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Pubbl. Gio, 6 Lug 2017

L´accesso alla documentazione bancaria ex art. 119 TUB

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Pierluigi Montella


Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione apre uno spiraglio importante sulla richiesta di accesso ai documenti in possesso della banca anche durante lo svolgimento del processo.


L’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993, denominato Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (meglio noto con l’acronimo di “Tub”) rappresenta uno degli articoli più importanti del Titolo VI del decreto summenzionato, poiché parte dalla presa d’atto che il contraente debole che si trova a contrattare, per i più svariati motivi, con un ente creditizio, è meritevole e bisognoso di protezione non soltanto in tutta la fese prodromica alla stipulazione del contratto; ma anche durante la vita dello stesso. Scopo ultimo, allora, dell’art. 119, che in questa sede ci accingiamo a commentare, è proprio questo: consentire un adeguato flusso di informazioni al cliente di modo che questi possa costantemente monitorare l’andamento del rapporto[1]. Vediamo quindi cosa esplicitamente dice l’art. 119:

“1. Nei contratti di durata i soggetti indicati nell'articolo 115 forniscono al cliente, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all'anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Il CICR indica il contenuto e le modalità della comunicazione.
2. Per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile.
3. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento.
4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione.”

Ad uno sguardo superficiale, sembrerebbe di poter dividere i primi tre commi dell’articolo dal quarto: poiché il primo sembrerebbe riguardare soltanto i contratti di durata, per i quali si garantisce, almeno una volta l’anno e sicuramente alla scadenza del contratto, una comunicazione in forma scritta o su altro supporto durevole (pensiamo ai documenti online o agli altri strabilianti mezzi che la tecnologia ci consente di adoperare). Il secondo comma, invece, è specificatamente dedicato al conto corrente, il cui estratto conto è inviato con periodicità almeno annuale ed eventualmente, a scelta di quest’ultimo, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile. Se entro sessanta giorni, poi, dal ricevimento di tali comunicazioni il cliente non adduce alcuna opposizione scritta, allora l’estratto conto si riterrà senz’altro approvato. Il quarto comma, al contrario, sancisce il diritto, per gli eredi o per chiunque succeda al cliente della banca, di poter richiedere entro un congruo termine o massimo novanta giorni, tutta la documentazione inerente ogni singola operazione avutasi nei precedenti dieci anni. Le spese, aggiunge sempre il comma in commento, devono riguardare unicamente la produzione della documentazione, e null’altro. Nonostante quest’ultimo comma sembri avere una portata più “circoscritta”, è chiaro che esso possa applicarsi anche ai contratti di durata descritti nei primi tre commi dell’art. 119 (eliminando, quindi, quell’apparente demarcazione tra essi e l’ultimo comma della norma), oltre che ai contratti aventi esecuzione non prolungata[2].

Tale articolo non rappresenta certo una novità all’interno del nostro ordinamento: esso aveva un antesignano d’onore nell’art. 8 della prima legge sulla trasparenza bancaria, cioè la legge 154/1992.

La sentenza depositata dalla Suprema Corte di Cassazione, sez. I civile, l’11 maggio appena trascorso, ha rappresentato una svolta giurisprudenziale nella tematica dell’accesso alla documentazione ex art. 119 Tub anche durante lo svolgimento di un contenzioso giudiziario. L’ordine di esibizione ex art. 210, infatti, per consolidato orientamento giurisprudenziale non poteva più essere richiesto laddove la parte avrebbe potuto precedentemente (e, soprattutto autonomamente) richiedere la documentazione necessaria per dimostrare le proprie ragioni; oppure ancora, non riuscisse a dimostrare di aver inutilmente inoltrato tale richiesta ma essa era stata respinta dalla banca[3]. Ma procediamo con ordine.

Una S.p.a. aveva ricorso per cassazione nei confronti di una nota banca italiana, articolando due motivi avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Bologna, la n. 1123 del 29 maggio 2012. La Corte aveva confermato la sentenza resa il 16 febbraio 2007 dal Tribunale di Milano, che a sua volta aveva respinto l’azione per la ripetizione dell’indebito di somme percepite -va detta della S.p.a.v- a titolo anatocistico dalla banca. La Corte, in effetti, aveva ritenuto che non risultasse provato il quantum debeatur della pretesa restitutoria; inoltre, la richiesta di esibizione della documentazione di conto che era stata presentata da parte della società e che era stata ammessa in sede istruttoria, non poteva trovare in realtà accoglimento perché la documentazione, di cui veniva chiesta l’esibizione, rientrava nella disponibilità della parte che la relativa istanza aveva formulato.

Sorvoleremo il primo motivo di cui la società indicata si duole nel suo ricorso per Cassazione: esso va a concernere una presunta “violazione, erronea e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e artt. 61 e 191 c.p.c., e art. 345 c.p.c., comma 2 - omesso esame circa un fatto decisivo della controversia[4], e quindi ex art. 360, comma quinto; in realtà, la doglianza della società avrebbe dovuto focalizzarsi sull’errata applicazione degli artt. 115 e 116[5], e quindi ricorrere in cassazione ex art. 306, comma terzo, dato che essa lamentava che la Corte d’Appello di Milano non aveva tenuto conto delle risultanze tecnico - contabili di una perizia effettuata.

Tuttavia, in questa sede ci interessa discutere del secondo dei motivi esaminati dalla Suprema Corte, che concerne proprio il quarto comma dell’art. 119 del Testo unico. Con tale motivo, sintetizzato al punto due delle motivazioni in diritto della sentenza in commento, il ricorrente intende dolersi della decisone della Corte d’Appello di Milano che aveva negato l’ingresso all’ordine di esibizione dei documenti, asserendo che la società, pur potendo richiedere gli estratti conto (utili alla rideterminazione del saldo) non lo aveva fatto preferendo richiedere, sin dal primo grado di giudizio, che fosse il giudice ad ordinare l’esibizione degli stessi. Invece, secondo la Corte di Cassazione, l’art. 119 non dispone alcuna tipologia di limitazione all’esercizio del potere previsto dal suo quarto comma, che può quindi essere esercitato in qualunque momento dal cliente della banca al fine di ottenere qualsivoglia documentazione circa i propri rapporti con l’ente creditizio. Un diritto del cliente ed un dovere, nella specie “di protezione”, della banca, che il legislatore ha voluto esplicitamente prevedere al Titolo VI del Testo unico, dedicato appunto alla trasparenza bancaria. Un dovere di protezione che si sostanzia nel mettere nella piena disponibilità del cliente tutta la documentazione necessaria affinché questi abbia piena cognizione dello stato dei propri rapporti con la banca. Nel momento in cui un giudice trasformasse tale facoltà del cliente in un onere, questi non sarebbe maggiormente protetto, ma soltanto penalizzato di più. Conclude il suo ragionamento la Corte asserendo che l’esercizio di tale potere non deve manco essere subordinato a determinati oneri formali, ma che comunque dovrà, com’è giusto che sia, essere comunque posto nella fase istruttoria del relativo giudizio.

La Corte ha quindi cassato la sentenza relativamente al secondo motivo impugnato, rimettendo alla competente Corte d’Appello la sentenza da ridecidere attenendosi al principio da lei espresso, e cioè che il cliente della banca può esercitare i suoi poteri ex art. 119, comma quarto[6], in qualunque momento, anche in corso di causa[7].

                                                                                                    

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. URBANI A., Commento sub art. 119, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di CAPRIGLIONE F., CEDAM, Milano, 2012, pagg. 1737 e ss.
[2] Cfr. MORERA U., I profili generali dell’attività negoziale dell’impresa bancaria, in BRESCIA MORRA C., MORERA U., L’impresa bancaria. L’organizzazione ed il contratto, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale di Notariato, a cura di PERLINGIERI P., Napoli, 2006, pag. 379.
[3] Cfr. TARANTINO G., Il cliente chiede, la banca deve rispondere: la documentazione contabile va consegnata anche in pendenza di giudizio. Nota a Cassazione civile, 11 maggio 2017, n. 11554, in Diritto & Giustizia, fasc. 83, 2017, pag. 12.
[4] Cfr. Cass. 11154/2017, punto 1 delle motivazioni in diritto.
[5] Tra l’altro, la S.C. neanche per tali articoli riconosce un effettivo fondamento alle rimostranze sollevate.
[6] Efficacemente TARANTINO G., Il cliente chiede, la banca deve rispondere, cit., pag. 12 sottolinea come la mancata contestazione degli estratti conto renda inoppugnabili gli stessi sotto il profilo meramente contabile degli accrediti e degli addebiti, ma non “saneranno” quelle che sono le obbligazioni che hanno originato tali annotazioni: per esse, varranno i normali princìpi civilistici per effettuare le dovute contestazioni.
[7] Tale ultima pronuncia assume un ruolo importantissimo, poiché modifica i precedenti orientamenti giurisprudenziali, come ci riporta TARANTINO G., op.loc.ult.cit., assunti in merito dalla Corte di Cassazione, la quale era solita asserire che il soggetto che non avesse fatto richiesta per la documentazione o che, comunque, non avesse specificato l’infruttuosità dell’azione all’interno dell’atto introduttivo del giudizio (o comunque nelle fasi prodromiche dello stesso) non potesse più avanzare tale richiesta. Ma, in particolare, la richiesta avente ad oggetto la corretta determinazione del saldo del conto corrente, laddove però la parte aveva richiesto solo copia del contratto e non anche gli estratti conto, era ritenuta inammissibile una volta instaurato il relativo giudizio.