che si verifichi una vera e propria ingerenza nella vita privata e di relazione della persona.

 Elemento necessario ai fini del reato è, inoltre, il fatto che la condotta abbia luogo in luogo pubblico o in luogo aperto al pubblico o, diversamente, per mezzo del telefono.

In riferimento all’elemento soggettivo, l’agente deve agire con dolo specifico, ovvero “per petulanza[5] o per altro biasimevole motivo”.

In altre parole, con il termine petulanza, è richiesto che il reo finalizzi la propria condotta al preciso scopo di interferire in maniera inopportuna nell’altrui sfera di libertà, manifestando, in tal modo, la volontà di infastidire una persona.

Il biasimevole motivo, è secondo la Corte di Cassazione, “ogni motivo diverso dalla petulanza, che sia del pari riprovevole in sé stesso o in relazione alla qualità della persona molestata e che abbia su quest’ultima gli stessi effetti della petulanza.

Ricordiamo, pertanto che la norma sul reato di “atti persecutori” è stato inserita nel nostro ordinamento a tutela della libertà morale della persona e ha ad oggetto condotte reiterate di minaccia e molestia che determinano nella vittima, alternativamente:

  • un perdurante e grave stato di ansia o paura
  • un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque affettivamente legata
  •  la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.

Inoltre è stato ribadito nel corso degli anni che l’arrivo di e-mail sul telefono cellulare attrezzato può, specie nel caso di spamming, costituito dall’affollamento indesiderato del servizio di posta elettronica con petulanti e-mail, recare quella molestia e quel disturbo alla persona che di questa lede con pari intensità la libertà di comunicazione costituzionalmente garantita. In tal caso è palese l’invasività dell’avvertimento al quale il destinatario non può sottrarsi se non dismettendo l’uso del telefono, con conseguente lesione, per la forzata privazione, della propria tranquillità e privacy, da un lato, con la compromissione della propria libertà di comunicazione  dall’altro, nel caso di molestia tramite posta elettronica non si verifica una tale forzata intrusione nella libertà di comunicazione, come non si verifica nel caso di molestia trasmessa tramite lettera.[6]

Oggi le potenziali aggressioni del diritto all’identità personale non provengono solo ed esclusivamente da atti, fisici o immateriali, che comportano un’invasione della propria sfera privata.

 L’evoluzione tecnologica, infatti, se da un lato ha reso sempre più semplici ed accessibili i meccanismi attraverso i quali la pretesa di solitudine dell’individuo tende ad essere compressa, dall’altro ha offerto forme di protezione e di prevenzione dalle intrusioni indesiderate che consentono di risolvere o quanto meno di attenuare in radice, questo fenomeno. Cosicché diventa essenziale non tanto evitare che altri violino il pur diritto fondamentale di essere lasciati soli, quanto consentire che ogni individuo possa disporre di un agile diritto di controllo rispetto alle tante informazioni di carattere personale che altri possano aver assunto.

Il potere informatico deve comunque attenersi, controllandone i mezzi e i fini, a rispettare la riservatezza dell’individuo, ed evitare che numerosi messaggi indesiderati alla fine pregiudichino sicuramente la libertà di comunicazione del destinatario.

Il Garante sostiene che la vasta conoscibilità degli indirizzi e-mail che Internet consente, non rende lecito l’uso di questi dati personali per scopi diversi da quelli per i quali sono presenti on line. Gli indirizzi e-mail non sono, insomma, "pubblici".

L’Autorità sostiene che l’eventuale disponibilità in Internet di indirizzi di posta elettronica, anche se resi conoscibili dagli interessati per certi scopi (ad esempio su un sito istituzionale o anche aziendale) attraverso siti web o newsgroup, va "rapportata alle finalità per cui essi sono pubblicati sulla rete".

L’invio di un messaggio di posta elettronica contenente insulti non costituisce, secondo i giudici della Suprema Corte, una “molestia” sanzionabile ai sensi dell’art. 660 del c. p., come invece avviene per l’insulto via sms o con il citofono, che in quanto più aggressive, costituiscono invece molestie e sono per l’appunto sanzionabili.[7]

Norma in questione – l’art. 660 del c.p. che testualmente prevede “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza[8] o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516” - andava interpretata estensivamente sino a ricomprendere tutte le possibilità di molestia attuate con i nuovi strumenti tecnologici.

Il predetto articolo 660 del codice penale individua solo nel telefono il mezzo elettronico attraverso cui viene posta in essere la molestia, mentre è bene ricordare, che anche la posta elettronica utilizza la rete telefonica e la rete cellulare delle bande di frequenza, ma non il telefono, né costituisce applicazione della telefonia che consiste, invece, nella teletrasmissione, in modalità sincrona, di voci o di suoni, la modalità della comunicazione elettronica è asincrona dunque non c’è contemporaneità nello scambio mittente-destinatario.

La comunicazione si perfeziona solo e quando il destinatario, connettendosi a sua volta all’elaboratore e accedendo al servizio, attivi una sessione di consultazione della propria casella di posta elettronica e proceda alla lettura del messaggio ed ancora , l'azione del mittente si esaurisce nella memorizzazione di un documento di testo (con la possibilità di allegare immagini, suoni o sequenze audio-visive) in una determinata locazione dalla memoria dell'elaboratore del gestore del servizio, accessibile dal destinatario.

Per la Cassazione sulla possibilità di equiparare «la molestia col mezzo del telefono all'invio di corrispondenza elettronica sgradita, che provochi turbamento o, quantomeno, fastidio», la risposta è stata negativa; le missive elettroniche, infatti, richiedono tecnicamente maggior tempo rispetto ad una telefonata o ad una citofonata per giungere al destinatario e non comportano un’interazione immediata tra mittente e destinatario, da qui il loro carattere meno turbativo della privacy e della quiete di chi le riceve.

Poiché la tecnologia è in continua evoluzione in tempi brevi ed offre svariati e sorprendenti mezzi di comunicazione, sarebbe opportuno sempre contestualizzare il reato e adottare nei suoi confronti atteggiamenti adeguatamente critici.

Riferim enti giurisprudenziali

  • Corte di Cassazione, sezione I , sentenza 28 giugno 2016, n.26776
  • Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 13 maggio 2016, n. 19767
  • Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza del 13/05/2015 n. 22152
  • Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza del 16/12/2014 n. 9962 
  • Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza del 11/07/2014 n. 37596
  • Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza del 07/03/2013 n. 20200 
  • Direttiva 2002/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002
  • Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza del 22/11/2011 n. 47667 
  • Corte di Cassazione,Sezione I, sentenza del 24/06/2011 n. 30294 
  • Corte di Cass. n. 43439/2010

Corte di Cass. n. 7355/1984.