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Pubbl. Mer, 7 Giu 2017

Buy-back: il regime di indisponibilità delle Riserve Utilizzate

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Flavio Picaro


Il buy-back è l´operazione di acquisto di azioni proprie da parte di spa. Diverse compagnie, in particolare quotate, vi hanno frequentemente ricorso negli ultimi anni. Nonostante recenti modifiche apportate dal decreto Bilanci, resta un continuum di fondo: l´indisponibilità delle risorse impiegate per l´acquisto di tali strumenti.


SOMMARIO:

1 PROFILI GENERALI DEL BUY-BACK          1.1 Inquadramento della fattispecie.  1.2 Limiti all’acquisto di azioni proprie  1.3 Regime derogatorio. Segue.  1.4 Atti di disposizione  1.5 Azioni proprie e diritti sociali  1.6 Divieto di sottoscrizione

2 L’INDISPONIBILITÀ DELLE RISERVE UTILIZZATE           2.1 La previgente disciplina   2.2 Il d. lgs. 139/2015: la apparente disponibilità delle Riserve Utilizzate  2.3 La riduzione del capitale sociale a copertura di perdite  2.4 Annullamento delle azioni proprie e disponibilità delle Riserve Utilizzate

1 PROFILI GENERALI DEL BUY-BACK

1.1 Inquadramento della fattispecie

Il buy-back (riacquisto di azioni proprie) consiste nell’operazione di acquisto di azioni proprie da parte di una società per azioni. Con il termine “proprie” si fa riferimento a titoli azionari di proprietà dei soci, scilicet già emessi dalla società, che l’emittente va ad acquistare dai soci stessi. Quindi, titoli rappresentativi del capitale della società acquistati e detenuti dalla stessa.

In considerazione della spersonalizzazione delle azioni, il buy-back non comporta incompatibilità logiche.

Si tratta, al più, di una operazione potenzialmente pericolosa tanto sotto il profilo patrimoniale, quanto sotto quello amministrativo: anzitutto comporta gravi pericoli per l’integrità del capitale, dal momento che detto acquisto determina per il socio alienante il sostanziale rimborso delle azioni da parte della società, senza l’acquisto per quest’ultima di nuove entità patrimoniali.

Ove mai la società acquistasse tutte le azioni proprie, il capitale sociale resterebbe invariato e garantito da azioni che appartengono alla stessa società,  e, nel caso di patrimonio non superiore al capitale, i creditori non avrebbero nulla su cui soddisfarsi, dato che le azioni sono garantite dalla società che non ha più alcun attivo.

Oppure si pensi come la detenzione di azioni proprie, ove mai non dovesse risultare adeguatamente regolamentata, possa offrire agli amministratori la possibilità di influenzare le scelte dell’assemblea sociale , nonché in generale il potere di esercitare i diritti spettanti agli azionisti.

Per questo motivo è vietato il buy-back anche se fatto per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.
Ciononostante, il legislatore ha liberalizzato l’acquisto di azioni proprie a determinate condizioni.

Difatti, vi sono diverse motivazioni che possono spingere una società per azioni ad acquisire azioni proprie:

- operare una riduzione del capitale sociale ;

- liquidare al socio recedente la propria quota spettante (operazione che consegue ad un infruttuoso tentativo di allocazione delle azioni del socio recedente presso altri soci o terzi);

- Impiego temporaneo di risorse finanziarie inutilizzate per ripristinare l’equilibrio finanziario aziendale;

- sostegno dei corsi azionari (in particolare nelle società quotate);

- consolidamento del controllo della società (difesa dalle scalate ostili).

In particolare nell’ambito delle emittenti quotate il buyback è una pratica molto utilizzata al fine di remunerare i propri azionisti. La società decide di ridurre il flottante sul mercato: poiché una società non può essere “azionista di se stessa”, i titoli che vengono riacquistati saranno assorbiti attraverso la cancellazione degli stessi. Di conseguenza aumenta il valore delle azioni circolanti, in quanto, in virtù del principio di spersonalizzazione delle azioni,  essendocene meno sul mercato, ogni titolo dà il diritto al possesso di una parte più grande dell’azienda e con esso il diritto ad una maggiore percentuale del profitto.

 I buyback vengono realizzati in due modi.

-Tender offer (offerta diretta): la società si rivolge direttamente ai propri azionisti offrendosi di ricomprare un numero stabilito di azioni ad una forbice di prezzo fissata ed entro un determinato intervallo temporale.

-Acquisto sul mercato: in questo caso l’azienda opera esattamente come farebbe un qualsiasi investitore acquistando i titoli sul mercato al prezzo creato dalle dinamiche della domanda e dell’offerta. Pratica meno frequente poiché economicamente più svantaggiosa per la società: appena si diffonde la notizia del buyback in corso il prezzo dei titoli tende a salire.

Inoltre un buy-back migliora gli indici: il riacquisto riduce il numero delle azioni in circolazione, quindi, i profitti sono divisi fra un minor numero di investitori: aumenta l’Eps (earning per share). Quindi migliora il ROE[1]. Aumenta anche il ROI[2], poiché un buy-back richiede utilizzo di liquidità (iscritta in Stato Patrimoniale), quindi diminuisce gli asset (valore che costituisce il denominatore nel rapporto ROI).

Per queste motivazioni nell’ultimo decennio il buy-back è stata pratica decisamente inflazionata: molte fra le più potenti società del mondo vi hanno ricorso.
In primo luogo va menzionata la Apple che ha acquisito azioni proprie per un valore di 140 miliardi di dollari ( una delle motivazioni per cui i titoli Apple hanno segnato un +40% nel 2014).
Bloomberg ha calcolato che nel 2014 le maggiori società di Wall Street hanno investito nei buy-back circa mille miliardi di dollari, ossia il 95% dei loro profitti.
Secondo Morgan Stanley più del 50% della crescita degli utili per azione si deve ai buy-back.

1.2 Limiti all’acquisto di azioni proprie

Orbene si è già esaminato come la ratio del divieto di acquisto di azioni proprie consista in ciò, che tale operazione sia potenzialmente pericolosa per l’integrità del capitale sociale e, dunque, per i diritti dei creditori sociali. Per questo motivo si deve intendere legittimo il buy-back nel momento in cui non comporta alcun rischio per l’integrità del capitale sociale. Questo sarà possibile esclusivamente allorquando le risorse necessarie all’acquisto delle azioni saranno individuate in quella parte del patrimonio sociale che non rappresenta il capitale sociale.

Difatti, il legislatore pone delle precise limitazioni a questa operazione di cui all’art. 2357 c.c. :

- anzitutto, i soldi per acquisire azioni proprie dovranno essere presi dagli utili ovvero dalle riserve disponibili della società risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato;

- le azioni che la società acquista devono essere state interamente liberate dai soci: la società non può acquisirle se il socio alienante non ha adempiuto all’obbligo di conferimento. Le finalità sottese a questa condizione sono almeno due:

A) impedire che la società si ritrovi creditrice ed al contempo debitrice di se stessa  per le somme ancora dovute, con la conseguente estinzione del credito e la sostanziale impossibilità di incamerare il quantum dovuto, a danno dell’effettività del capitale sociale;

B) evitare che gli amministratori procedano all’acquisto di azioni proprie con lo scopo reale di liberare esclusivamente taluni soci dall’obbligo di effettuare i versamenti residui;

- l’acquisto, che viene effettuato dagli amministratori, dovrà essere autorizzato dall’assemblea, la quale fisserà modalità, numero massimo di azioni da acquistare, il termine entro cui l’autorizzazione è accordata, non superiore a 18 mesi, ed il corrispettivo minimo e massimo da pagare per le azioni. L’attribuzione all’assemblea del potere di autorizzare l’acquisto delle azioni  costituisce una deroga al principio fissato dall’art. 2380 - bis, comma primo, in base al quale la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori. La ratio della deroga è quella di evitare che gli amministratori possano avere autonomo potere di iniziativa con la possibilità di abusi dello stesso. Tuttavia la deroga è soltanto parziale, poiché  si ritiene che l’autorizzazione all’acquisto delle azioni proprie deliberata dall’assemblea dia agli amministratori la facoltà e non l’obbligo di acquistare le relative azioni;

- se si tratta di società facente ricorso al mercato del capitale di rischio, le azioni proprie non possono eccedere la quinta parte del capitale sociale, tenendo anche conto del valore delle azioni possedute da società controllate[3] [4]. La ratio del limite del 1 /5 del capitale sociale è stata oggetto di dibattiti in dottrina:

 1)Parte della dottrina (Piazza) ritiene che esso abbia lo scopo d’impedire che l’acquisto di un numero eccessivo di azioni proprie comporti il blocco sostanziale dell’attività sociale, in quanto ai sensi dell’art. 2357 – ter , il diritto di voto, relativo alle azioni possedute dalla società, resta sospeso.

 2) La tesi prevalente (Campobasso – Fre – Sbisà) sembra però essere quella secondo cui la finalità del limite consista nel sottrarre alla società, a fortiori se quotata,  la facoltà di compiere operazioni speculative sui propri titoli o di creare un ostacolo insormontabili ai tentativi di acquisto di pacchetti azionari che permettano di conseguire il controllo sociale.

  Le azioni che vengono acquisite in violazione di questa disciplina dovranno essere alienate entro un anno dal loro acquisto. Ove mai non dovessero essere vendute, dovranno essere annullate, con contestuale riduzione del capitale sociale in maniera corrispondente al valore delle azioni annullate. La riduzione è di competenza dell’assemblea straordinaria, e qualora non adempia, gli amministratori od i sindaci dovranno rivolgersi al tribunale che provvederà alla riduzione del capitale.

1.3 Regime derogatorio. Segue .

L’art. 2357- bis disciplina delle ipotesi di acquisti speciali, in cui è possibile derogare il limite, di cui al 2357 c.c., dell’acquisto nei limiti degli utili e delle riserve distribuibili, ma non il limite del 20% del rapporto tra azioni proprie e capitale sociale. La sola ipotesi in cui è possibile derogare anche questo limite è quella prevista dal 2357- bis n., ossia l’acquisto in esecuzione di una delibera di riduzione mediante riscatto e annullamento delle azioni.

Nelle altre ipotesi di acquisto speciale, le azioni eccedenti dovranno essere alienate ai sensi dell’art. 2357 quarto comma, nel termine di tre anni dall’acquisto.

Nei casi di acquisto a titolo gratuito, di cui al 2357- bis n.2, e acquisto in occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito , di cui al 2357- bis  n.4[5], le azioni devono essere interamente liberate, in quanto, in caso contrario, il titolare si libererebbe dall’obbligo di effettuare i versamenti dovuti residui con la conseguenza che la società perderebbe un credito.

1.4 Atti di disposizione

L’art. 2357- ter , comma primo, stabilisce che  gli amministratori non possono disporre delle azioni proprie a norma se non previa autorizzazione dell'assemblea, “la quale deve stabilire le relative modalità”. Nel silenzio del legislatore, si ritiene che l’autorizzazione debba necessariamente contenere le varie indicazioni di cui al 2357, comma secondo, relativo all’acquisto delle stesse.

Si ritiene che, qualora gli amministratori dovessero compiere atti di disposizione senza la previa autorizzazione dell’organo assembleare, trattandosi di azioni quotate l’atto sarebbe valido, salvo l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Ciò in considerazione delle peculiari modalità di circolazione di tali titoli.

 Mentre nel caso di azioni non ammesse alla negoziazione nei mercati regolamentati si propende per l’annullabilità dell’atto di disposizione, in quanto posto in essere in violazione di una limitazione ex lege imposta agli amministratori, in quanto tale opponibile ai terzi.

Inoltre l’assemblea può, con unica delibera, autorizzare gli amministratori a compiere più operazioni di acquisto e di alienazione di azioni proprie(nei limiti e con le indicazioni di cui all’art. 2357 commi primo e secondo):  si parla di cd. “trading di azioni proprie”. Attraverso queste operazioni è possibile consentire alla società di realizzare guadagni sfruttando le oscillazioni di mercato del prezzo. La sola criticità correlata al trading di azioni proprie operato dagli amministratori è quella per cui si ha un rafforzamento del potere degli amministratori con il pericolo che siano favoriti taluni soci.

1.5 Azioni proprie e diritti sociali

L’art. 2357- ter, comma secondo, disciplina i diritti sociali conferiti dalle azioni proprie. In merito al principale fra i diritti amministrativi, scilicet il diritto di voto, il legislatore ha previsto una sospensione dello stesso fintanto che le azioni restino nella disponibilità della società. La ratio sottesa è quella di evitare che gli amministratori possano esercitare un potere di controllo nei procedimenti deliberativi della volontà sociale. L’opinione prevalente è nel senso di estendere questa disposizione a tutti i diritti di natura amministrativa.

Orbene, le azioni per le quali il diritto di voto è sospeso debbono comunque essere computate ai fini del calcolo dei quozienti costitutivi e deliberativi[6] poiché, altrimenti, il gruppo di comando trarrebbe un vantaggio indebito dall’abbassamento tali quorum. In mancanza di espressa previsione legislativa si propende anche in questo caso per la tesi estensiva, secondo la quale tali azioni debbano essere computate anche ai fini delle percentuali di capitale richieste per l'esercizio di particolari diritti da parte dei soci, quali la richiesta di convocazione dell'assemblea di cui all’ art. 2367 ovvero la richiesta di denunzia al tribunale di cui all’art. 2409.

Nel caso di azioni proprie costituite in pegno il creditore pignoratizio non può esercitare il diritto di voto che rimarrebbe sospeso poiché la norma speciale  (2357- ter) prevarrebbe sulla norma generale di cui all'art. 2352, che attribuisce il voto al creditore pignoratizio.

Per quanto riguarda i diritti di natura patrimoniale, l’articolo in commento stabilisce che sia il diritto agli utili, sia il diritto di opzione sono attribuiti proporzionalmente alle altre azioni.

Questo significa che nella ripartizione degli utili non si deve tener conto delle azioni proprie[7].

Per quello che concerne il diritto di opzione la regola ha carattere meramente dispositivo, in quanto l’art. 2357- ter prevede che l’assemblea possa utilizzare utili distribuibili o riserve disponibili per l’esercizio del diritto di opzione su azioni propri. Ipotesi eccezionale, possibile in quanto si tratta di un mero spostamento di poste nel bilancio che permette la loro imputazione a capitale, non verificandosi, sul piano sostanziale, alcun aumento a pagamento.

1.6 Divieto di sottoscrizione di azioni proprie

Il legislatore ha introdotto all’art. 2357- quater il divieto di sottoscrizione di azioni proprie. In caso di violazione di tale divieto, le azioni si considerano a tutti gli effetti sottoscritte e dovranno essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o dagli amministratori nell’ipotesi di aumento di capitale sociale. Cioè, tali soggetti vengono considerati intestatari delle azioni sottoscritte con  il contestuale obbligo di effettuare i conferimenti, in nome della società, sottoscrivendo le azioni. queste disposizione non si applica a coloro che diano la prova di essere esenti da colpa.

Cosa accade invece in caso di sottoscrizione indiretta ?

Chiunque abbia sottoscritto in proprio nome, ma per conto della società, azioni di quest’ultima viene considerato sottoscrittore per conto proprio. Anche in questo caso rileva la posizione dei promotori, soci fondatori ed amministratori, in quanto si prevede che della liberazione delle azioni rispondono in solido anche fondatori e promotori e, in caso di aumento di capitale, amministratori, a meno che non dimostrino di essere esenti da colpa.

Il divieto in questione è inderogabile durante la fase costitutiva.

Mentre è parzialmente derogabile in caso di aumento di capitale, poiché in base alle disposizioni di cui al 2357- ter, comma secondo,

la società può sottoscrivere azioni di nuova emissione proporzionalmente alle azioni proprie in portafoglio.

Lo scopo del divieto è quello di preservare l’effettività del capitale sociale, ossia evitare che si realizzi un aumento del capitale nominale senza il contestuale incremento del capitale reale.

2 L’INDISPONIBILITÁ DELLE RISERVE UTILIZZATE

2.1 La previgente disciplina

Con il decreto legislativo n.139 del 18 agosto 2015, attuativo della Direttiva 2013/34/UE, il legislatore ha modificato in maniera sostanziale la rilevazione contabile delle azioni proprie detenute in portafoglio da società per azioni.

Già nel periodo ante riforma erano previsti precisi obblighi contabili finalizzati a tutelare l’integrità del capitale, tra cui la creazione di un’apposita posta contabile nel passivo della società. Difatti la contabilizzazione delle azioni proprie era disciplinata dall’articolo 2357- ter, ultimo comma, c.c. che disponeva che al momento dell’acquisto le azioni proprie dovevano essere iscritte all’attivo del bilancio e, contestualmente, doveva essere costituita una riserva indisponibile (Riserva Azioni Proprie) pari all’importo delle stesse. Riserva che doveva essere mantenuta fintanto che le azioni non fossero trasferite o annullate.

Dunque, il legislatore mirava a creare un sistema di protezione dell’integrità del capitale sociale, data la pericolosità dell’operazione in esame. Un sistema che si basava sulla creazione della Riserva Azioni Proprie, sul divieto di disposizione della stessa da parte dei soci (ad esempio per coprire eventuali perdite) e sull’obbligo di mantenere tale riserva fino all’eventuale annullamento o trasferimento dei titoli.

In realtà, secondo un’autorevole dottrina, la Riserva Azioni Proprie era da considerare come posta fittizia di patrimonio netto avente il solo scopo di rettificare, mediante un’appostazione al passivo ideale di tale voce, quanto già iscritto all’attivo del bilancio e, proprio per questo, non poteva essere utilizzata dai soci.

La giurisprudenza ha ritenuto che la costituzione di tale riserva sia condizione di legittimità per l'acquisto delle azioni da parte della società.

2.2 Il d. lgs. 139/2015: la apparente disponibilità delle Riserve Utilizzate

Nel 2015 e nel 2016 la materia dei bilanci è stata oggetto di una profonda riforma che ha riguardato le regole di contabilità. Una riforma basata su un nuovo testo di legge, il decreto legislativo 139 del 2015 che recepisce la direttiva Ue 34/13, e sulla riscrittura dei principi contabili da parte dell’Organismo italiano di contabilità (Oic)[8].

L'art. 6, comma 1, del suindicato decreto ha modificato gli artt. 2357-ter, 2424 e 2424-bis c.c., comportando nuove regole di rilevazione contabile delle azioni proprie detenute in portafoglio da una società per azioni. Nello specifico:

- il comma 3 dell'articolo 2357-ter c.c., che stabiliva che "una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni non siano trasferite o annullate", è stato sostituito dal seguente disposto normativo: "L'acquisto di azioni proprie comporta una riduzione del patrimonio netto di eguale importo, tramite l'iscrizione nel passivo del bilancio di una specifica voce, con segno negativo";

- nell'art. 2424 c.c. è stata prevista tra le voci del patrimonio netto al numero "X" la "Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio", al posto della "Riserva per azioni proprie in portafoglio”;

- all'art. 2424-bis c.c. è stato aggiunto un settimo comma che stabilisce che "le azioni proprie sono rilevate in bilancio a diretta riduzione del patrimonio netto, ai sensi di quanto disposto dal terzo comma dell'articolo 2357-ter".

Ai sensi dell'art. 12, comma 1, d.lgs. 139/2015, le nuove norme "entrano in vigore dal 1° gennaio 2016 e si applicano ai bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire da quella data". Quindi troveranno applicazione a partire dal bilancio di esercizio che si chiuderà a partire dal 31 dicembre 2016 ovvero anche in data anteriore, in caso di anticipazione della chiusura degli esercizi sociali, purché si tratti di esercizi sociali che siano iniziati a partire dal 1° gennaio 2016 o da data successiva. Lo stesso art. 12 prevede, poi, proprio l’aggiornamento di alcuni principi contabili nazionali (di cui all’articolo 9- bis,comma 1, lettera a) del decreto legislativo 38 del 2005) da parte dell’Organismo italiano di contabilità sulla base delle disposizioni contenute nel decreto. 

Pertanto nell'attivo dello stato patrimoniale non si procede più, come in passato, all’iscrizione del valore delle azioni proprie acquistate. Inoltre, nel patrimonio netto non viene più imputata alla Riserva Azioni Proprie la parte degli utili distribuibili o delle riserve disponibili utilizzata per l'acquisto delle azioni proprie (Riserve Utilizzate): tali Riserve Utilizzate restano invariate nel loro importo originario e si iscrive una riserva negativa per azioni proprie in portafoglio (Riserva Negativa Azioni Proprie o RNAP) di importo pari al costo di acquisto delle azioni proprie. L'ammontare del capitale sociale resta immutato, come accadeva nella previgente disciplina.

In considerazione di quanto esaminato appare rilevante fare chiarezza su di un aspetto concernente le Riserve Utilizzate, ossia il loro regime di (in)disponibilità ai sensi della nuova disciplina.  Ciò in quanto vi sono fondamentali differenze rispetto alla previgente disciplina: esse non vengono più ridotte di un ammontare pari a quanto iscritto all'attivo nella voce "azioni proprie in portafoglio", ma restano iscritte in bilancio come riserve "apparentemente" disponibili.

Sotto il profilo ontologico, in realtà, si tratta di una  posta rettificativa della Riserva Negativa Azioni Proprie e, pertanto, non possono ritenersi disponibili per un ammontare pari alla Riserva Negativa Azioni Proprie. Non potranno, quindi, essere utilizzate per distribuire dividendi ai soci; aumentare il capitale sociale a titolo gratuito; acquistare altre azioni proprie; coprire eventuali perdite; calcolare il limite quantitativo di emissione di obbligazioni.

Interpretazione che risulta coerente con l’art. 24, comma 1, lett. b, direttiva 2012/30/UE, che disciplina l'acquisto di azioni proprie, il quale stabilisce che se le azioni proprie sono contabilizzate nell'attivo del bilancio deve essere iscritta al passivo una riserva indisponibile di eguale importo[9].

2.3 Annullamento di azioni proprie e disponibilità delle Riserve Utilizzate

L’annullamento di azioni proprie produce determinate conseguenze,  alla luce del nuovo regime della Riserva Negativa Azioni Proprie introdotto dal d.lgs. 139/2015,  che cambiano a seconda che le azioni della società siano dotate o prive di indicazione del valore nominale. Prima fra tutte la disponibilità delle Riserve Utilizzate.

Nel caso di azioni dotate del valore nominale si verifica una riduzione del capitale sociale per un ammontare pari al valore nominale delle azioni proprie annullate. L’ annullamento comporta eliminazione della RNAP e rende quindi disponibili le Riserve Utilizzate, cioè gli utili distribuibili e le riserve disponibili corrispondenti al prezzo di acquisto delle azioni proprie. Nello specifico, bisogna tenere conto che :

-se l’ammontare della RNAP era pari al valore nominale delle azioni proprie annullate, l’annullamento non comporta altra modifica delle poste del patrimonio netto;

- se invece l’ammontare della RNAP era superiore al valore nominale delle azioni proprie annullate, l’annullamento comporta una riduzione delle Riserve Utilizzate nella misura pari alla differenza fra la RNAP e il valore nominale delle azioni proprie annullate, oltre alla riduzione del capitale sociale;

- se, invece, l’ammontare della RNAP era inferiore al valore nominale delle azioni proprie annullate (quando le azioni proprie sono acquistate a un prezzo inferiore al loro valore nominale) l’annullamento, oltre a ridurre il capitale sociale, comporta incremento delle Riserve Utilizzate nella misura pari alla differenza fra il valore nominale delle azioni proprie annullate e la RNAP.

Orbene, a seguito dell’annullamento le Riserve Utilizzate tornano ad essere disponibili, ma nei limiti di quanto stabilito ex art. 2445 c.c.: scilicet la stessa assemblea che procede all'annullamento delle azioni proprie e alla riduzione del capitale sociale può nella stessa sede disporre delle Riserve Utilizzate divenute disponibili , ma tale deliberazione deve comunque ritenersi subordinata alla mancata opposizione dei creditori entro i termini di cui all'art. 2445 c.c.

Nel caso invece di annullamento di azioni prive di indicazione del valore nominale le conseguenze cambiano a seconda che la società decida o meno di non ridurre il capitale sociale in misura corrispondente alla parità contabile delle azioni annullate.

Se il capitale sociale venisse ridotto in misura corrispondente alla parità contabile delle azioni annullate, si verificherebbero le stesse conseguenze previste per il caso di annullamento di azioni proprie dotate di valore nominale.

In caso contrario l'annullamento delle azioni proprie comporterebbe eliminazione della Riserva Negativa Azioni Proprie e riduzione delle Riserve Utilizzate per un importo pari alla Riserva Negativa Azioni Proprie  a prescindere dal prezzo di acquisto delle azioni proprie e dalla sua eventuale differenza rispetto alla parità contabile delle azioni. È facile comprendere il perché:  il prezzo pagato per le azioni proprie si riflette sull'ammontare della Riserva Negativa Azioni Proprie, che a sua volta incide in pari misura sulle Riserve Utilizzate[10].

2.4  La riduzione del capitale sociale a copertura di perdite

Nel caso di riduzione del capitale sociale a copertura di perdite in presenza di azioni proprie (e quindi della RNAP) bisogna sempre tenere in considerazione che le Riserve Utilizzate sono indisponibili per un ammontare pari a quello della Riserva Negativa Azioni Proprie. Quindi, la deliberazione di copertura delle perdite deve utilizzare le riserve disponibili iscritte in bilancio tranne quella parte che corrisponde alla Riserva Negativa Azioni Proprie, che non può essere utilizzata a copertura delle perdite.

Utilizzate tutte le riserve si procede alla riduzione del capitale sociale, per un importo pari alle residue perdite. La società, poi, deve decidere come la riduzione deve riflettersi sulle azioni emesse. Potrà:

 - annullare tutte le azioni proprie;

- annullare le azioni proprie in proporzione a tutte le altre azioni;

 - mantenere il medesimo numero di azioni, con riduzione del loro valore nominale o della loro parità contabile.

Non è, invece, ammissibile la scelta di annullare solo le altre azioni in circolazione e di mantenere intatte le azioni proprie, poiché in questo modo aumenterebbero in percentuale rispetto alle altre azioni[11].

Conclusioni

In considerazione di quanto esaminato può facilmente ammettersi che nonostante la nuova disciplina abbia apportato significative novità in materia di azioni proprie, in particolare proprio sul trattamento contabile delle stesse, vi è un continuum di fondo con il previgente sistema normativo: questa comune linea direttrice è quella concernente il regime di (in)disponibilità di quelle risorse che la società utilizza allo scopo del buy-back. Ossia, la parte di utili e di riserve disponibili destinata all’acquisto di azioni proprie. Se le norme in materia di rilevazione contabile delle azioni proprie detenute in portafoglio ante 2015 prevedevano la costituzione di un’apposita riserva indisponibile pari al valore delle azioni proprie, il d.lgs. 139 del 2015 prevede una disciplina che potrebbe lasciare intravedere una disponibilità delle risorse impiegate nel buy-back. In realtà si tratta, come prima esaminato, di una disponibilità meramente apparente, poiché le Riserve Utilizzate restano iscritte in bilancio come fossero disponibili, ma la precisa finalità è quella di rettificare la Riserva Negativa Azioni Proprie e, pertanto, non possono ritenersi disponibili per un ammontare pari alla Riserva Negativa Azioni Proprie.

Può dunque affermarsi un regime di indisponibilità delle risorse utilizzate per acquistare azioni proprie quale presupposto fondamentale per l’equilibrio patrimoniale della società per azioni nell’ambito di operazioni di buy-back . Difatti, tale indisponibilità delle Riserve Utilizzate, che sul piano logico potrebbe apparire del tutto scontato, si concreta tanto nella previgente disciplina, quanto nella nuova come concetto teleologicamente garantista dell’integrità del capitale sociale e delle ragioni dei creditori sociali.

 

[1]Il  Return On common Equity è l’indice di redditività del capitale proprio. È una percentuale che evidenzia il potenziale del capitale di rischio (cioè quanto rende il capitale conferito all'azienda dai soci ) e quindi la capacità dell'azienda di attrarre capitali
[2] Il Return on investment (indice di redditività del capitale investito)è un valore che indica la redditività e l'efficienza economica della gestione caratteristica; indica cioè se gli asset aziendali vengono utilizzati in maniera economicamente efficiente
[3]Il testo previgente recitava:" Il valore nominale delle azioni acquistate a norma del primo e secondo comma dalle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenendosi conto a tal fine delle azioni possedute da società controllate ".
[4] Il riferimento al possesso di azioni da parte delle società controllare, comprende non solo il controllo diretto ma anche ipotesi di controllo di secondo grado o indiretto, realizzato tramite la partecipazione a catena di più società. La Suprema Corte ha confermato questo principio nella decisione n.3722, 13/03/2003, Cass. Civ., sez. I, con cui conferma la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato la nullità della delibera dell'assemblea di una società per azioni volta ad acquisire una posizione di controllo su una società che, per il tramite di una partecipata totalitaria, già deteneva azioni, oltre il limite consentito, della prima.
[5] ipotesi tipica è il caso in cui la società vanti un credito nei confronti del socio e pignori le azioni che sono nel patrimonio del debitore, le quali poi vengono assegnate alla società come previsto dall’art 505cpc.
[6]La giurisprudenza (trib. Roma, 14/06/2005) ha stabilito che la disposizione che impone di computare le azioni proprie nel quorum deliberativo assembleare non è applicabile se il quorum stesso non sia predeterminato in rapporto all'intero capitale sociale o, quando lo sia, non superi il 50 per cento, perché in questo caso si applica la regola della maggioranza assembleare basata esclusivamente sulla risultanza del voto esprimibile.
[7] Ad esclusione del caso di aumento gratuito con emissione di nuove azioni, dove si deve tener conto anche delle azioni proprie.
[8] Principi revisionati: OIC 15 (Crediti) ; OIC 19 (Debiti); OIC finanziari derivati (nuovo); OIC 29 (Cambiamenti di principi); OIC 24 (Immobilizzazioni immateriali); OIC 16 (Immobilizzazioni materiali); OIC 31 (Fondi rischi e oneri e tfr); OIC 14 (Disponibilità liquide); OIC 20 (Titoli di debito); OIC 21 (Partecipazioni); OIC 12 (Schemi di bilancio); OIC 13 (Rimanenze); OIC 28 (Patrimonio netto); OIC 10 (Rendiconto finanziario); OIC 18 (Ratei e risconti); OIC 9 (Svalutazioni immobilizzazioni); OIC 17 (Consolidato, patrimonio netto); OIC 23 (Lavori su ordinazione); OIC 25 (Imposte sul reddito); OIC 26 (Operazioni in valuta estera).
[9]Cfr. Massima 145 Cons. notarile di Milano
[10] Cfr. Massima 146 Cons. notarile di Milano
[11] Cfr. Massima 147 Cons. notarile di Milano