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Pubbl. Mer, 26 Apr 2017

La rilevanza penale della coltivazione di stupefacenti

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Antonella Storti


Evoluzione giurisprudenziale in materia di coltivazione di sostanze stupefacenti, con particolare riferimento al caso in cui le sostanze prodotte siano destinate al consumo personale.


I reati in materia di stupefacenti trovano la propria disciplina nel D.P.R. n. 309/1990, il quale distingue tra condotte penalmente rilevanti e condotte integranti mero illecito amministrativo, fondando tale differenziazione sul fatto che le sostanze siano destinate ad uso personale ovvero ad essere diffuse.

Originariamente, la disciplina in materia di stupefacenti ancorava la rilevanza penale della condotta di acquisto e detenzione di stupefacenti al superamento della c.d. "dose media giornaliera". La previsione in commento è stata abrogata in seguito al referendum del 1993. Pertanto, attualmente, il discrimen tra reato ed illecito amministrativo risiede nella destinazione della sostanza stupefacente ad un uso esclusivamente personale. La linea di demarcazione è desumibile dal combinato disposto degli artt. 73 comma 1 bis e 75 del D.P.R. 309/1990 il quale, esplicitamente, esclude la rilevanza penale delle condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione e detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope destinate ad un uso esclusivamente personale, senza prevedere la possibilità di destinazione ad uso personale anche della condotta di coltivazione, lasciando, quindi, intendere che la stessa sia sempre penalmente rilevante. 

Di conseguenza, il problema che ha tormentato dottrina e giurisprudenza è stato quello di comprendere se in caso di coltivazione a scopo esclusivamente personale, l'agente incorra compunque in responsabilità penale oppure sia passibile solo di sanzione amministrativa. Sul punto, è sorto un vivace dibattito in seno alla giurisprudenza del quale è opportuno dare indicazione.

La "querelle" prende le mosse dalla sentenza della Consulta del 1995, in tema di compatibilità della disciplina legislativa in materia di coltivazione di stupefacenti con i principi di eguaglianza ed offensività. In particolare, la Corte ha dichiarato inammissibile la questione sottoposta al suo vaglio, evidenziando che la coltivazione di stupefacenti ad uso personale non è assibilabile a quella di detenzione od acquisto per uso personale, in termini di concreta idoneità a ledere il bene giuridico tutelato. Ed infatti, anche nel caso in cui il numero di piante coltivato sia scarso, non è possibile stabilire aprioristicamente gli effetti della sostanza sugli utenti, nonché la diffusione che il prodotto ottenuto potrà avere.

Il Legislatore ha, quindi, operato una scelta di politica criminale volta ad arginare la produzione di sostanze psicotrope o stupefacenti, posto che la coltivazione di un basso numero di piante non può assurgere ad indice certo dell'uso esclusivamente personale della sostanza prodotta. 

Alla luce dell'orientamento in esame, la giurisprudenza di legittimità ha provveduto a delineare la natura del reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, nel senso di qualificare come penale od amministrativa la responsabilità dell'agente, nel caso in cui la coltivazione stessa sia destinata a creare un prodotto che verrà utilizzato esclusivamente dal coltivatore. 

Un primo indirizzo interpretativo, più rigido, qualificava la fattispecie in esame come reato di pericolo astratto, prendendo atto dell'anticipazione della soglia di punibilità al momento in cui il bene giuridico tutelato è messo in pericolo; ne discende che, secondo questa teoria, sono penalmente rilevanti tutte le condotte anche solo astrattamente idonee a raggiungere un simile risultato. 

La coltivazione di stupefacenti, infatti, per l'imprevedibilità delle sue conseguenze è condotta astrattamente idonea a ledere la pubblica salute, anche quando sia volta ad un uso esclusivamente personale del coltivatore ed in presenza di un numero esiguo di piante.

Una seconda linea di pensiero più garantista, invece, ha escluso la rilevanza penale della coltivazione di stupefacenti ad uso personale, in presenza di determinate condizioni, ritenendo che la fattispecie in esame abbia natura di pericolo concreto. In particolare, sulla scorta di tale tesi, si desume che la coltivazione di stupefacenti per uso personale è penalmente rilevante solo qualora essa sia concretamente idonea a ledere il bene giuridico della pubblica sanità. Quindi, il giudice di merito, dovrà verificare caso per caso se le sostanze oggetto di coltivazione siano effettivamente destinate ad uso personale o meno. 

Per compiere questo accertamento, il Giudicante dovrà utilizzare alcuni parametri, come ad esempio la tipologia di sostanza prodotta, il quantitativo di sostanza ottenuto e le modalità di presentazione del prodotto.

Pare, infine, doveroso segnalare una tesi intermedia fondata sul discrimen tra coltivazione tecnico-agricola e coltivazione domestica. Tale orientalmento, prende spunto da un'analisi dei mezzi e delle modalità con cui è realizzata la coltivazione e distingue i casi in cui la stessa possa dirsi finalizzata ad uso personale, da quelli in cui, al contrario, la sostanza sia senza dubbio destinata alla diffusione. 

Questa opzione interpretativa tiene conto del complessivo processo produttivo della sostanza drogante, ritenendo che, per "coltivazione", si intenda non solo il momento terminale di raccolta del prodotto, ma anche tutte le fasi di realizzazione dello stesso, a cominciare dalla semina. Secondo l'orientamento in commento, in particolare, nel caso in cui per la coltivazione vengano utilizzati strumenti tecnici specifici, nonché modalità di carattere imprenditoriale, come la produzione di sostanze psicotrope o stupefacenti su larga scala, oppure la coltivazione in serra, non è possibile concludere per l'irrilevanza penale della condotta, in quanto è chiara la destinazione del prodotto alla diffusione. 

Al contrario, nel caso in cui per ottenere il prodotto si ricorra alla coltivazione domestica, con mezzi rudimentali, è possibile escludere la responsabilità penale del coltivatore, essendo palese che la finalità della coltivazione è proprio quella di consumo personale, sicché la condotta integrerà solo un illecito amministrativo.

A dirimere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite, con sentenza n. 28605/2008 sposando l'interpretazione offerta dalla Consulta nel 1995, attualizzando. 

In particolare. le SS.UU. osservano che il reato oggetto di dubbi interpretativi ha natura di pericolo presunto e, quindi, anche in caso di coltivazione per uso personale la condotta è considerata oggettivamente pericolosa e si presume la sua idoneità a mettere a rischio il bene giuridico tutelato. Di conseguenza, la disciplina normativa va interpretata in accezione restrittiva, ritenendo che la condotta di coltivazione per uso personale non sia ricompresa tra gli illeciti amministrativi indicati all'art. 75 del D.P.R. 309. Le Sezioni Unite ripercorrono, altresì, l'intento del Legislatore, indicando la ratio alla base di tale sistema di incriminazione. In concreto, specificano che lo scopo è quello di incriminare le condotte che favoriscono l'ampimanto ed il mantenimento in vita del mercato della droga, aumentandone la richiesta ed anche l'offerta.

E' possibile, pertanto, concludere per l'irrilevanza penale della coltivazione di stupefacenti soltanto quando la sostanza prodotta non abbia una concreta efficacia drogante e sia, quindi, del tutto inoffensiva.

Tale valutazione andrà operata, dal Giudice, caso per caso. 

Del tutto irrilevante, infine, si rivela la distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, dal momento che l'unica coltivazione di stupefacenti ammessa e lecita nell'ordinamento penale è quella portata a termine da Università e centri di ricerca per finalità didattiche e sperimentali, da autorizzare con apposito decredo del Ministero della salute.