• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Mer, 12 Apr 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

L’attendibilità dei risultati delle indagini genetiche: questioni aperte alla luce del D.P.R. 87 del 2016

Modifica pagina

Rossana Scibetta


L´utilizzo della genetica forense nel processo penale, ovvero il ruolo della prova del DNA all’interno del processo penale quale mezzo di ricerca della verità, alla luce degli ultimi interventi legislativi.


Sommario: 1. I prelievi biologici: la corretta qualificazione giuridica; 2. La L. 85 del 2009 e il D.P.R 87/ 2016: la Banca Dati Nazionale del DNA e il Laboratorio Centrale; 2.1. Acquisizione, accesso e trattamento dei dati genetici; 2.2 Il diritto all’oblio del soggetto interessato: cancellazione dei dati e distruzione dei campioni biologici; 3. L’attendibilità dei risultati delle indagini genetiche: questioni aperte.

1. I prelievi biologici: la corretta qualificazione giuridica

L’indagine genetica è un procedimento articolato avente come scopo il confronto tra il materiale biologico rinvenuto con quello appartenente ad un singolo individuo. La difficoltà e la peculiare rilevanza che questo ha nell’ambito del procedimento penale è dimostrata dalla necessità di una disciplina precisa e puntuale.

La complessità dell’indagine genetica, infatti, si riflette su vari aspetti che vanno dalla definizione della sequenza tecnica e procedimentale, volta al confronto fra due frammenti di materiale biologico, alla specializzazione degli operatori, nonché alla tutela per il soggetto passivo di tali attività[1].

In un contesto così problematico emerge in primo luogo, la questione del prelievo biologico, in particolare della sua qualificazione soprattutto da un punto di vista giuridico.

Il primo problema che si pone concerne l’invasività del prelievo biologico e l’eventuale dissenso alla sua esecuzione. Si tratta di un profilo molto delicato più volte analizzato della giurisprudenza costituzionale.

Per meglio comprendere la questione, in primo luogo occorre soffermarsi su che cosa si intende per prelievo biologico nell’ambito dell’ordinamento giuridico processuale- penale.

Sotto il profilo giuridico, l’accertamento in esame può essere definito come quella sequenza tecnica, che si articola in due diverse fasi: quella della raccolta e quella dell’analisi. La prima può essere definita come la fase descrittiva, mentre la seconda riguarda l’aspetto critico-valutativo dei dati raccolti, avente come finalità principale l’identificazione dell’indagato e la ricostruzione del fatto storico.

In pratica, in un primo momento avremo la raccolta di tracce biologiche nel luogo dove si è consumato il reato ovvero sul corpo della vittima, successivamente  si procederà al prelievo vero e proprio del materiale organico dal soggetto da identificare e quindi all’estrazione del campione di DNA da porre a confronto attraverso un processo chimico reattivo.

Si tratta, pertanto, di un’operazione “propedeutica” allo svolgimento di un mezzo di prova o di un atto investigativo la cui esecuzione può presupporre un “pati” della persona che vi è sottoposta.

Il problema principale riguarda tuttavia, la mancanza all’interno del codice di procedura penale di un’espressa disciplina della fase critica- valutativa dei dati raccolti, ossia dell’analisi del DNA dal momento dell’estrazione dei campioni alla comparazione tra i profili genetici.

In particolare, nell’ambito dell’attività di iniziativa della polizia giudiziaria, viene disciplinato soltanto il momento iniziale della descrizione e raccolta di tracce e cose pertinenti al reato, mentre è del tutto mancante un’espressa regolamentazione della fase successiva, ovvero dell’astrazione del DNA dai campioni biologici e la successiva comparazione tra i profili genetici.

Dall’analisi delle norme del codice appare chiara come la raccolta o il prelievo di materiale biologico non può ricondursi a quelle attività aventi carattere obbligatorio, ma può qualificarsi come un atto medico eseguibile sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, avente carattere eventualmente coattivo[2].

Appare opportuno sottolineare come le operazioni in questioni anche dal punto di vista terminologico presentano una notevole differenza. Invero, si utilizza il termine “raccolta” con riferimento all’acquisizione di tracce biologiche da luoghi, da cadavere, o da cose, mentre si parla di “prelievo biologico” nel sistema delle operazioni urgenti di polizia giudiziaria quando tale operazione, che deve essere svolta osservando particolari cautele. In questo caso, l’attività si realizza attraverso una manovra materiale, diretta ad asportare dal corpo umano quel determinato materiale (si pensi all’asportazione di saliva dal cavo orale o di taluni capelli dal cuoio capelluto)[3].

Il problema della qualificazione giuridica del prelievo biologico tocca due aspetti fondamentali. Da un lato la dimensione “materiale” del campione che, prima dello sviluppo delle tecnologie in ambito genetico, era considerato alla stregua di qualsiasi altro bene mobile; dall’altro, la dimensione “informazionale”, la quale è fonte privilegiata di dati medici e genetici. Infatti, anche dopo la sua consumazione, il materiale biologico, mantiene la sua relazione con l’identità del corpo originario, in quanto ne individua il patrimonio genetico. Così descritto, il campione diventa strumento di identità biologica ed espressione della personalità del soggetto[4].

Ciò che quindi caratterizza il prelievo biologico è una doppia dimensione: la dimensione materiale, dove il rapporto con il tessuto è caratterizzato da una reale alterità dell’oggetto rispetto al titolare, riconducibile al diritto di proprietà, ma con i limiti previsti dall’art.5 c.c.; e una dimensione informazionale, dove il rapporto con i dati genetici, connotato, invece da una corrispondenza, riconducibile alla categoria giuridica dell’appartenenza, tra questi e il titolare del campione[5].

Il problema principale riguarda, quindi la possibilità di assoggettare queste due differenti dimensioni ad un regime giuridico unitario o se, diversamente, siano configurabili regimi giuridici differenziati.

In questa seconda ipotesi, con riguardo alla dimensione materiale dei campioni biologici, la disciplina di riferimento potrebbe essere quella della proprietà, mentre con riferimento alla dimensione informazionale, il consenso, avendo ad oggetto la relazione tra il soggetto ed i suoi dati personali, non potrebbe mai essere ricondotto al paradigma della proprietà, ma in quanto espressione dell’identità del soggetto, il quadro normativo di riferimento, potrebbe essere quello della protezione dei dati personali[6].

Quella della corretta qualificazione giuridica dei prelievi biologici, è senza dubbio una questione di fondamentale importanza. Essa ha avuto dei risvolti anche dal punto di vista pratico, tanto da essere al centro di un importante e massiccio intervento legislativo, nonché di una considerevole attività interpretativa posta in essere sia dai giudici di legittimità che dalla Corte Costituzionale.

2. La L. 85 del 2009 e il D.P.R 87/2016: la Banca Dati Nazionale del DNA e il Laboratorio Centrale

In questo quadro giuridico - operativo piuttosto complesso, caratterizzato da “ritardi legislativi e culturali”[7] si inserisce la legge 30 giugno 2009 n. 85, con cui l’Italia ha provveduto alla ratifica del Trattato di Prum del 27 maggio 2005. Con questo Trattato si è cercato, in particolare, di rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella lotta ai fenomeni del terrorismo, dell’immigrazione clandestina, della criminalità internazionale e transnazionale. A tal fine, è stata prevista la creazione di schedari nazionali di analisi del DNA con la possibilità di scambio delle informazioni contenute in tali schedari, nonché delle informazioni sui dati dattiloscopici (le impronte digitali); e inoltre è stato disciplinato, anche, l’accesso ai dati inseriti negli archivi informatizzati dei registri di immatricolazione dei veicoli. 

La citata legge n. 85 del 2009, nel ratificare tale Trattato, ha previsto, in particolare, l’istituzione di una Banca dati nazionale del DNA, presso il Ministero dell'Interno, e di un Laboratorio centrale, presso il Ministero della giustizia, con finalità di identificazione degli autori dei reati.

Si tratta, senza dubbio di un intervento legislativo molto importante e di grande attualità per le implicazioni concrete ad esso connesse. Quella del 2009 è in effetti la prima legge organica sulla acquisizione e il trattamento della bio-informazione genetica a fini forensi.

La ratio sottesa alla riforma è da ricercarsi nel tentativo di stabilire nuovi equilibri tra la sfera individuale e l’impiego processuale di strumenti tecnico scientifici. Infatti, per la prima volta il legislatore si è preoccupato di disciplinare quegli accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale, con specifico riferimento all’acquisizione del profilo genetico di una persona[8].

Si è cercato, riuscendoci sotto alcuni punti di vista, di bilanciare due differenti ambiti di disciplina: la riservatezza - con specifico riguardo all’archiviazione nella banca nazionale dei profili genetici tipizzati dal laboratorio centrale - e la libertà personale – con particolare attenzione al prelievo di materiale biologico nonché agli accertamenti medici coattivi disposti dall’autorità giudiziaria- .

L’aspetto decisamente più innovativo della legge è la costituzione di una banca dati del DNA, finalizzata all’identificazione degli autori dei delitti. Questa si inserisce  all’interno di un sistema più complesso di cui è componente integrante il laboratorio centrale del DNA ed al quale concorrono i singoli laboratori di alta specializzazione, in uso anche alle forze di polizia.

L’attività della banca dati comprende la raccolta (nel senso di conservazione e non di prelievo) del profilo del DNA nonché il raffronto dei predetti profili a fini di identificazione. Si tratta, quindi, di un centro di elaborazione dei campioni o dei reperti biologici che provengono da fonti esterne alla stessa. 

Il laboratorio centrale, invece, ha il compito di tipizzare il profilo del DNA prelevato dai soggetti individuati dall’art. 9, nonché conservare i campioni biologici utilizzati per la tipizzazione. Il laboratorio rappresenta, quindi, uno dei canali di approvvigionamento della banca dati, nel rispetto di una condivisibile ottica di separazione fisica tra, il luogo di immagazzinamento del materiale biologico e luogo di trattamento del profilo specificamente identificativo.

La seconda linea di intervento legislativa ha riguardato la annosa questione del prelievo coattivo di campioni biologici e/o di esecuzione coattiva di accertamenti medici, a fini di perizia. Tale intervento, si è manifestato attraverso l’integrazione del vigente codice di rito, sia in materia di accertamenti coattivi sulla persona, sia attraverso l’individuazione di ulteriori soggetti (indagato, imputato, persona offesa, terzo) i cui dati genetici possono servire nel processo per la ricostruzione del fatto. Si tratta di una modifica che ha avuto senza dubbio un effetto importante sulla tutela della libertà personale.

Solo con il d.p.r. 7 aprile 2016, n. 87 (recante “Disposizioni di attuazione della L. 30 giugno 2009, n. 85, concernente l’istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA”) si sono finalmente resi operativi l’archivio genetico nazionale e il relativo laboratorio centrale.

Come già detto, infatti, il legislatore del 2009, al fine di adempiere ad un obbligo internazionale in materia di cooperazione giudiziaria (derivante dall’adesione dell’Italia al Trattato di Prüm), aveva istituito la banca dati nazionale del DNA, demandando, al tempo stesso, la disciplina relativa alle modalità di funzionamento e l’organizzazione della stessa allo strumento del regolamento[9].

Il testo normativo in esame è suddiviso in otto capi, e contiene le regole che disciplinano il funzionamento, l’organizzazione e la gestione complessiva della banca dati nazionale e del laboratorio centrale, nonché le tecniche e le modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici, disciplinando, inoltre, le forme di controllo della banca dati nazionale[10].  Quindi, il linea con l. n. 87 del 2009, il legislatore ha volutamente distinto il luogo di raccolta e di confronto dei profili di DNA (banca dati nazionale) da quello di estrazione dei suddetti profili e di conservazione dei relativi campioni (laboratorio centrale presso l’amministrazione penitenziaria); nonché dal luogo di estrazione dei profili provenienti dai reperti (laboratori delle forze di polizia o altri specializzati); questo, con l’obiettivo principale di evitare quelle promiscuità che potrebbero alterare la genuinità del dato. Inoltre, rispetto alla l. n. 85, si è creato un sistema di garanzie molto più incisivo, volto ad evitare un uso “distorto” della banca dati nazionale del DNA, sia dal punto di vista del personale, consentendo la consultazione solo ai soggetti addetti e autorizzati, sia per quanto riguarda l’individuazione della postazione e del soggetto che ha effettuato le operazioni, garantendo, in questo modo la “tracciabilità”[11]. In particolare, è stato disposto un nuovo sistema informatizzato (Laboratory Information Management System – o LIMS, in abbreviazione –), ritenuto “idoneo a gestire i dati e il flusso di lavoro all’interno del Laboratorio centrale” (art. 2, comma 1, lett. f).

Il regolamento, inoltre, definisce puntualmente una serie di termini (ad es., campione biologico, reperto biologico, ecc.) anche se manca una definizione esatta di “dato genetico” e di “banca dati”, il cui significato risulta ancora lasciato all’interprete, che potrà utilizzare come parametro l’esperienza maturata negli altri Paesi nonché la normativa europea. Altro problema riguarda le modalità di estrazione del profilo genetico, in quanto il regolamento attuativo non chiarisce cosa si deve intendere per “amplificazione” del DNA[12].

Invece, pare risolta la questione circa l’operatività del “Codice sulla privacy” in tutte le fasi del trattamento dei dati genetici. Tale problema si era posto in quanto, l’art. 20 della l. n. 85/2009, limitava l’applicabilità della legislazione nazionale in materia di protezione dei dati personali allo scambio d’informazioni. Oggi, invece con l’art. 1, comma 3, reg. att. viene specificato come il trattamento dei dati personali debba essere effettuato nel rispetto della disciplina in materia di privacy.

2.1. Acquisizione, accesso e trattamento dei dati genetici

La prima novità significativa riguarda i soggetti sottoposti a misura restrittiva della libertà personale, che possono essere  sottoposti al prelievo di due campioni di mucosa orale, al fine di consentire l’eventuale ripetizione della tipizzazione del DNA. In proposito, l’art. 5 reg. att., integra l’art. 9 che elenca tassativamente i soggetti che possono essere sottoposti a prelievo di campioni biologici[13].

La ripetibilità pare, senz’altro, condivisibile, in quanto rappresenta senza dubbio un aspetto di garanzia rilevante, specie nell’ambito di un processo penale[14]. Infatti, attraverso il prelievo di un doppio campione, da un lato si evita il rischio della irripetibilità del mezzo istruttorio, dall’atro, si consente agli esperti, eventualmente nominati dalla difesa, di riesaminare la prova scientifica presentata dall’accusa, assicurando una maggiore attendibilità della prova[15].

Ancora, l’art. 5 disp. att. al fine di tutelare la libertà personale dell’indagato, prescrive l’adozione di misure idonee a prevenire che il prelievo di un campione biologico possa essere eseguito più volte sulla stessa persona senza giustificato motivo[16].

Al fine di garantire l’attendibilità del risultato dell’accertamento genetico, il D.P.R. 87/2016 prevede, infatti, un complesso di regole per la raccolta, l’analisi e la conservazione dei campioni biologici.

In particolare, il legislatore ha ritenuto necessari una serie di interventi, volti a colmare le lacune esistenti.

Si prevede, infatti, la necessità di una formazione adeguata per il personale che effettua il prelievo[17], nonché una rigorosa adesione alle procedure di laboratorio previste[18] . Vengono, inoltre, puntualmente disciplinati gli adempimenti successivi del Laboratorio: la registrazione informatizzata del plico contenente i campioni; l’apertura del plico sigillato e la tipizzazione di un solo campione (l’altro viene conservato in un’apposita busta di sicurezza) mediante il sistema del LIMS che assicura la tracciabilità delle operazioni effettuate dal personale addetto al laboratorio, nonché l’inserimento del profilo genetico, per via telematica, nella banca dati[19].

Si tratta di regole di fondamentale importanza perché permettono d’individuare correttamente una corrispondenza tra profili genetici all’interno della banca dati. Infatti, eventuali inesattezze causate da errori nei laboratori di analisi del DNA oppure imprecisioni nella registrazione dei dati possono avere conseguenze rilevanti nel procedimento penale.

Il regolamento in esame interviene, anche, sulle modalità di estrazione del DNA; in particolare, questa deve avvenire con sistemi quanto più automatizzati possibili, per ridurre al minimo l’errore umano. Sono, poi, disciplinate la quantificazione e l’amplificazione del DNA e i criteri minimi standard per la lettura e l’interpretazione del profilo genetico: con riguardo a quest’ultima operazione, al fine di garantire l’attendibilità del risultato, viene stabilito che sia effettuata da due persone diverse oppure dalla medesima persona ma in due momenti differenti[20].

Parzialmente diversa è la disciplina dettata per la conservazione dei profili del DNA nei casi di reperto biologico acquisito durante il procedimento penale, ovvero di denuncia di persone scomparse, nonché di rinvenimento di resti cadaverici non identificati.

Si tratta di dati che possono essere, senza dubbio, inseriti nella banca nazionale del DNA.

Con riguardo ai profili di DNA di persone scomparse o loro consanguinei, il regolamento attuativo colma un’importante lacuna. Infatti, oggi, l’art. 6 comma 1 reg. att. prevede espressamente il carattere volontario del prelievo, precisazione che mancava nella L. 85/2009. Inoltre, sono state introdotte alcune garanzie nel trattamento dei profili biologici riferibili ai consanguinei: i relativi dati anagrafici dovranno essere inseriti, da parte della polizia giudiziaria, in un sottoinsieme dell’AFIS (Automated Fingerprint Identification System); invece, i profili del DNA vanno conservati in un sottoinsieme della banca dati consultabile solo a fini identificativi della persona scomparsa.

Per quanto riguarda i reperti biologici acquisiti durante il procedimento penale, essi devono essere tipizzati dai laboratori specializzati delle forze di polizia o di altre istituzioni, mediante un sistema informatizzato (LIMS) e poi direttamente inviati alla banca dati del DNA. Tale sistema genera automaticamente un codice (che non consente l’identificazione diretta del reperto biologico), utilizzato nelle varie fasi della tipizzazione del profilo del DNA (art. 6, comma 5, reg. att.) [21].

Un’importante garanzia è prevista al comma 8 dell’art. 6 reg. att. Tale norma obbliga a conservare l’elettroferogramma[22] utilizzato per estrapolare il profilo del DNA da laboratori accreditati, ma diversi da quelli di polizia e dal laboratorio centrale. In questo modo si consente alla difesa di controllare, almeno nella fase successiva, la correttezza dell’attività di tipizzazione.

Altre novità considerevoli riguardano l’attività di consultazione della banca dati del DNA. Tale attività si concretizza nella ricerca e nel raffronto dei profili genetici (art. 9, comma 1, reg. att.) e deve essere svolta dal personale in servizio presso i laboratori delle forze di polizia. Dalla comparazione può risultare una concordanza totale o parziale dei profili[23], ma al fine di garantire l’“idoneità identificativa e di qualità dei profili” l’ art. 10, comma 4, reg. att. prevede che vengano inseriti nella banca dati soltanto i profili di DNA ottenuti con metodi accreditati a norma ISO/IEC 17025[24] .

Per quanto riguarda la gestione dei dati genetici, questa avviene tramite un sistema informatizzato organizzato su due livelli: il primo è usato ai fini investigativi in ambito nazionale; il secondo è impiegato anche per le finalità di collaborazione internazionale di polizia, in conformità alle decisioni 2008/615 GAI e 2008/616 GAI del 23 giugno 2008, nonché di attuazione degli accordi internazionali resi esecutivi (art. 3, comma 3, reg. att.) [25].

Il risultato del raffronto dev’essere comunicato, per via telematica, tramite il portale della banca dati, ai laboratori delle forze di polizia che hanno inserito il profilo del DNA a fini comparativi. Invece, nel caso di scambio di dati a fini di cooperazione internazionale di polizia ai sensi dell’art. 11, comma 1, reg. att., competete alla comunicazione sarà il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia della Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza.

La consultazione dei dati genetici è disciplinata diversamente a seconda che avvenga dall’estero verso l’Italia oppure dall’Italia all’estero. Nel primo caso, la consultazione dei profili del DNA è consentita ai punti di contatto esteri, in possesso delle credenziali di autenticazione ed autorizzazione, anche per il raffronto con i profili del DNA contenuti al secondo livello della banca dati (art. 12, comma 1). Nella seconda ipotesi, la polizia giudiziaria che deve ricercare un profilo del DNA in ambito internazionale formula specifica richiesta al punto di contatto nazionale. Le banche dati estere, invece,  vengono consultate tramite un’applicazione del portale della banca dati (art. 13, comma 1, reg. att.)[26].

Rimangono ferme, tuttavia, le profonde differenze intercorrenti tra le legislazioni dei diversi Stati sulla conservazione e sull’utilizzazione dei dati genetici. Questo aspetto rischia, infatti, di pregiudicare i valori di trasparenza e di certezza del diritto propri di ogni società democratica. Il regolamento attuativo della legge istitutiva della banca dati nazionale del DNA e del relativo laboratorio centrale ha cercato di ovviare a tale problematica, disciplinando lo scambio di informazioni e le altre forme di cooperazione tra gli Stati contraenti, bilanciando da un lato, l’esigenza di contrastare il terrorismo e la criminalità internazionale, dall’altro quella di salvaguardare le libertà individuali. In quest’ottica si inseriscono tutte quelle regole volte a tutelare i dati personali nell’ambito della cooperazione internazionale. In particolare meritano di essere attenzionate: l’art. 16, che prevede la cancellazione dei dati ultronei, che non avrebbero dovuto essere trasmessi o rispetto ai quali è scaduto il termine massimo di conservazione; l’art. 17 che impone l’adozione di specifiche misure di sicurezza, come la registrazione delle operazioni in appositi file di log e art. 18 che prevede il controllo sulla trasmissione e ricezione dei dati personali nell’ambito della cooperazione transfrontaliera da parte del Garante, con conservazione per diciotto mesi delle risultanze del controllo.

2.2 Il diritto all’oblio del soggetto interessato: cancellazione dei dati e distruzione dei campioni biologici.

L’archivio per i profili del DNA deve uniformarsi a due principi fondamentali: quello dello scopo e quello della proporzionalità.

Il primo criterio, già seguito dalla l. 30 giugno 2009, n. 85, è stato riaffermato dal regolamento attuativo che consente l’uso dei dati genetici archiviati solo per fini di identificazione penale, nonché per finalità di collaborazione internazionale di polizia.

Il secondo canone, quello della proporzionalità, è stato, invece, rispettato solo in parte dalla l. n. 85/2009, soprattutto con riferimento alla tutela del diritto alla privacy ossia al termine di conservazione dei campioni biologici e dei profili di DNA.

Sul punto è intervenuto il D.P.R. 87/2016, introducendo nel nostro ordinamento importati aspetti innovativi.

Innanzitutto, il testo normativo de quo abbrevia i termini di conservazione dei profili di DNA ottenuti dalle persone soggette a restrizione della libertà personale (che sono considerate a rischio di recidiva) e dei relativi campioni biologici: i primi sono custoditi di regola per trenta anni decorrenti dalla data dell’ultima registrazione (art. 25 comma 1), anziché per quaranta anni, come prescriveva la l. n. 85 del 2009[27]. Tuttavia, il termine di conservazione si estende fino a quarant’anni nei casi, tassativamente previsti, di particolare gravità del reato e di presunta pericolosità del condannato[28].

Inoltre, l’art. 25, comma 4 reg. att., al fine di evitare la conservazione nella banca dati e nel laboratorio centrale di più profili di DNA e più campioni biologici appartenenti alla medesima persona, stabilisce che venga conservato solo il profilo genetico acquisito dal campione biologico nel caso in cui venga individuata una corrispondenza tra il profilo del DNA ottenuto da reperto e quello ricavato da un campione.

Un’altra novità significativa concerne la conservazione dei campioni biologici: l’art. 24 del regolamento in esame prescrive che il DNA estratto da questi, dopo essere stato tipizzato, deve essere distrutto, mentre la parte di campione biologico non utilizzata e il secondo campione di riserva possono conservati per otto anni (comma 3); una volta decorso tale termine, il personale abilitato presso il laboratorio centrale deve distruggere anche questi campioni, previa verbalizzazione delle operazioni (comma 4)[29].

Per quanto riguarda le modalità di cancellazione dei profili di DNA e la distruzione dei relativi campioni biologici, il regolamento in questione prevede una disciplina articolata basata non soltanto sul criterio dell’utilità della conservazione, ma anche su quello dell’adeguatezza, pertinenza e ragionevolezza rispetto allo scopo ricercato.

Innanzitutto, con riferimento alle informazioni genetiche acquisite dai soggetti ristretti nella libertà personale, sono previsti diversi motivi di “estromissione” dalla banca dati e dal laboratorio centrale. Si tratta delle ipotesi in cui le operazioni di prelievo siano state compiute in violazione delle modalità di cui all’art. 9 della L85/2009, oppure a seguito di assoluzione con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, nonché dei casi in cui sia scaduto il termine massimo stabilito per la conservazione.

In particolare, ai sensi dell’art. 29, comma, nelle ipotesi di sentenza definitiva di assoluzione con formula ampiamente liberatoria, la cancellazione dei profili e la distruzione dei relativi campioni deve essere disposta sempre d’ufficio <>.

Attraverso questa disposizione, il legislatore si è preoccupato di garantire l’osservanza del principio secondo cui la limitazione della privacy è ammessa solo se è davvero indispensabile[30].

Inoltre, occorre rilevare come, opportunamente, si sia riconosciuta ai consanguinei che abbiano acconsentito al prelievo e alla tipizzazione del DNA per la ricerca di una persona scomparsa la facoltà di chiedere, in ogni tempo, alla Direzione centrale della Polizia criminale del Ministero dell’Interno la cancellazione del proprio profilo genetico dalla banca dati (art. 33 reg. att.)[31].

Infine, l’art. 32 reg. att. stabilisce la cancellazione dei profili di DNA e la distruzione dei relativi campioni acquisiti da soggetti ristretti nella libertà personale dopo la scadenza dei termini massimi di conservazione stabiliti dall’art. 25 dello stesso regolamento. In questa ipotesi, il profilo del DNA è automaticamente cancellato dalla banca dati, tramite una specifica applicazione informatica.

In proposito pare condivisibile l’opinione secondo cui la disciplina contenuta nell’art. 32 sarebbe applicabile in tutti i casi di decorso dei termini di conservazione, indipendentemente dalla circostanza che la tipizzazione dei profili riguardi il DNA ottenuto da un campione biologico o quello ricavato da un reperto durante un procedimento penale[32].

Il riconoscimento ai titolari dei dati di tali diritti, realizza senza dubbio il cosiddetto diritto all’oblio, riconosciuto anche in ambito sovranazionale[33].

Il regolamento prevede, inoltre, una ulteriore “clausola generale di garanzia”: la verbalizzazione delle operazioni e la comunicazione della sequenza alfanumerica che individua il campione (c.d. codice prelievo) all’AFIS da parte del personale in servizio presso il laboratorio centrale o presso il laboratorio delle forze di polizia oppure altro laboratorio di elevata specializzazione[34].

In conclusione nonostante gli importanti passi avanti fatti dal regolamento 87/2006 con riguardo al bilanciamento tra i contrapposti interessi, di ricerca della verità processuale e gli inderogabili diritti fondamentali, dell’integrità fisica, della dignità umana e della riservatezza, la normativa continua ad essere ancora ambigua e, per taluni versi, lacunosa[35]. Non possono, infatti essere trascurate le ulteriori previsioni precauzioni, che devono essere rispettate in questo ambito. Si pensi all’attento e scrupoloso controllo sulla gestione della Banca dati nazionale del DNA da parte del Garante sulla privacy.

3. L’attendibilità dei risultati delle indagini genetiche: questioni aperte

Alla luce di quanto esposto, s’impongono alcune considerazioni di carattere generale, provando a mettere in luce le lacune più evidenti che, nell’ordinamento italiano, rendono complesso l’utilizzo della genetica forense nel processo penale, cercando di analizzare la prova del DNA dal punto di vista pratico ovvero con riferimento al ruolo che essa ha all’interno del processo penale, quale mezzo di ricerca della verità.

L’evoluzione delle tecnologie scientifiche ha permesso alla genetica forense di “invadere” la scena del diritto, aprendo nuove possibilità di indagine in relazione ad elementi che, spesso, costituiscono il substrato delle questioni affidate alla cognizione del giudice. Questa circostanza assume un rilievo particolare all’interno del processo penale, dove l’ingresso dei metodi scientifici per la ricostruzione di taluni elementi del fatto oggetto di accertamento, ha causato lo spostamento del baricentro della prospettiva conoscitiva del giudice penale dalla prova dichiarativa alla prova c.d. scientifica[36].

Infatti, con il passaggio dall’ematologia forense, disciplina caratterizzata dall’analisi di sistemi proteici e gruppi ematici, alla genetica forense, branca che si occupa di analizzare il DNA da ogni tipo di reperto biologico, abbiamo assistito ad un dinamico evolversi delle metodiche impiegate nell’analisi dei prelievi biologici, sia per quanto riguarda i protocolli di estrazione del DNA, che per gli strumenti specifici (c.d. sequenziatori di DNA), al fine di garantire la più elevata automazione e attendibilità delle analisi identificative[37].

Fondamentale importanza hanno, quindi, i protocolli di prevenzione dell’integrità del dato acquisito, nonché i sistemi di conservazione e custodia degli stessi, poiché solo un rigoroso rispetto delle procedure garantisce quella base minima di certezza, affinché si possa attivare un procedimento probatorio sul dato genetico[38].

Pertanto, emerge la necessità di garantire la qualità dei dati analitici raccolti, nonché l’attendibilità dei risultati.

Il primo problema che è emerso riguarda le acquisizioni maldestre e le pratiche fuorvianti di campioni biologici. Infatti, a seguito di importanti casi di cronaca giudiziaria, ci si è posta la questione circa il valore probatorio delle risultanze tratte da materiale mal appreso o mal conservato.

Appare evidente, per la delicatezza degli interessi in gioco, come l’inosservanza del corretto iter per il c.d. DNA fingerprint, consacrato nei protocolli internazionali, non può non avere conseguenze in rapporto alle regole di valutazione della prova.

Di recente la Corte di Cassazione, nel mettere la parola fine all’annosa vicenda “Amanda Knox”, ha analizzato in maniera rigorosa i principi della materia, richiamando, anche, le soluzioni provenienti dalla casistica nordamericana[39]. Infatti, nell’affrontare la questione, il giudice di legittimità ha scelto di percorrere la strada del giudizio presuntivo sostanziale, in base al quale risulterebbe intrinsecamente inaffidabile qualsiasi risultato che derivi dalle operazioni di repertamento e profilassi dei reperti biologici, svolte non rispettando le best practices o gli standard seguite dalla comunità scientifica.[40] Emerge, quindi, come la violazione della prassi tecnica incide sul giudizio di “certezza” dell’indizio, requisito che deve sussistere ancor prima del vaglio dei tre parametri previsti dall’art. 192, comma 2, c.p.p. (gravità, precisone e concordanza).

Alla luce di tali considerazioni, quindi, la sentenza della Suprema Corte sul caso Kercher, rappresenta senza dubbio lo spartiacque degli orientamenti giurisprudenziali in materia di prova genetica, diventando una sorta di ammonimento per il corretto operare degli inquirenti e dei tecnici, nonché per i giudici di merito nella fase decisionale[41].

Il problema principale riguarda quindi la natura meramente indiziaria del DNA, e il ruolo che questo può assumere all’interno di un processo penale.

Sono, infatti, molteplici i problemi legati alla “certezza” del DNA, si pensi ai profili genetici incompleti o parziali, alla quantità limitata di materiale genetico e alla sua fisiologica degradazione, nonché all’intervento di fattori contaminanti; elementi che senza dubbio comportano un intervento di tipo critico-valutativo da parte dell’esperto, chiamato a colmare le lacune lasciate dalla perenne perfettibilità degli strumenti che adopera nella ricostruzione[42].

Si può quindi riconoscere alla prova del DNA il ruolo di “uno fra i tanti tasselli della trama probatoria che conduce al convincimento del giudice, non sottratto alla tradizione logica del giudizio e alle regole del processo”[43].

Sempre in materia di attendibilità della prova del DNA è opportuno esaminare le questioni connesse all’utilizzo della tecnica del low copy number che pone una serie di questioni riguardanti la sua ammissibilità e la sua affidabilità. Anche su questo tema non si può non fare riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione sul caso Meredith, vista la posizione centrale che nel processo è stata ricoperta da due tracce di DNA ritrovate, rispettivamente, sul gancetto del reggiseno della vittima (rinvenuto non lontano dal corpo) e sul coltello da cucina sequestrato nell’abitazione dell’altro coimputato, Raffaele Sollecito[44].

La sentenza affronta, per la prima volta in Italia[45], il problema della necessità di poter ripetere le analisi di laboratorio. In particolare, nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici, “le tracce rinvenute sui due reperti, erano di esigua entità (Low Copy Number), tale da non consentire di ripetere l’amplificazione, ossia la procedura volta ad evidenziare le tracce genetiche di interesse sul campione e dunque ad attribuire una traccia biologica ad un determinato profilo genetico. Sulla base dei protocolli in materia, la ripetizione dell’analisi è assolutamente necessaria perché il risultato dell’analisi possa ritenersi affidabile, sì da emarginare il rischio di falsi positivi entro margini statistici di insignificante rilievo”[46].

La questione riguarda, quindi, le quantità di DNA che vengono ritrovate sulla scena del crimine, che essendo minime impediscono di procedere ad analisi genetiche standard[47], rendendo necessario il ricorso a metodi alternativi (Low Copy Number)[48].

Attraverso questo sistema, il cui utilizzo impone la capacità di quantificare fenomeni detti di “drop-out” e“drop-in”, si rischia di causare la comparsa ovvero la scomparsa degli alleli (caratteristica genetica di base) inficiando in maniera incisiva l’attendibilità del risultato. Anche nel caso in cui si proceda alla ripetizione dell’analisi utilizzata, così da poter stabilire, sulla base dei vari risultati, quale profilo del campione analizzato possa essere considerato attendibile, gli artifizi utilizzati dal metodo analitico e l’esigua quantità di materiale biologico, condurrebbero comunque ad una valutazione probabilistica.[49]

Un ulteriore problema, emerso già dagli inizi dell’utilizzo del DNA a scopi forensi, riguarda le c.d. tracce miste, ossia il ritrovamento in determinati reperti di più di una componente genetica. Infatti, soprattutto nell’ipotesi in cui i contributori sono due e le proporzionalità tra le quantità dei due DNA è di circa 3:1, nei vari loci sarà osservabile il c.d. “profilo misto”. Proprio al fine di fare fronte a tale evenienze sono stati messi a punto dei protocolli che consentono di separare le singole componenti genetiche nel “profilo misto”, e permettono di attribuire le diverse porzioni di DNA ad uno (o a tutti e due) i soggetti di riferimento (vittima e indagato). [50]

Si tratta di operazioni oggettivamente molto complesse, soprattutto nell’ipotesi di un marcato sbilanciamento (quantitativo) tra i due contributori, poiché la porzione minoritaria può risultare difficilmente distinguibile (o indistinguibile), nonché nel caso in cui i soggetti sottoposti al prelievo siano più di due. Il problema da affrontare in sede processuale riguarda il momento in cui è avvenuta tale commistione genetica, ovvero se questa sia contestuale o meno al momento in cui si è consumato il reato.

Anche in questo caso la soluzione è da rinvenire nelle modalità in cui è stato svolto l’accertamento genetico.

Invero, non esistendo metodi scientifici in grado di stabilire se la presenza di una traccia (soprattutto se minima) possa essere connessa alla commissione o meno di un reato, ciò che rileva in sede processuale, è la precisione e la meticolosità con cui i tecnici hanno svolto le analisi di questi campioni misti, al fine di assicurare la “certezza” del risultato[51].

In un contesto così complesso e ricco di difficoltà si inserisce  il d.p.r. n. 87 del 2016 che ha introdotto una disciplina specifica, in attuazione della L. 30 giugno 2009 n.85, in materia di istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale.

In particolare, come si è già abbondantemente esaminato, il regolamento ha disciplinato quelle che sono le modalità di prelievo del DNA, la gestione, la tipizzazione, la conservazione e la cancellazione dei profili genetici; nonché le modalità di trattamento e di accesso per via informatica ai dati raccolti nell’archivio genetico e nel laboratorio centrale, al fine di garantire sia l’attendibilità dei dati che la riservatezza dei soggetti cui questi appartengono[52].

Alla luce delle considerazioni finora svolte, appare necessario approfondire quelli che possono essere i punti critici della normativa, che sicuramente potranno emergere nella prima fase c.d. di “rodaggio” della novella, fermo restando che essa va certamente salutata con favore. Invero, anche se il regolamento non tocca direttamente la materia del processo penale, prevede disposizioni che, pur essendo essenzialmente tecniche, aprono ampi spazi di riflessione anche per il giurista.

La prima questione che si deve analizzare riguarda la mancanza di disposizioni che si riferiscono alla tutela del diritto di difesa e della libertà personale.

Tale circostanza impone una serie di riflessioni.

Infatti, la maggior parte delle previsioni regolamentari si preoccupano di tutelare la riservatezza dei titolari dei dati genetici; altre disposizioni, invece, sono tese ad assicurare l’attendibilità del dato analitico che si riflette sull’affidabilità della prova del DNA. Mancano, invece disposizioni che risolvono puntualmente le questioni connesse al diritto di difesa e alla libertà personale, creando una situazione di disparità tra gli interessi in gioco in sede di prova del DNA e di utilizzazione della stessa nell’ambito del processo penale.

In particolare, nelle disposizioni finali, il legislatore riconosce ai soggetti interessati una serie di diritti che garantiscono il controllo sull’uso dei propri dati personali, limitando la tutela al solo diritto alla riservatezza, pur nella sua più ampia espressione del diritto all’autodeterminazione informativa.[53]

In questo senso, proprio al fine di garantire anche dal punto di vista della libertà personale e del diritto alla difesa i soggetti coinvolti, si sarebbe potuto valorizzare l’aspetto funzionale della disciplina. Invero, alla luce delle difficoltà oggettive che sono implicite nell’utilizzo all’interno del processo penale delle analisi genetiche, sarebbe stato opportuno che il legislatore avesse posto in essere ulteriori misure, volte a garantire in maniera incisiva l’attendibilità del risultato ottenuto tramite la ricerca e le analisi effettuate dalla banca dati del DNA e dal laboratorio centrale. Si sarebbe, infatti, potuto prevedere ad esempio, che i laboratori incaricati dell’analisi genetica fossero appartenuti ad organismi indipendenti e non alle forze dell’ordine; ovvero che ogni campione raccolto sul luogo del delitto venisse inviato direttamente a tali laboratori per l’analisi, senza l’intervento di intermediari e, qualora fosse stato possibile, riservare alla difesa una porzione di ogni campione per una eventuale controperizia; ovvero che i profili del DNA fossero computerizzati e inseriti in un archivio nazionale o internazionale, indipendente dalle forze dell’ordine[54].

Pur riconoscendo, l’aspetto senza dubbio innovato del testo del provvedimento, un ulteriore problema riguarda la poca chiarezza della disciplina rispetto alle vicende dei profili del DNA tratti da reperti biologici acquisiti in un procedimento penale; nonché l’ambiguità del provvedimento attuativo con riferimento alla sorte degli archivi genetici non ufficiali che sembra siano destinati a convivere con la Banca nazionale del DNA[55]. Infatti, sul tema, la normativa non appare per nulla esaustiva, il che provocherebbe un vuoto di disciplina sicuramente non indifferente.

Un’ulteriore critica può muoversi in relazione al modo in cui si disporrà dei dati così raccolti, nonché con riguardo ai soggetti chi vi potranno accedere, alla tracciabilità, a chi conserva e  a chi distrugge. Ciò che si ci augura in tal senso, è la costruzione di strumenti effettivi per garantire la massima tutela dei diritti delle persone coinvolte.

Di contro, un aspetto sicuramente positivo che merita di essere attenzionato, è il ruolo che la Banca dati potrebbe assumere nell’ottica di prevenzione della commissione dei reati. Invero, procedendo ad un’attenta analisi criminologica e considerato l’alto tasso di recidiva criminale, la Banca dati andrà infatti a raccogliere proprio i profili di quelle persone tendenzialmente più esposte ad essere coinvolte in futuri reati, ritrovandosi a perseguire finalità non solo investigative ma anche di deterrenza. Tuttavia, ciò che non si comprende e che solleva dubbi difficilmente superabili, è in che modo questa peculiare forma di deterrenza special-preventiva sarà attuata, ovvero, in che modo tale meccanismo riuscirà ad evitare che il soggetto autore di reati ne commetta altri[56].

Al riguardo, appare condivisibile la scelta compiuta dal regolamento de quo di creare più banche dati, contenenti informazioni tra loro distinte. Infatti, la predisposizione di due archivi separati, uno con i dati genetici ed un altro con quelli anagrafici (AFIS) della singola persona, dovrebbe render più difficile ad un eventuale hackeraggio delle informazioni[57].

Un discorso a parte merita il riconoscimento della possibilità di procedere ad un’indagine comparativa del profilo genetico, che è senza dubbio una delle principali innovazioni del regolamento.

Tale previsione, permette la comparazione tra i campioni biologici rinvenuti sulla scena del crimine, con tutti i profili del DNA presenti nel database della Banca Dati. Ciò ha sicuramente una valenza pratica, in quanto l’efficacia della Banca dati sarà direttamente proporzionale alla quantità di dati in essa contenuti per l’ovvia considerazione che all’aumentare di tali dati corrisponde l’incremento delle probabilità di rinvenirvi una corrispondenza[58].

Sicuramente apprezzabile, inoltre, appare la scelta di abbreviare i termini di conservazione dei profili di DNA ottenuti dalle persone soggette a restrizione della libertà personale e dei relativi campioni biologici. In questo modo il legislatore ha provato, riuscendoci, a bilanciare i contrapposti interessi del diritto alla privacy e le esigenze di protezione della collettività. Al riguardo, è stato anche precisato il dies a quo di tale termine, oggi individuato nella “data dell’ultima registrazione”, anziché nell’“ultima circostanza che ne ha determinato l’inserimento” chiarendo definitivamente l’ambigua espressione in precedenza utilizzata dall’art. 13, comma 4, l. n. 85 del 2009. Inoltre, si è fissato un termine nuovo relativo al periodo di conservazione del secondo campione di riserva e della parte di campione non utilizzato.[59]

Tuttavia, pur riconoscendo la portata innovativa di queste regole, l’intervento del legislatore appare meno incisivo di quanto ci si augurava, risultando su certi aspetti incompleto. Infatti, si sarebbe potuto prevedere la conservazione soltanto della sequenza alfanumerica che individua il campione, anziché quest’ultimo nella sua integralità, rendendo il sistema maggiormente coerente ed efficace[60].

Ulteriori rilievi critici possono essere mossi alla disciplina in materia di distruzione del materiale biologico acquisito all’esito della perizia eseguita ai sensi dell’art. 224-bis c.p.p. Il regolamento in questione, infatti, non ha modificato la disciplina di cui all’art. 72-quater norme att. c.p.p. (introdotta dall’art. 29 l. 85 del 2009) che obbliga il giudice a disporre la distruzione dei campioni «salvo che non ritenga la conservazione assolutamente indispensabile». In questo modo si rimette alla discrezionalità del giudice la scelta se conservare o meno il campione, con il rischio che, nel caso in cui si procrastinasse la distruzione, il dato potrebbe “circolare liberamente” in altri procedimenti, con il rischio ulteriore che, una volta che l’informazione genetica sia confluita nel verbale attestante lo svolgimento dei prelievi e degli accertamenti coattivi, tale documentazione potrebbe essere utilizzata secondo le regole degli artt. 238 e 403 c.p.p., ma anche al di fuori dell’ambito processuale, per scopi diversi da quelli previsti [61]. Mancherebbe inoltre, in questo caso, una disciplina sul dove e sul come custodire tale campione, circostanza che potrebbe avere, come abbiamo visto, un aspetto pratico all’interno del processo penale.

Infine, occorre evidenziare come, manchi una disciplina sulla sorte degli attuali archivi e banche dati  appartenenti a forze di polizia. Ciò che preoccupa in tal senso riguarda tutti i profili di DNA già acquisiti, ovvero la necessità di assicurare che questi non restino attivi per nuove attività e impedire che vengano duplicatati i dati ivi contenuti. Invero, la disciplina transitoria prevista dall’art. 35 reg. att. dispone che i profili del DNA già acquisiti nel corso di procedimenti penali, se relativi a soggetti ristretti nella libertà personale, debbono essere inseriti nel primo livello della banca dati nazionale del DNA. Nelle more dell’inserimento, che dovrà rispettare alcuni requisiti tecnici, i profili conservati dalle forze di polizia potranno essere utilizzati a fini investigativi in ambito nazionale, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria[62]. Deve, ovviamente, essere fatto salvo il rispetto delle misure di sicurezza minime previste dal “Codice sulla privacy”, soprattutto nel caso di banche dati diverse da quella nazionale.

In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, con il d.pr. 87/2016, il legislatore ha provato a mettere l’Italia al passo con altri Paesi europei, cercando soluzioni omogenee a livello internazionale[63].

Ovviamente, una precisa e puntale valutazione dell’efficacia di questo nuovo e rivoluzionario sistema di indagini, potrà essere svolta solo con il continuo inserimento nella Banca Dati del DNA di nuovi profili genetici criminali. Invero, solo con il passare del tempo e con l’acquisizione di sempre maggiori profili genetici, sarà possibile valutare concretamente in che modo gli strumenti previsti dal regolamento possano dirsi “innovativi” ovvero quali sono stati i risvolti pratici che questi hanno avuto nell’ambito dell’accertamento della verità processuale.

Note e riferimenti bibliografici

[1] P. Felicioni “La prova del DNA profili giuridici” in Diritto penale e processo, 2008 pag. 52
[2] Si ritiene siano applicabili gli artt. 131 e 378 c.p.p che riconoscono al giudice e al pubblico ministero la facoltà di chiedere «l’intervento della polizia giudiziaria e se necessario della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti»
[3] V. Barbato, G. Lago e V. Manzari, Come avviare al vuoto sui prelievi coattivi reato dalla sentenza n. 238 del 1996, p. 363.
[4] MACILOTTI, Proprietà, informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 227;
[5] ROMANA PACIA “CAMPIONE BIOLOGICO E CONSENSO INFORMATO NELLA RICERCA GENETICA: IL POSSIBILE RUOLO DELLE BIOBANCHE” in Jus Civile n.13, 2014, cit. pag. 77
[6] ROMANA PACIA “CAMPIONE BIOLOGICO E CONSENSO INFORMATO NELLA RICERCA GENETICA: IL POSSIBILE RUOLO DELLE BIOBANCHE” in Jus Civile n.13, 2014, pag. 78
[7] P. FELICIONI, “Questioni aperte in materia di acquisizione e utilizzazione probatoria dei profili genetici”, in “Scienza e processo penale. Nuove frontiere e vecchi pregiudizi.” a cura di C. CONTI, p. 143.
[8] La questione era stata oggetto di una pronuncia di illegittimità costituzionale, Corte Cost. sentenza 27 giugno 1996, n.238, in Giur. Cost. 1996, pp. 1242 ss.
[9] CHIARA FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, pag.121
[10] Occorre precisare che tale provvedimento disciplina, anche, lo scambio di informazioni e le altre forme di cooperazione tra gli Stati contraenti.
[11] P. Felicioni, “Il regolamento della banca dati nazionale del DNA: scienza e diritto si incontrano”, in Dir. pen. proc., 2016, p. 725
[12] Sull’amplificazione del DNA, v., in particolare, R. Del Coco, L’ambito definitorio, in L. Marafioti-L. Luparia (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, cit., p. 51.
[13] In sintesi, si tratta di: a) persone sottoposte a custodia cautelare o agli arresti domiciliari; b) gli arrestati in flagranza di reato o fermati; c) le persone detenute o destinatarie di una misura alternativa alla detenzione in seguito a sentenza irrevocabile per delitto non colposo;  d) i soggetti nei cui confronti è applicata una misura di sicurezza detentiva, provvisoria o definitiva.
[14] E. Colombo “Il nuovo regolamento per l’istituzione della Banca dati nazionale del DNA: commento a prima lettura e confronto con le disposizioni di altri Stati U.E.” in Cass. Pen., 2016, p. 4618.
[15] Questo in linea con la posizione, ormai dominante in dottrina e in giurisprudenza, che la prova scientifica, e in particolare quella del DNA, deve formarsi nel contraddittorio. In particolare, v. P. Tonini, Prova scientifica e contraddittorio, in Dir. pen. proc., 2003, p. 1464;
[16] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, cit., pag.123.
[17] deve trattarsi di appartenenti alla polizia penitenziaria, specificamente formati e addestrati, oppure di personale di polizia giudiziaria, a seconda che il soggetto passivo sia detenuto o meno.
[18] ad esempio, l’uso di contenitori separati ed etichettati, conservati a temperatura ambiente, che devono essere inviati nel più breve tempo possibile al Laboratorio centrale in un plico sigillato antieffrazione.
[19] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, pag.124-125.
[20] vd. art. 23 lett. Sul tema P. Felicioni, Il regolamento della banca dati nazionale del DNA: scienza e diritto si incontrano, cit., p. 735.
[21] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, pag.125.
[22] Secondo l’art. 2, comma 2, lett. f) reg. att., per “elettroferogramma” deve intendersi «il risultato dell’analisi elettroforetica della sequenza di frammenti del DNA utilizzata per estrapolare il profilo del DNA».
[23] Occorre sottolineare come i profili di DNA si possano ritenere “quasi concordanti” «solo in caso di concordanza totale di almeno sette loci dei due profili del DNA raffrontati» (art. 10, comma 9, reg. att.).
[24] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, pag.127
[25] E. Colombo “Il nuovo regolamento per l’istituzione della Banca dati nazionale del DNA: commento a prima lettura e confronto con le disposizioni di altri Stati U.E.” in Cass. Pen., 2016, p. 4618.
[26] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, pag.127
[27] E. Colombo “La Banca dati del DNA in Italia: prime considerazioni nel Panorama Europeo, alla luce del regolamento attuativo” in Cass. Pen, 206, pag. 382
[28] Nello specifico, si tratta delle ipotesi in cui il profilo del DNA si riferisce a persone condannate con sentenza irrevocabile per uno o più reati per i quali la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza, o per ta- luno dei gravi reati di cui all’art. 407 comma 2 lett. a c.p.p., ovvero nel caso in cui sia stata ritenuta la re- cidiva in sede di emissione della sentenza di condanna (art. 25, comma 2, reg. att.).
[29] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, cit., pag.130
[30] E. Colombo “La Banca dati del DNA in Italia: prime considerazioni nel Panorama Europeo, alla luce del regolamento attuativo” in Cass. Pen, 206, pag. 385
[31] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, cit., pag.130
[32] C. FANUELE, “Il regolamento attuativo della banca dati nazionale del DNA: nuove garanzie e preesistenti vuoti di tutela” in Processo penale e giustizia n. 1, 2017, cit., pag.130[33] La Corte europea (Corte e.d.u., Grande Camera, sent. 4 dicembre 2008, n. 880, S. et Marper c. Royame uni, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 345) ha riconosciuto espressamente all’interessato il “diritto all’oblio”, cioè, la facoltà di domandare ed ottenere che i suoi dati genetici vengano cancellati quando sono scaduti i termini massimi di conservazione o quando la conservazione non è più necessaria rispetto allo scopo per cui i dati sono stati utilizzati.
[34] C. Fanuele, Banche dati genetiche: modelli stranieri e peculiarità italiane, in A. Scarcella (a cura di), “Prelievo del DNA e banca dati nazionale”, cit., p. 315 ss.
[35] E. Colombo “La Banca dati del DNA in Italia: prime considerazioni nel Panorama Europeo, alla luce del regolamento attuativo” in Cass. Pen, 206, pag. 385
[36] Basti pensare che l’accertamento del DNA è al centro di attuali, e ancora irrisolti, casi di cronaca giudiziaria (da quello di Yara Gambirasio, al delitto di Meredith Kercher a quello di Garlasco) e da esso scaturiscono, spesso, gli esiti dei processi indiziari.
[37] C. PREVIDERE’, P. FATTORINO, La complessità in genetica forense: l’analisi di DNA in limitata quantità (Low Copy Number) e l’interpretazione di tracce commiste, in Rivista Italiana di Medicina Legale 1/2016, pag. 180.
[38] L. LUPARIA, Le promesse della genetica fornese e il disincanto del processualista. Appunti sulla prova del DNA nel sistema italiano. in Rivista Italiana di Medicina Legale 1/2016, pag. 168.
[39] Basti pensare al “caso O. J. Simpson”, l’ex giocatore di football assolto dall’accusa di omicidio nel 1995, in seguito ai gravi errori commessi dagli inquirenti nelle procedure di custodia e repertamento dei campioni di DNA ritrovati sulla scena del crimine.
[40] Cass. pen., sez V, 27 marzo 2015, n. 36080. P. TONINI, Nullum iudicium sine scientia. cadono vecchi idoli nel caso Meredith Kercher, in Dir. Pen. Proc., 2015, p. 1410.
[41] L. LUPARIA, op. ult. cit. pag. 172.
[42] L. LUPARIA, op. ult. cit. pag. 176-177.
[43] L. LUPARIA, op. ult. cit. pag. 178.
[44] F. TARONI, J. VUILLE, L. LUPARIA, La prova del DNA nella pronuncia della Cassazione sul caso Amanda Knox e Raffaele Sollecito, in Diritto Penale Contemporaneo, n.1/2016, http://www.penalecontemporaneo.it/, cit. pag. 1.
[45] Nel Regno Unito, invece, la tecnica del Low Copy Number è ben radicata e generalmente ammessa, nei limiti dei principi e dei criteri stabiliti dalla Corte d’Appello per Inghilterra e Galles Cfr. G. GENNARI, La genetica alla prova delle Corti: il Low Copy Number nella giurisprudenza italiana e internazionale, in Riv. It. Med. Leg., 1/2016, pagg. 198-205
[46] Cass. pen., sez V, 27 marzo 2015, n. 36080, pag. 38 in http://www.foroitaliano.it. 
[47] Nel caso di specie sul coltello e sul gancetto del reggiseno erano state rinvenute tracce ridottissime di materiale genetico.
[48] In particolare, nel caso in esame, era stata ripetuta la “corsa elettroforetica”, e gran parte dei picchi del (ritenuto) profilo della vittima erano al di sotto della soglia dei 50 RFU, soglia ritenuta dallo stesso laboratorio della polizia scientifica come minima per identificare un allele. Cfr. G. GENNARI, op. ult.cit, pag. 207
[49] F. TARONI, J. VUILLE, L. LUPARIA, ul. op. cit. pag. 7
[50] Si tratta della procedura nota come “deconvoluzione del profilo genetico” C. PREVIDERE’, P. FATTORINO, op. ult. cit., pag. 190.
[51] C. PREVIDERE’, P. FATTORINO, op. ult. cit., p. 191.
[52] C. FANUELE, op. ult. cit., p. 129.
[53] C. FANUELE, op. ult. cit., p. 130.
[54] In tal senso C. FANUELE, ul. op. cit. pag. 130.
[55] P. FELICIONI, DNA e banche dati europee, XXX Convegno nazionale “Investigazioni e prove Transnazionali” (Roma, 20-21 ottobre 2016), pag. 6.
[56]M. NIGRO, “Banca dati del dna: note a prima lettura all’indomani dell’entrata in vigore del DPR 7 Aprile 2016 n. 87, in Giurisprudenza Penale Web, 9/2016.
[57]C. FANUELE, Dati genetici e procedimento penale, CEDAM 2009, cit., p. 328.
[58] M. NIGRO, ul. op. cit.
[59] C. FANUELE, ul. op. cit. pag. 130.
[60] Infatti, con il codice digitale si può solo identificare la persona, mentre il campione permette, anche, ad esempio, di risalire alle origini etniche o di svelare malattie ereditarie.
[61] l’art. 72-quater prevede, infatti, la distruzione del campione e non già la cancellazione del dato.
[62] C. FANUELE, ul. op. cit., cit. pag. 130-131
[63] E’ singolare come il nostro Paese è stato tra gli ultimi nell’adozione di una banca dati nazionale del DNA, assieme a Grecia ed Irlanda, mentre la Francia ha una banca dati del DNA attiva dal 2001 e la Germania addirittura dal 1998.