Pubbl. Mer, 4 Feb 2015
Rivoluzione nel diritto all´oblio: la Corte di Giustizia Europea riscrive le regole
Modifica paginaRivoluzione del diritto all´oblio: andiamo a vedere cosa cambia in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia Europea pubblicata il 13 maggio 2014
Rivoluzione: è questo il termine che più rende l'idea della portata della sentenza (C. Giust. UE, causa C-131/12, pubblicata il 13.05.2014, dalla Grande sezione) con cui, pochi mesi fa, la Corte di Giustizia Europea ha letteralmente riscritto le regole sul diritto all’oblio. Infatti, con una pronuncia affidata alla Grande sezione della Corte di Lussemburgo, è stato stravolto un principio per il cui consolidamento il web aveva sudato le famose “sette camicie”, ossia la non responsabilità dell’intermediario per i contenuti da questo indicizzati.
In soldoni, fino a qualche mese fa, chiunque si fosse imbattuto in pubblicazioni, su un qualsiasi sito internet, relative ai propri dati (nome, cognome, eventuali precedenti di cronaca, una fotografia, un video, una condanna di diverso tempo prima), avrebbe saputo che l'unico modo per esercitare il diritto all’oblio sarebbe consistito nel presentare una richiesta di cancellazione al titolare del sito che, materialmente, aveva curato la specifica pubblicazione. Risulta evidente che occorresse presentare tante richieste per quante pagine web presentassero i dati.
La Corte di Giustizia ha affermato invece che il motore di ricerca è titolare di tutti i dati personali indicizzati sulle proprie pagine. Pertanto, ogni cittadino europeo che voglia richiedere la cancellazione delle proprie informazioni dal web – rimuovendo il collegamento tra il proprio nome ed un sito internet – deve fare un’unica domanda al motore di ricerca stesso (per es.: Google). E ciò vale anche se la notizia è corretta ed è stata legittimamente pubblicata. Qualora il motore di ricerca, una volta ricevuta la diffida, non avrà ottemperato alla richiesta, l’interessato potrà procedere, contro di questi, presso il Tribunale dove insiste la propria residenza oppure potrà rivolgersi al Garante della Privacy.
Pensiamo ad alcune delle ipotesi più classiche. Tizio riceve un informazione di garanzia, ma viene successivamente scagionato. Caio si incatena davanti alla sede di Equitalia perché ha subito il pignoramento della casa, ma incassa una pensione sotto il minimo. Sempronio proferisce ingiurie nei confronti di un vigile in seguito alle quali viene condannato, ma ad oggi è trascorso diverso tempo dal fatto. Sono tutte classiche ipotesi di legittime richieste di cancellazione dei propri dati presenti su internet. Richieste che, sino a qualche mese fa, hanno affollato le scrivanie degli studi legali, ben consapevoli, questi ultimi, che avrebbero dovuto inviare decine e decine di diffide: una per ogni sito internet interessato. Ma ora cambia tutto. Siamo giunti ad una rivoluzione nell’ambito del diritto all’oblio: un terremoto tanto epocale quanto sconvolgente per le implicazioni e le ricadute che essa avrà sui gestori di servizi internet come Google. Non è difficile immaginare la valanga di diffide che, ogni giorno, invaderanno la casella di posta elettronica di Google: qualcosa da far impallidire anche Santa Claus, che di lettere ne riceve!
E ovviamente, nell’impossibilità di evaderle tutte, scatterà il risarcimento del danno. L’interessato però, qualora il motore di ricerca non risponda alla diffida, potrà scegliere – in alternativa al tribunale – la strada del Garante della Privacy. Ed anche qui si aprono ulteriori problemi. Ciò perché, sino ad oggi in Italia l'Authority per la privacy si è sempre detta non competente a decidere e provvedere sulle richieste relative al diritto all’oblio, sostenendo che le stesse nulla avessero a che fare con la privacy in senso stretto.
Traendo le conclusioni, sebbene la pronuncia della Corte di Giustizia sembrerebbe semplificare la difesa del cittadino sul web, dall’altro lato apre una serie di problemi di così ampia portata da far prevedere non poche difficoltà attuative, se non addirittura l’eccesso opposto di una totale assenza di tutela.
L'analisi di una vicenda aiuterà a comprendere meglio la situazione. Un cittadino spagnolo aveva fatto ricorso al Garante privacy locale contro un giornale e contro Google: scrivendo il suo nome nella stringa di ricerca risultavano sempre le medesime pagine, le quali annunciavano la vendita all’asta di immobili organizzata a seguito di un vecchio pignoramento ai suoi danni. La Corte di Giustizia UE ha bocciato il ricorso nei confronti del quotidiano ma lo ha accolto nei confronti di Google. L’attività di un motore di ricerca – scrive la Corte nelle sue motivazioni – può incidere significativamente sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali. Il motore di ricerca che indicizza i risultati deve sempre garantire il rispetto della direttiva europea sulla privacy, nell’ambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità.