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Pubbl. Gio, 6 Apr 2017

Il principio di mutua fiducia nella giurisprudenza europea: ancora una opportunità ?

Luigimaria Riccardi
AvvocatoUniversità di Pisa


Sessant´anni sono trascorsi da quando i sei Stati membri fondatori firmarono i ”Trattati di Roma” dando vita con ambizioso spirito ad un sogno oggi chiamato Unione europea, basando proprio il suo cammino su una fiducia reciproca. Ed è proprio sulla fiducia che l´Europa dovrà perseverare.


SOMMARIO: Premessa; 1) La “mutua fiducia” nella politica di asilo e di rifugio dell’Unione europea; 2) La “mutua fiducia” nella costruzione di un mercato unico integrato; 3) La “mutua fiducia” e la cooperazione giudiziaria in materia civile; 4) Conclusioni.

SOMMARIO: Premessa; 1) La “mutua fiducia” nella politica di asilo e di rifugio dell’Unione europea; 2) La “mutua fiducia” nella costruzione di un mercato unico integrato; 3) La “mutua fiducia” e la cooperazione giudiziaria in materia civile; 4) Conclusioni.

Premessa

L’incontro svoltosi a Roma il 25 marzo 2017 tra i ventisette Stati membri ha offerto per questi ultimi l’occasione di riunirsi all’insegna della pace e dell’amicizia e ciò, già di per sé, rappresenta un risultato che molti avrebbero considerato irrealizzabile sessanta anni or sono, ma anche l’opportunità di rinnovare la stessa idea e lo stesso spirito che mosse gli allora sei Stati membri fondatori[1] a firmare i c.d. “Trattati di Roma[2]”.

L’incontro di Roma può rappresentare l’inizio di un nuovo capitolo per l’Unione europea e per gli Stati membri. Le sfide che essi si prestano ad affrontare e la gestione delle crisi che oggi minano il futuro dell’Unione europea[3] sono direttamente legate alla sicurezza, al benessere dei cittadini europei e allo sviluppo di un Europa sempre migliore, dato soprattutto il ruolo sempre più internazionale e globalizzante svolto dall’Unione europea.

In questo contesto, pieno di incertezze e di sfide economiche, giuridiche e sociali, si innesta come elemento chiave, il concetto di “mutual trust” o mutua fiducia. Esso, come si cercherà di descrivere successivamente, può rappresentare, allo stesso tempo, sia un elemento positivo e propulsivo verso gli scopi sopra menzionati, meritevoli di uno sforzo collettivo e unitario, sia un elemento negativo e paralizzante per il cammino di un’Europa effettivamente unita nella diversità.

Pertanto, il presente contributo, consapevoli anche della potenziale indeterminata estensione che il tema può assumere, mirerà a fornire solo alcuni spunti di riflessione sul concetto di “mutual trust”, in particolare soffermando l’attenzione su tre dimensioni che al momento si pongono sulla scena europea sempre con maggiore frequenza, ovvero, la Politica migratoria di asilo e di rifugio, il Mercato unico integrato e la Cooperazione giudiziaria in materia civile, per le quali sono intervenuti o interverranno numerosi cambiamenti.

Per fare ciò, ci si calerà nella prospettiva adottata sia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Ue sia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che sembrano sempre più trasmettere la necessità di ricalibrare la portata del principio della “mutua fiducia”, al fine di assicurare, da un lato, il pieno rispetto dei diritti umani a livello interno ed esterno e, dall’altro, in particolare, evidenziandone l’irrinunciabilità nella realizzazione di uno vero Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia.

1) La “mutua fiducia” nella politica di asilo e di rifugio dell’Unione europea

L’indagine sulla portata del concetto di mutua fiducia all’interno della politica di asilo e di rifugio dell’Unione europea postula un’analisi, se pur breve e generale, della disciplina predisposta in materia.

Sul punto, l’art. 78 par. 1 TFUE afferma che l’Unione sviluppa una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea al fine di offrire e di garantire a qualsiasi cittadino di Stato terzo uno status appropriato e che necessita di una protezione internazionale, nel rispetto del principio di non-refoulement[4]. La disposizione in esame sottolinea che detta politica dovrà risultare conforme agli strumenti di diritto internazionale in materia, tra i quali, in particolare, la Convenzione di Ginevra del 1951 e al Protocollo ad essa allegato del 1967 sullo status di rifugiato. Per fare ciò, il par. 2 della disposizione in commento consente al Parlamento europeo ed il Consiglio di adottare un’ampia gamma di misure (attraverso la procedura legislativa ordinaria) come uno status uniforme in materia di asilo di cittadini di Paesi terzi che sia “valido in tutta l’Unione europea”.

Mentre la disposizione rappresenta di per sé un grande passo in avanti rispetto a quanto era statuito nel previgente art. 63 del TCE ai nn. 1 e 2, il quale non parlava di uno status uniforme “valido in tutta l’Unione europea” ma semplicemente di “norme minime per l’attribuzione della qualifica di rifugiato”, in concreto, però, l’art. 78 par. 1 sembra paralizzarsi.

Sul punto, si noti anche che, in materia di protezione internazionale, la Convenzione di Ginevra del ‘51 detta una disciplina minimale che può essere suddivisa in tre grandi categorie: la definizione di rifugiato, il trattamento per il rifugiato riconosciuto e l’ammissione e l’allontanamento del richiedente asilo e del rifugiato. È con riferimento a quest’ultimo aspetto che il principio di mutua fiducia desta qualche perplessità.

Infatti, sin da quando è stata avviata la cooperazione sulla base degli Accordi di Schengen[5], l’elemento che è apparso costante è stato quello secondo cui le domande di asilo sono raccolte ed analizzate dai singoli Stati membri, non esistendo ancora un organismo europeo preposto a tale compito. Per evitare fenomeni di asylum shopping, gli Stati membri hanno dato vita al sistema c.d. “Dublino”[6], oggi trasfuso nel reg. “Dublino III[7]”, il quale è apparso uno strumento pressoché fallimentare per la drastica gestione del fenomeno migratorio e per combattere l’immigrazione irregolare[8].

Il punto centrale del regolamento, e che sembra rappresentare esso stesso la principale criticità del sistema, è rappresentato dalla regola secondo la quale un unico Stato membro risulta competente per l’analisi della domanda di asilo e i criteri usati per individuare il predetto Stato non cambiano rispetto ai precedenti regolamenti, si parla infatti ancora di Stato “di primo ingresso[9]”. Pertanto, se una domanda di asilo viene presentata in uno Stato non competente ad esaminarla scatta il meccanismo del trasferimento del richiedente verso il Paese competente senza nessun esame nel merito della sua richiesta (detto anche “trasferimento Dublino”). Inoltre, appare una grande criticità il fatto che mentre il diniego dello status ha un valore europeo (omogeneo ed uniforme), l’accoglimento della domanda dispiega i suoi effetti solo all’interno dello Stato che l’ha concessa (Stato competente[10], salvo eccezioni) anche se qualche cambiamento è stato apportato dalla direttiva 2011/51[11].

Ora, è rilevante menzionare una questione che in tema di trasferimento è sorta con la Grecia. Nella sentenza M.S.S. c. Belgio e Grecia[12], la Grande Camera della Corte Edu del 21.11.2011 ha rilevato che il sistema di asilo predisposto dalla Grecia presentasse numerose criticità dal punto di vista del trattamento del richiedente asilo e del rischio che persone bisognose di protezione fossero allontanate in contrasto al principio di non refoulement[13]. Sul punto, anche la Corte di Giustizia dell’Ue si è espressa affermando che esso vada interpretato nel senso di vietare allo Stato membro richiesto (non competente) di procedere al relativo trasferimento verso lo Stato competente nel quale, però, vi sia il rischio che il richiedente asilo subisca trattamenti disumani e degradanti e, pertanto, di un allontanamento contrario al principio di non-refoulement[14].

Sul punto, pertanto, si ritiene che il principio di “mutua fiducia”, inteso nel senso di presumere che tutti gli Stati membri siano considerati rispettosi dei diritti umani e dei principi fondamentali stabili a livello europeo e a livello internazionale ai sensi dell’art. 6 del TUE, risulta limitato da entrambe le Corti, dichiarando che, in ogni caso, esso non esime lo Stato richiesto di esaminare se il relativo sistema offerto dallo Stato competente sia conforme al rispetto dei diritti umani ed, in particolare, ai sensi del principio di non-refoulement, in altre parole, di essere di fronte ad uno Stato “sicuro”.

I diritti fondamentali diventano così un limite all’automatismo del trasferimento del richiedente asilo dallo Stato richiesto verso quello competente e, allo stesso tempo, il cui doveroso rispetto sembra sottolineare agli Stati membri la necessità di affiancare alla “mutua fiducia” un dovere di fondata diffidenza.

Sul punto è intervenuta un’altra importante pronuncia della Corte Edu la quale, proprio in merito al potenziale conflitto tra "presunzione di sicurezza" alla base del sistema di Dublino e il divieto di non-refoulement[15], ha stabilito che, pur essendo la Germania uno Stato membro della CEDU, il Regno Unito non potesse di per sé considerarsi esente dall’obbligo (di cui all'art. 3 CEDU e dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali, c.d. di “Nizza”, oggi vincolante in base alle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona nel 2009[16]) di verificare le condizioni concrete (e giuridiche[17]) presenti nello Stato di trasferimento. Tuttavia, la Corte ha rilevato che, nel caso concreto di T.I c.UK., il sistema giuridico tedesco avesse fornito garanzie sufficienti per evitare un allontanamento in contrasto con il principio del respingimento[18].

La Corte, in conclusione, ricalibra il contenuto della mutua fiducia affermando esistente l’opportunità di confutare il detto principio (si è discusso anche di rifiutability of the mutual trust[19]), in particolare, nel trasferimento del richiedente verso lo Stato competente e riconoscendo, invece, una realtà di fatto, ovvero che anche uno Stato membro non può essere presuntivamente considerato rispettoso dei diritti umani e, pertanto, qualificabile, come Stato sicuro (“Safe” State).

In conclusione, complementare alle considerazioni che precedono, risulta segnalare che i rapporti tra la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue e della Corte Edu (in particolar modo nella protezione dei diritti fondamentali) siano stati resi più incerti dal recentissimo parere negativo n. 2/13 della Corte di Giustizia Ue in merito all’adesione dell’Unione europea alla CEDU, e che in qualche modo, ha impedito una compiuta sinergia anche nel rispetto dei diritti fondamentali.

Sul punto, occorre segnalare che nel parere 2/13, uno dei motivi su cui la Corte di giustizia ha fondato l’incompatibilità tra l'Unione Europea e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ed in particolare tra il progetto di adesione ed i Trattati Ue, è stato quello di scongiurare il rischio che l'adesione potesse pregiudicare il principio di “mutua fiducia” nel diritto dell’Unione europea. Questo principio, come si è descritto sopra, sostiene che gli Stati membri possono presumere che i diritti fondamentali siano stati osservati (e rispettati o che lo si farà) dagli altri Stati membri. La questione che consegue è, pertanto, capire se l'UE, quale comunità basata sullo Stato di diritto (rule of law) debba ragionevolmente temere, da una adesione alla CEDU, un indebolimento della “mutua fiducia” o magari ritenerla un’occasione di perfezionamento per le sfide che verranno.

Infine, auspicando ad una maggiore sinergia tra gli Stati membri, che non si limiti agli aspetti economici o finanziari, risulta rilevante menzionare, tra le proposte al sistema Dublino, quella offerta dal Parlamento europeo. La proposta, che si affianca a quella offerta dalla Commissione europea (la quale spinge verso un Reg. “Dublino IV”) potrebbe risultare di non scarsa importanza per il fatto di prevedere, tra le altre cose, la separazione della registrazione dalla competenza dello stato membro per l’analisi della domanda di asilo. Essa consentirebbe di accelerare i procedimenti di asilo e, allo stesso tempo, di garantire una maggiore e più efficace collaborazione tra gli Stati membri, uscendo dagli schemi “Dublino” che non sembrano più essere sostenuti da una reale mutua fiducia[20].

2) La “mutua fiducia” nella costruzione di un mercato unico integrato

In questo paragrafo mi limiterò a svolgere qualche considerazioni in merito al ruolo che la “mutua fiducia” ha svolto fino ad oggi per la costruzione di un mercato unico integrato, grazie soprattutto agli interventi della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Ue, al fine di comprendere se essa possa ricoprire ancora oggi un ruolo rilevante.

Tuttavia, la seguente trattazione postula una breve analisi dell’evoluzione del suddetto principio nella creazione di un mercato unico.

Nel modello originale, il mercato comune, di integrazione economica, degli anni cinquanta non consentiva alla “mutua fiducia” di giocare alcun tipo di ruolo operativo. Successivamente, però, i tempi furono così maturi che nel 1970 l'approccio cambiò sia sostanzialmente che istituzionalmente. Infatti, a seguito dell'incapacità dimostrata dalle istituzioni politiche, allora comunitarie, di creare o dare inizio al processo di creazione del mercato comune[21], la Corte di giustizia prese l'iniziativa attraverso la sua nota e celebre giurisprudenza “Dassonville”[22] e “Van Binsbergen”[23]. Sostanzialmente, il reciproco o mutuo riconoscimento dell’equivalenza delle disposizioni nazionali commerciali, riguardanti le merci considerate, era fondato sul concetto di “mutua fiducia” come statuito in “Cassis de Dijone “Van Wesemael”, e più tardi ad esempio in Säger[24].

In particolare, nella sentenza “Cassis de Dijon”, dopo aver ribadito che, in mancanza di una normativa comune, spetti agli Stati membri disciplinare (ciascuno nel proprio territorio) tutto ciò che riguarda la produzione ed il commercio del prodotto considerato, è stato aggiunto che le discrepanze tra le singole disposizioni nazionali relative al ciclo di produzione o al commercio dei prodotti considerati (si parla anche di “ostacoli tecnici al commercio”[25]) devono essere accettate (dallo Stato membro importatore) salvo che le prescrizioni normative nazionali rispondano ad esigenze imperative[26] ed, in ogni caso, ai principi di necessità e proporzionalità (rispetto alla tutela perseguita).

Pertanto, la Corte dichiara che in assenza di tali esigenze, i prodotti che sono fabbricati e commercializzati legittimamente in uno Stato membro devono liberamente circolare sul territorio di un altro Stato membro[27]. Quindi, nella suddetta sentenza, la Corte ha imposto un principio di mutuo riconoscimento, sulla base di una “mutua fiducia qualificata”[28].

La sentenza Cassis de Dijon, quindi, ha rappresentato una rivoluzione nei rapporti commerciali tra gli Stati membri, obbligando questi ultimi ad un sistema commerciale sorretto da una doverosa preventiva analisi di equivalenza legislativa fondata su una “mutua fiducia qualificata” e che risulta propulsiva anche ad un effettivo rispetto di una leale collaborazione e cooperazione tra Stati membro, così come statuito ai sensi dell’art. 4 n. 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE).

Tuttavia, qualche autorevole esperto[29] ha sostenuto di recente che, in primo luogo, dal punto di vista commerciale l'approccio descritto non sembra del tutto ottimale nell’attuale realtà commerciale. Mentre la fiducia reciproca che porta al riconoscimento reciproco nulla tralascia in teoria, in pratica, la sua applicazione desta qualche perplessità. L’autore, infatti, sembra enfatizzare che le autorità nazionali agiscano ancora come custodi di accesso al mercato negando il riconoscimento reciproco sulla base delle deroghe previste espressamente nei Trattati istitutivi, come ad esempio le esigenze di ordine pubblico, o sulla base di eccezioni formulate dalla giurisprudenza, in materia di tutela del consumatore o protezione dell’ambiente.

In altre parole, un tentativo da parte di una società di penetrare il mercato di un altro paese può essere frustrato dall'insistenza dei funzionari dello Stato ospitante, i quali, pur rispettosi delle regole del paese esportatore, ritengono che esse non offrano una protezione sufficiente, con il risultato che il riconoscimento può essere negato. Secondo tale prospettiva, il modello di “mutua fiducia” crea alcune difficoltà alla stessa libera circolazione delle merci, in quanto non sembrerebbe corrispondere ad una realtà effettiva.

Come risultato della insoddisfazione per il riconoscimento reciproco, alcuni tentativi sono stati fatti per andare oltre il sistema di “mutua fiducia”. Il più importante di questi sembra essere stato il tentativo di liberalizzare il mercato dei servizi con la relativa direttiva, che ha incluso il principio del paese d'origine soggetto soltanto a limitate eccezioni[30]. Inoltre, è necessario non escludere che l’allargamento dell’Unione europea, nonché il fenomeno conosciuto recentemente come “Brexit”[31]

Sulla base di queste generali considerazioni, e senza nessuna pretesa, ci si può chiedere se, da una ricostruzione trasversale dell’evoluzione della giurisprudenza e del mercato sia a livello oggettivo che soggettivo, il sistema della “mutua fiducia qualificata” siglata “Cassis de Dijon” possa ancora funzionare in un mercato così individuato, nuovo ed allargato, oppure se debba essere rafforzato da ulteriori interventi legislativi europei, in particolare che possano renderlo maggiormente vincolante per le singole autorità nazionali.

3) La “mutua fiducia” e la cooperazione giudiziaria in materia civile nell’Unione europea

Il riconoscimento reciproco non è un nuovo principio nel campo della cooperazione giudiziaria civile. Essa ha costituito la base giuridica ed il nucleo centrale in varie convenzioni di diritto internazionale pubblico ed è stato ulteriormente sviluppato come uno degli strumenti giuridici principali dell'Unione europea.

Lo scopo perseguito dalle istituzioni europee è sempre stato quello di creare un sistema giuridico più possibile omogeneo (ad un sistema-tipo nazionale) nel quale sia garantita una libera e rapida circolazione delle decisioni giurisdizionali tra i singoli Stati membri.

La creazione di uno spazio europeo quanto più simile a quello esistente in un territorio nazionale presuppone che siano adottate misure che consentano la rapida circolazione delle decisioni emanate in uno Stato membro in tutta l’Unione europea[32], o più precisamente, che assicurino di tenere conto di quella decisione come se fosse emessa nel proprio Stato.

La stessa semplificazione dei procedimenti di riconoscimento e/o esecuzione di sentenze straniere si basa sul principio di “mutua fiducia” fra le Autorità giudiziarie dei singoli Stati membri. Esemplificativo è il reg. Bruxelles I bis[33] che al 26° considerando, in attuazione della cooperazione giudiziaria in materia civile, pone la fiducia reciproca come elemento chiave dell’amministrazione della giustizia all’interno dell’Unione europea, una chiave per giustificare che le decisioni emesse in un altro Stato membro siano riconosciute ed attuate come se fossero emesse nello Stato membro richiesto, richiamando che non esistono più Stati sovrani che cooperano nei singoli casi ma membri dell’Unione europea obbligati a aiutarsi reciprocamente sulla base di un rapporto di mutua fiducia[34]. Sul punto, occorre anche evidenziare parte della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha enfatizzato quest’ultimo inciso[35].

La “mutua fiducia”, infatti, nasce dall’attribuzione della competenza all’Unione europea del settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, ovvero dalla cessione condivisa della sovranità statale-processuale e al conseguente assoggettamento e rispetto degli Stati membri al principio del primato del diritto dell’Unione europea, il quale comporta che le garanzie offerte dai singoli sistemi giurisdizionali degli Stati membri e dai rispettivi ordinamenti giuridici nazionali si equivalgano tra loro.

La “mutua fiducia” diventa così uno strumento attraverso il quale i singoli ordinamenti nazionali si aprono a valori e tradizioni espresse da altre legislazioni e ordinamenti giuridici nazionali[36], salvo sempre alcuni limiti espressi[37].

Rilevante appare citare il reg. (UE) n. 2016/1191[38] del 6 luglio 2016 che promuove la libera circolazione dei cittadini semplificando i requisiti per la presentazione di alcuni documenti pubblici nell'Unione europea e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012.

L'Unione deve avanzare per la realizzazione dell'obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone.

Al fine di assicurare la libera circolazione dei documenti pubblici nell'Unione e, in tal modo, promuovere la libera circolazione dei cittadini dell'Unione, l'Unione si arricchisce dotandosi di misure concrete di semplificazione degli attuali requisiti amministrativi connessi alla presentazione in uno Stato membro di alcuni documenti pubblici rilasciati dalle autorità di un altro Stato membro.

Il regolamento enfatizza che “tutti gli Stati membri sono parti contraenti della convenzione dell'Aia del 5 ottobre 1961 riguardante l'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri («convenzione sull'apostille»)”, che ha introdotto un sistema per la circolazione semplificata dei documenti pubblici rilasciati dagli Stati contraenti di tale convenzione.

Conformemente al principio della mutua fiducia e al fine di promuovere la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione, il presente regolamento si pone l’obiettivo di creare un sistema per l'ulteriore semplificazione delle formalità amministrative per la circolazione di alcuni documenti pubblici e delle relative copie autentiche rilasciati da un'autorità di uno Stato membro ai fini della presentazione in un altro Stato membro.

Così facendo e al fine di consentire scambi transfrontalieri di informazioni rapidi e sicuri e per facilitare l'assistenza reciproca, il presente regolamento dovrebbe istituire un efficace meccanismo di cooperazione amministrativa tra le autorità designate dagli Stati membri.

Infine, il ricorso a tale meccanismo di cooperazione amministrativa dovrebbe rafforzare la stessa fiducia reciproca tra gli Stati membri nel mercato interno e dovrebbe basarsi sul sistema di informazione del mercato interno («IMI») istituito dal regolamento (UE) n. 1024/2012[39].

In conclusione, si può affermare che il meccanismo della mutua fiducia si pone nuovamente come elemento fondamentale delle politiche europee, che prima di tutto, poggiano la loro essenza e non possono prescindere da una rapida ed efficace collaborazione e fiducia (a tutti i livelli) tra gli Stati membri. Senza di essa, qualunque strumento regolatore verrebbe meno.

4) Conclusioni

Tirando le fila, si ritiene non ultroneo preliminarmente aggiungere che, dall’inizio di questo nuovo anno, l'Italia ha assunto anche la presidenza del G7 ed è entrata come membro non permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di cui avrà la presidenza nel mese di novembre. Sempre dal 1° gennaio l'Italia è entrata anche nella trojka dell'OSCE di cui guiderà il gruppo di contatto sul Mediterraneo costituendo proprio la priorità in politica estera.

Questa opportunità conferisce all’Italia una grande responsabilità che, però, è bilanciata dall’occasione di guidare anche altri paesi per sostenere l’operato delle Nazioni Unite nel Mediterraneo, con inevitabili ripercussioni soprattutto in ambito di politica economica e migratoria europea.

Inoltre, si deve tenere conto anche del fatto che numerosi appuntamenti politici, che nel prossimo futuro vedranno come protagonisti alcuni tra i principali Stati membri (es. Francia e Germania), potrebbero radicalmente cambiare le prospettive che fino ad oggi hanno caratterizzato il percorso europeo.

Pertanto, consapevoli dei grandi e potenziali cambiamenti che attendono l’Unione europea, si ritiene giusto e doveroso auspicare che gli Stati membri possano riuscire a raggiungere quella stessa sinergia necessaria che sessant'anni fa, mossi dal sogno di un futuro pacifico e condiviso, i membri fondatori dell'UE conseguirono e concretizzarono allo scopo di un ambizioso piano di integrazione europea con la firma dei Trattati di Roma, donando all'Europa decenni di pace e prosperità e prima di ogni cosa ponendo alla base di tutto una “reale mutua fiducia”.


[1] Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Francia, Germania e Italia.

[2] Più precisamente di parla del trattato che istituisce la Comunità economica europea (TCEE) che ha istituito, appunto, la C.E.E. È stato firmato il 25 marzo 1957 insieme al trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica (TCEEA); insieme, sono detti, appunto, "Trattati di Roma". Insieme al trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, ovvero la CECA, firmato a Parigi il 18 aprile del 1951, i Trattati di Roma rappresentano il momento costitutivo della Comunità europea. Il nome del trattato è stato successivamente cambiato in "Trattato che istituisce la Comunità europea" (TCE), dopo l'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, e poi in "Trattato sul funzionamento dell'Unione europea" (TFUE), con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona.

[3] Si faccia riferimento, a titolo meramente esemplificativo, alla tanto discussa gestione dei flussi migratori, ed in particolare, al contrasto dell’immigrazione irregolare e alle numerose critiche mosse contro il sistema prospettato dai Regolamenti “Dublino”.

[4] Per una disamina del principio di non-refoulement nel contesto internazionale si veda: CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., “Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, Cedam Editore, 2012, Seconda parte, Cap. IV, pag: 81-126.

[5] Per un’analisi dell’Accordo di Schengen e gli sviluppi successivi si veda: CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., “Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, Cedam Editore, 2012, Seconda parte, Cap. IV.

[6] La Convenzione siglata a Dublino nel 1990 (così come i regolamenti che sono succeduti ad essa) aveva come obiettivo principale la determinazione dello stato competente per l’esame delle domande di asilo presentate in uno Stato membro dell’allora Comunità europea, in GUCE n. C 254 del 19.08.1997. La Convenzione è entrata in vigore nel 1990 per i primi Stati firmatari (Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo e Regno Unito), il 1997 per Austria e Svezia e nel 1998 per la Finlandia.

[7] Reg. n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide. Il Regolamento, che andrà a breve ad abrogare il Regolamento (CE) 343/2003, detto “Dublino II”, modifica alcune delle disposizioni previste per la determinazione dello Stato membro UE competente all’esame della domanda di protezione internazionale e le modalità e tempistiche per la determinazione. Rimangono invariati alcuni dei punti previsti dal precedente Regolamento. Come per il precedente, il presente Regolamento ha l’obiettivo di contrastare un doppio fenomeno. Da un lato intende impedire che nessuno Stato si dichiari competente all’esame della domanda di protezione internazionale, privando così il rifugiato del diritto di accedere alla procedura amministrativa prevista per il riconoscimento dello status, dall’altro si pone come obiettivo quello di impedire i movimenti interni all’UE dei richiedenti protezione, dando agli Stati e non alle persone la facoltà di decidere in quale Stato la persona debba veder esaminata la domanda. Le principali novità: sono state modificate le definizioni di familiari, è stato introdotto l’effetto sospensivo del ricorso, sono stati inseriti i termini anche per la procedura di ripresa in carico, è possibile il trattenimento del richiedente per pericolo di fuga, è introdotto lo scambio di informazioni sanitarie a tutela del richiedente.

[8] Per un approfondimento di questi temi si veda: CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., “Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, Cedam Editore, 2012. Per un’analisi critica, in particolare per i tragici eventi nel Mediterraneo e per le politiche migratorie ivi adottate dall’Ue, si vedano gli autorevoli contributi di FRANCESCA DE VITTOR: I risultati del Consiglio europeo straordinario sull’emergenza umanitaria nel Mediterraneo: repressione del traffico dei migranti o contrasto all’immigrazione irregolare? CHIARA FAVILLI: La responsabilità dei Governi degli Stati membri nella difficile costruzione di un’autentica politica dell’Unione Europea di immigrazione e di asilo; GABRIELLA CARELLA | Tratta degli esseri umani, uso della forza internazionale e prevenzione dei naufragi (… dello stato di diritto);ALESSANDRA ANNONI | L’esercizio dell’azione penale nei confronti dei trafficanti di migranti: le responsabilità dell’Italia… e quelle degli altri; FRANCESCO CHERUBINI |L’Agenda europea sull’immigrazione: la macchina ora (forse?) funziona, ma ne occorre comunque un’altra; GIUSEPPE MORGESE | I migranti, la soliderietà e l’Europa senza qualità; STEFANO MONTALDO | Le dichiarazioni (ritrattate) del governo ungherese sulla sospensione unilaterale dell’applicazione del regolamento Dublino III e la nuova querelle franco-italiana: il problema delle frontiere europee; LUCA D’AMBROSIO | Le «système Lampedusa» incriminé par la Court Européenne des Droits de l’Homme; DANIELA VITIELLO | La sentenza Celaj della Corte di Lussemburgo e la detenzione degli stranieri irregolari: un passo indietro?, in, Quaderni SIDIBlog 2 (2015), Editoriale scientifica, reperibili e scaricabili da: www.sidiblog.it.

[9] Più precisamente, dal 1999 l’Unione europea ha cercato di realizzare un sistema comune di asilo. Tuttavia, ancora oggi, una persona che entra in Europa non può decidere in quale Stato presentare la sua richiesta di asilo. Infatti, il principio generale alla base del regolamento Dublino III è che qualsiasi domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, quello individuato come competente e la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primo luogo sullo Stato che ha espletato il ruolo maggiore relativamente all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni. Quindi, la richiesta di asilo per un migrante proveniente da un Paese terzo deve essere fatta nel primo Paese dell’Unione in cui mette piede, solitamente Italia e Grecia, dove dovrebbe essere identificato dalle forze dell’ordine, lasciando uno spazio estremamente ridotto alle preferenze dei singoli. Esiste una banca dati centrale, Eurodac, in cui vengono registrati i dati e le impronte di chiunque attraversi irregolarmente le frontiere di uno Stato membro o presenti richiesta di protezione internazionale. In breve, questa banca dati consente di stabilire in quale Stato membro sia avvenuto il primo ingresso in Europa di una persona richiedente asilo, laddove però sia stata identificata. Nel caso in cui l’identificazione non avvenga, come spesso accade oggi in Italia, talvolta basta semplicemente un biglietto del treno o uno scontrino per testimoniare il passaggio dal territorio italiano anche senza aver mai avanzato richiesta di asilo. Quindi, con la presentazione della domanda di protezione internazionale in un paese europeo, se in base al racconto del richiedente o ad altri elementi, come le impronte, emergono dubbi sulla competenza si apre una fase di accertamento, “fase Dublino”, che sospende l’esame della domanda di asilo. Si attiverà infatti un procedimento in base al quale le autorità, individuato il Paese dove il richiedente asilo è già stato segnalato, chiederanno alle relative autorità di prendersi carico della domanda e, se la risposta sarà positiva, verrà emesso un provvedimento di trasferimento verso quel Paese con il conseguente trasferimento (c.d. “Trasferimento Dublino”) effettivo del richiedente. Lo Stato membro competente è obbligato a prendere in carico il richiedente che ha presentato richiesta di protezione in un altro Stato. Ad esempio un cittadino straniero che è entrato in maniera irregolare in Italia e che poi si è recato in Germania dove ha presentato richiesta di asilo dovrebbe, in teoria, essere trasferito in Italia. In concreto, una persona che arriva in Italia, Spagna, Grecia e Ungheria, per citare alcune delle porte di ingresso all’Europa, deve avere la fortuna o la destrezza di non farsi intercettare al fine di scegliere e raggiungere lo stato in cui vorrebbe vivere. Si tratta di una logica molto contraddittoria per cui il Paese che salva una vita in mare è poi il Paese che dovrà accogliere quella persona e garantirgli protezione. Infatti, allo stato attuale delle cose una persona a cui sia riconosciuta la protezione internazionale da uno Stato membro europeo è costretta a vivere in quel Paese in quanto può circolare per tre mesi all’interno dell’Unione, ma non si può trasferire legittimamente in nessun altro Stato per lavorare, studiare o vivere stabilmente. Praticamente, un rifugiato riconosciuto dall’Italia non è un rifugiato anche per la Germania. Questo significa che, salvo eccezioni, lo Stato individuato dal Regolamento Dublino come competente a esaminare la domanda sarà poi anche lo Stato in cui la persona dovrà restare una volta ottenuta la protezione, per cui, facendo un esempio concreto, un cittadino eritreo riconosciuto come rifugiato dall’Italia non ha la libertà di stabilirsi entro i confini europei, per esempio in Svezia, avvalendosi dei diritti garantiti dal suo status. Questo perché, nell’ordinamento dell’Unione non esiste il principio del mutuo riconoscimento della protezione ed ai beneficiari della protezione internazionale non è stata riconosciuta la libertà di soggiorno in altri Stati membri. Sul punto, in particolare, si vedano il considerando n. 29, l’art. 2 let. d) e l’art. 3 n. 1 del Reg. n. 604 del 26 giugno 2013 c.d. “Dublino III”

[10] Si sottolinea che nel 2011 è stata adottata la direttiva 2011/51, che modifica la direttiva 2003/109 sui residenti di lungo periodo, al fine di includere, tra i beneficiari di tale status, i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria.

[11] Infatti, quest’ultima trova la sua base giuridica nell’art. 79 TFUE par. 2 let. a) e b) e non sull’art. 78 par 2 lett. a) e quindi monca di armonia con quest’ultima disposizione. Sul punto si veda: CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., “Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, Cedam Editore, 2012, Cap. VI, sez. Quinta, pag. 242-244.

[12]Il caso (ricorso n. 30696/09) riguarda un cittadino afgano fuggito da Kabul nel 2008 ed entrato nell’Unione Europea attraverso la Grecia. All’inizio del 2009 M.S.S arriva in Belgio e presenta domanda di asilo, alla quale, ai sensi del regolamento Dublino II dell’Unione Europea, le autorità belghe rispondono con un ordine di trasferimento verso la Grecia, paese di primo ingresso di M.S.S. e quindi responsabile in linea generale per l’esame della sua richiesta di asilo. Nonostante il tentativo di M.S.S. di contestare il provvedimento a suo carico di fronte alle autorità belghe, lamentando le carenze del sistema di greco in materia di asilo, il trasferimento verso la Grecia avviene il 15 giugno 2009. Al suo arrivo presso l’aeroporto di Atene, il ricorrente viene detenuto presso un centro per richiedenti asilo e successivamente al suo rilascio è costretto a vivere per strada, completamente privo di assistenza da parte delle autorità locali. Nel giugno del 2009 M.S.S ricorre alla Corte Europea lamentando, sia da parte del Belgio e della Grecia, la violazione del diritto alla vita (art. 2), del diritto a non subire tortura o trattamenti crudeli inumani o degradanti (art. 3) e del diritto ad un ricorso effettivo a tutela dei propri diritti (art. 13). La Corte (Grand Chamber), nell’esaminare i rilievi a carico della Grecia, ha confermato la sua precedente giurisprudenza (per es. in A.A. c. Grecia, ric. N. 12186/08; Tabesh c. Grecia, ric. n. 8256/07; S.D. c. Grecia, ric. n. 53541/07) e ha condannato nuovamente lo stato ellenico per il trattamento riservato ai richiedenti asilo.

[13] Per una attenta ed approfondita anali del principio in commento si veda: CALAMIA A.M., DI FILIPPO M., GESTRI M., “Immigrazione, diritto e diritti: profili internazionalistici ed europei, Cedam Editore, 2012, Seconda parte, Cap. IV, pag: 81-126, cit.

[14] CGUE (Grande Sezione), N.S. c. Secretary of State, Sentenza della Corte di giustizia (grande sezione) del 21 dicembre 2011, cause riunite C-411 e 493/10, N.S. c. Secretary of State for the Home Department e M.E. e altri c. Refugee Applications Commissioner, Minister for Justice, Equality and Law Reform, in Raccolta. V. il commento di G. Cellamare in Guida al Diritto – Il Sole 24 Ore, 2012, n. 6, p. 95 seg. In particolare, Corte di giustizia si è pronunciata su fattispecie riguardanti il trasferimento di richiedenti asilo dal Regno Unito e dall’Irlanda verso la Grecia quale Stato competente in base al regolamento Dublino II. Per quanto riguarda la causa C-411/10, il signor N.S., afgano, era entrato in territorio UE attraverso la Grecia. Dopo alcune vicissitudini, giungeva nel Regno Unito presentandovi domanda di asilo. Informato del suo trasferimento in Grecia in applicazione del regolamento Dublino II, proponeva ricorso amministrativo denunciando una lesione dei propri diritti in quel Paese. L’autorità competente ne dichiarava la manifesta infondatezza in quanto la Grecia risultava tra i Paesi sicuri in base alla legge del 2004 sull’asilo. Anche la richiesta di esercizio della “clausola di sovranità” veniva respinta. Proposto ricorso, nell’aprile 2010 la questione era portata all’attenzione della Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division). Quest’ultimo giudice sospendeva il giudizio e formulava i quesiti pregiudiziali, ricordando che in Grecia le procedure di asilo presentavano gravi carenze; i casi di concessione di asilo erano estremamente rari; i mezzi di ricorso insufficienti e di difficile accesso; le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo inadeguate. Nella causa C-493/10, invece, il signor M.E. e altri cinque ricorrenti afgani, iraniani e algerini, transitavano per il territorio greco e venivano arrestati per ingresso illegale, senza chiedere asilo. Successivamente si recavano in Irlanda, dove presentavano domanda di asilo lamentando l’inadeguatezza di procedure e condizioni in Grecia, e chiedendo l’applicazione della “clausola di sovranità”. Su quest’ultima e per un approfondimento dettagliato sul tema in questione si veda il pregevole contributo offerto da MORGESE G., “Regolamento Dublino II e applicazione del principio di mutua fiducia tra Stati membri: la pronunzia della Corte di giustizia nel caso N.S. e altri, in, Studi sull’integrazione europea, VII (2012), pp. 147-162.

[15] T.I. v UK, App no 43844/98 (ECtHR, 7 March 2000).

[16] Per un’analisi completa della Carta di Nizza e dei suoi rapporti con il sistema dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo si veda: VILLANI U., Collana di Studi sull’Integrazione europea, “Istituzioni di Diritto dell’Unione europea”, 3° edizione, Cacucci Editore, Bari, 2014, Cap. II, pag. 45 e seg.

[17] Si pensi semplicemente alle tempistiche tra la richiesta d’asilo e l’esito del relativo procedimento, oppure dalle condizioni di accoglienza offerte medio tempore dallo Stato stesso.

[18] Sul punto si veda anche la sentenza K.R.S. v UK, ove la Corte Edu nuovamente ha riscontrato che lo Stato competente non soddisfacesse I criteri minimi per garantire che il ritorno in Grecia del richiedente asilo non violasse l’art. 3 della Convenzione Edu.

[19] Un’analisi compiuta dei rapporti tra “mutual trust” e la giurisprudenza europea in materia di asilo e rifugio si veda: IBARRA I.M. (supervisor, Dr. KOCHENOV D.), “The Viability of Mutual Trust in European Union Human Rights Law: An Analysis of the Scope of the Principle of Nonrefoulement for Transfers of Asylum Seekers under the Dublin Regulation, Rijksuniversiteit Groningen, june, 2014 e reperibile sul sito: https://alignmentfordignity.files.wordpress.com/2014/10/mutual-trust-eu-asylum-muc3b1oz-ibarra-i-alignment-for-dignity.pdf.

[20] Per una lettura della proposta del Parlamento europeo e della Commissione si veda: http://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2017/03/10/regolamento-di-dublino-diritto-d-asilo, e anche: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=COMPARL&mode=XML&language=EN&reference=PE599.751.

[21] Soprattutto per la difficoltà di ottenere l’unanimità in Consiglio.

[22] La Corte definisce quando una disposizione nazionale può assumere i connotati di “misura ad effetto equivalente” e, pertanto, in contrasto o idonea a contrastare la libera circolazione delle merci, così come stabilito ai sensi degli art. 28-36 del TFUE e 110 TFUE. Per un’analisi approfondita della disciplina si rinvia a: ADAM R., TIZZANO A., “Maunale di diritto dell’Unione europea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2014, Parte quarta, cap. II, pag. 462-470.

[23] Case 8/74, Dassonville, EU:C:1974:82 and Case 33/74, Van Binsbergen, EU:C:1974:131. Inoltre, per un’analisi dell’evoluzione giuridica e giurisprudenziale in materia di libera circolazione delle merci si rinvia a ADAM R., TIZZANO A., “Maunale di diritto dell’Unione europea”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2014, Parte quarta, cap. II, pag. 462-470.

[24] Case C-120/78, Rewe-Zentral v Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, EU:C:1979:42, Joined Cases 110 and 111/78, Van Wesemael, EU:C:1979:8, Case C-76/90, Säger, EU:C:1991:331.

[25] Si pensi ad esempio alle norme sull’etichettatura o imballaggio o come nella sentenza in commento, sulla percentuale di “alcol” presente nella bevanda (liquore alla frutta) importata.

[26] Si pensi alle esigenze fiscali o alla tutela del consumatore.

[27] Un orientamento diverso sembra, invece, essere stato ormai adottato dalla Corte in merito alle misure sulle modalità di vendita e di utilizzazione dei prodotti. Sul punto si vedano le sentenze Keck e Mithouard.

[28] Qualificata, appunto, da un divieto di imporre una normativa (pressoché identica ed ultronea) se quest’ultima non risponda a qualificate esigenze imperative, sempre temperate dai principi di necessità e proporzionalità.

[29] Si veda il dettagliato e autorevole contributo offerto da: SNELL J., “The Single Market: Does Mutual Trust Suffice?”, in, Mapping Mutual Trust: Understanding and Framing the Role of Mutual Trust in EU Law, European University Institute Max Weber Programme, Evelien Brouwer and Damien Gerard (eds.),EUI Working Paper MWP 2016/13.

[30] Directive (EC) 2006/123 of the European Parliament and Council on services in the internal market [2006] O.J. L 376/36.

[31] Si veda, per un veloce approfondimento, un breve contributo di questo stesso autore: RICCARDI L., “Brexit ed Unione europea: prospettive legali e possibili conseguenze internazionali”, pubblicato e reperibile sulla rivista giuridica on-line “Camminodiritto” agli indirizzi: https://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=1775, anche in lingua inglese su: https://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=1774. Per un autorevole approfondimento si rinvia ai vari contributi offerti dall’ “Istituto Studi di Politica internazionale” (ISPI) e dall’ “Istituto Affari internazionali” (IAI) entrambi accessibili dai propri indirizzi web: www.ispionline.it e www.iai.it

[32] S. MARINO, “Metodi di diritto internazionale privato e tutela del contraente debole nel diritto comunitario”, Giuffrè Editore, pag. 171 e 172.

[33] Il Regolamento (UE) n. 1215/2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, già ribattezzato "Bruxelles I bis" poiché per le decisioni emesse dopo il 10 gennaio 2015 sostituisce in toto il precedente Regolamento (CE) n. 44/2001. Esso segna il raggiungimento di un'ulteriore tappa verso una maggiore integrazione europea sotto il profilo normativo, in attuazione delle politiche dell'Unione in materia di libera circolazione, riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti giudiziali tra gli Stati membri.

[34] Così anche il 16° considerando del precedente Reg. 44/2001, c.d. “Bruxelles I”, il 21° considerando del Reg. 2201/2003, c.d. “Bruxelles II bis” e il 22° considerando del reg. 1346/2000, relativo alle procedure di insolvenza.

[35] Si guardi: cfr,. ad es. Corte di Giustizia, sent. 27 aprile 2004, causa C-159/02, Turner, ECLI:EU:C:2004:228, punto 24 ss.; 9 dicembre 2003, causa C-116/02, Grasser, ECLI:EU:C: 2003: 657, punti 67 e 72; 2 maggio 2006, causa C- 341/04, Eurofood, ECLI:EU:C: 2006: 281, punto 40 ss.; 15 luglio 2010, Purrucker, punto 84 ss. In dottrina si veda anche: F. BLOBEL, P. SPATH, “The Tale of Multilateral Trust and the European law of Civil Procedure, in Eur. Law Rev., 2005, p. 528 ss.

[36]G. BIAGIONI, “Il principio dell’armonia delle decisioni civili e commerciali nello spazio giudiziario europeo”, G. Giappichelli Editore, Torino, 2015, pag. 42-43.

[37] Si pensi alla protezione che scatta dall’ordine pubblico e dalle norme di applicazione necessaria, rispettivamente quali limiti interni successivi e preventivi all’applicazione di un ordinamento straniero. Si vedano, ad esempio, gli art. 16 e 17 della legge di riforma del diritto internazionale privato e processuale italiano del 31 maggio 1995, n. 218 (in Gazz. Uff., 3 giugno 1995, n. 128, s.o.).

[38] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A32016R1191#ntr3-L_2016200IT.01000101-E0003.

[39] Così statuisce il considerando n. 31 del regolamento in commento.