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Pubbl. Mer, 5 Apr 2017

Il presupposto della scientia decoctionis nell’azione revocatoria ex art. 67, 2 comma, della Legge Fallimentare.

Elena Di Fede


La conoscenza dello stato di decozione dell’impresa non è prova diretta. Le ripercussioni sull’onere della prova e sulla distribuzione dello stesso tra le parti.


Premesso che l’azione revocatoria fallimentare è lo strumento atto a ricostituire il patrimonio del fallito, mirando ad inibire, rendendoli inefficaci, gli atti dallo stesso posti in essere nel periodo antecedente alla dichiarazione del fallimento in violazione del principio della par condicio creditorum, con particolare riferimento alla revocatoria di pagamenti di debiti l’art. 67, comma 2, L.F. prevede:

Premesso che l’azione revocatoria fallimentare è lo strumento atto a ricostituire il patrimonio del fallito, mirando ad inibire, rendendoli inefficaci, gli atti dallo stesso posti in essere nel periodo antecedente alla dichiarazione del fallimento in violazione del principio della par condicio creditorum, con particolare riferimento alla revocatoria di pagamenti di debiti l’art. 67, comma 2, L.F. prevede:

“Sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.”

La prova della scientia decoctionis, e cioè della conoscenza dello stato di insolvenza in cui versa la società fallita al momento dell’esecuzione dei pagamenti revocabili, è fondamentale per la concreta applicazione del superiore articolo, in quanto l’accertamento di tale presupposto soggettivo, insieme a quello oggettivo del compimento dell’atto nel periodo sospetto, è condizione necessaria per l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta dal curatore fallimentare.

Giova premettere che la prova del requisito soggettivo relativo all’azione in esame rappresenta un problema di carattere generale, nondimeno afferente alla questione del tutto particolare della prova dei fatti psichici. Questi ultimi, qualificandosi come fatti interni, possono essere provati solamente in via indiretta, e cioè attraverso un meccanismo che può definirsi “inferenziale”, in forza del quale la prova di un fatto interno discende dalla prova diretta di un fatto materiale, che viene assunto come premessa, e la cui presenza vale a verificare e a dimostrare, con ragionevole sicurezza, l’esistenza del fatto psichico.

Sebbene, infatti, la succitata norma imponga al curatore di fornire prova specifica e rigorosa della conoscenza del terzo dello stato di insolvenza, da intendersi quale incapacità dell’imprenditore di assolvere regolarmente e con mezzi solutori normali alle obbligazioni assunte, l’assolvimento di tale onere probatorio si rivela nei fatti di non agevole soluzione[1].

Risulta oggi pacifica, secondo la giurisprudenza maggioritaria, la possibilità di assolvere l’onere in questione mediante l’uso degli elementi presuntivi, purché ovviamente gravi, precisi e concordanti ai sensi dell’art. 2729 c.c[2].

Ciò implica che l’onere della prova in ordine alla conoscenza effettiva dello stato di insolvenza del debitore da parte del creditore, in tema di revocatoria di pagamenti eseguiti dal fallito nel periodo sospetto, va inteso in un senso del tutto specifico. Come la giurisprudenza ha costantemente affermato, in tal caso infatti, la certezza logica dell’esistenza di tale stato soggettivo può dirsi acquisita legittimamente quando la probabilità della scientia decotionis trovi il suo fondamento “nei presupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia trovato concretamente ad operare nel caso di specie il creditore del fallito”[3]. In altri termini, posto che si verte in tema di prova indiziaria, non risulta esigibile da parte dello specifico creditore la prova diretta dello stato di decozione dell’impresa, purchè la stessa non si riduca a dimostrare una conoscenza meramente potenziale.

Meglio si chiarisce il concetto al riguardo, con una più recente pronuncia in cui la Suprema Corte, con sentenza n. 504 del 14 gennaio 2016, ha puntualizzato che, pur essendo vero che la conoscenza da parte del terzo contraente dello stato di insolvenza deve essere effettiva e non meramente potenziale, “nondimeno poichè la legge non pone limiti ai mezzi a cui può essere affidato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del curatore, gli elementi nei quali si traduce la conoscibilità possono costituire elementi indiziari da cui legittimamente desumere la scientia decotionis […]”. E successivamente: “in tale contesto i protesti cambiari in forza del loro carattere di anomalia rispetto al normale adempimento dei debiti di impresa, si inseriscono nel novero degli elementi indiziari rilevanti, con la precisazione che trattasi non già di una presunzione legale iuris tantum, ma di una presunzione semplice che in quanto tale deve formare oggetto di valutazione concreta da parte del giudice di merito da compiersi in applicazione del disposto degli artt.2727 e 2729 c.c.”[4]

Da ciò emergono, dunque, evidenti le ripercussioni inerenti le peculiari modalità attraverso cui la curatela può giungere alla prova della conoscenza di tale stato, nonché le conseguenze derivanti dal legittimo utilizzo di determinati mezzi di assolvimento dell’onere probatorio sulla distribuzione dello stesso tra le parti. Ed infatti, proprio sul piano della distribuzione dell’onere della prova, la Cassazione non manca di specificare che l’avvenuta pubblicazione di una pluralità di protesti può assumere rilevanza presuntiva tale da esonerare il curatore dalla prova che gli stessi fossero noti al convenuto in revocatoria, su quest’ultimo risultando traslato in tal caso l’onere di dimostrare il contrario[5].

 

[1] LOPREIATO S., Pluralità e concordanza di elementi indiziari nella ricostruzione presuntiva della scientia decoctionis, in Banca, borsa, titoli di credito, 2005, pp. 656 – 657.
[2] Di recente si v. Corte di Cassazione, VI sez. civ., sent. n. 3299 del 08.02.2017 
[3] Così in Cass. civ., sez. I, n. 8827 del 2011
[4] Così in Cass. civ., sez I, n. 504 del 14 gennaio 2016.
[5] Ibidem.